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QUEL TANTO CHE BASTA - RECENSIONE in 4 Post
Post n°385 pubblicato il 08 Novembre 2017 da marialberta2004.1
Tag: QUEL TANTO CHE BASTA Maria Alberta Faggioli Saletti (recensione) e Sandra Goberti (scelta delle pagine da leggere), socie di Terra Ferma, Associazione di Volontariato Onlus, fondata nel 1999 per la tutela delle persone con disabilità intellettiva e disagio anche complessi - Presidente Malvina Zanella Montanari, Sede associativa presso la Fondazione Fratelli Navarra, Ferrara. Maria Rosa Pizzi, Quel tanto che basta,Youcanprint Self-Publishing, Collana Narrativa, Lecce Ottobre 2017 (prima edizione 2015), Prefazione, pp. 5-13. 4 (clicca sull'immagine) ●Nel dopo che riguarda l’infanzia di Dario, affiorano, come accennato, i ricordi dell’infanzia di Maria Rosa, a partire dalla “Bordocchia”, sul Canal Bianco, la fattoria dove è nata e dove ha trascorso l’infanzia. La “Bordocchia” e la sua terra -cinquanta ettari- che, come nessuna altra cosa, si porta “dentro per sempre il ricordo dei miei genitori” … e che diverrà talmente significativa anche per Dario da indurlo a usare “per la prima volta”, “il linguaggio per chiedere qualcosa di diverso dal cibo” (Capitoli 6,7,8,17,19). ●Sullo sfondo di tutta la narrazione, l’avvincente territorio ferrarese con i suoi canali lungo il fiume Po e lo stradone ghiaiato sull’argine. I luoghi davvero vissuti sono descritti fin dalle prime pagine in modo coinvolgente: il fiume, ricco d’acque correnti, innevato o ghiacciato, la sua golena, la nebbia padana all’alba,simbolo della tempesta emotiva interiore, la “luce luminosa” d’aprile, a rappresentare un po’ di distensione e di speranza, Berra paese d’acqua (oggi Comune nel Parco Regionale del Delta del Po). Veramente belle certe pagine sulla golena, fra l’argine maestro e la riva, che cambia nel tempo, da area edificata quando le piene la invadevano in modo regolare a zona selvaggia dopo la grande piena del ’51. La golena che scandisce le generazioni di quei decenni, è luogo dei giochi e delle scoperte infantili e, in seguito, luogo di lavoro o incantato e segreto del cuore. Non mancano le Filastrocche, le Canzoni popolari, i Proverbi e i Detti soprattutto sul tempo, le tradizioni gastronomiche (i cappelletti in brodo…) (Capitoli 2,8,17,20). A completamento degli squarci paesaggistici e culturali sulla campagna ferrarese, “coltivata metro per metro come un immenso orto”,la sua storia di terra di grande Bonifica. La Bonifica ferrarese, iniziata grazie alla rivoluzione industriale(le pompe idrauliche-idrovore) e al lavoro degli ‘scariolanti’, si è conclusa alla fine del 1800, ed è stata appoderata nel 1938. Nella Provincia di Ferrara, terra, di valli e di paludi, spesso malsana per la presenza di insetti -le zanzare- che trasmettevano malattie gravi come la malaria, si è realizzata una Bonifica idraulica (o a scolo artificiale) tra le più grandi.Essa aveva richiesto il prosciugamento di un’ampia zona paludosa, e il recupero di una parte di territorio per renderlo abitabile e per destinarlo all’agricoltura (Capitoli 6,13,18).