Creato da c.baldo1 il 18/01/2013

DELIZIA

DELIZIA DI BALDO CARDINALETTI

 

 

LA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO

Post n°3 pubblicato il 25 Gennaio 2013 da c.baldo1

Licenziamento: cosa è cambiato con la Riforma Fornero

L’eccessivo sovraccarico dei Tribunali italiani per via delle milioni di cause che ne intasano i corridoi è un problema ormai noto. Diverse sono state le soluzioni introdotte per tentare di ridurre il contenzioso, soprattutto nell’ambito del lavoro. Una di queste è la c.d. “conciliazione obbligatoria preventiva” prevista dalla Legge n. 92/2012 (Riforma Fornero) che con il suo art. 1 comma 40 ha modificato l’art. 7 della Legge n. 604/1966 in tema appunto di procedura obbligatoria di conciliazione per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Capiamo meglio di cosa si tratta.

Come anticipato, il citato articolo affida alla commissione provinciale di conciliazione istituita ex art. 410 c.p.c. il compito di dare valore a quel lasso temporale che intercorre tra il momento in cui il datore di lavoro comunica la sua intenzione di licenziare e quello nel quale il recesso diviene effettivamente operativo, cercando una conciliazione tra le parti. Nello specifico, i datori di lavoro obbligati a seguire tale procedura conciliativa sono tutti coloro, imprenditori e non, che in ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo occupano alle proprie dipendenze più di 15 unità o più di 5 se imprenditori agricoli. Lo stesso vale per quel datore che nel medesimo ambito comunale impiega più di 15 lavoratori (anche se ogni unità produttiva non raggiunge detti limiti), e in generale chi ha alle proprie dipendente più di 60 unità su scala nazionale. Questo parametro numerico non va calcolato al momento del licenziamento, ma occorre tenere conto della c.d. “normale occupazione” degli ultimi sei mesi.

Per quanto riguarda poi la motivazione del licenziamento, nel caso in esame essa deve essere riconducibile ad un giustificato motivo oggettivo legato a ragioni inerenti l’attività produttiva. Alcuni esempi di possibili giustificazioni sono: ristrutturazione di reparti, soppressione del posto di lavoro, terziarizzazione ed esternalizzazione di attività, inidoneità fisica, impossibilità del c.d. “repechage” anche all’interno del “gruppo di imprese”, provvedimenti di natura amministrativa incidenti sul rapporto (ritiro della patente), e misure detentive. In questo senso, la procedura di conciliazione in questione diviene obbligatoria qualora il datore di lavoro voglia attuare più licenziamenti individuali nell’arco temporale di 120 giorni senza raggiungere la soglia di 5, anche per i medesimi motivi. Se invece il datore ha richiesto più di 4 tentativi di conciliazione per gli stessi motivi, allora troverà applicazione la procedura di riduzione collettiva di personale disciplinata dalla L. n. 223/1991.

E veniamo alle fasi della procedura. Tutto ha inizio con la comunicazione scritta da parte del datore di lavoro alla Direzione del lavoro competente della sua intenzione di effettuare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo e delle motivazioni che la supportano; comunicazione trasmessa per conoscenza anche al dipendente interessato. Dal momento in cui detto documento viene ricevuto dall’Ufficio, la procedura compositoria si considera avviata e potrà avere luogo unicamente davanti alla commissione di conciliazione istituita presso la Direzione territoriale del lavoro. La Riforma ha previsto che l’individuazione dell’organo ministeriale competente per territorio avvenga solo in base al criterio del luogo di svolgimento dell’attività del dipendente. Ricevuta dunque l’istanza, la DTL ha 7 giorni di tempo per trasmettere alle parti l’invito a comparire, in una data il più possibile prossima. La procedura dovrà poi necessariamente concludersi entro 20 giorni dalla convocazione, salvo che la commissione richieda un periodo più lungo per raggiungere un accordo tra le parti.

 
 
 

IL NUOVO REDDITOMETRO

Post n°2 pubblicato il 22 Gennaio 2013 da c.baldo1

In sintesi, il nuovo studio di settore per la famiglia con tutta probabilità sarà eliminato o per lo meno

rivisto. La politica lo “boccia”.

In periodi di instabilità, a crescita zero, il Fisco taglia ogni tipo di attività con il più del 50%, contribuendo

ad aumentare la recessione quando, al contrario, dovrebbe abbassare la sua sete di accertamento, che

deprime fortemente l'economia rendendola recessiva, anzi, eliminando dal mercato le piccole e medie

imprese che non riescono a produrre a prezzi competitivi. A tutto questo si propina la scarsa difesa del

contribuente, la illegittimità del metodo che si basa sull'utilizzo dei dati ricavabili dalla spesa media

indicata dall'ISTAT per la valorizzazione e la determinazione del contenuto induttivo degli elementi

indicativa della capacità contributiva, che non ammette la prova contraria, e l’insufficienza

