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LA RIVOLUZIONE CULTURALE OVVERO DEL CUORE E DELLA MENTE (2)

Post n°84 pubblicato il 09 Dicembre 2016 da giulio.stilla

LA RIVOLUZIONE CULTURALE ovvero DEL CUORE E DELLA MENTE.    (2)

 

Disponiamo di un patrimonio culturale unico nel mondo e di una tradizione filosofica umanistica millenaria, le cui radici si ramificano nelle terre mediterranee, alcuni secoli prima dell’avvento del Cristianesimo.

La storia culturale dell’Europa e dell’Occidente non ha nulla da mutuare da altre Culture per quanto antropologicamente significative, ma certamente più povere sul piano della Weltanschauung   (Vocabolo tedesco intraducibile come unica espressione italiana) e cioè sul piano della visione del mondo e delle vita, riferibile quasi sempre a un intero popolo, per le sue caratteristiche storico-geografiche, religiose, etiche, razziali, linguistiche, ecc.

Disporre della lettura e del godimento estetico della DIVINA COMMEDIA nella lingua di Dante non è la medesima cosa che leggere le leggende, i canti, le danze degli Aborigeni australiani, tesi a spiegare per 40000 anni come vanno la Terra, il Cielo e le Stelle.

Disporre di una grandissimo patrimonio speculativo, che ci fa riflettere sulla condizione dell’uomo nel Mondo almeno da 2500 anni, è una felice sorte, che è toccata all’Occidente e, in particolare, all’universo mediterraneo, in cui si situa l’Italia, così ricca di Storia, di Letteratura, di Filosofia, di Città d’Arte e di Valori Culturali che racchiude in sé, come in un serrato scrigno, i due terzi della Epifania umanistica mondiale.

Apriamo questo scrigno alle giovanissime generazioni, insegnando loro soprattutto a pensare attraverso l’assimilazione di Valori Cognitivi, Logici, Etici, Politici, Morali, Estetici, Religiosi, Metafisici ecc., che sono le coordinate per formare ed orientare l’Uomo o, meglio, per estrarre da lui la Umanità, che è la Essenza genetica e costitutiva della sua Esistenza.

Socrate, alludendo alla sua arte maieutica, direbbe che, oggi, nelle nostre scuole urge aiutare l’uomo a partorire la sua Umanità, che esclude l’astuzia, la cattiveria, il male, l’egoismo, l’aggressione del prossimo.

Già Protagora di Abdera, che era nato intorno al 490 a. Cristo, il maggiore protagonista del movimento speculativo della Sofistica, scriveva che “l’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono, in quanto non sono”. L’uomo, cioè, è un criterio di giudizio, una misura per giudicare la realtà, tutta la realtà: quella che è, in quanto è, e quella che appare in quanto appare. La realtà noumenica e la realtà fenomenica.

Si fa portatore, insieme all’intero movimento della Sofistica, di una vera rivoluzione culturale per i suoi tempi, che spostava il centro della riflessione dal mondo esterno all’uomo al suo mondo interno, inducendo i propri seguaci d assumere una mentalità critica e razionale ed elaborando un concetto di cultura integrale, che superasse le conoscenze particolaristiche e specialistiche e ponesse l’uomo sul primo gradino della scala assiologica.

Se non c’è l’uomo, infatti, non c’è nemmeno lo scienziato, il medico, il sacerdote, l’insegnante, l’ingegnere, l’architetto, ecc. ecc. Che ce ne facciamo, infatti, di un fisico nucleare che fa esplodere un ordigno atomico sulla nostra città?  Che ce ne facciamo di un Ingegnere che costruisce la nostra dimora lucrando sull’impiego dei materiali tanto che alla prima scossa tellurica crolla sulle nostre teste? Che ce ne facciamo di un medico- chirurgo che per ingordigia espianta gli organi vitali di un bambino sano per trapiantali nel corpo di un bambino ammalato?  Ovvero di un medico anestesista che nella cittadina di Saronno è accusato di aver deliberatamente ucciso i suoi pazienti? Che ce ne facciamo di un educatore o di una sacerdote che pratica, con sprezzo della innocenza, la ributtante pedofilia? Che ce ne facciamo della scienza informatica o robotica se corriamo il rischio di creare una intelligenza artificiale capace di distruggere l’umanità?