[1] Così risulta importante il racconto della vita quotidiana, durante i primi anni Cinquanta del Novecento, in un grande podere agricolo, con edifici capaci di ospitare macchinari e operai dalla primavera all’autunno, e una borgata dotata della Scuola. Egualmente interessante la descrizione della “quieta bellezza” di Ferrara, in quegli anni, luogo di evasione giovanile dalle campagne(Capitoli 11,17). ●Si sentono la solida, ampia preparazione culturale-letteraria della scrittrice,la sua ferraresità nutrita dalle buone letture: Bacchelli, Bassani e gli scrittori che hanno scelto il fiume Po come mondo da amare e da raccontare rendendolo luogo universale . Non è certo irrilevante che un personaggio importante e leggendario come il Passatore Osvaldo, sia legato alla scrittrice da un filo rosso inconsueto da queste parti, il leggere. Nella scrittura di Maria Rosa, emozioni, osservazioni e descrizioni si mescolano ad esprimere l’amore inalterabile per il grande fiume, per i suoi articolati paesaggi, le persone, i personaggi, e i paesi d’acqua, i mezzi di lavoro come la barca dal fondo piatto e quella a remi che rendeva vicine le due sponde, le costruzioni tipiche e i loro ruderi (le case, l’osteria, …). Durante la lettura stringente e interessante,s’incontrano pagine che fanno apprezzare la singolarità affascinante del territorio lungo il Po verso il Delta, al lettore che ancora non lo conosce, e che nel contempo possono suscitare anche negli abitanti contemporanei la voglia di riscoprire la propria terra, di riviverla fino ad innamorarsene e a lasciare impresso il proprio sentire per le generazioni future, come fa l’autrice. ●Il Titolo, semplice ed essenziale, Quel tanto che basta, sembra alludere all’umiltà remissiva, ma la spiegazione non è convincente, e a fare la differenza è la scelta dell’avverbio “tanto”:l’autrice avrebbe potuto preferire come titolo Quel poco che basta. E ordinare comunque il suo racconto in 22 capitoli, come ha scelto. Solo dopo aver letto sino in fondo il libro, si può capire la scelta dell’avverbio “tanto” nel titolo: esso comprende la capacità di affrontare dolore e difficoltà che ci sembrano insuperabili, e ce ne sono davvero parecchi dopo la nascita di un figliolo con disabilità. Come ci sono tanti impegni educativi e scoperte didattiche, tali da rendere questa mamma scrittrice un genitore specializzato, o meglio, preparato e qualificato in un difficile campo, un genitore che ha tanto da insegnare: “ho accettato Dario e so per certo che mio figlio è felice, più felice di tutte le persone che conosco. Ha solo bisogno d’amore, come tutti del resto”. Ma l’avverbio “tanto” racchiude anche la facoltà benefica di ricordare, cioè di ripensare a quanto di positivo la vita ci ha donato, le nostre radici, la nostra identità. Per Maria Rosa sono i ricordi dell’infanzia e le immagini della sua terra natale, la campagna vicina al fiume dove… “sono stata felice e questa felicità non è andata dispersa” (Capitolo 22). Leggiamo il pensiero conclusivo dal Capitolo 22: “Che importa? Ho smesso di interrogarmi sul futuro. Appoggio le spalle alla casa, mentre il mio sguardo spazia fino all’orizzonte. Provola sensazione che la campagna riceva fisicamente le mie preoccupazioni e le stemperi nel suo spazio sconfinato; è un gioco che funziona sempre, che non mi ha mai tradito. Qui sono stata felice e questa felicità non è andata dispersa. Mi basta tornare per afferrarne un po', quel tanto che basta.” [1] “Corriere Padano”, Carbonia e Volania…, 20 dicembre 1938: “Oggi nel nome del Duce si inizia nell’Agro ferrarese l’appoderamento degli ottantacinquemila ettari bonificati della Val Trebba e Ponti”.
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Inviato da: marialberta2004.1
il 01/06/2022 alle 13:03
Inviato da: diogene51
il 01/06/2022 alle 09:38
Inviato da: marialberta2004.1
il 07/12/2020 alle 01:31
Inviato da: danibold2
il 05/12/2020 alle 17:27
Inviato da: marialberta2004
il 03/12/2020 alle 16:15