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Serendipity

River of life (The DarkSide's window)

 

 

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23/4/2007 (Datchforum, Assago h.21) Metti una sera con Roger Waters

Post n°112 pubblicato il 02 Maggio 2007 da darkside_79
 

Quando il buio tenebra ci avvolge, sai già che quei pochi scampoli di silenzio e immobilismo del palco appena successivi sono come una linea di confine. D'acchito il pubblico perde di individualità e si scioglie in movimenti ondivaghi e mormorii indistinti, una platea nella quale ognuno sogna per sè ma ogni sè edifica ponti comuni verso l'infinito. E' una catarsi collettiva di portata eccezionale. 
immagineLo accogliamo con l'ospitalità che si conviene agli amici di vecchia data, Lui è sorridente e carico, ma tradisce segni di stanchezza. Saranno i due anni di concerti quasi quotidiani che hanno stuccato la cartina del globo di bandierine coi martelli, oppure sarà che lo zio è invecchiato, non ricorre a tinte baudesche e deprimenti, si svela argentato e un pò scavato come ogni sessantenne che si rispetti e soprattutto suda copiosamente compensando con grinta un certa impressione di poca robustezza e greve magrezza. 
I due megaschermi laterali indugiano sul suo volto, e insomma, quasi è malinconico doversi accorgere che i nostri miti non vivono dell'eternità conferita dalle copertine dei loro capolavori, ma tradiscono rughe e sfioriture al pari di ogni uomo comune.
And after all we're only ordinary men. 
Eccolo lì, l'uomo ordinario. Si circonda di magie visionarie e luci sceniche a mitraglia, esplodono fuochi artificiali, volano maiali e astronauti, si irradiano arcobaleni olografici dal prisma sospeso sul tetto. Ma dietro questa giostra che toglie il fiato, che acceca coi suoi lustrini, dietro questa suadenteimmagine meraviglia che invita al viaggio onirico e toglie riferimenti e equilibri, dietro questo girare senza sosta, dietro questo riflettere con intensità e commuoversi a denti stretti sull'onta dei mali del mondo, dietro tutto questo c'è un uomo qualunque, un uomo invecchiato. Che un poco si nasconde dietro la cipria del light show, ma che nulla nasconde del suo habitus mentale, del suo criticismo, del suo political correct. Pace, dico io, non sarà il virile Roger pompeiano che tuonava contro il gong nè tantomeno il Richard Gere del rock di Postdamer Platz a Berlino, eppure la sua cornice di fascino e dannazione non si è affievolita nel tempo, ed anzi, se devo dirla tutta lo alimenta e lo sostiene con forza e decisione. Forse più di ieri.

