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NIETZSCHE E IL NICHILISMO (1)

Post n°46 pubblicato il 28 Maggio 2015 da giulio.stilla

 

NIETZSCHE E IL NICHILISMO       (1)

 

Una delle figure più rilevanti della Storia della Filosofia, che ha turbato talvolta la mia personale esigenza di coniugare ragione e fede nelle realtà spirituali e nei misteri del Cristianesimo, è stato Friedrich Wilhelm Nietzsche, vissuto nella seconda metà del 1800, in un contesto storico- culturale, in cui entravano in crisi le grandi certezze della scienza positivistica e le grandi costruzioni filosofiche propugnate dal pensiero romantico ed idealistico.

Questo originale filosofo tedesco, nato nel 1844 a Rocken, nei dintorni della città di Lipsia, ha sempre esercitato una qualche suggestione sulla mente di molti studiosi, che hanno tentato, nel corso del secolo scorso, di ricondurre ad un coerente filone interpretativo, univoco ed omogeneo, il suo multiforme e polisenso pensiero dissacratore e demistificatore di tutte le certezze del passato.

Ma tutti i tentativi interpretativi volti a definire una precisa identità filosofica sono riusciti vani, perché la complessità del suo pensiero, come una miniera senza fondo, è difficilmente riconducibile a una sistematica speculativa del tipo tradizionale, razionale e compiuta in tutte le indagini particolari delle realtà dell'uomo.

D'altronde, è lo stesso filosofo a scrivere che egli non appartiene alla schiera dei pensatori del passato, presi dalla preoccupazione e dalla presunzione di dare spiegazioni ultimative ai grandi problemi universali. Dichiara che questa presunzione è la caratteristica degli impotenti intellettuali, prigionieri della loro alterigia e delle falsità speculative, spacciate per verità certe.

 Il filosofo stesso non mancava mai di scrivere, in tutte quelle circostanze in cui volesse alludere alla natura del suo pensiero, che questo sarebbe stato come "una dinamite", che avrebbe fatto saltare in aria tutta la cultura tradizionale e le grandi certezze su cui si era retto il mondo negli ultimi due millenni.

Le ultime edizioni critiche del pensiero di Nietzsche hanno compiuto un grande servigio di corretta lettura morale delle sue opere, prima che scientifica, riconoscendogli una prima grande verità esistenziale, nel senso che nel filosofo vita e pensiero collimano in perfetta sintonia, come spesso dichiarato dal filosofo sulla "esistenzialità" del suo pensiero.

Negli ultimi anni della sua vita, quando ormai era precipitato nella notte della follia, i suoi detrattori, incapaci di comprendere la portata rivoluzionaria dei suoi "abissali" pensieri, erano molto solleciti a concludere che la sua malattia era il risultato della sua filosofia o, viceversa, la sua filosofia era l'esito consequenziale della sua malattia mentale. Ma gli studi critici più avveduti della seconda metà del secolo scorso hanno potuto ristabilire una verità metodologica elementare, consistente nella corretta valutazione delle problematiche affrontate dal pensatore sulla base di quello che pensa e che dice, a prescindere dalle sue condizioni di salute psicosomatiche o di malattia.

Anzi, assai opportunamente, si è ormai acclarato da parte di tutti che il pensiero di un cosiddetto "malato di mente" potrebbe riuscire più interessante e sorprendente del pensiero di una persona cosiddetta "normale".

In ultima analisi, qual è la misura della cosiddetta "normalità"? Una filosofia va giudicata, infatti, per quello che dice, per gli argomenti che espone e per la sua tensione ad interpretare la realtà, e non certamente per la malattia di cui soffre il suo autore.

Il punto di vista di un qualsiasi malato, sia pure malato di mente, per ciò stesso va ricercato e studiato con singolare diligenza ed obiettività, perché quasi sempre nasconde verità che sfuggono alle persone che godono di ottima salute fisica e mentale. E di questo Nietzsche n'era perfettamente consapevole tanto da suggerire ai suoi lettori di prendere in seria considerazione le sue dottrine per arrivare più preparati ad affrontare le gravi delusioni che ciascuna nostra esistenza ci riserva puntualmente, dopo che tanto ci siamo illusi sulla bellezza e la bontà, sulla razionalità e sulla verità di un mondo sostanzialmente cinico, irrazionale, cattivo, sdivinizzato e senza senso.

