Creato da giulio.stilla il 21/04/2014
Un po' per celia, un po' per non morire...

Area personale

 
 

Archivio messaggi

 
 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 

Cerca in questo Blog

 
  Trova
 

FACEBOOK

 
 
 

Ultime visite al Blog

 
rio33giulio.stillabrunagaglianoalessiamarcolinamagistri1aieiebraso_2015cicalagpsagredo58topobimbo.66mlr777Fanny_Wilmotgiovanni80_7Tony_058Elemento.Scostante
 

Chi può scrivere sul blog

 
Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

 

 
« "ORA CHE FACCIAMO ?" 2 1AD ANTONIO DEL VECCHIO »

"ORA CHE FACCIAMO ?" 3

Post n°76 pubblicato il 05 Settembre 2016 da giulio.stilla

   “ORA CHE FACCIAMO?”     3

 

Bisogna, invece, invertire il cammino, risalire con la nostra esistenza la china, aspra e ripida, per emergere, dalla miseria dei nostri impulsi sensibili e dal nostro egoismo, alla nobiltà dello spirito e della intelligenza.

Bisogna migliorare la nostra esistenza, perché il fine ultimo di questa è la compiutezza della nostra Umanità.

Scrive Johann Herder (1744-1803), nella sua opera fondamentale “Idee per una filosofia della storia dell’umanità”: “A questo scopo evidente è organizzata la nostra natura; per esso ci sono dati sensi e impulsi più raffinati, per esso ci sono date la ragione e la libertà, una salute delicata e durevole, il linguaggio, l’arte e la religione. In ogni condizione e in ogni società, l’uomo non può avere altro in vista né può altro costruire che l’umanità, così come la pensa in se stesso”. (Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero, “Itinerari di filosofia”, vol. 2B, dall’Illuminismo a Hegel, Edizione di G. Fornero, pag. 805, Paravia. 2003).

Herder, filosofo, letterato e critico tedesco, era stato uno dei più grandi discepoli di Kant, che amò più di se stesso, anche se non condivise appieno la filosofia del Criticismo, rivendicando per sé una filosofia della fede in Dio, volta a superare il dualismo lasciato da Kant tra l’intendimento della natura e l’intendimento della storia ovvero dello spirito e della libertà.

L’uomo ha un compito ben definito: realizzare la sua Umanità attraverso l’educazione che gli provenga principalmente dalla fede, ma anche dalla ragione, che, secondo lo scolaro di Kant aveva già dimostrato tutti i suoi limiti nel comprendere il progetto della storia.

Io ritengo, invece, in misura più dimessa della riflessione di Herder e nel pieno rispetto per le delicate problematiche dei nostri tempi storici, che fede e ragione non possono confliggere fra di loro, ma che l’una ha bisogno dell’altra e viceversa, per non scadere nel fanatismo religioso, responsabile oggi e nel corso della storia degli uomini di tanti atroci crimini commessi al grido di “Dio è grande” e “Dio lo vuole”.

Io, invece, ritengo più kantianamente che le preghiere più amate da Dio, dalla sua divina saggezza e dalla sua suprema bontà, sono quelle a Lui innalzate dalle opere morali degli uomini, che si addicono sia agli uomini di fede sia ai non credenti, perché tutti dobbiamo rispondere all’imperativo etico della nostra coscienza per migliorare il corso della storia.

Quando Monsignor Giovanni D’Ercole, in mezzo all’omelia pronunciata alle esequie delle vittime del terremoto ad Ascoli Piceno, esprime lo sconforto e la disperazione di Giobbe con le parole: “Ora che facciamo?”, mi viene spontaneo osservare, con spirito, ripeto, assolutamente laico che la domanda è superflua e retorica, prima perché Dio non risponde alla logica degli uomini e poi perché la risposta è racchiusa più umanamente nella domanda: “Ora che facciamo?”.

Facciamo che dobbiamo migliorare la nostra esistenza, punendo i ladri, i corrotti, i corruttori, i concussori e mandando alla gogna i politici delinquenti.

Facciamo che dobbiamo mettere in sicurezza antisismica tutta l’Italia, dobbiamo mettere in sicurezza la catena degli Appennini, tutta la Penisola dalle Alpi alla Sicilia, da Gemona del Friuli a Messina, abitata da migliaia di borghi medievali, patrimonio culturale delle nostre genti storiche.

Come si può sopportare che nell’area vesuviana, alle pendici del Vesuvio, l’abusivismo edilizio è assoluto, e 700 mila persone vivono indisturbate all’ombra di una possibile sciagura vulcanica?

Se il terremoto di Amatrice si fosse verificato, dicono gli esperti, in Giappone o in California, non avremmo assistito al disastro e alla rovina di tante povere popolazioni. Sarebbe stato un normalissimo evento naturale, prestudiato e prevenuto dal grado di consapevolezza civica dei governanti di quei Paesi e dalla severità degli studiosi e degli operatori, non avvezzi a rubare e sollecitamente inclini ad evitare le tragedie pubbliche e private.

