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« LA POESIA NELL'ORLANDO ...LA POESIA NELL'ORLANDO ... »

LA POESIA NELL'ORLANDO FURIOSO DI LUDOVICO ARIOSTO

Post n°349 pubblicato il 24 Maggio 2016 da marialberta2004.1
 
Foto di marialberta2004.1

Clicca sull’immagine: Ritratto di Ludovico Ariosto tratto dall’Orlando Furioso del 1532 

CLICCA TAG, in alto a sin., poi CLICCA ARIOSTO,e FURIOSO, per notizie su Ariosto, sull'Orlando Furioso e le altre sue Opere, e per la Bibliografia  

Maria Alberta Faggioli Saletti 

LA POESIA nell’ Orlando Furioso di Ludovico Ariosto (1474-1533).

2016 V° Centenario della prima edizione del Furioso

 

8 Tecniche della narrazione, ritmo e movimento narrativo

 

Nella costruzione del racconto, Ariosto riprende la tecnica tipica dell’ intreccio fra vicende, tempi, spazi, personaggi, nata dalla tradizione orale, per non stancare e destare sempre nuova attenzione.

Eccone alcuni esempi:

Ma troppo è lungo ormai, Signor, il canto/ e forse ch'anco l'ascoltar vigrava;/ sì ch'io differirò l'istoria mia/ in altro tempo che più grato sia (Canto X, Ottava 115);

Quel che seguì tra questi duo superbi/ vo’ che per l’altro canto si riserbi (CantoI, Ottava 81);

Ma perché varie fila e varie tele/ uopo mi son,che tutte ordire intendo,/ lascio Rinaldo e l’agitata prua,/ e torno a dir di Bradamante sua  (Canto II, Ottava 30); 

Poi vi dirò, Signor, che ne fu causa, ch’avrò fatto al cantar debita pausa (Canto III, Ottava 77).

Per quanto riguarda il ritmo delle vicende avventurose, studi recenti hanno posto in evidenza come il poeta ricorra al meccanismo di sospensione e ripresa dei fili della storia che generano attesa e sorpresa, e si avvalga di un movimento narrativo fra interruzione (con fuga, scomparsa o sparizione) e differimento (rinvio), secondo il modo della narrazione romanzesca a lui successiva. Questo procedere è ancora valido oggi, sia nel romanzo, sia nel racconto cinematografico (nell’analisi odierna delle tecniche narrative romanzesche e cinematografiche), tanto che, all’Ariosto è stata dedicata attenzione speciale, da parte di scrittori, sceneggiatori, registi, critici, letterari e cinematografici (al procedere ariostesco ancora capace di attirare la nostra attenzione, riserveremo un capitoletto di un prossimo saggio: Ariosto nel cinema e nei romanzi moderni).

L’abilità ariostesca di sospendere e riannodare i fili della storia, giova ripeterlo, con fughe, scomparse, sparizioni e rinvii, permette all’autore di ricongiungere il tempo, individuale dei personaggi, al tempo collettivo della storia, e consente al lettore di comprendere la simultaneità di più storie che sono avvenute contemporaneamente, ma devono essere raccontate in successione (Jossa Stefano, Coincidenze casuali e incontri possibili. Ariosto Oggi, Rivista «Versants», Versanti, vol. 59, N.2, 2012, pp.189-211). 

Il poeta infatti non accompagna i personaggi, né si cura troppo del mutamento dei loro comportamenti o convinzioni, ma ne “segue” le avventure:

Segue Rinaldo, e d’ira si distrugge:/ ma seguitiamo Angelica che fugge”(Canto I, Ottava 32);

Lasciamlo andar, che farà buon camino,/ e torniamo a Rinaldo paladino (Canto IV, Ottava 50, versi 7-8). 

Ecco l’avvenimento più famoso, quello riguardante Angelica in fuga da inseguitori e pretendenti la quale, fra duo compagni morti un giovinetto /trovò, ch’era ferito in mezzo il petto» (Canto XII, Ottava 65, Versi 7-8).

Il giovinetto è Medoro che i lettori del poema ancora non conoscono, ma le cui vicende Ariosto congiunge al filo narrativo della storia di Angelica: «Ma non dirò d’Angelica or più inante; / che molte cose ho da narrarvi prima» (Canto XII, Ottava 66, Versi 1-2). 

Poi, per sette canti, dal XII al XIX, Angelica non viene nominata, finchè ella ricompare, con un annuncio speciale dell’autore al lettore perché riannodi i fili della storia: si tratta dell’incontro, cui abbiamo accennato, di Angelica con Medoro ferito, in modo così grave da fare pensare che morirà: Gli sopravenne a caso una donzella,/ avolta in pastorale ed umil veste,/ ma di real presenza e in viso bella,/ d’alte maniere e accortamente oneste./ Tanto è ch’io non ne dissi più novella,/ch’a pena riconoscer la dovreste:/ questa, se non sapete, Angelica era,/ del gran Can del Catai la figlia altiera. (Canto XIX, Ottava 17).  

La ricomparsa di Angelica consente all’autore di riportare la simultaneità delle storie di Angelica e di Medoro, benchè esse vengano raccontate in successione, e l’annuncio dà modo al lettore di cogliere la convergenza fra le due storie: non si tratta di un semplice incontro bensì, come detto, di interruzione e ripresa dei fili della storia.

Ma conviene esporre con ordine le vicendedi Angelica e Medoro, e quelle conseguenti di Orlando.

Come sappiamo, Angelica, in fuga verso l’Oriente, la sua patria, una mattina trova non lontano da un campo di battaglia presso un ruscello, un bel giovinetto ferito. E’ Medoro, un oscuro fante saraceno che, con il suo fedele amico Cloridàno, ha rischiato la vita per seppellire il corpo del suo Signore Dardinello, caduto combattendo contro i cristiani. Cloridàno è stato ucciso mentre Medoro, pur sopravvissuto, giace gravemente ferito vicino al corpo del suo Signore.

