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il blog di Luigi Riotta

 

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Fuggire da se stessi non è una soluzione rinviabile in eterno

Post n°18 pubblicato il 20 Settembre 2014 da dagbog
 

Nella mia vita ho incontrato tante persone attaccate morbosamente al proprio lavoro. Non solo in termine di passione, del sano trasporto che fa sentire utili, produttivi. La loro passione andava oltre. Erano vittime di una necessità morbosa di riconoscersi nel ruolo rivestito, che per loro era senso di appartenenza, espressione di identità.
Ci si identifica nel gruppo del quale si fa parte, qualunque esso sia, in qualsiasi momento della vita. La famiglia nella quale si nasce, l'asilo e la scuola, la comitiva di compagni e amici, l'università, le associazioni, i partiti politici, il lavoro.
Noi siamo in quanto apparteniamo ad una comunità. Ma quando si esce dal contesto nel quale ci si rifugia, in cui ci sentiamo protetti, noi, chi siamo?
Ho conosciuto colleghi di lavoro che odiavano talmente l'idea di dovere andare in pensione da fare il possibile e l'impossibile per rimanere a lavorare anche oltre l'età consentita. Gente che andava nel panico al pensiero del sopraggiungere di una condizione di vita in cui si sarebbero ritrovati soli con se stessi. E quando, alla fine, non potendo fare altro, non riuscendo ad ottenere di rimanere, erano costretti ad andare in pensione, li ho incontrati per strada o li ho visti, malinconici, ritornare sui propri passi per andare a trovare i colleghi che erano rimasti in servizio. Erano diventati improvvisamente melensi, tristi, invecchiati. Eppure era passato solo qualche mese.
Vediamo ogni giorno sui media volti e storie di personaggi politici, leader sindacali, burocrati, che si riciclano nelle stanze del potere scambiandosi ruoli e poltrone, per garantirsi l'appartenenza a quella élite che li fa sentire ancora utili, rispettati, cercati. Nelle loro menti vivere, quindi essere, esistere, è rivestire un ruolo di prestigio, di potere.
Quello che nessuno accetta è la consapevolezza che siamo soli, anche se nasciamo in una famiglia, anche se veniamo abituati sin dall'inizio delle nostre vite ad infrattarci in contesti affollati che ci garantiscono di sfuggire a questa contezza, consentondoci di sentirci sicuri, protetti, tranquilli.
La solitudine fa paura, perché viene paragonata alla morte. E lo è, in parte. Ma è la morte di una personalità che nella folla è cresciuta e nella folla si è identificata per quasi tutta l'esistenza.
Quando la folla di cui ci siamo circondati non c'è più, siamo costretti a porci delle domande alle quali temiamo di non sapere rispondere.
Nella comunità noi abbiamo un nome e un cognome, un titolo di studio, un ruolo sociale, un potere diretto o indiretto che, nella moltitudine, ci colloca, ci identifica. Ma da soli tutto questo non c'è più. E la consapevolezza della nostra vera natura prende il sopravvento. Siamo costretti a guardarci in faccia per quello che realmente siamo.
Improvvisamente ci sentiamo svuotati di tutto ciò che abbiamo rappresentato, dei vestiti che abbiamo indossato in quella comunità che ci ha protetto, ci sentiamo il nulla, nudi. E non riusciamo ad accettare questa condizione che ci pone davanti a noi stessi.
Ecco dove nasce la paura.
Per imparare ad accettare se stessi è necessario avere la consapevolezza che la solitudine è una condizione umana imprescindibile, costante, che deve essere non solo accettata, ma amata e rispettata. Serve coraggio, sicuramente, ma se si ama la vita questo coraggio arriva, ed aiuta a comprendere che noi siamo quello che siamo, anche se ci mascheriamo, che possiamo relazionarci col prossimo senza la necessità di dover fingere di essere qualcos'altro, senza travestimenti, senza elemosinare un ruolo, uno qualsiasi, che ci faccia eludere la vista da noi stessi, dall'essenza del nostro essere.

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Commenti al Post:
Ra.In.Me
Ra.In.Me il 20/09/14 alle 12:40 via WEB
Il rapporto con noi stessi viene spesso trascurato, e la parte di noi più autentica e profonda rimane rattrappita... bisognerebbe tirarla fuori e farla sgranchire ogni tanto!
 
 
dagbog
dagbog il 20/09/14 alle 13:49 via WEB
Esatto, rattrappita rende l'idea, grinzosa, rugosa, avvizzita.
 
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