Creato da Gladys_Eysenach il 12/07/2012

Gladys_Eysenach

A giuramenti, suplliche, lacrime era assuefatta come l'alcolizzato lo è al vino

 

 

C'è più soddisfazione nel parlare degli altri piuttosto che di sé

Post n°4 pubblicato il 18 Luglio 2012 da Gladys_Eysenach

 

Volevi [ ovviamente ho compreso il senso del tuo volere ( per me ) ]  che parlassi con parole mie, senza prenderne a prestito.
Lo farò.
Aprendo ed immediatamente chiudendo un periodo, come si fa con le paretesi.
Sai che c' é ?
C'é che io detesto nell'ordine o in ordine sparso più cose.
1. Quelli che fanno i froci col culo degli altri. ( ne ho scoperti tanti )
2. Le "suorine" dalla mano tesa che in realtà di teso hanno solo l'orecchio e spesso dalla parte sbagliata.
3. Chi sentenzia ma non chiede : " perchè " ? sarebbe così facile farlo e troverebbe soddisfazione.
4. I "sordomuti", sarà perchè al contrario ho l'abitudine di ascoltare, fatti miei se poi decida di parlare. Di fatto mi predispongo all'ascolto e poi al limite, valuto.
5. Le donne tutte d'un pezzo, che in realtà non si mettono MAI in gioco, che commentano la vita degli altri e non hanno una vita propria, se non condita di aneddoti talmente banali da ammorbare pure gli acari, con tutto quanto comporti l'essere acaro.

Ora comprenderai perché sia più facile ed indolore prendere a prestito frasi, citazioni.
Perché parlare di sé non paga, mai.
E quando decidi di farlo, vieni vivisezionato, manco fossi una cavia da laboratorio.
Quindi ?
Quindi meglio riportare frasi, confutandole, magari.
C'è più soddisfazione nel parlare degli altri piuttosto che di sé.




 
 
 

3.

Post n°3 pubblicato il 14 Luglio 2012 da Gladys_Eysenach

 " Facendo leva sul braccio, si teneva sollevato sopra di lei. Per
permetterle di accarezzarsi e per toccarla anche lui. Lei voleva
che l’uomo aspettasse e che giocasse fra le sue gambe col
suo sesso duro. Lui spingeva e premeva senza affondare, accarezzava,
si muoveva, ondeggiava e strusciava, godendosi la
morbidezza umida e il calore della carne di lei. Alla donna
piaceva il languore del desiderio che cresceva fino a diventare
così intenso da confondersi col dolore e si crogiolava. E si
perdeva nella voglia. Le piaceva aspettare e ascoltare il respiro
di tutti e due diventare più concitato. Le piaceva respirare
nella bocca di lui. Lei diventava lui, poi riprendeva il possesso
del suo corpo e ancora era di nuovo lui. Lei era il suo
sesso, ma anche quello dell’uomo che aveva sopra di lei e la
voglia che lui aveva di entrare in lei le apparteneva come se
fosse stata la sua.

