Post n°3 pubblicato il 25 Gennaio 2013 da c.baldo1
Licenziamento: cosa è cambiato con la Riforma Fornero L’eccessivo sovraccarico dei Tribunali italiani per via delle milioni di cause che ne intasano i corridoi è un problema ormai noto. Diverse sono state le soluzioni introdotte per tentare di ridurre il contenzioso, soprattutto nell’ambito del lavoro. Una di queste è la c.d. “conciliazione obbligatoria preventiva” prevista dalla Legge n. 92/2012 (Riforma Fornero) che con il suo art. 1 comma 40 ha modificato l’art. 7 della Legge n. 604/1966 in tema appunto di procedura obbligatoria di conciliazione per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Capiamo meglio di cosa si tratta. Come anticipato, il citato articolo affida alla commissione provinciale di conciliazione istituita ex art. 410 c.p.c. il compito di dare valore a quel lasso temporale che intercorre tra il momento in cui il datore di lavoro comunica la sua intenzione di licenziare e quello nel quale il recesso diviene effettivamente operativo, cercando una conciliazione tra le parti. Nello specifico, i datori di lavoro obbligati a seguire tale procedura conciliativa sono tutti coloro, imprenditori e non, che in ogni sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo occupano alle proprie dipendenze più di 15 unità o più di 5 se imprenditori agricoli. Lo stesso vale per quel datore che nel medesimo ambito comunale impiega più di 15 lavoratori (anche se ogni unità produttiva non raggiunge detti limiti), e in generale chi ha alle proprie dipendente più di 60 unità su scala nazionale. Questo parametro numerico non va calcolato al momento del licenziamento, ma occorre tenere conto della c.d. “normale occupazione” degli ultimi sei mesi. Per quanto riguarda poi la motivazione del licenziamento, nel caso in esame essa deve essere riconducibile ad un giustificato motivo oggettivo legato a ragioni inerenti l’attività produttiva. Alcuni esempi di possibili giustificazioni sono: ristrutturazione di reparti, soppressione del posto di lavoro, terziarizzazione ed esternalizzazione di attività, inidoneità fisica, impossibilità del c.d. “repechage” anche all’interno del “gruppo di imprese”, provvedimenti di natura amministrativa incidenti sul rapporto (ritiro della patente), e misure detentive. In questo senso, la procedura di conciliazione in questione diviene obbligatoria qualora il datore di lavoro voglia attuare più licenziamenti individuali nell’arco temporale di 120 giorni senza raggiungere la soglia di 5, anche per i medesimi motivi. Se invece il datore ha richiesto più di 4 tentativi di conciliazione per gli stessi motivi, allora troverà applicazione la procedura di riduzione collettiva di personale disciplinata dalla L. n. 223/1991. E veniamo alle fasi della procedura. Tutto ha inizio con la comunicazione scritta da parte del datore di lavoro alla Direzione del lavoro competente della sua intenzione di effettuare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo e delle motivazioni che la supportano; comunicazione trasmessa per conoscenza anche al dipendente interessato. Dal momento in cui detto documento viene ricevuto dall’Ufficio, la procedura compositoria si considera avviata e potrà avere luogo unicamente davanti alla commissione di conciliazione istituita presso la Direzione territoriale del lavoro. La Riforma ha previsto che l’individuazione dell’organo ministeriale competente per territorio avvenga solo in base al criterio del luogo di svolgimento dell’attività del dipendente. Ricevuta dunque l’istanza, la DTL ha 7 giorni di tempo per trasmettere alle parti l’invito a comparire, in una data il più possibile prossima. La procedura dovrà poi necessariamente concludersi entro 20 giorni dalla convocazione, salvo che la commissione richieda un periodo più lungo per raggiungere un accordo tra le parti. |
Post n°2 pubblicato il 22 Gennaio 2013 da c.baldo1
In sintesi, il nuovo studio di settore per la famiglia con tutta probabilità sarà eliminato o per lo meno rivisto. La politica lo “boccia”. In periodi di instabilità, a crescita zero, il Fisco taglia ogni tipo di attività con il più del 50%, contribuendo ad aumentare la recessione quando, al contrario, dovrebbe abbassare la sua sete di accertamento, che deprime fortemente l'economia rendendola recessiva, anzi, eliminando dal mercato le piccole e medie imprese che non riescono a produrre a prezzi competitivi. A tutto questo si propina la scarsa difesa del contribuente, la illegittimità del metodo che si basa sull'utilizzo dei dati ricavabili dalla spesa media indicata dall'ISTAT per la valorizzazione e la determinazione del contenuto induttivo degli elementi indicativa della capacità contributiva, che non ammette la prova contraria, e l’insufficienza dell'obbligatorietà del contraddittorio, che costituisce una via di fuga pro-fisco per salvare l'apparenza difensiva del contribuente. È una lavata di facciata perché il Fisco supererà anche il legislatore facendo forza sul suo illimitato potere discrezionale. Con il D.M. del 24 dicembre 2012 l'Economia ha individuato il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva sulla base del quale determinerà sinteticamente il reddito complessivo delle persone fisiche, nessuno escluso. Se il Fisco è così scientifico nel richiedere la prova documentale delle spese, dovrebbe accettare che vicino alla dichiarazione dei redditi si possano allegare, per detrarre, tutte le spese sostenute dal contribuente. Solo in tal caso la difesa del contribuente sarebbe costituzionalmente garantita ed anche la capacità contributiva sarebbe perequata. Il vizio del Fisco è la retroattività, che rende ancora più precaria la difesa del contribuente, che potrebbe non avere più la documentazione richiesta trattandosi di quattro anni addietro, a meno che non si tratti di pubblici registri le cui spese, presenti nella lista A, sono minime rispetto alle altre che sono effimere. L'Agenzia delle Entrate dovrebbe chiedersi se l'utilizzo retroattivo valga anche per le tabelle ISTAT che vigevano nel 2009, che erano relative agli anni 2007/2008. Tuttavia, difficilmente l'Agenzia delle Entrate farà un passo indietro, perché questo significherebbe ammettere di rivedere il contenzioso e le fasi di adesioni precedenti. L'atteggiamento del Fisco è censurabile: bisognerebbe computare nuovamente il reddito calcolato dall'Ufficio con il vecchio redditometro tenendo conto delle voci presenti sulle tabelle ISTAT. Nel fare tale confronto ci potremmo trovare di fronte alla situazione reale che gli importi dovrebbero essere inferiori a quelli calcolati dall'Amministrazione Finanziaria, ma ciò sarebbe una conferma che gli accertamenti pregressi sono stati fatti senza tener conto della effettiva capacità contributiva del contribuente. |
Fine dei tempi biblici per incassare una fattura, almeno nelle intenzioni della legge. Dal 1° gennaio 2013 sono operative anche in Italia le norme europee sui ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali: se non è disposto diversamente da un contratto le imprese sono obbligate a pagare le fatture entro 30 giorni. Dopodiché scatta la mora, che è stata fissata per il primo semestre 2013 all'8,75% annuo. |
Inviato da: aldogiorno
il 09/08/2016 alle 23:27
Inviato da: nina.monamour
il 13/07/2016 alle 10:19
Inviato da: nina.monamour
il 13/07/2016 alle 10:18
Inviato da: nina.monamour
il 13/07/2016 alle 10:18
Inviato da: nina.monamour
il 02/07/2016 alle 15:54