Una delle sue teorie più interessanti, fra le molte che bisognerebbe sceverare per meglio comprendere la portata rivoluzionaria delle sue concezioni filosofiche, rimane il complesso delle sue meditazioni sulla malattia dei nostri tempi, che, a mio modesto parere, resta più diffusa e recrudescente che non all'età di Nietzsche: cioè il Nichilismo.  Una malattia del nostro spirito che falcidia la esistenza di molti giovani e di molti meno giovani, svuotandoli di quella struttura interiore, che dovrebbe consentire loro di resistere alle gravi delusioni che non mancano ad ogni età, coltivando valori, ideali e progetti di vita individuali e relazionali, smarriti ma esistiti in altri contesti sociali e temporali, di cui non si conservano nemmeno le tracce di una loro dimenticata realtà.

Il Nichilismo compare, in particolare, nella forma letteraria di grandi romanzieri russi: basti ricordare il romanzo "Padri e Figli" di Ivan S. Turgenev, pubblicato nel 1862, e il romanzo "I demoni" di Fedor Dostoevskij, in cui sono presenti diversi personaggi di nichilisti.

La diffusione sempre più sociale di questa malattia dell'anima mobilita, oggi, psicanalisti e studiosi dei recessi più intimi della mente per delineare itinerari lungo i quali costruire presidi, fortini e certezze, entro cui far albergare le nostre esistenze.

Le scienze, certamente, stanno dando risposte e soluzioni alle problematiche più difficili e sfuggenti della nostra vita. La ricerca delle conoscenze, che resta senza fine, allargherà a dismisura l'orizzonte dei nostri "saperi" teorici e pratici.

Io sono convinto che tutto potrà succedere nel prossimo o remoto futuro, anche costruire le parti organiche del nostro corpo, come ormai prospettano le tecnologie più avanzate delle stampanti in 3D. Forse anche le nostre fantasie o immaginazioni più spregiudicate non sono in grado di anticipare, in minima parte, ciò che potrà succedere nei prossimi secoli con le ricerche scientifiche, che prospettano altresì la necessità di trovare la strada per andare ad abitare altri mondi nello spazio illimitato dell'Universo.

Tutto potrà succedere, anche quello che, ripeto, non siamo capaci di sospettare sia pure con la fantasia più mostruosa.

Ma un dubbio mi nasce spontaneo: se il nostro corpo potrà essere ricostruito e rimesso a nuovo come una macchina tramite l'assemblaggio delle sue vitali componenti, senza passare per il meraviglioso utero materno, io mi chiedo: quale "spirito", quale sostanza spirituale, quale "anima" potrà mai avere la fisiologia di questa macchina?

Il discepolo di Nietzsche mi risponderebbe con le parole del maestro: "Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovraterrene speranze! Lo sappiano o no; costoro esercitano il veneficio" (Così parlò Zarathustra, Prefazione).

E ancora più sotto, nella sezione "Dei dispregiatori del corpo": "Corpo io sono in tutto e per tutto e anima non è altro che una parola per indicare qualcosa del corpo".

Sono sicuro che tutti i sinceri e coerenti filosofi che esercitano il pensiero speculativo sulla natura materiale della vita dell'uomo ai miei "ingenui" interrogativi risponderebbero come lo Zarathustra di Nietzsche, ma non mi persuaderebbero, comunque, sul piano della riflessione logica sulla natura delle nostre emozioni, dei nostri sentimenti, dei nostri moti interiori che sobillano il nostro stesso corpo, quando piangiamo, ridiamo, amiamo, quando le nostre membra sono in preda ai piaceri o ai dispiaceri, quando sui nostri visi si dipinge il colore del pudore o del terrore, quando, guardando negli occhi di una persona, di una qualsiasi persona, comunichiamo la nostra intima essenza: la nostra "Umanità".

Come la vogliamo chiamare questa "Umanità"? Anima, Spirito, Intelligenza, Fisiologia Psico-somatica!

 Un dato è certo che, al di là di ogni proprietà lessicale e nominalistica,  anche e soprattutto una persona intesa come solo "corpo", senza una presunta struttura immateriale, si svuota di valori, di modelli ideali, di categorie esistenziali, che la lasciano precipitare in gravi forme di depressione o, meglio, in termini socio-filosofici, in forme di Nichlismo, che Nietzsche confessa di aver vissuto in maniera drammatica e di esserne uscito, elaborando una serie di profonde speculazioni filosofiche, che in ultima analisi sono le consapevolezze a cui perverrà l'uomo del futuro.

