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Post n°114 pubblicato il 14 Agosto 2007 da Aria.di.luce
Ho sempre vivi nella mente zia Giovanna e zio Carlo che, non avendo figli, si presero cura di me per 6 anni, fino a quando, i miei genitori non si trasferirono in un'altra città. Li ricordo molto anziani. Lo zio era di corporatura esile, con il viso trafitto da rughe parallele che sembravano sentieri scavati nel terreno sterrato, e che gli addolcivano l'espressione. Era molto silenzioso, con gli occhi grandi e malinconici... La sua voce non la ricordo... Tra noi due deve esserci stato un legame profondo, perchè, quando parlo di lui o guardo le foto che mi ritraggono nelle sue braccia, mi commuovo sempre: è stato l'uomo più dolce della mia vita. Lo rammento seduto in uno stretto ripostiglio della casa mentre riparava orologi. Su quel tavolino scalfito dall'uso, le rotelline a forma di stelle, parevano gioiellini d'oro o d'argento per le bambole. Lo guardavo senza muovermi e senza toccare nulla, lasciandolo indisturbato nel suo lavoro che, esigeva precisione e pazienza. Mi accontentava in tutto senza mai alzare la voce per sgridarmi; anzi, lui non mi ha mai sgridato. Era succube consenziente alle mie richieste più inverosimili, ed io una bambina tiranna. In pieno inverno ricordo, nel pomeriggio inoltrato, ebbi il desiderio incontrollato di vedere girare, nel lavello pieno d'acqua, le anguille vive. Lo zio si incappucciò della sua indivisibile coppola blu e, con la sciarpa intorno al collo, intraprese circa 2 km di strada per accontentarmi. Il balletto delle anguille nere e viscide, in quel piccolo specchio d'acqua, mi entusiasmò per poco: scivolose, non si piegavano alla mia volontà e le lasciai per il gioco delle posate. In piedi, su una sediolina che mi innalzava al primo cassetto della credenza in cucina, lanciavo le posate sul pavimento, divertendomi al suono metallico e rumoroso che esse producevano. Quante volte quel santo zio le raccoglieva per riporle e sentirle scaraventare ancora da me a terra. Mi voleva sempre con sè, nonostante l'infantile perfidia che distingueva la sua adorabile nipotina. Mi amava non c'è dubbio alcuno, quando durante la notte si accorgeva, rimboccandomi le coperte, che il lettino era umido di pipì. Era lui che riportava l'asciutto sul mio corpo, lavandomi ed asciugandomi nel buio senza svegliarmi. Anche il rito della ninna nanna gli competeva. Rinchiusa nelle sue braccia, mi dondolava sulla sua sedia in vimini davanti alla televisione accesa. Sentivo il tepore della sua giacca da camera sul mio viso. Acciambellata, come una gattina che uniforma la sua posizione all'abbraccio che l'accoglie, mi addormentavo su di lui. Nessuno mi ha più stretta così nelle sue braccia... Quanto lo desidero quel tepore intorno a me: da allora, mi è rimasto il freddo addosso per sempre! |
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