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« L'UNITA' IDENTITARIA D...NIETZSCHE E IL NICHILISMO (1) »

NIETZSCHE E IL NICHILISMO (2)

Post n°45 pubblicato il 28 Maggio 2015 da giulio.stilla

 

NIETZSCHE E IL NICHILISMO   (2)

 

Sperando di aver riportato fedelmente le parole della canzonetta, reputo che l’esempio concettuale di essa mi aiuta ad esprimere il pensiero del filosofo che ama affermare il valore supremo della vita, imprimendo a questa il proprio orientamento, soprattutto quando si sono dissolte tutte le illusioni, le fedi e le speranze, che generalmente strutturano la vita di un uomo.

Ma per dare un “senso” personale alla propria esistenza, tuona il filosofo, ci vuole coraggio. Non appartiene a tutti la capacità di compiere questa difficile operazione e meno che mai non appartiene all’uomo del passato, cioè all’uomo che continua a credere ancora che “il senso “della vita debba arrivare dall’esterno, dagli altri, dagli Enti ontologicamente sovraumani.

 La capacità e il coraggio di dare un “senso” alla propria vita appartengono al “Superuomo”, cioè all’uomo del futuro, che riesce ad interpretare il proprio tempo non in maniera finalistica, rettilinea, ma in maniera circolare, ciclica, nel senso che tutti siamo chiamati a ripetere infinite volte la nostra esistenza.

Confronta in Nietzsche: la dottrina dell”Eterno ritorno dell’uguale”, per la quale il filosofo argomenta che soltanto il “Superuomo” riesce ad affermare la felicità del circolo, che poi dovrà rivivere per un numero infinito di volte. E’ una teoria questa in rotta di collisione con la concezione finalistica del tempo, propria di quelle visioni religiose della vita, che rimandano a dopo di questa, nell’altro mondo, nel mondo “vero”, la certezza di incontrare la felicità eterna, come ricompensa o premio a tutte la sofferenze vissute nel mondo terreno.

Ma che cosa intende Nietzsche con il termine di “Superuomo”?  Ce lo chiarisce il nostro filosofo GIANNI VATTIMO, attento studioso della filosofia di Nietzsche, quando corregge la interpretazione volgare e profana del Superuomo, inteso come una individualità politica della Storia o della Scienza o di altro tipo, dotato di qualità eccezionali, che lo innalzano al di sopra delle masse.

No!, il Superuomo di Nietzsche non esprime un concetto politico, bensì un concetto filosofico, nel senso etimologico indicato da Vattimo, che sottolinea come la parola tedesca di UBERMENSCH significa “Oltre-Uomo”. Il prefisso “Uber” non significa cioè superiorità, “Super”, ma “Oltre”. Il Superuomo di Nietzsche, in altri termini, non è l’uomo eccezionale del passato, ma l’uomo coraggioso del futuro. E’ lo “Spirito Libero”. E’ lo spirito liberatosi da tutte le sovrastrutture metafisiche e dalle prigioni immanentistiche delle ideologie per veleggiare, non trattenuto più da nessun vincolo, su distese oceaniche per spazi infiniti e senza mete prestabilite e dipendenti soltanto dalla sua Volontà di potenza.

Alcune interpretazioni critiche hanno tentato, a questo punto, di definire Nietzsche “il filosofo della liberazione”, per piegare la sua filosofia a strumento pratico di lotta politica e farla così servire ai fini di questa o di quell’altra ideologia.

In verità, questa tendenziosa interpretazione sarebbe una forzatura della sua speculazione, in quanto, come si è detto, il pensiero del Superuomo non esprime un concetto politico, ma un concetto filosofico, che non attiene alla “liberazione” delle masse, ma all’affermazione della Volontà di Potenza, che in ultima analisi ha bisogno dell’esistenza di una “Umanità”, rassegnata e tormentata per meglio stagliarsi “sull’orizzonte del futuro.

Il Superuomo di Nietzsche destruttura la realtà sociale della sensibilità antropologica tradizionale, che con le sue forme di coscienza e le sue categorie di ragione, finisce spesso per svuotare lo spirito dell’uomo moderno e contemporaneo, gettandolo nell’angoscia mortale del nichilismo.

