Creato da MarianneWerefkin il 26/10/2007

Il mignolo

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Ricordo filtrato.

Post n°217 pubblicato il 18 Ottobre 2014 da MarianneWerefkin

Il giorno prima avevo riattaccato all'asta il microfono, emozionata e disfatta, forse esaltata, ma anche svuotata. A 36 anni non avrei mai pensato di sentire così tanta serenità nel manifestarmi al mondo, in realtà forse sono sempre stata un'egocentrica "cristiana" che si cammuffava timidamente ad un angolo in ogni spazio quadrato. Ho sempre osservato, ammirato, ed in alcuni frangenti ora sono io ad essere guardata, magari scrutata.
La sera dopo mi aspettava un concerto, il concerto di Morrissey, per intenderci, quello di cui ho già parlato in altre sedi.
Ma io lo ricordo anche così: senza parentesi pensierose.
-Fumo l'ultima sigaretta prima del concerto. Salgo i gradini facendo attenzione a non cadere, mi appoggio alla ringhiera e mi faccio forza, una forza fisica oramai scontata, interiore forse inaspettata. Regalo la mano al mio partner, un ex batterista, forse non tanto ex visti i commenti e gli occhi illuminati alla sola visione di braccia che ritmicamente percuotono i tamburi. Mi fa strada fra la gente, finalmente troviamo i nostri sedili. Al mio fianco si trova una ragazza il triplo di me: una montagna; allora mi incantono verso la spalla familiare, attendo smarrita, non so dove guardare, osservo la cupola del pala Dozza e per un attimo, senz'aria, vorrei sparisse per aprire la visione di un cielo stellato. Non dirigo il mio sguardo, lo butto a caso nella folla esperta, frazionando la tempistica per completare con tante immagini la panoramica della scena. Mi sento acerba, in realtà vorrei essere cieca.  Sono in quel posto per ascoltare e sentire, non vorrei guardare.
Parte un video dei Ramones, qualcuno esulta e nel manto nero sotto di noi si accendono piccole stelle, tanti schermi di cellulare che alla prima nota esplodono in tanti flash. - Che gli si bruciassero tutti in mano...- sussurra l'ex batterista, sempre più lontano dall'essere ex. Lo guardo meravigliata. In quel momento sono una spugna senza giudizio. - Ma che facciano quel cazzo che gli pare no?-  la mia risposta. Io la chiamo l'anarchia del " chi se ne frega".
Una carrellata di video, interviste, foto ci attende per i quindici minuti successivi: andiamo, inizio a sentire sintonia con il suo egocentrismo e ascolto in paziente attesa chi esprime il proprio ego senza permesso: l'essenza dell'audacia di chi ha il coraggio di stare su un palcoscenico. Mi sento intenerita.
Il sipario crolla, cala, lui entra. Sono disturbata dalla "montagna" che mi ritrovo al fianco destro, ma ad un certo punto si alza e con non curanza lascia il suo compagno solo e non ritorna più. Mentre fluttuo con i pensieri attraverso lo spazio cullati dalla sua potente voce, guardo la figura sconosciuta che sino a qualche istante prima era oscurata dall'Everest. Lui ha gli occhi chiusi ed il suo profilo sembra proteso verso Morrissey. Inclino la testa e socchiudo gli occhi ammaliata, forse da lui o forse dalle corde vocali di chi ci sta inebriando la mente, la sua voce pare un pennello che disegna lo spazio e toglie confini.
Non esiste più il Pala Dozza e forse neppure la cupola che lo ricopre e magari anche il cielo e le stelle.
Esite il necessario, l'essenziale e l'energia che sale dentro  e si espande fuori, al di la di tutto, ed abbraccia singole anime. Che potenza e che estensione, rifletto divertita. 
Ritorno per un istante sulla punta del naso di chi sente ad occhi chiusi e vedo il filo immaginario che lo collega al palco, c'è solo lui. Ho quindi la conferma che non sono solo io a viverla così.

Forse oggi non avremo la sua voce, forse neppure la nostra, ma di sicuro abbiamo qualcosa in più. Abbiamo la sensazione che non esistono confini e che anche con le mani legate il pensiero è libero e il nostro spirito gli è grato.-

 
 
 

Frangenti.

Post n°216 pubblicato il 08 Ottobre 2014 da MarianneWerefkin

L'abbandono del quotidiano per brevi viaggi mi aiuta a tenere alti i riflessi verso ciò che la vita mi offre, mi offro, durante giornate scandite da una routine ritmica e vibrante. A tratti non ci sto più dentro. Delego ad un'agenda la materia dei momenti, forgiando il mio spirito del significato degli stessi. È necessario dire che mi sento fortunata, lavorare con persone che provengono da altre fette di terra, anche lontane, mi fa percepire ogni distanza percorribile, ogni emozione tramutabile, ogni muro abbattibile. Osservo la quercia ingiallita di fronte a me. Mi calo con l'immaginazione fra i suoi rami, incontro perle trasparenti di resina, sciolgo pensieri e li espando a ventaglio lungo le sue foglie. Mi svuoto temporaneamente dell'imminente. Mi dondolo un po', poi mi accoccolo appoggiata ad un braccio indifferente alla mia presenza, che non chiede nulla, ma regala immagini leggere e volanti sino alla sommità della sua chioma.

 
 
 

Nessuna pietà.