L’uomo si nutriva di ogni suo brivido e la aiutava a far crescere il desiderio. E la sentiva. Sentiva il sessodi lei indurirsi e gonfiarsi, sentiva nel cuore, nella mente,
nel ventre tutto quello che provava la donna e percepiva come
fossero stati suoi quei frammenti di oblio che affioravano
nella carne di lei. L’uomo aveva occhi liquidi che si appannavano
sempre più, man mano che lui e lei si perdevano uno
nell’altro. Lei, invece, gli occhi a tratti li chiudeva. E immaginava,
e si perdeva in un sogno così intenso da diventare
realtà, colore, suono, materia, profumo. La donna vedeva,
sentiva, annusava: era in una grotta buia, tiepida e umida, e
subito dopo si lasciava scivolare, trascinata nel tunnel di
un’onda rischiarato dalla luce calda del sole e mille gocce di
schiuma di mare la spruzzavano e la rinfrescavano. Poi, riapriva
gli occhi e si rituffava in quelli verdi di lui che non la
abbandonavano neppure per un secondo, neppure per l’istante
di un battito di ciglia. E anche quando abbassava le
palpebre, lui la tratteneva e lei si arrendeva a quel piacere che
continuava a crescere, perché la calamita dello sguardo di lui
le impediva di allontanarsi. E il piacere saliva: ecco, era arrivato
il momento. Era pronta. Poteva dirglielo senza parole?
Lui avrebbe capito? Aprì gli occhi e lo fissò, come a chiedere
aiuto. L’uomo la vide farsi cedevole e vulnerabile. Occhi di
velluto e di fuoco, arresi. Capì e affondò finalmente dentro di
lei, seguendo l’onda delle sue contrazioni e dei suoi singhiozzi.
Rallentò, si fermò e restò immobile e poi, ma solo
poi, attento anche al più piccolo sussulto degli spasmi di lei,
ricominciò, col respiro che diventava sempre più irregolare.
E cercava. Cercava i punti dove riprendere il piacere di lei e
rigiocarci, come solo lui sapeva fare. La donna si aggrappava
come un naufrago alle sue spalle larghe, alle sue braccia dai
muscoli tesi. E accarezzava il suo collo forte, guardava l’ombra
dorata che la barba appena accennata gli dipingeva sulle
guance. Si ancorava a lui con la disperazione di chi sta per
perdersi, confondeva le sue labbra con quelle dell’uomo e
cercava nella bocca di lui il suo stesso respiro, come se solo
così potesse continuare a vivere. E si scioglieva ancora nei
suoi occhi verdi, da felino, magnifici, fieri, occhi da guerriero.
E da predatore. Occhi da vincitore. Occhi che guardando
la donna dicevano, con un linguaggio a cui non servivano
parole: «Siamo io e te. E noi, io e te assieme, possiamo conquistare
il mondo, perché nessuno ci può sconfiggere».
L’uomo trovò ancora una volta il punto dove le difese di
lei si abbassavano e la donna ricominciò a sospirare più forte.
Lui si addolcì in un sorriso e sussurrò con la sua voce roca,
sfiorandole il collo con un bacio umido: «Amore, ti sento,
ci sei. Ancora, ancora, so che puoi, che sei capace. Piccola,
lasciati andare in me. Sentimi, senti me, senti te. Non c’è
nient’altro. Solo io e te. Solo noi». E continuò. Continuò.
Continuò. Continuò. Lei sussultava, e lui, col sorriso del piacere
e dell’orgoglio, contava, pianissimo, sussurrando sempre
più dolcemente, mentre lei singhiozzava ancora una volta.E
poi ancora e ancora. Lei non avrebbe mai potuto contare,
persa nei misteri del suo corpo che mai nessuno, neanche lei
stessa, aveva conosciuto così bene. L’uomo, quando scherzava,
le diceva: «Sei la mia mappa geografica: di te conosco anche
i sentieri più nascosti».
Poteva portarla ovunque, la donna avrebbe potuto fare
qualunque cosa con lui al fianco: non le sarebbe successo
niente di male. Lui era la sua rete di protezione. La sua era
una vita in bilico, ma anche se fosse caduta, si sarebbe salvata:
c’era lui. Se fosse fuggita, lui l’avrebbe ripresa. Lui sapeva
come fare. Lui era la forza, lui era l’Uomo. Lei lo
guardò. Lo voleva, voleva sentirlo e in un soffio: «Lasciati
andare, ora, adesso, amore, lasciati andare, puoi, voglio.
Adesso, ti voglio…»
Lui intensificò i colpi, che divennero sempre più forti,
ravvicinati, profondi. Lei si sentiva morire. Quando faceva
l’amore diventava acqua. Una cascata scrosciante, impetuosa e inarrestabile.