E’ chiaro per tutti che la questione, posta in questi termini, non lascia spazio ad alcuna obiezione e suggerisce ad ognuno che, quando c’è la crisi dell’uomo, c’è la crisi della società e della democrazia, come nei nostri tempi attuali in cui sono venuti a mancare molti dei Valori che hanno sorretto le nostre Comunità nazionali per molti decenni o per secoli. Urge quindi una Rivoluzione che prima di essere Culturale sia soprattutto Morale ed Etica. La fucina di questa Rivoluzione non può non essere che l’agenzia educativa più importante: la Scuola, e, di seguito, la famiglia, perché soprattutto questa è in drammatica crisi; e, poi, la Chiesa, perché, anche questa, per quanto il suo compito primario non sia quello di promuovere una Rivoluzione temporale, ha sempre svolto, anche per i non credenti, una importante azione educativa.

In ogni angolo della società degli uomini, insomma, esistono le condizioni per ripartire, basti diffondere la consapevolezza che tutti siamo chiamati, prima che sia troppo tardi, a collaborare per una Rivoluzione Etica e Morale che costruisca l’uomo nuovo, il quale, in ultima analisi, è quello antico.

Da credente nella Parola di Cristo, sarei portato a scrivere dell”uomo nuovo”, quale emerge dagli scritti di San Paolo, ma ne uscirebbe un concetto non sempre condivisibile dai non credenti, che si aspettano, direi kantianamente, di condividere una visione morale della vita assolutamente razionale e non limitata da alcuna religione per quanto nobile essa sia.

A fortiori, l”uomo nuovo” non può essere identificato con l’uomo ideologico, chiamato in causa da questa o quell’altra “ideologia” politica come sull’esempio di K. Marx, quando scrive dell”uomo collettivo” per costruire la società comunista.

Oppure dell’uomo di Bakunin, organico alla società senza Stato, o per converso dell”uomo nuovo” funzionale alla costruzione della società fascista sull’esempio di Benito Mussolini, quando declamava: “L'uomo economico non esiste, esiste l'uomo integrale che è politico, che è economico, che è religioso, che è santo, che è guerriero”.  (B. Mussolini, “Discorso del 14 novembre 1933”, a Roma.)-

Sappiamo, poi, come andò a finire: con l”uomo nuovo” appeso con i piedi ad una trave di un distributore di carburanti a Piazzale Loreto, a Milano.

No!  l’Homo integralis, che emerge dalla riflessione dei Maestri di Umanità, è l’uomo che esce dalla parola e dallo stile di vita di Socrate, che ammaestra e che ammonisce i giovani della sua età a comprendere le ragioni autentiche della propria esistenza, interrogandosi costantemente sui problemi dell’uomo con mentalità critica e razionale e scandagliando all’interno del proprio “io”, in un esame incessante di sé, del proprio essere-nel mondo e nelle relazioni con gli altri.

“Una vita senza esame non è degna di essere vissuta”, fa dire Platone al suo Maestro nella sua “Apologia di Socrate” (38a). E ancora nel “Gorgia”, al capoverso 488a: “Di tutte le ricerche la più bella è proprio questa; indagare quale debba essere l’uomo, cosa l’uomo debba fare”. Bastano questi brevi “pensieri” per comprendere l’umanismo socratico, valido oggi, in misura necessitante per accostarsi alla crisi morale della nostra società, fustigando, alla maniera socratica, con ironia e tecnica della confutazione, la ignoranza, la licenziosità dei costumi, la criminalità dilagante, la superficialità delle conoscenze, la “presunzione del sapere”.