Ariosto ha appena descritto i due amici: Cloridan, cacciator tutta sua vita,/di robusta persona era ed isnella:/Medoro avea la guancia colorita/e bianca e grata ne la età novella;/e fra la gente a quella impresa uscita/non era faccia più gioconda e bella:/occhi avea neri, e chioma crespa d'oro:/angel parea di quei del sommo coro (Canto XVIII, Ottava 166). Medoro è un giovane moro dai capelli crespi e biondi, di eccezionale bellezza.

Angelica, lo ripetiamo, benchè vesta i panni di una pastorella, è di real presenza e in viso bella,/ d’alte maniere e accortamente oneste (Canto XIX, Ottava 17), e soprattutto attenta. Appena si accorge che il bellissimo giovane è ancora vivo, prova un’insolita pietà. Ricordandosi le cognizioni mediche apprese in “India”, raccoglie un’erba prodigiosa, che poco prima aveva visto passando e, con l’aiuto di un pastore che in quei luoghi sta cercando una sua mucca, medica il giovane, infondendogli tanta forza, che può dar sepoltura a Dardinello e a Cloridàno.

Poi entrambi si recano alla casa del pastore, nella pace della campagna dove Angelica si propone di rimanere finchè il giovane sia completamente guarito.

Ma, mentre Medoro a poco a poco si ristabilisce, Angelica sente la pietà trasformarsi sempre più in ardentissimo amore (l’attrazione verso la bellezza eccezionale genera il sentimento amoroso). Ella, la regina del Catai, che ha sdegnato l’amore di famosi Cavalieri cristiani e mori come Orlando, Rinaldo, Sacripante, Agricane, Ferraù e di tanti altri importanti guerrieri, confessa al giovane la passione struggente. E, per rendere onesto il sentimento, celebra il matrimonio con Medoro, nella capanna, davanti al pastoree alla moglie, suoi testimoni.

Dopo le nozze, i due sposi felici trascorrono più di un mese, durante il quale incidono i loro nomi intrecciati su ogni albero, sasso, muro, finestra e porta di quella campestre dimora, per riempirla del loro infinito amore. 

Quando le sembra di essersi trattenuta abbastanza, Angelica decide di ritornare per sempre al Catai dove vuole incoronare re il suo Medoro, ma prima di partire regala al buon pastore un prezioso bracciale che le era stato un tempo donato da Orlando, e che ella aveva sempre conservato, non per amore di lui, ma per il valore e la egregia fattura (Canto XIX, Ottave 18-42).

Il destino è beffardo: nei luoghi che sono stati la culla e il rifugio dell’amore di Angelica e Medoro, proprio là dove i due innamorati hanno inciso su tutti i tronchi, i sassi e i muri delle stanze i loro nomi per gridare la comune felicità. Addirittura proprio nella casa del pastore che li ha ospitati ed è stato testimone delle loro nozze felici, capita un giorno Orlando, il “saggio” Orlando…

Il paladino ha visto, ha notizia, e prove sicure del loro amore: il pastore gli mostra il bracciale prezioso donatogli da Angelica, così egli sente crollare tutte le sue speranze illuse e deluse. Dopo un tentativo di nascondere il proprio dolore per ritirarsi a piangere da solo, Orlando impazzisce: Pel bosco errò tutta la notte il conte;/e allo spuntar de la diurna fiamma/ lo tornò il suo destin sopra la fonte/dove Medoro isculse l’epigramma./Veder l’ingiuria sua scritta nel monte/ l’accese sì, ch’in lui non restò dramma/che non fosse odio, rabbia, ira e furore;/ né più indugiò, che trasse il brando (la spada) fuore.//Tagliò lo scritto e ’l sasso, e sin al cielo/ a volo alzar fe’ le minute schegge./ Infelice quell’antro, ed ogni stelo/ in cui Medoro e Angelica si legge! (Canto XXIII , Ottave 129-130).

Orlando si strappa di dosso le armi e l’armatura finchè rimane nudo, poi inizia a correre per tutto il mondo, lanciandosi in avventure pazzesche e straordinarie. Intanto, della follia dell’infelice paladino, delle sue azioni orrende, viene informato il suo amico Astolfo, anche lui paladino di Re Carlo, protagonista di imprese memorabili. Astolfo monta sull’Ippogrifo, il magico cavallo alato e sale fino al Paradiso Terrestre, poi nel Cielo della Luna.

Per quale ragione? Perché sulla Luna viene raccolto tutto quello che si perde sulla Terra, a cominciare dal senno che, dalla Terra regno della pazzia, è svaporato quasi tutto nella Luna. Canto 34,Ottava 75

 

Dalla Luna, Astolfo che, con grande sorpresa, ha ritrovato anche buona parte del proprio senno, ritorna riportando il senno di Orlando ben chiuso in una bottiglietta sigillata.

Sulla Terra, la Provvidenza gli fa ritrovare il Paladino Furioso, in Africa dove, con la forza di cento uomini e di corde robuste, Orlando viene legato e costretto ad aspirare tutto l’antico senno. Ora è rinsavito.

Ecco l’invenzione più nuova, geniale dell’Ariosto: far conoscere, per la prima volta, l’amore che fa impazzire, con cadute nella follia più orrenda, anzi, metterlo al centro del suo poema immortale. Ricordiamo in conclusione i primi versi della seconda ottava del Poema: “Dirò d’Orlando in un medesmo tratto/ cosa non detta in prosa mai, né in rima:/che per amor venne in furore e matto,/ d’uom che sì saggio era stimato prima”.

 

 
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