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Masticare floydianità al di sotto della corteccia patinata degli hit da Top of the pops, significa comprendere un concetto molto semplice quanto duro: un concerto di Roger Waters non è proprio l'equivalente di una frizzante seratina al pianobar, nè la sinestesia di luci, suoni e immagini equivalgono all'intrattenimento tout court d'avanspettacolo da cine Ritz. Non nego che lo showbiz avrà bisogno dei suoi ammiccamenti e delle sue scintillerie, ma fruire un concerto simile creando un contatto empatico con l'autore significa aspettarsi le fauci immaginearrovellate del più dilaniante dei tritacarne. Significa che il tuo sedere poggerà sull'affettatrice per un paio d'ore e che alla fine dello spettacolo ne uscirai turbato, o forse leggerissimo, in uno strano senso di benessere dopo essere stato messo sottosopra, stirato, lavato e sballottato in oceani tempestosi dall'inizio alla fine.
Si soffre. Oh sì.
E la tecnica è sottile quanto meravigliosamente sublime. Tutto gira, e gira. E gira ancora. Suoni e luci ti addomesticano, ti tolgono l'equilibrio, ti spingono in un viaggio onirico cotonato e soffice, quasi fluttuante. Il suo lirismo si svela pian piano in tutta la sua profondità e intanto ti lavora ai fianchi, al punto che la smetti di ululare dopo i primi cinque minuti di saltellamenti e sbragature da fan, piombando in un inquietante dimensione iper-riflessiva. Non ne esci più. Prima ti puntella di fioretto, poi ti affonda di sciabola e per finire ti assesta un bel montante allo stomaco. E tutto gira, gira. Senza sosta.
Le cadenzate quanto ossessive note di Set the Controls gli spianano il terreno, se ti lasci andare un nanosecondo sei già nelle sue mani, ti accarezza, ti soffia nell'orecchio e poi trafigge con violenza inaudita. Ti dilania al punto da scomportiimmagine in piccoli aggregati molecolari, e tu resti lì inerme, fra estasi e ossessione. Lì, sul ciglio del dirupo. Un buco nero che ti inghiotte senza pietà obbligandoti a perdere, a guardarti allo specchio. Ti ritrovi nudo, spellato vivo, indifeso e schiacciato dal peso delle ombre che i suoi testi, accompagnati da immagini sempre più crude, sempre più magnetiche, sanno scaturire. Il tritacarne...
Ci sei dentro e adesso salvati se puoi, vediamo come te la cavi senza appigli.
In due ore di show svisceri parti di te che a stento potrebbero essere colte da una sessantina di ore intensive dallo strizzacervelli. Vengono smosse delle corde interiori spesso irrangiungibili, ci si trova soli con se stessi, con le proprie complicazioni, con i se e i ma di sempre. Ma che ora pulsano come irrefrenabili, senza sosta, con echi tambureggianti. E intanto, cazzo, tutto dannatamente gira, e gira ancora. In un vortice di sinuosa dannazione.
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Capita intanto che il batterista si faccia una bella rullata alla carlona sull'intro di Shine on, una di quelle belinate che mica t'aspetti. Tutti i musicisti si bloccano, mentre il drummer si suda diciotto camice per rimettersi in quadro, con Roger che ci ride sù e noi che ci rimaniamo un pò male, salvo poi riprecipitare in apnea nel tritacarne appena chiusa la spiacevole parentesi, focalizzandoci sulla immaginecontemporaneità e sulle grandi problematiche che la società globale stenta ad affrontare con risposte adeguate. Non sono sempre e per forza d'accordo coi suoi pensieri, sulle sue visioni del mondo, e questo è preziosissimo perchè mi accorgo che si viene a creare un ideale confronto dialettico che non mi fa senitre spettatore passivo, ma fruitore di un'esperienza costruttiva e dannatamente viva. Vado a sentire il suo modo di dipingere la realtà, attraverso i suoi sentimenti, scorgo punti di contatto e differenze, mi nutro delle sue prospettive, vesto i suoi occhiali per una sera, indago sulla persona che ho di fronte riscoprendolo diverso ad ogni movimento, ad ogni concetto espresso. C'è tanta carne al fuoco, e soprattutto c'è quel modo di scrivere che ti entra dentro pettinandoti l'anima, quel modo di esprimersi un pò così, quella musica, tormento ed estasi continuo. Infine quelle immagini là, sempre più dure da sopportare al punto che fanno male per davvero; ci prendono dentro, ci oscurano, convogliano sulle nostre teste un annuvolarsi di dolore. I lati oscuri del potere, gli ambigui quanto dibattuti rapporti fra politica e morale, gli oscurantismi dei regimi liberticidi e gli impomatati corollari di ideali delle democrazie occidentali, pronte a snaturarsi per gli interessi di pochi. E poi il decadimento del sogno del dopoguerra, le speranze infrante, i muri edificati fra culture. E poi ancora Maggie, cosa abbiamo fatto Maggie? e la religione, i morti ammazzati, il sangue che scorre, le croci, i bambini, i fili spinati. C'è commozione, ma non basta. C'è vergogna. C'è un senso di umano mea culpa, generalmente colto, che investe ognuno e si abbatte come un defoliante su tutti. Come se fossimo costretti ad alzare il naso al di sopra dei bassi orizzonti dei nostri nani da giardino, oltre le siepi del nostro francobollo immagineprivato e ricongiurgerci con l'idea del mondo e del suo sfrontato regresso. C'è profumo di relativismo culturale, c'è ferocia nelle sue parole, c'è la voglia di picconare. E quando sentiamo fra le mani il peso delle contraddizioni umane, della concupiscenza, del calcolo, della sporcizia, delle pagine insanguinate che spesso fingiamo di non vedere, ecco che un maiale gigante ci sorvola sulla testa, come un catalizzatore di tutta la merda del mondo. Sugli schermi la battersea, sul palco note indiavolate sullo spartito di Sheep.

