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Post n°37 pubblicato il 11 Febbraio 2007 da EvelineH

AFFINCHE’ IMPARINO A NON FARSI PIU’ FARE DEL MALE

immagineAbbiamo sempre amato le porte aperte, a volte socchiuse, ma mai veramente chiuse.
Porte da cui uscire, magari tenendoci per mano, o da soli pregustando già il momento del ritorno. Porte da cui rientrare, imparando il significato della frase “Tornare a Casa”. E fare l’amore nell’ingresso, con le valigie davanti alla porta ancora da disfare. E andare poi a letto, a parlare piano con le teste sotto al cuscino, e ridere forte alla ricerca dei vestiti sparsi per la casa.


(foto di Francesco Cipolla)


Un giorno, quando io non ero dentro casa, tu sei partito. Non mi avevi salutata come eri solito fare. Ho lasciato aperta la porta, come sempre, nell’attesa del tuo ritorno, ma ho aspettato invano. Controllavo spesso la buca della posta, ma nessuna lettera da parte tua. Nemmeno una cartolina. Mi sono posta moltissime domande, durante l’attesa, a cui nessuno ha mai dato risposta.



Hanno saccheggiato tutto, durante la tua assenza. Tutto quello che era nostro, altri lo hanno portato via. E’ rimasta solo la casa. Vuota. E sono rimaste solo alcune fotografie di noi due, senza più la cornice. E sono rimasti mozziconi di sigaretta fumati e bottiglie vuote.



Ho smesso di aspettare da tempo ormai. Ed ho immagineimparato a mie spese che ad una partenza può seguire un non ritorno. Molte cose sono cambiate da quella tua partenza. Ho tinteggiato la Casa, ho aperto le finestre e, soprattutto, grande novità, ho chiuso la porta: porta blindata con doppio catenaccio in acciaio. Unica copia della chiave: la mia.



La Casa è sempre la stessa, ma quello che adesso c’è dentro è soltanto mio e delle persone alle quali permetto di condividere con me. Ho iniziato ad arredare la Casa con piccoli oggetti e ho fatto un gioco con i miei nuovi amici: chiunque avesse avuto il permesso di entrare, avrebbe dovuto portare un dono, mentre, una volta uscito, avrebbe dovuto portare con sé un oggetto dalla casa. Un oggetto a suo piacimento e a suo gusto.

Ho notato una cosa interessante: mai nessuno, nessuno finora, ha preso per sé un oggetto di valore superiore a quello portato. E’ successo anzi il contrario. Le persone che accoglievo, messe nella condizione di scegliere, donavano più di quanto prendessero. Questo gioco ha iniziato a riempire me e la mia Casa, restituendomi quanto prima mi era stato portato via. E solo adesso ho la consapevolezza che mai più permetterò di entrare alla gente che porta via senza lasciare nulla.



Mi hanno raccontato di aver visto nei giorni scorsi una persona che ti assomigliava avvicinarsi alla porta. Ti conosco bene e so che sei tu, uguale e identico a prima, nonostante l’abito diverso. Ieri hai bussato e, come sei sempre stato solito fare, con me e con gli altri, ti sei presentato con molti doni importanti. Un po’ per sfida e un po’ per cercare di capire, ho finto di non riconoscerti e ti ho fatto entrare nell’ingresso, dicendo a me stessa che, in fondo, la Casa è anche tua. Ti sei fermato per poco, quasi a disagio, e poi sei uscito, ancora una volta senza salutare. Mi è dispiaciuto notare che hai riportato con te i doni con cui ti eri presentato e che qualche oggetto presente nella Casa da oggi è scomparso.

Ho sorriso, stavolta, perché non mi hai presa di sorpresa: nell’ingresso tengo solo gli oggetti a cui non tengo. Ti avevo solo messo alla prova. Ho richiuso la porta con la certezza che tutto ciò conta è rimasto dentro.

Oggi chiamerò il fabbro, ché mi aggiunga anche uno spioncino!

 
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