Post n°215 pubblicato il 02 Ottobre 2014 da MarianneWerefkin

Questa mattina l'ennesima dimostrazione che esistono lacrime che è giusto asciugare, altre che meritano di cadere a terra nel silenzio e nella più totale indifferenza. E son solo questioni di lavoro. Mi coccolo nella mia meritata poltrona, cancello ogni minima remora, taglio le gambe ad ogni piccolo slancio ancestrale di solidarietà e osservo la tempesta da lontano con sguardo impassibile e labbra serrate.

 
 
 

Dettagli del sabato mattina.

Post n°214 pubblicato il 28 Settembre 2014 da MarianneWerefkin

E' l'aurora.
E socchiudo gli occhi per l'ultima volta prima di appoggiare il piede sinistro sul pavimento fresco di gres. Tutti dormono profondamente, la mia sveglia ha appena tintinnato la solita ora del risveglio mattutino. Oggi è sereno, me ne accorgo dalla luce che filtra attraverso le tapparelle e riempie la parete frontale di delicate palline chiare e trasparenti. Fisso il gioco di luce per qualche secondo, prima di spingermi in bagno. Apro il rubinetto e mi sveglio definitivamente a contatto con l'acqua fresca, mi servirebbe una cascata sulla testa ma tutto sommato mi sento pacifica, e ciò che potenzialmente desidero è in fin dei conti limitato all'immaginazione che a sua volta è schiacciata dalla realtà, che è conseguenza delle mie azioni -tipo lavorare il sabato mattina, per esempio-. Che tutto sommato è fantastico. Pensare a questo groviglio di eventi davanti allo specchio prima di lavarmi i denti.
Mi vesto. Poi esco.
Primo contatto con il prossimo. Lo slancio toracico scendendo il gradino del pianerottolo attira lo sguardo di un tizio che passa in quel momento in bicicletta, mi guarda ed io faccio altrettanto, lo fisso e lui anche, ma con aria indifferente rivolgo poi lo sguardo verso la mia auto: - sorry, lo spettacolo è già finito- concludo fra me e me.
Niente traffico il sabato mattina e l'alba ha già espresso il meglio di sé, con me sul terrazzo. Ora arriva il sole negli occhi. Velocemente abbandono l'atmosfera dormiente cittadina e mi immergo nella campagna, nelle sue strade neutre ed essenziali, dove le strisce grigie sono ridotte ad un filo opaco in mezzo ad un mare di verde cangiante. E’ la rugiada che inzuppando ogni foglia di vite, ogni fibra ingarbugliata d’erba, trafigge l’iride con riflessi argentei. Mi perdo nella gamma cromatica dei verdi e degli azzurri e sorrido ritrovandomi nel mio nome scritto maiuscolo, in rosso, dietro un camioncino; che segue un trattore con il rimorchio ancora scarico.
Mi brino il presente, dominato dalla lentezza del  momento, e un piccolo lampo riporta alla mente la simpatica conversazione avuta con un carabiniere qualche giorno fa. Fermandomi, senza buongiorno né buonasera ha preferito attaccare con il rimprovero riguardo la mia velocità. Alla fine della sgridata mi è partito in automatico uno sguardo allibito, mentre lui ansioso di trovare qualche altra falla si sporgeva controllando il tagliando dell’assicurazione. -Caschi male- pensai. E il mio pensiero dovette sicuramente arrivargli assieme alla mia espressione silenziosa. –Ho per caso detto un eresia??- mi fulmina riportandosi davanti al mio finestrino. Rompo così il silenzio –Mi ha sentito parlare per caso?? A me sembra di no.-, ma lui prosegue. –lei mi ha guardato strano!-. Sì, è vero, rifletto, ma poi rispondo – Evidentemente io ho uno sguardo “strano”, io la gente la guardo tutta così.- . Da un po’ di tempo oramai.
La brina evapora con un sorriso che mi riporta in quell’aperta campagna, seguo il camioncino ed inserisco un cd. Partono le trombe e sono come un pugno nello stomaco, ma cerco una canzone, e scorro le altre con non curanza, via, via, ed arrivo alla fine, sì, è l’ultima, che culla la mia andata e dondola dolcemente la mia mente verso il primo vero caffè della mattina.
Tutto il resto all’uscita, ma poi posso anche risparmiarlo.

 
 
 

18 settembre.

Post n°213 pubblicato il 07 Settembre 2014 da MarianneWerefkin

Con l'approssimarsi del giorno in cui nacque la mia secondogenita spesso mi ritrovo a riflettere sul mio ruolo di madre. Con lei imparai ad essere mamma due volte. La prima volta fu interrotta bruscamente dal cancro, checché se ne dica "la mamma è sempre la mamma" non risultò vero, e tutto si distrusse dall'oggi al domani. Ma in questi giorni, dopo una breve riflessione sulla prima esperienza materna con lei, ho sentito finalmente naturale volgere la mia attenzione sul presente, e su ciò che ora, rappresentiamo l'una per l'altra. Alexandra è il divenire, lo scorrere perpetuo dell'acqua di un torrente in costante piena che arriva al mare e si congiunge con forza all'oceano. È un gomitolo di pensieri ancora da dipanare. È incalcolabile, indefinibile, è la spinta prima di spiccare un volo. La prima volta che l'ho guardata negli occhi ho pensato che ce l'avevamo fatta, ho pensato ad un arrivo, ma ero in errore. La "seconda" volta ho sentito invece l'emozione di un inizio e l'evoluzione successiva di un percorso più consapevole, che in ogni "ti voglio bene" dona orgoglio, ardore e completezza al mio ruolo di madre.

 
 
 

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