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Ci (si) concede quindici minuti di pausa, ma è difficile parlare in quel momento. C'è il tempo di una sigaretta, fumata clandestinamente in barba ai richiami degli speaker dell'impianto. Ma il buio torna a regnare quasi subito, o forse sono io che la spina non l'ho mica staccata. (Tump Tump) I was mad for fucking years, (Tump Tump) absolutely years. Il battito cardiaco. Cresce, si espande, coinvolge in quadrifonia ogni anfratto immaginedel Datch. Il pavimento vibra, diventa liquido, non sono più sicuro esistano pareti. Ed io gongolo, emozionato al pensiero della dolce mezz'ora che mi aspetta. La suite di dark side of the moon è per me come osservare il mare tempestuoso comodamente seduto sul divano di casa, con le ciabatte ai piedi.
Conosco ogni virgola di questo album, l'ho sezionato infinite volte, lo respiro a pieni polmoni da anni. E ogni volta, come fosse la prima, soffro e godo senza soluzione di continuità. Non potrei riportare il caleidoscopio di sensazioni, pensieri e possibilità che quelle note, e quelle parole, schiudono nel mio animo. E' un rapporto di tale intimità che non riesco a dargli forma, lasciandolo ondeggiare nelle più remote pieghe della mia mente. E' una tavolozza di colori, un coacervo di sfumature indistinguibili, è la nebbia nella quale mi nascondo e in cui trovo tormento e conforto. Forse quel disco sono io, o forse semplicemente quel disco mi parla come nessun altro sa fare. Detto questo, fatta una immaginerapida equazione, mi trovo davanti all'aguzzino delle mie nottate spese con gli occhi fissi al muro, mentre quelle note mi portano lontano fra gli interstizi dei miei infiniti perchè. L'uomo ordinario, quell'uomo ordinario che si chiama Roger, è in definitiva uno dei miei (molteplici) assassini. Un pò come gli altri Floyd e le decine di scrittori, poeti, pittori e musicisti che assiepano la mia vita da sempre. Ma lui, stasera, ce l'ho a pochi metri davanti, così magro e invecchiato, con quegli occhi che selciano il suo campo visivo circostante. Ma non lo vedo vecchio, per me resta costantemente il Roger di sempre. Resistente agli sgretolamenti del tempo. Un fiore purissimo in una teca di cristallo, che non appassisce mai, che sa riciclarsi con meravigliosa armonia. Si danna l'anima su quel palco, inconsapevole della mia vita e della mia esistenza, mentre io gli sorrido da lontano con un fraterno abbraccio di ideale gratitudine. Le mie emozioni scivolano sulle note di Time, struggendosi con quieta disperazione alla maniera inglese, esplodono in mille non sense sui versetti di Brain Damage e si velano di poesia sulle note di Comfortably Numb, mentre io mi strappo gli ultimi residui pezzetti di anima e torno ad amoreggiare con la vita, illuminandomi d'infinito nel mio minuscolo anfratto immaginario, rifugio esistenziale e meta di poeti maledetti con cui parlo ogni giorno, situato da qualche parte lassù sul lato oscuro della luna.

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Commenti al Post:
paint_box
paint_box il 04/05/07 alle 11:54 via WEB
fantastico. nient'altro da aggiungere!!!! :)
 
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