Perduti, quindi, i significati metafisici e valoriali, il nichilista di Nietzsche esce dalla malattia mortale, dando un “senso” personale alla propria esistenza in pienezza di vita e libertà di spirito, non più mortificate dall’ angosciante delusione provocata in lui dal tramonto di tutte la metafisiche.

Infinite “aurore” si aprono davanti all’uomo nuovo, che per me resta l’uomo senza aggettivo. Né nuovo né vecchio, né “super” né “oltre”, ma uomo sub specie aeternitatis, cioè colui che valuta la realtà, come sottolinea lo stesso Nietzsche nella spiegazione etimologica del termine. Uomo, colui che valuta la realtà, in cui nasce, si forma e si relaziona con gli altri in rapporti coesistenziali con il tempo: con il passato, il presente e il futuro.

Si capisce che ardisco or ora di muovere una timida critica al Filosofo, con la consapevolezza di essere come una piccola pulce dentro gli sfinteri di un elefante, ma con il proposito di cogliere anche l’andamento dinamico del suo pensiero per chiedergli idealmente:

Fra tutti gli infiniti “sensi”, “scopi”, “fini” che il Superuomo, con l’esercizio della sua Volontà di Potenza, voglia liberamente perseguire, non possa essere annoverato anche la Volontà di coltivare una “Fede”, una grande Fede in “Colui che ti ha creato senza di te e che non può salvarti senza di te”?  Scrive così sant’Agostino nel Sermo 169, 11, 13, innalzando, testimonia il beato Josemaria Escrivà, “un meraviglioso inno alla libertà”.  La Fede è un atto di libertà. Sarà anche un dono di Dio, ma senza la nostra adesione a questa “grazia”, essa resterebbe sterile, infeconda, priva di amore. L’adesione al dono di Dio è la manifestazione più alta della nostra libertà.

A questa obiezione il Filosofo mi potrebbe rispondere che io non avrei capito niente dei suoi abissali pensieri, perché il fondamento ontologico del Nichilismo è la morte di Dio, il simbolo cioè di tutte quelle metafisiche che per millenni, a partire dal platonismo, hanno illuso e coartato la Libera Volontà dell’Uomo.

A questo punto, oserei ancora rispondergli che stiamo dialogando in termini di Volontà e quindi di Libertà di Persona, che, conosciuta la radice della sua malattia, della sua angoscia, della sua disperazione, si consegna con la sua Volontà, cioè con la sua Libertà, ma anche con il suo Coraggio ad un Progetto Strategico Universale, che non sarà il suo, ma che risolve i suoi problemi esistenziali anche in termini di categorie di Ragione.

 Se il Superuomo di Nietzsche, cioè l’Oltre-Uomo, l’Uomo del Futuro è soprattutto Volontà di Potenza, cioè, Volontà di Vita, non vedo ragione perché l’Uomo del Passato o del Presente debba rinunciare alla Libera Volontà di Fede, che, con altri infiniti esempi, proprio quell’angoscia, quella disperazione, quella malattia mortale di tipo nietzscheano ha superato come efficace antidoto ai fatali veleni esistenziali?

Mi commuove la drammatica follia di un grande Filosofo, che pure scrisse in geniale lucidità volumi di Pensieri che aspettano di essere studiati e criticamente interpretati

per conoscere ancor meglio la nostra realtà storica  e culturale, all’interno della quale curiamo la nostra esistenza, prospettiamo la nostra vita futura, organizziamo la nostra vita sociale.

La Filosofia non è Nietzsche, ma anche con Nietzsche e con la intera Storia del Pensiero scientifico e speculativo occidentale intendiamo discernere il vero dal falso, il bene dal male, il bello dal brutto, l’utile dall’inutile, e combattere con la Ragione e la Volontà tutte quelle posizioni teoriche e pratiche che negano la vita, calpestano la dignità della persona, in nome spesso di un folle fanatismo religioso e/o politico, ma che altro non è che Nichilismo, puro Nichilismo, come nel caso dei cosiddetti “foreign fighters”,  “volontari stranieri”, miliziani jihadisti, occidentali e nichilisti, che in cambio di anfetamine, cocaina, viagra e la paga di cento dollari al giorno si arruolano nelle bande armate dell’ISIS per compiere le peggiori nefandezze, che la storia dell’Uomo con il sangue versato di altri uomini abbia mai scritto.