Il cuore in gola, il respiro che manca. I sussulti
di tutti e due. E finalmente lui si rilassò. Lei anche, e lasciò
il suo corpo, vinta. E lui e lei ripresero a respirare e ritornarono
al mondo.
«Schiacciami, schiacciami, lascia le braccia, stammi addosso
», disse lei in un bisbiglio.
Quanto le piaceva, dopo, sentire il corpo grande e imponente
di lui, sentirlo abbandonato sopra di sé e fare un poco
di fatica a respirare. Neppure un filo d’aria avrebbe trovato
spazio fra le loro carni incollate. In quel momento la donna lo
amava. Sentiva che l’uomo era a casa e che lei era il suo porto,
il suo rifugio. Lui era arrivato alla meta. Che cosa impediva
a quell’attimo di durare in eterno? Quello era il momento
perfetto in cui niente poteva spaventarla. Né fermarla.
Invece, fuori dal letto, tutto di quell’uomo le faceva paura. "

 

Erica Arosio
L’uomo sbagliato

 

Alle donne che almeno una volta nella vita
si sono innamorate dell’uomo sbagliato. Tutte

E' il solo aspetto che ci accomuni. Tutte.

 
 
 

2.

Post n°2 pubblicato il 13 Luglio 2012 da Gladys_Eysenach

 

" Mimoun, che da protagonista non aveva avuto nessuna precedente
esperienza sessuale, non dovette tardare a eiaculare e
innamorarsi, contemporaneamente, pensando che ormai era
arrivato il momento che avesse un vero marito e la smettesse
di offrire le natiche a chiunque passasse.
Pensava a come spiegarlo al nonno. Per caso ti sei bevuto il
cervello? Una donna più grande di te di dieci anni e in più la
porca più porca del paese. Avrebbe dovuto dirlo prima alla
madre, che gli voleva bene, che era dolce come non lo era nessun’altra
donna. Era deciso a convincerla. Finché non ripassò
dietro ai fichi d’India della casa di suo zio, in quell’angolo che
nasconde quasi da tutto, e all’improvviso smise di essere innamorato,
senza grandi drammi.
Perché cercava altri uomini se aveva lui? Perché tradiva anche
lui? Non ne aveva abbastanza?
E stava imparando ad accarezzarla, in fondo aveva anche
scoperto quel punto che hanno le donne e che dicono diventino pazze se glielo premi.
Fatma non era diventata pazza di Mimoun e lui forse si sentiva
un po’ uno di quegli stracci che servono per lavare a terra
e che restano sempre in un angolo del cortile, né del tutto bagnati
né del tutto asciutti. Soprattutto nel vederla un’altra volta
con il culo al vento davanti allo zio di Mimoun, che si mordeva
le labbra mentre la possedeva. Gli fece schifo pensare
che anche lui fosse passato dallo stesso posto. Quanti c’erano
passati prima di lui? Quanti dopo? Gli dovette venir voglia di
vomitare, di scappare a gambe levate dove nessuno lo potesse
riconoscere, come se tutto il paese sapesse che lui era stato
umiliato in quel modo.
Sicuramente li sentì ridere quando decise di voler avere una
donna solo sua, di nessun altro. Dovettero lanciare qualche
urla soffocata che gli giunse chiara, mentre pensava che non
c’erano altre donne come le sue sorelle, che erano decenti e
non osavano guardare negli occhi nessuno sconosciuto, che la
donna che avrebbe scelto sarebbe stata di quel tipo, ancor più
di loro. Doveva essere fedele persino nel pensiero. E se non
era così o lui aveva il minimo sospetto che non lo sarebbe stata
del tutto, ci avrebbe pensato lui a addomesticarla."

 

Najat El Hachmi
La città degli amori infedeli

 
 
 

1.

Post n°1 pubblicato il 12 Luglio 2012 da Gladys_Eysenach

 

 

" Gladys era circondata da uomini innamorati.
Ai giuramenti, suppliche lacrime era assuefatta come l'alcolizzato lo è al vino;
non le bastavano mai, ma il loro dolce veleno le era necessario come l'unico alimento che potesse tenerla in vita.
Non se lo nascondeva.
Pensava che una donna non è mai sazia, che è un piccolo animale infaticabile, che un ambizioso può stancarsi degli onori e un avaro dell'oro, ma una donna non rinuncerà mai al suo mestiere di donna.
Quando i suoi pensieri correvano alla vecchiaia, questa le sembrava ancora lontana che la guardava in faccia senza tremare, e si figurava che per lei la morte sarebbe arrivata prima della fine del piacere. "

 

 

 Irène Némirovsky, Jezabel

 
 
 

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