Indubbiamente il mondo è pieno di gente strana.
Ero al corso di computer, e questo è già abbastanza strano se consideriamo che tre anni prima avevo abbandonato gli studi, ad un passo dalla laurea in ingegneria informatica per dedicarmi ad altro.
Ero lì in un’aula semi fatiscente insieme ad altri quattro sfigati caduti nella trappola dell’avvenente promotrice del corso.
La lezione volgeva al temine, ed io come al solito ero altrove con la testa. Mentre il tutor era intendo a far capire come funzionasse quell’ammasso di plastica e circuiti elettronici, io pensavo al grande BUKOWSKY. Si a Charles Bukowski.
Adesso è lecito chiedersi che cosa centra Bukowski con i computer? Centra , e come se centra!!
Infatti la mia mente era impegnata a ricordare in quale romanzo Charles Bukowski definiva i corsi di computer una rottura di coglioni, perché alla fine ti dicono che il computer non sa niente,si limita a fare quello che noi gli diciamo. Però la cosa che non ti dicono è che quell’aggeggio infernale ti si può rivoltare contro, impazzisce, si imballa, ti perde file che tu puntualmente salvi, prende virus….
E non sbagliava di certo visto che il nostro tutor continuava a ripeterci che il computer è scemo.
E io continuavo a pensare la stessa cosa di lui, perché continuava a fare il cascamorto con Selma, l’unica ragazza del corso, senza accorgersi che era lesbica. (Non a caso ho detto che ero in compagnia di altri quattro sfigati).
Ma questa è un’altra storia.
Finalmente la lezione giunse al termine, e puntualmente mi accorsi di essere rimasto senza sigarette.
Mi affrettai a raggiungere la tabaccheria più vicina. Ci entrai. All’interno c’erano il tabaccaio e uno strano tipo che aveva acquistato dei sigari e un pacchetto di Pall Mall rosse.
“Me ne dà uno anche per me?” chiesi al tabaccaio mentre lo strano tipo usciva senza salutare.
“Ecco qua…” Disse il tabaccaio mettendo sul banco un altro pacchetto di Pall Mall rosse.
Lo ringraziai e misi una banconota da cinque euro sul banco.
“Ma guarda! Sono già passati venti giorni….” Disse lui nel darmi il resto.
“Prego?” replicai infilandomi gli spiccioli in tasca.
“L’ ha visto quel signore che è appena uscito? Bene! Ogni due o tre giorni viene qui e compra dei sigari. E fin qui è tutto ok! Ma ogni venti giorni viene da me e oltre ai sigari compra un pacchetto di sigarette.”
“Ecco un’altra vittima del computer” pensai.
“Non lo trova strano?!” continuò lui.
“Cosa?”dissi io.
“Il fatto che quel tipo fumi una sigaretta al giorno insieme ai sigari”.
“Sempre meglio di far la corte a una lesbica”
“Come?”
“Niente. Niente.” Dissi mentre guadagnavo l’uscita.
In realtà mi chiedevo chi tra i due era il più strano, il tabaccaio o il tipo che acquistava ogni venti giorni un pacchetto di sigarette. E poi, magari quelle sigarette non erano neppure per lui.
Una settimana dopo mi ritrovai puntualmente nell’aula semi fatiscente in compagnia di quattro sfigati e un tutor sempre più scemo.
Ero seduto accanto a Selma e mi divertivo a vedere il nostro tutor sciogliersi ogni qual volta Selma gli chiedesse qualcosa. Alla fine mi faceva quasi pena.
“Perché non gli dici la verità?” Gli bisbigliai in un orecchio.
“ E quale sarebbe la verità?”
“ Che sei lesbica.”
“ E tu perché non gli dici che sei stronzo?”.
Incassai il colpo e stetti zitto fino alla fine della lezione.
Nell’uscire dall’aula mi accorsi che ero nuovamente a corto di sigarette, e che nello stesso istante Selma se ne stava accendendo una.
“ Me ne offri una? - gli chiesi - Mi sa che sono rimasto a secco”.
E lei:”Non offro mai niente agli stronzi.”