La nostra cultura occidentale e quella mediterranea, in particolare, dispongono di una tradizione umanistica, che affonda le sue radici nella “scuola dell’Ellade” di Pericle e di Tucidide, così tanto per citare un significativo punto di partenza della nostra vocazione agli studi umanistici, che oggi sembrano essere mortificati o quasi scomparsi nel sistema scolastico italiano.

Mi auguro che almeno un Sindaco degli ottomila Comuni Italiani, possa dire della sua città quello che Pericle diceva di Atene, nel 430 a.C.

Riassumendo i concetti più caratterizzanti la Orazione Funebre, pronunciata da Pericle, secondo la narrazione storica di Tucidide, in commemorazione dei Caduti nel primo anno della Guerra del Peloponneso, trovo eminentemente ammirevole che Pericle parla dei suoi cittadini come animati tutti da un grande spirito di distinguersi nelle arti e nel lavoro senza mai competere con invidia fra di loro, ma semplicemente per essere dei modelli di comportamento per gli altri e per le genti straniere. 

Trovo semplicemente ammirevole che Pericle parla della città di Atene come della culla della democrazia, perché governata non da una ristretta oligarchia, ma da cittadini a cui le leggi garantiscono giustizia e diritti uguali per tutti, privilegiando il merito e il valore di ciascuno e non l’appartenenza ad un partito politico. La povertà non è di ostacolo alla istruzione e alla formazione né impedisce la libera affermazione dei propri talenti nella vita privata e la espansione della fertile intelligenza nel rendere i servigi alla vita pubblica e alla polis.

Ciascuno gode della massima libertà ed è interesse della collettività permettere ad ognuno di vivere a suo piacere, senza essere per questo rattristato dalla invidia o dall’arroganza del potere.

La povertà non è motivo di vergogna o di umiliazione. Umiliante, invece, è il non fare niente per superarla, formandosi ad un mestiere, ad un lavoro ad un’arte. E la ricchezza non è mai motivo di oppressione per gli altri, ma sempre fattore di intraprendenza e di attività produttiva.

“L’amore del bello non ci insegna lo sfarzo, né la cultura c’infiacchisce”. Tutti i cittadini, ciascuno al proprio livello, devono interessarsi di politica, cioè di democrazia, perché questa è l’arte per garantire il benessere della cittadinanza. E’ la ricerca razionale per la creazione di una società fatta di uomini liberi e razionali, diranno e scriveranno, grossomodo, tutti i filosofi delle politiche liberali dell’età antica, moderna e contemporanea.

Il cittadino che non s’interessa di politica, cioè di democrazia, non è ritenuto un cittadino tranquillo, ma un cittadino inutile, tanto inutile per la sua vita privata quanto per quella pubblica.

La città di Atene è detta da Pericle “la scuola dell’Ellade”, perché, vivendo in essa, tutti i cittadini esprimono liberamente la propria autonoma personalità nelle più diverse forme di vita, distinte sempre dal piacere di ubbidire alle leggi e di esercitare la giustizia nel razionale rispetto per il benessere e la realizzazione dell’altrui personalità.

In Atene non si ruba e non si corrompe, non si evade il fisco e non si condona. Tutti pagano le tasse e tutti conformano il proprio comportamento pubblico e privato a rendere più evidente la grandezza e la bellezza della polis.

Perfino lo straniero, quando non sia soggetto di sovvertimento delle leggi, è sempre accolto, non come schiavo, ma sempre come persona per godere insieme a tutti gli ateniesi del benessere comune e della cultura, dell’arte e degli spettacoli della polis.

Per tutti questi aspetti e per altri ancora sottaciuti, Pericle ha ragione di definire la sua patria “la scuola dell’Ellade” e di presagire che tutti i cittadini di Atene “saranno oggetto di ammirazione ai contemporanei e ai posteri, senza nessun bisogno della lode di Omero”.

(Cfr.Tucidide, La  guerra del Peloponneso, II, 37-41, trad.it. di P. Sgroi, Istituto per gli studi di Politica Internazionale, Varese-Milano 1942, pp.197-199).

Questo discorso di Pericle è un capolavoro di educazione civica alla Umanità, scritto dallo storico Tucidide in tempi in cui fiorivano in Atene le   lettere e le arti, il teatro e la filosofia. Sono tempi in cui irradiavano luce e saggezza l’umanismo di Socrate, la dottrina delle Idee-Valori di Platone, la sistematica delle “scienze”, con la metafisica, la logica e la politica di Aristotele.

“Abbiamo superato Ippocrate, il padre della medicina, ma non Platone, il padre della filosofia”

 

 

 
 
 
Vai alla Home Page del blog
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963