Questa è la Volontà del Nulla, che ha come fondamento ontologico non solo la morte di Dio ma la follia criminale allo stato assoluto. A questa bisogna reagire con l’affermazione della vita e la fede nel Trascendente, presente come “senso” in ogni uomo e testimoniato proprio dalla sua insufficienza costituzionale, che per i nichilisti classici e per quelli attuali ama tradursi in passione della distruzione, manifestazione demenziale della propria impotente immaturità.

E’ vero che la Fede nel Dio- Persona è come il coraggio: se uno non ce l’ha, non se lo può dare, direbbe l’autore di Don Abbondio.

La Fede è un dono di Dio, dicono i Pensatori Cristiani, che invitano a pregare per riceverlo.  

Blaise Pascal, filosofo morto prematuramente all’età di 39 anni, nel 1662, grande apologeta del Cristianesimo, si era posto, esistenzialisticamente, il drammatico problema del “senso” della vita. Scrive nei suoi “Pensieri”: “Non so chi mi abbia messo al mondo, né che cosa sia il mondo, né che cosa io stesso. Sono in un’ignoranza spaventosa di tutto. Non so che cosa siano il mio corpo, i miei sensi, la mia anima e questa stessa parte di me che pensa quel che dico, che medita sopra di tutto e sopra se stessa, e non conosce sé meglio del resto. Vedo quegli spaventosi spazi dell’universo, che mi rinchiudono; e mi trovo confinato in un angolo di questa immensa distesa, senza sapere perché sono collocato qui piuttosto che altrove, né perché questo po’ di tempo che mi è dato da vivere mi sia assegnato in questo momento piuttosto che in un altro di tutta l’eternità che mi ha preceduto e di tutta quella che mi seguirà. Da ogni parte vedo soltanto infiniti che mi assorbono come un atomo e come un’ombra che dura un istante, e scompare per sempre. Tutto quello che so è che debbo presto morire; ma quel che ignoro di più è, appunto, questa stessa morte, che non posso evitare”. (Pensieri, 194 ).

Sono soltanto un atomo o un’ombra di me stesso, a cui io intendo dare consistenza ontologica? Io non sono un atomo, non sono un’ombra, perché mi sono dato un “senso”, accettando anche  il suggerimento di Nietzsche, dettato, però, dalla Fede e  dall’Amore per superare la mia precarietà, la mia finitudine e la mia solitudine,  ed impedirmi di odiare il mondo  - che pure esiste  -   in una esaltazione ostentata di una delle forme del Nichilismo, che afferma che  Niente esiste”.

Sarà ancora una volta una mia ingenua illusione, ma è una illusione funzionale alla mia esistenza, perché sconfigge l’angoscia, debella la disperazione, rafforza la mia categoria della possibilità di mettermi in relazione con gli altri e, fra questi, con il Trascendente. Ma anche il “senso” dettato dalla sola ragione crea il preambolo perché germogli la Fede. Basti un attento esercizio di questa soprattutto quando ci avvertiamo vittime delle più brucianti delusioni e precipitati nel “buco nero” del Nichilismo. E’ stato dimostrato che, recitando la preghiera, anche senza la fede, si ricavano benefici effetti sia pure sul piano psicanalitico, che finiscono per modificare la pervicacia della mente che si rifiuta di coltivare la saggezza e la Fede nel cuore.

Scrive Pascal, “il cuore e non la ragione sente Dio. Ecco cos’è la fede: Dio sensibile al cuore,  e non alla ragione” (Pascal. Pensieri, 278).

Più articolata e ricca di argomentazioni è la risposta filosofica di un altro grande pensatore, Soren Kierkegaard, precursore dell’Esistenzialismo contemporaneo, il quale, dopo aver esaminato le tre grandi scelte esistenziali che ciascun di noi è chiamato, prima o poi, a compiere, a suo rischio e progetto, e cioè “la vita estetica, la vita etica e la vita religiosa”, si sofferma a riflettere sull’assurdità della Fede e i suoi paradossi.