dell'obbligatorietà del contraddittorio, che costituisce una via di fuga pro-fisco per salvare l'apparenza

difensiva del contribuente. È una lavata di facciata perché il Fisco supererà anche il legislatore facendo

forza sul suo illimitato potere discrezionale. Con il D.M. del 24 dicembre 2012 l'Economia ha individuato il

contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva sulla base del quale determinerà

sinteticamente il reddito complessivo delle persone fisiche, nessuno escluso. Se il Fisco è così scientifico

nel richiedere la prova documentale delle spese, dovrebbe accettare che vicino alla dichiarazione dei

redditi si possano allegare, per detrarre, tutte le spese sostenute dal contribuente. Solo in tal caso la difesa

del contribuente sarebbe costituzionalmente garantita ed anche la capacità contributiva sarebbe

perequata. Il vizio del Fisco è la retroattività, che rende ancora più precaria la difesa del contribuente, che

potrebbe non avere più la documentazione richiesta trattandosi di quattro anni addietro, a meno che non

si tratti di pubblici registri le cui spese, presenti nella lista A, sono minime rispetto alle altre che sono

effimere. L'Agenzia delle Entrate dovrebbe chiedersi se l'utilizzo retroattivo valga anche per le tabelle

ISTAT che vigevano nel 2009, che erano relative agli anni 2007/2008. Tuttavia, difficilmente l'Agenzia delle

Entrate farà un passo indietro, perché questo significherebbe ammettere di rivedere il contenzioso e le fasi

di adesioni precedenti.

L'atteggiamento del Fisco è censurabile: bisognerebbe computare nuovamente il reddito calcolato

dall'Ufficio con il vecchio redditometro tenendo conto delle voci presenti sulle tabelle ISTAT. Nel fare tale

confronto ci potremmo trovare di fronte alla situazione reale che gli importi dovrebbero essere inferiori a

quelli calcolati dall'Amministrazione Finanziaria, ma ciò sarebbe una conferma che gli accertamenti

pregressi sono stati fatti senza tener conto della effettiva capacità contributiva del contribuente.

 
 
 

TEMPI DI PAGAMENTO

Post n°1 pubblicato il 18 Gennaio 2013 da c.baldo1
 
Foto di c.baldo1

Fine dei tempi biblici per incassare una fattura, almeno nelle intenzioni della legge. Dal 1° gennaio 2013 sono operative anche in Italia le norme europee sui ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali: se non è disposto diversamente da un contratto le imprese sono obbligate a pagare le fatture entro 30 giorni. Dopodiché scatta la mora, che è stata fissata per il primo semestre 2013 all'8,75% annuo.

L'imposizione di un tempo massimo dei pagamenti è il risultato del Dlgs 192/12 del novembre scorso che, recependo una direttiva europea del 2011, cerca di risolvere un problema annoso per molte imprese e professionisti che si è inasprito in questi ultimi anni di crisi: i tempi di liquidazione delle fatture sempre più lunghi. Le nuove regole, come recita la legge, "si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale".

Termine di legge anche tra privati

Questi sono i principi sanciti dalla nuova norma:

• Viene stabilito un termine di pagamento legale di 30 giorni che scatta automaticamente se gli accordi tra le parti della transazione non prevedono termini diversi. Tuttavia la stessa legge prevede che il termine può superare i 60 giorni solo in casi particolari e in presenza di giustificazioni oggettive e se non risulta iniquo per il creditore.

• Questi termini si applicano sia alle transazioni commerciali tra Pubblica amministrazione e imprese, sia a quelle - ed è la novità principale - tra imprese private.

• Scaduto il termine, scatta automaticamente (cioè senza la procedura di costituzione in mora) l'interesse di mora, che consiste in una maggiorazione di 8 punti percentuali del tasso BCE per le operazioni di rifinanziamento. Il decreto del ministro dell'Economia del 17 gennaio 2013 ha fissato questo interesse, per il periodo 1° gennaio-30 giugno 2013, all'8,75% annuo.

Per fare un esempio, un pagamento di 10mila euro - per il quale non è stato definito alcun termine di pagamento in sede contrattuale - che arriva dopo 4 mesi dovrebbe produrre da quest'anno un interesse di: 10.000 x 8,75% = 875 / 365 (giorni dell'anno) x 91 (tre mesi di ritardo) = 218 euro.

Resta da capire se la norma verrà davvero applicata e quale potere "coercitivo" possa avere il creditore in un rapporto in cui è generalmente la parte debole

 
 
 
« Precedenti
 

AREA PERSONALE

 

TAG

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Maggio 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
    1 2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18 19
20 21 22 23 24 25 26
27 28 29 30 31    
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

ULTIME VISITE AL BLOG

stargate1962c.baldo3nina.monamourstudiopierrob.cadinaletti_2017missely_2010cbaldo1LorenzAdd1979oltreleparole_2010fosco6nicola.metellic.baldo1aldogiornoiboralli
 

ULTIMI COMMENTI

CHI PUÒ SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963