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« QUALCUNO NON IMPARERA' MAIAPPRENDISTI ASSASSINI,DE... »

IL MALE ASSOLUTO?

Post n°46 pubblicato il 19 Maggio 2009 da blujocker0ne


«Oggi è facile sottovalutare il fascino rivoluzionario del Fascismo; lobiettivo è stato quello di demistificarlo, e un nuovo positivismo si è impadronito dellimmaginazione storica»


George L. Mosse (1918 – 1999) era uno storico coraggioso e di chiara fama internazionale, oltre che di origine ebraica.
Forse proprio per questo ha potuto scrivere l’agile opera in questione (Il Fascismo. Verso una teoria generale), in cui tenta di storicizzare l’esperienza del Fascismo italiano facendo piazza pulita di molti luoghi comuni e preconcetti che hanno caratterizzato gli studi sulla questione (soprattutto in Italia).
Tutto ciò attraverso un’analisi breve quanto documentata e tagliente, che non pretende di essere esaustiva ma di offrire un decisivo contributo alla definizione dei caratteri fondamentali del fenomeno fascista. I giudizi e le espressioni che utilizza (e che noi mettiamo provocatoriamente in risalto) farebbero tutt’oggi trasalire i salottieri radical-chic e gli ottusi guardiani dell’antifascismo, cattivi maestri e primi colpevoli dell’ideologizzazione della storia.

Mosse afferma che «non si può condannare il totalitarismo senza tener conto della rovina delle strutture parlamentari e sociali» del tempo, piene di «problemi strutturali e ideologici». Il Fascismo infatti fece appello a «una tradizione antica e viva di democrazia popolare da sempre opposta ai parlamenti europei» molto sentita tra la popolazione, e su questa basò gran parte del suo successo.
Ad essa si rifacevano i culti nazionali del regime, con l’obiettivo di arrivare a una vera e propria “religione civile (sull’esempio di Rousseau). Primario fu il richiamo alla Romanità e alla forza della comunità naturale” e “genuina”, sintesi di tutte le istanze nazionali e superiore ai singoli interessi individuali.

Oltre a questi richiami al passato ci furono anche spinte rivoluzionarie «alimentate dalla gioventù e dall’esperienza bellica»: Futurismo, esaltazione della Giovinezza («anche i capi erano giovani») e culto della guerra: «il cameratismo veniva additato ad esempio per porre termine alla divisione di classe all’interno della nazione».
Quest’ultima frase ci collega ad un altro degli assi portanti del regime: il mito della Terza Via”, cioè la rivolta spirituale ed interclassista al materialismo del marxismo e del capitalismo. Proprio grazie a questa visione (nata nei
Sindacati Rivoluzionari) si ebbe «la supremazia della politica fascista sull’aspetto economico: il mito spinse gli interessi economici in una posizione servile».

Non si può trascurare neanche l’importanza dei valori del mondo borghese («rispettabiltà, laboriosità, buone maniere») propri di gran parte della classe dirigente. Proprio contro di essi si scatenarono «i giovani italiani appartenenti alla classe ‘35» che «volevano tornare agli inizi del movimento, al suo attivismo e alla sua guerra contro l’alienazione» per portare fino in fondo «lutopia fascista».
Ed è appunto sulla scia di questi fermenti che Mussolini fa partire la campagna contro «i valori borghesi» per dare nuovo vigore al «fascismo che invecchia». Per la stessa ragione, egli si avvicina al razzismo, che non era componente «necessaria» della sua ideologia: fu un grave errore, dettato anche «dall’influenza tedesca».

Mosse riconosce però al Duce «una dimensione più umana rispetto al Führer».

Nonostante aspetti come questo ed altri parimenti criticabili, l’autore arriva a dire che «il mito fascista esercitò un richiamo interclassista e insieme ai successi tangibili rese possibile il consenso».
Vittorie «sociali ed economiche», oltre al fatto di aver «portato l’ordine e conferito un certo dinamismo a un governo che era stato fiacco e corrotto, riuscendo ad attutire gli effetti della depressione europea».

In definitiva «il nuovo stile politico si guadagnò il consenso popolare perché preferenze e desideri del popolo coincidevano in gran parte con quelli del regime».


La teoria generale sul Fascismo dell’autore risulta quindi quella di considerarlo come «un atteggiamento verso la vita» (vedi anche La tentazione fascista di Tarmo Kunnas) innervato da tutti gli aspetti culturali succitati, permeati di nazionalismo, che «era, ed è sempre, la principale forza coesiva tra i popoli».

 
 
 
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