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Post n°364 pubblicato il 05 Marzo 2009 da Guerrino35
Lettera aperta Torino, 24/02/2009 Il tema dell’alta velocità ferroviaria torna periodicamente all’attenzione del grande pubblico e in particolare ritorna quello del collegamento Torino-Lione, di cui invariabilmente si dichiara che si deve fare e si farà. La vicenda, come si sa, è molto lunga e ad un certo punto ha portato alla formazione di un “tavolo”, come usa dire, in cui, pur nella divaricazione delle opinioni, si entrasse nel merito: mi riferisco all’osservatorio tecnico, di cui faccio parte in rappresentanza della Comunità Montana della Bassa Valle di Susa. Per un paio d’anni l’osservatorio è andato avanti ad esaminare dati, leggere documenti, audire esperti, ispezionare infrastrutture nazionali e straniere, discutere, litigare, dedurre e controdedurre. Le risultanze di tutto questo lavoro, pur sotto una gran coltre di parole in gran parte superflue, sono molto semplici: a) nelle condizioni date (che non vuol dire solo di oggi, ma anche dei prossimi decenni) non ha senso mettersi a scavare un tunnel di 57 chilometri sotto le Alpi lungo la direttrice Italia-Francia; b) se si vogliono ottenere dei risultati di miglioramento del riparto tra strada e ferrovia nel trasporto delle merci occorrono, a prescindere dalle infrastrutture, delle politiche trasportistiche mirate e coerenti, in assenza delle quali qualunque infrastruttura, nuova o vecchia che sia, risulta inefficace; c) se si vogliono migliorare le condizioni del trasporto ferroviario lungo la direttrice est-ovest occorre innanzitutto intervenire nell’area torinese che è la strozzatura maggiore lungo il corridoio. Fin qui le ragioni di merito, pur con tutte le incertezze che si incontrano quando, a partire dal presente, ci si proietta in qualche modo anche verso il futuro. Da qui in poi compaiono le “ragioni della politica”. Le “ragioni della politica” dicono: “Bene. Avete fatto un ottimo lavoro! Ora, però, andiamo avanti”, andiamo avanti a fare l’opposto di quanto discende dalle ragioni di merito. Le “ragioni della politica” generalmente prescindono dal merito: sono un impasto di opportunismo, rapporti di forza, calcolo, astuzia, interessi a breve termine, preconcetti, ignoranza; si intessono di “non si può perdere la faccia”, “non si può non fare”, “dobbiamo tutelare il prestigio”, retorica, banalità, ipocrisia. Le “ragioni della politica” sono espresse da ministri, sottosegretari, vertici istituzionali nazionali e locali, segretari di partito, e poi vengono ripetute, propagate, amplificate, a una sola voce, come dal coro di una tragedia greca, da una folla di parlamentari, industriali, maggioranze, opposizioni, giornalisti, militanti, opinionisti. Tutti sono ovviamente incompetenti, il che è normale, ma neppure nulla sanno del tema su cui pure si esprimono. Le “ragioni della politica” hanno disseminato l’Italia intera, inclusa ovviamente la regione Piemonte, di scheletri di opere inutili, di investimenti buttati al vento e sottratti ad altre destinazioni. Gli scheletri sono lì sotto gli occhi di tutti, anche e soprattutto sotto gli occhi del coro, ma entrano in qualche modo a far parte del paesaggio, materiale e sociale. Cosa fatta capo ha, nessuno è più responsabile, a posteriori nessun consuntivo viene redatto. Anzi, si continua magari a ripetere qualche slogan, senza mai preoccuparsi di avere riscontri fattuali. Nel 2008 la Corte dei Conti scrive, a posteriori, come è nelle sue prerogative, che l’Alta Velocità italiana si è sviluppata a partire da informazioni non vere, sulla base di argomentazioni fasulle, con calcoli di redditività immotivatamente gonfiati, è sempre stata a totale carico delle finanze pubbliche, ha sistematicamente massimizzato i costi, ha portato a contrarre debiti a carico del bilancio dello stato (e quindi di ciascun italiano) che dureranno fino al 2060. Queste stesse cose venivano scritte più di dieci anni prima da chi provava ad entrare nel merito, ma le “ragioni della politica”, per non parlar del coro, le ignoravano e anzi le combattevano e le denigravano. Ora della relazione della Corte dei Conti si fa menzione nelle pagine finanziarie di qualche quotidiano, lette solo da qualche addetto ai lavori che non si scompone più di tanto. Di un gigantesco danno colposo nessuno è responsabile: che volete farci? È andata così. Anzi; continuiamo allo stesso modo. Tra un congruo numero di anni qualche altra Corte dei Conti scriverà che le scelte dettate oggi dalle 2 “ragioni della politica” sono infondate ed economicamente deleterie e la cosa, come oggi, lascerà il tempo che trova. Forse il problema reale sta in una classe dirigente irresponsabile e ignorante, appiattita sul “cogli l’attimo” e sull’opportunismo. Una classe dirigente che rivendica con arroganza, niente meno che in nome della democrazia, il proprio “diritto” a prendere decisioni a prescindere dal merito delle questioni e in danno della collettività. Come grande segno di disponibilità si chiamano saperi e competenze a collaborare per realizzare al meglio cose sbagliate. La logica elementare tende a segnalare che vi è una contraddizione in termini nell’idea di poter far bene una cosa sbagliata, ma le “ragioni della politica” stanno al di sopra della logica elementare, non sono scalfite da prosaici calcoli di costi e benefici, non si fanno carico dei futuri probabili, semmai si avvalgono, a scopo propagandistico, di proiezioni in futuri mitici. Non ricordo nessuna sede in cui decisori e opinionisti si siano confrontati con le ragioni di merito, difendendo in contraddittorio ed in prima persona le proprie scelte con argomentazioni controllabili. Se qualcuno lo vuole fare, lo spazio c’è, fuori dalla retorica e dalla propaganda. Quando non si è personalmente in grado di spiegare le proprie posizioni con argomenti di merito è molto probabile che queste siano sbagliate. A che serve questa lettera aperta? Probabilmente a nulla. Verrà ignorata come innumeri altri precedenti documenti scritti da persone che sono entrate nel merito e hanno provato a fare ragionamenti e verifiche, senza tema di sostenere il confronto se questo avesse dovuto e dovesse esserci. Parlamentari, industriali, giornalisti, militanti, opinionisti sono troppo distratti dai propri stessi luoghi comuni e non hanno tempo per provare a pensare. I decisori badano esclusivamente ai rapporti tra di loro, alle alleanze, alle scadenze elettorali, alle dinamiche di potere, anche al di là delle frontiere: questo è per loro il “merito” di qualsiasi cosa. È veramente una tragedia greca in cui ognuno è condannato dal fato a giocare il proprio ruolo, senza poterne uscire e intanto il coro continua instancabile a recitare la stessa parte… Angelo Tartaglia
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