Aveva fatto del motto, "Γνῶθι σεαυτόν" = “Conosci te stesso”, scritto sul Tempio di Apollo a Delfi, il vessillo della sua ricerca per procedere alla scoperta dell’Umanità, perché soltanto chi conosce se stesso, cioè i suoi limiti e le sue necessità, può investigare all’interno della sua coscienza per definire quelle verità morali necessarie alla costruzione dell’uomo: «Ti estì» ,"che cos'è?”, era solito chiedere al suo interlocutore, che aveva l’aria di sapere tutto.

Senofonte scrive nei suoi “Memorabili” ( I, 1, 11-16):  “ Egli discorreva sempre di cose umane esaminando che cosa è santità, che cosa empietà, che cosa ingiustizia, che cosa saggezza, che cosa pazzia, che cosa governo, che cosa uomo di governo, e simili cose”.

Se i nostri politici sapessero discutere e comprendere questi concetti, avremmo risolto da sempre la crisi politica che ci perseguita, perché essa si radica innanzitutto nella crisi morale e culturale della nostra età. Abbiamo un Parlamento Nazionale costituito in larga parte da persone non educate a coltivare le verità morali, il senso civico della responsabilità e la consapevolezza di appartenenza non al proprio utile personale ma allo spirito delle leggi chiamate a regolare le complesse relazioni intersoggettive nella società civile, nella famiglia, nello Stato.

Socrate per il rispetto religioso della Legge si fece uccidere da innocente. Accusato di empietà e di esercitare la corruzione dei giovani, fu condannato a morte, che accettò serenamente, bevendo il potente veleno della cicuta. Sarebbe potuto fuggire e sottrarsi facilmente alla morte, ma non volle, perché se fosse fuggito, avrebbe contraddetto tutta la sua vita, impegnata ad insegnare agli uomini il rispetto sacrosanto delle Leggi e della Giustizia.

L’uomo, infatti, esce dallo stato di ferinità originaria, quando entra in società, che è la comunità civile, proprio perché regolata dalle Leggi.

L’uomo senza la società non esiste. E’ in rapporto alla società che si qualifica come essere civile. Anzi, la società è già in esso tanto che tradire la società non rispettando le sue Leggi, significa tradire, soprattutto, se stesso. Le Leggi possono essere sbagliate. Allora bisogna migliorarle, ma mai aggirarle o sopprimerle. La Legge deve interpretare la Giustizia. Per Socrate la fedeltà alla Legge era la fedeltà del filosofo alla Libertà dal potere politico, che lo condannò alla pena capitale, perché ostile, come tutte le dittature politiche, compresa la dittatura della “democrazia ateniese” del 399 a. C., alle Idee rivoluzionarie del filosofo e alla libertà dell’Intellettuale. Scrive bene il Critico che vede nella morte di Socrate il primo grande martire della Libertà.

La sua fedeltà alla Legge era la fedeltà alla Giustizia, che, prima di essere una virtù etica e sociale, è una Virtù morale, è una Virtù dell’uomo interiore.

 

Questo richiamo incessante di Socrate alla sua “interiorità”, al suo Δαίμων  (=“daimon”,)  al suo demone, ha qualcosa della religiosità cristiana tanto che alcuni Padri della Chiesa riconobbero in Socrate un pre-Cristiano.

Scrive San’Agostino, 788 anni dopo la morte di Socrate:

“Recognosce igitur quae sit summa convenientia: noli foras ire , in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas; et si tuam naturam mutabilem inveneris , trascende et te ipsum……. Illuc ergo tende, unde ipsum lumen rationis accenditur”.

 

“Riconosci dunque quale sia la suprema armonia; e se troverai la tua natura mutevole, trascendi anche te stesso…..Dunque tendi là, dove si accende il lume stesso della ragione”;  ( Cfr.:De vera religione” o La vera religione, composta a Tagaste, in  Numidia, intorno al 389).

 

(Continua)

 

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