Sono le riflessioni maturate dal filosofo: (a) sulla visione tragica dell'esistenza, (b) sulla necessità di accettazione incondizionata della vita, (c) sulla capacità di "reggere la morte di Dio", inteso, in senso lato, come la perdita di tutte le fedi in un presunto mondo "vero", come la perdita di tutte le garanzie metafisiche, cha avevano considerato fittizio, transeunte ed apparente il mondo terreno.

Ed ancora, argomenta che per uscire dal Nichilismo è indispensabile vivere: (d) "una prospettiva dell'eterno ritorno dell'identico", (e) liberarsi dalla morale tradizionale e dal cristianesimo, (f) di affermarsi  come "Volontà di potenza" e (g) Attività prospettica all'interno  di questo mondo senza ordine, irrazionale, cinico e falso, ma che aspetta soltanto di essere interpretato secondo i propri  bisogni e sulla base della  "Volontà" di dare un senso alla propria Vita.

Volontà di potenza per Nietzsche significa innanzitutto Volontà di vita. Volontà di affermare la propria Vita senza fuggire nelle illusioni metafisiche, nella rassegnazione, nelle posizioni "ascetiche" che mortificano e falsificano l'esistenza in attesa di raggiungere il "Mondo Vero", che semplicemente non esiste.

Elaborare e spiegare criticamente i pensieri e le dottrine filosofiche, sopra menzionate, non è il fine di questo breve scritto. Occorrerebbe una più lunga e puntuale trattazione per non incorrere nell'errore di affastellare teorie che esigono spiegazioni minuziose ovvero chiarimenti interpretativi non affatto facili per una comprensione esaustiva di un complesso mosaico di "Pensieri", che, come avvertiva lo stesso Nietzsche, non ha nulla di "sistematico".

 La sua filosofia, si è detto sopra, è come una miniera in cui si è scavato con grande zelo ed intelligenza da parte di insigni studiosi, come il nostro filosofo Gianni Vattimo, senza mai raggiungere il fondo.

Citare, però,  anche solo per sommi capi le sue dottrine mi riesce utile per sostenere una mia costruttiva interpretazione sulla natura del Nichilismo vissuto da Nietzsche, che, al di là delle risultanze molto chiare delle sue dottrine filosofiche, negatrici e demolitrici della  nostra intera Civiltà Occidentale, potrebbe essere di comodo a me per contribuire -  senza torcere o forzare la riflessione del filosofo sul Nichilismo -  alla lotta contro le varie e drammatiche forme nichilistiche in cui cadono sempre più numerosi i giovani delle nostre attuali generazioni.

Ora, il Nichilismo di cui Nietzsche si dichiara essere stato "paziente, diagnostico e terapeuta", - citazione dello studioso H. Kung -  potrebbe riuscire di grande aiuto per chi non dispone più delle risorse essenziali per affermare la personalissima "Volontà di vita". Basta mettere in chiaro, seguendo l'esempio di Nietzsche, cosa bisogna intendere per Nichilismo. Questo è la "malattia mortale" in cui cade l'uomo contemporaneo, quando non dispone più dei Valori supremi in cui credere.

 I Valori tradizionali dei  nostri padri, come il Bello, il Buono, il Vero, Dio e l'Ordine del Mondo ed altre categorie di ragione, sono evaporati; le grandi Certezze Metafisiche hanno perso di consistenza, si sono dissolte, lasciando un grade "buco nero"  nello nostro spirito, o meglio lasciando semplicemente il vuoto, nel senso che una forte percezione di inutilità del proprio "Io" dà luogo ad uno stato interiore di sgomento, di angoscia, di paura o, nei migliori dei casi, ad un strato impenetrabile di indifferenza di fronte a tutto ciò che può succedere intorno a noi.

Non si hanno più attenzioni o interessi per le forme elementari dell'esistenza: si perde l'autostima, l'amor proprio, la ricerca quotidiana di quei sentieri che portano alla costruzione dei grandi progetti di lavoro, di economia, di affetti, di ideali per i quali non serve più lottare, perché insorge dirompente la domanda: "a che serve"?

 Manca, in altri termini, la risposta ai "perché?". Mancano, cioè, quelle spinte interiori, che strutturano una vita impegnata nella famiglia, nella società, nelle grandi e nobili istituzioni che qualificano il consorzio civile e le categorie individuali delle possibilità di relazionarsi agli altri.