Selma 2 – Gianni 0
Non era serata, prima di fare un altro autorete ,pensai che forse era meglio affrettarsi per raggiungere la solita tabaccheria. Almeno lì non avrei fatto la figura della stronzo.
Questa volta non cera nessuno, eccetto il tabaccaio.
“Salve. Pall Mall rosse per favore.” E misi la solita banconota da cinque sul banco.
“Ecco a lei signore”
“Grazie”risposi.
“Si ricorda quel tipo dell’altro giorno?”mi chiese dandomi il resto.
“Chi Mr pacchetto ogni venti giorni?”.
“Si. Proprio lui. Sa che ho scoperto che cosa fa con le sigarette?”
“Si. – gli risposi – Le fuma”.
“Ma che fa? Mi prende in giro?”
“No!!! Rispondo semplicemente alle sue domande.”
Salutai e me ne andai.
Non era proprio serata. Mi avevano dato per due volte dello stronzo e come se non bastasse me ne stavo li a tenere una conversazione con un tabaccaio impiccione come uno stronzo.
No. Non era proprio serata mi ci voleva qualcosa che mi tirasse su. Dovevo andare a trovare i ragazzi. Assolutamente.
I ragazzi suonavano, erano una band, e di tanto in tanto mi adottavano, nel senso che mi facevano suonare con loro. Io gli ero molto riconoscente, no perché mi facevano suonare ma perché mi permettevano di tenere la mia strumentazione nella loro sala prove ,in realtà era un buco dove a malapena si riusciva a starci ma a casa non avevo posto.
I ragazzi nel vedermi esclamarono “Ciao zio metal!! Qual buon vento?!”.
“Bhe!!! Avevo voglia di bere un bicchiere in compagnia e ho pensato a voi”. Dissi sistemando le birre che avevo comprato strada facendo sul mio amplificatore.
Roby, il più giovane dei tre stappo le birre e le passo.
“A CHI CI VUOLE MALE” brindammo e iniziammo a bere parlando del più e del meno.
Dopo aver esaurito le birre e la nostra conversazione indossai il basso e lo collegai all’amplificatore.
Sistemai i volumi e iniziai a riscaldarmi con un giro bluse.
Nico si sistemò dietro la batteria e inizio a portare il tempo, Roby non si lasciò scappare l’occasione e ci venne dietro con la chitarra mentre Tony cantava frasi senza senso.
Ormai eravamo su di giri e improvvisando tirammo su un bluse degno di Stevie Ray Vaughan.
Ma nulla è eterno.
Alla fine compiaciuto salutai i ragazzi e mi avviai verso la macchina.
Mi sentivo rinato, erano bastate poche note a tirarmi su.
Salii in macchina, infilai la chiave e misi in moto.
Prima di inserire la marcia mi accesi una sigaretta, chissà perché nel vedere il pacchetto mi balenò nella testa quel tipo strano dei sigari.
Ingranai la prima e iniziai a muovermi sia con l’auto che con la mente.
Cercavo di capire che cosa potesse fare quel tipo con le sigarette, magari si faceva una canna al giorno per evadere dal solito tram tram quotidiano, oppure le sigarette non erano per lui ma per la sua convivente...Le ipotesi erano molteplici ma chissà perché la mia fantasia né elaborò una assurda.
Il tipo in questione era un rappresentante intendo tutto il giorno a cercare nuovi clienti e strappare qualche contratto a chi lo era già. Cinque giorni su sette li trascorreva in macchina e tra conversazioni al cellulare e strette di mano di tanto in tanto tra un cliente e l’altro si concedeva una pausa prendendo un caffè in qualche bar. Solitamente sceglieva dei bar che dietro il banco avessero del personale femminile, non perché fosse un guardone o un maniaco pervertito ma semplicemente perché raramente le barriste danno confidenza ai clienti occasionali evitava così domande tipo “Ma lei non è di qui ? sa è la prima volta che la vedo!” oppure “E’ qui per lavoro o è in vacanza?” e altre domande simili che due barristi su tre gli avrebbero rivolto infrangendo la tranquillità di quella pausa tanto attesa.
