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CONOSCENZA FILOSOFICA E CONOSCENZA TRADIZIONALE - V -

Post n°12 pubblicato il 22 Ottobre 2014 da laura.foggiato
 

CONOSCENZA FILOSOFICA E CONOSCENZA TRADIZIONALE –

 

L'interesse specifico della filosofia per l'uomo e l'umanità, o l'umana necessità dell'esercizio filosofico, nel loro esplicarsi, mettono in evidenza ciò che caratterizza l'uomo, ciò che l'uomo è; quindi, se la biologicità dell'organismo limita e determina l'esistenza naturale, la comprensibilità dell'uomo pare risolversi nel constatare, come dato, l'esistenza nel suo corso di svolgimento, pure rendendola oggetto di metodica osservazione, che diviene studio sistematico e assume il valore di scientificità, la comprensione filosofica riconosce, invece, l'esistenza di una dimensione umana ulteriore alla fisicità determinante l'uomo od il suo ambiente.

La possibilità stessa di comprensione implica l'esistenza dell'intelligibile.

Nell'uomo, l'anima possiede come specifica funzione, caratteristica, la capacità di intelligere, di essere intelligente e intelligibile.

L'anima dell'uomo è invisibile all'uomo stesso, per tanto la sua comprensibilità non può che risolversi nell'intelligenza.

Per quanto la cultura dell'uomo dia testimonianza dell'esistenza dell'anima, essa è pensata affine alla vita; se non espressamente essa stessa foriera di vita, come entità capace di produrre in senso specifico la causa del movimento dei corpi, è senz'altro considerata ed assimilata ad un soffio vitale, dileguantesi con il sopraggiungere della morte.

La religiosità sembra fare dell'anima proprio argomento di trattazione.

La ricerca sul significato della morte, ineliminabile dall'uomo e determinante la sua stessa vita, porta ad indagare sulla valenza dell'anima, sul senso che essa viene ad assumere nella morte dell'uomo; prende forma l'ipotesi che l'anima possa esistere dopo la morte.

Dunque, a questo punto, in questo pensiero, viene a determinarsi una differenza, una separazione concettuale tra il corpo e l'anima; essi vengono ad assumere, oltre a caratteristiche diverse, nature diverse; la possibilità di poterli comprendere, si ritrova in pensieri diversi: ora, mentre il corpo, per il fatto stesso di essere, in condizioni considerate umane e normali, visibile, soggiace ad una comprensibilità immediata di apprendimento per sensazione; la determinazione d'umanità si mantiene dipendente dall'esistenza del corpo; la riflessione sulle azioni umane, per lo stesso ineliminabile risvolto di praticità, si risolve in considerazioni relative a quella che può essere o deve essere l'utilità per l'uomo, identificato con il proprio corpo.

La riflessione sulla morte, allora, porta alla mente l'ineluttabile pensiero di distruzione ed annientamento, dato che non si può non considerare che è proprio con l'avvento della morte che l'uomo perisce, cessando di vivere, divenendo palesemente oggetto di rapida dissoluzione, senza alcuna possibilità di rimando, di recupero, ammissibile talvolta in successione a catastrofi o crisi disastrose che coinvolgono l'uomo, per la sua stessa natura, e che, pur portando distruzione, non eliminano l'uomo stesso.

Pare che, con la morte, sia l'uomo, nella propria essenza, ad essere distrutto.

Il doloroso pensiero di annientamento si contrappone al pensiero di vita, presente nell'esistenza stessa, e che, nella necessità di sopravvivenza dell'uomo, alimenta la forza di opposizione alla morte.

L'uomo identificato con il proprio corpo, trova inevitabilmente fine nella distruzione, nel dissolvimento del corpo operato dall'irrimediabile morte.

 

La dissoluzione pare distruggere anche l'anima, della cui natura, e, quindi, della cui essenza non v'è precisa conoscenza, per il fatto stesso che l'anima sembra non potersi prestare a conoscenza, fintanto che la conoscenza si risolve nell'osservazione, e, l'anima, per sua stessa natura, rimane inosservabile.

 
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