In questa condizione psico-somatica - sottolineo questa locuzione, perché si somatizza il dolore dell'anima - è impossibile vivere. Altro che "Volontà di vita"; questa è "Volontà del Nulla". Donde la spiegazione del sostantivo "Nichilismo", che, in verità, aveva già caratterizzato alcuni fenomeni esistenziali e letterari dell'800, ma che con Nietzsche trova una spiegazione "filosofica   - e non psicanalitica o sociologica o genetica o altro - abbastanza persuasiva, quando scrive nei suoi "Frammenti Postumi" (opera del 1887-1888):  "il nichilismo come stato psicologico subentra di necessità in primo luogo, quando abbiamo cercato in tutto l'accadere un  senso che in esso non c'è, sicché alla fine a chi cerca viene a mancare il coraggio".

L'uomo moderno e contemporaneo precipita nel nichilismo in seguito al crollo di tutte le certezze metafisiche, a partire da quelle giudaico-cristiane per finire a quelle filosofiche e sociali, in cui aveva riposto lo scopo, il senso della sua vita, coltivando progetti esistenziali e costruzioni di ragione, che all'improvviso, anche quando sono portati a termine, si rivelano inconsistenti, inutili, senza senso.

L'uomo moderno e contemporaneo, quanto più si è illuso, tanto più inevitabilmente cade nella malattia mortale del nichilismo, perché non ci sono più i fini, mancano i valori, latitano i grandi ideali che tracciano ed illuminano il suo cammino. Viene meno l'orientamento, la direzione, il senso unico lungo il quale si era lasciato guidare dalle grandi fedi nella "razionalità", nella "verità" e nella "bontà" di un mondo, che era stato soltanto una costruzione illusoria del proprio "io".

Al cospetto dell"orrido vero", direbbe il Leopardi, il nichilista non dispone più del coraggio di vivere.

Scrive così il filosofo nei suoi "Frammenti postumi": "La domanda del nichilismo *a che scopo? procede dalla vecchia abitudine di vedere il fine come posto, dato, richiesto dall'esterno - cioè da una qualche autorità sovrumana. Anche dopo aver disimparato a credere in quest'ultima, si continua a cercare, secondo la vecchia abitudine, un'altra autorità in grado di parlare un linguaggio assoluto e di imporre fini e compiti. Viene quindi in primo piano l'autorità della coscienza (quanto più si emancipa dalla teologia, tanto più la morale diventa imperativa), in sostituzione di un'autorità personale. O l'autorità della ragione. O l'istinto sociale (il gregge). O la storia con uno spirito immanente, che ha il suo fine in sé e a cui ci si può abbandonare. Si vorrebbe aggirare la necessità di avere una volontà, di volere uno scopo, il rischio di dare a se stessi un fine".

E' questa una posizione centrale su cui riflettere attentamente per intendere come Nietzsche confessa di essere uscito dal fondo oscuro del nichilismo, trasformando questo primo tempo destruens in un secondo tempo costruens, cioè passando dalla negazione e dal rifiuto della vita alla entusiastica affermazione di essa attraverso l'esercizio costante della "Volontà di potenza", intesa per l'appunto dal filosofo come "Volontà di vita".

Essa non  deve recedere di un passo ed affermarsi come spirito di libertà soprattutto quando sia venuto a mancare il senso o il fine o la fede in una grande Volontà sovrumana e teologica o nella Imperatività  della coscienza morale o nella Costruzione razionale di un Progetto universale e storicistico tutto immanente nel corso della Storia o molto più semplicemente in una Grande Autorità sociale che annulla la libertà individuale e determina il comportamento istintivo del gregge o l'operaismo della società delle formiche.

Il paziente colpito dalla "malattia mortale" del nichilismo, dopo che sono crollate tutte le fedi nelle grandi certezze metafisiche o in quelle immanenti della Storia e della Scienza,   rinunzia a disporre di una sua Volontà personale, decretando così la impossibilità assoluta a dare un "senso" alla propria esistenza, che pure sul piano etimologico  e concettuale esprime il significato di "progettualità" e di "rischio", così come  sta per teorizzare  la filosofia esistenzialistica del Novecento, della quale, per molti aspetti della sua speculazione, Nietzsche ne preavverte la sensibilità.

Recita o canta una nota canzonetta dei nostri anni: "Voglio dare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l'ha; voglio dare un senso a questo amore, anche se questo amore un senso non ce l'ha".     (continua)

 

 

 
 
 
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