Il rituale era quasi sempre lo stesso: entrava nel locale salutando con un timido BUON GIORNO quasi bisbigliato, ordinava il suo caffè e nell’attesa buttava un’occhiata alle prime pagine del giornale. Quando la signora o signorina di turno lo avvertiva che il caffè era pronto si avvicinava al banco, versava mezza bustina di zucchero nella tazzina e mentre mescolava sorseggiava un po’ d’acqua e subito dopo si gustava il suo meritato caffè in santa pace. Pagava e guadagnando l’uscita salutava con un altrettanto timido arrivederci.
Se il caffè era stato di suo gradimento ci sarebbe ritornato, altrimenti avrebbe optato per un altro bar.
Durante i suoi spostamenti se il tragitto era molto lungo c’erano il suo sigaro e l’autoradio (sempre sintonizzata sulla stessa frequenza) a rendere più piacevole e meno monotono il suo viaggiare.
A fine giornata spediva via E-mail i contratti e i nuovi contatti in azienda, controllava la posta, organizzava l’agenda per il giorno dopo, si infilava mezzo sigaro in bocca senza accederlo visto che sua moglie gli proibiva di fumarlo in casa, si slacciava la cravatta e staccava la spina.
Era pronto per la poltrona e il Tg delle venti.
Certo non era un granché ma sempre meglio delle prediche di sua moglie.
Già sua moglie, non l’ avrebbe sposato se avesse saputo come sarebbe andata a finire. Certo c’era sempre il divorzio, ma nonostante tutto lei lo amava ancora, e ricordava ancora le promesse fatte il giorno del matrimonio “…nella salute e nella malattia , nella buona e nella cattiva sorte….”
Così pur di salvare il matrimonio si era ridotta a farle da balia senza più pretendere nulla, dando un calcio alle sue ambizioni.
A lui tutto questo andava più che bene, si vedevano solo all’ora di cena dove a malapena scambiavano qualche parola poi lei sparecchiava e si ritirava in camera sua e lui dopo aver dato un’occhiata al giornale si recava nel suo studio prendeva carta e penna, sfilava una sigaretta dal pacchetto, si recava in bagno e iniziava quello che ormai era il suo rito.
Si calava i calzoni.
Si sedeva sul water.
Si accendeva la sigaretta e iniziava a scrivere.
Scriveva di tutto: dalla discussione tra i due tipi ascoltata casualmente nel bar, commenti su notizie lette sul giornale o ascoltate in modo quasi furtivo alla radio durante i suoi spostamenti o semplicemente seduto in poltrona guardando il Tg delle venti.
Lui scriveva…il tutto tra una boccata e l’altra alla sigaretta.
Scriveva … della sua vita, e di quella sognata che vorrebbe dare a sua moglie….
Del coraggio che gli mancava per dare una svolta a tutto e ricominciare a vivere accanto a lei…
Intanto la cenere cadeva nel water e lui scriveva assaporando il gusto del tabacco,aspirando il fumo con la bocca ed espirando col naso, in modo che gusto e olfatto si fondessero insieme trasmettendo al cervello non solo il sapore dolciastro del tabacco ma anche l’odore aspro del fumo.
Un gusto minuziosamente dettagliato che solo un fumatore di sigari è in grado di apprezzare anche in una sigaretta.
Alla fine quando non c’era rimasto nient’altro che il filtro gettava la cicca nel water.
Si metteva in piedi. Si tirava su le braghe accartocciava il foglio sul quale aveva scritto e tirava lo sciacquone…
Seguiva con lo sguardo la cicca scomparire in quel vortice d’acqua, vi gettava via anche il foglio accartocciato ed esclamava:
“Che vita di merda…ma la su brillano le stelle!!!”
E con la mente sgombra da qualsiasi pensiero se ne andava a letto.
Volsi lo sguardo al cielo.
Era coperto da uno spesso strato di nubi minacciose.
Di stelle…. Di stelle nemmeno l’ombra.
“Che vita…..
G.G.
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il 26/12/2010 alle 19:51
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