Ma per quanto paradossali possano essere considerate le categorie del pensiero religioso  -  paradossale, infatti, è,  per la ragione, che il Figlio di Dio si faccia uccidere da quattro sgherri;  paradossale è il fatto che Abramo è chiamato ad uccidere, contro natura e contro qualsiasi legge morale, il figlio Isacco; paradossale è la vicenda dell’uomo che soffre in solitudine al cospetto di Dio, ecc. ecc. -  la fede, nonostante tutto, induce a credere, anche se, in ultima analisi, è sempre la ragione a stabilire la ragionevolezza della fede. Se non fosse così, sarebbe giustificata qualsiasi forma il fanatismo integralistico sanguinario.

Fede e Ragione non sono in opposizione dialettica, ma efficacemente complementari per combattere la “disperazione” dell’uomo, che, riconoscendosi dipendente da Dio, supera e risolve il dramma della sua non autosufficienza.

Credo ut intelligam et intelligo ut credam” è una citazione assai nota introdotta da S. Agostino per riassumere il suo pensiero sul rapporto tra Fede e Ragione o, meglio, comprendere la connessione fra l’uomo e Dio.

Credo per capire e capisco per credere”.  Per capire la verità abbiamo bisogno della fede in Dio, ma per avere la fede consapevole abbiamo bisogno dell’esercizio della ragione.

La Fede senza la ragione può scadere nel fanatismo e la Ragione senza la fede può scadere nello scetticismo e nell’agnosticismo. “Scio” et “credo” sono le due guide parallele lungo le quali ritengo che sia bene indirizzare il cammino delle nostre precarie e insufficienti esistenze.

Chi per formazione etica, per educazione tradizionale, per conoscenza storica condivide questa posizione, può ritenersi in ottima compagnia ideale e culturale, per affinità di pensiero e di “credo” religioso con due grandi Pontefici della Chiesa di Cristo: GIOVANNI PAOLO II e BENEDETTO XVI.

Il primo è autore di una Lettera Enciclica, molto celebre anche per chiarezza e concisione di concetti, “FIDES ET RATIO”, a prescindere dal suo straordinario carisma, dalla sua ricchissima produzione letteraria e dal suo talento politico a comprendere il corso del mondo.

Il secondo, io l’amo ricordarlo, non solo per la sua rigorosa preparazione intellettuale, ma anche per il suo “coraggio”, espresso, in particolare, nella giornata del 12 settembre del 2006, quando tenne una lezione magistrale, il famoso discorso di Ratisbona, presso l’Università tedesca di Regensburg, con il quale sviluppava la tesi della libertà della coscienza, alla quale non può essere imposta con la violenza una fede religiosa.

In particolare, sottolineava la scaturigine violenta della religione di Maometto, che non si riguardò di “convertire” le genti con la costrizione della violenza, come del resto avvenne anche per una sbagliata interpretazione del Cristianesimo, in alcuni tempi storici, e per l’imposizione di violente ideologie politiche, che conculcano le libertà e i diritti fondamentali dell’uomo in molte parti del mondo. Sono testimonianze storiche che ancora persistono a disattendere gli imperativi della ragione, il lumen di Dio nell’uomo.

Alcuni giornali “benpensanti” non hanno risparmiato critiche demolitrici al “Discorso di Ratisbona”, accusando Benedetto XVI della volontà pericolosa di interrompere il dialogo con i Musulmani.

E’ stato invece un “discorso” coraggioso anche per molti seguaci della religione di Maometto, chiamati a riflettere sulla necessaria interconnessione tra fede e ragione.

La fede alberga nel cuore degli uomini, quando è Amore, ed è una dimensione vitale della nostra esistenza, perché colma la nostra insufficienza ontologica, è l'antidoto dell’odio, dell’angoscia e della disperazione, contrasta la volontà del nulla e preserva dal nichilismo  

La ragione, invece, è la misura della fede, per impedire che questa possa snaturarsi nel fanatismo sempre in agguato per tutte quelle persone, che, prive di dubbio, lievito fecondo di una corretta conduzione razionale della propria esistenza, si persuadono di vivere, direbbe Kant, in una sorta di “santità etica”, diretta responsabile di nefandezze collettive e individuali e di atroci misfatti compiuti storicamente, al di qua ed al di là del fiume, in nome di Dio.

 

   

 

    

 

 
 
 
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