Creato da liberemanuele il 26/01/2009

Catallaxy

ordine spontaneo vs ingegneria sociale

 

 

Una giornata al mare.

Post n°17 pubblicato il 13 Marzo 2009 da liberemanuele
 

Con il mare non ho un buon rapporto, mi richiama alla mente delle scottature da cortisone e vacanze "forzatura" - alle quali mi sono sottratto appena l'età mi ha concesso dei miei "no". Ma è anche vero che, da buon umbro accerchiato dall'appennino, non posso che associare l'idea di mare alla rottura con la routine quotidiana.  

Così approfittando del sole - che sembra voler reggere al fine settimana -, ho tagliato i capelli e domani prendo e vado al mare. Una giornata, non di più: quanto basta a dimenticare scrivania e computer, per poter riprendere il respiro da giornate tutte uguali, in cui il tempo e scadenze, rappresentano un nemico sempre in agguato, che mi priva della piena disponibilità del mio tempo.

Chi ne fà le spese sono le mie ore di sonno, non certo quello che devo fare, che mi sono imposto di dovermi - come tributo a me stesso -, ne le persone che mi sono intorno. 

Ma non è un problema, sono giovane, e il domani mi sorride: non provo invidia per nessuno, non porto rancori e sono sereno - azzarderei felice, ma è un espressionetalmente  talmente esagerata ...

Così domani sarà la mia giornata al mare, non "solo" come canta Paolo Conte, ma in compagnia di Sara - che porterà il pensiero e i libri dei suoi esami - e le mie letture*.

*A proposito di letture: consiglio a tutti, appassionatamente, una che ho appena terminato: lo "Stato canaglia" di Piero Ostellino. Dedicherò tra non molto un post a questo azzeccato libro, cui tanti argomenti ho già toccato e altri toccherò in futuro e che trovo per molti versi illuminante (oltre che un valido manuale di pensiero aperto e lberale). 

 

Buon fine settimana.


 

 

 
 
 

The Wrestler

Post n°16 pubblicato il 11 Marzo 2009 da liberemanuele
 

C'era qualcosa di magico negli anni ottanta. Lo sò, sono giovane per avanzare la pretesa di conoscerli, ma la verità è che da piccolo ho respirato tantissimo quegli anni e devo dire che è impossibile non rimanerne affezionati. I film di mediaset erano il precipitato di quel periodo là. Io da bravo bambino aspettavo che i miei andassero a letto e poi, nel cuore della notte (le dieci e mezzo di allora mi sembravano le quattro di oggi), a vedermi i vari "Nove settimane e mezzo", "E.T.", "Ritorno al futuro", "Indiana Jones", "Top Gun", "Batman", per non parlare dei film di Jean-Cloude Van Damme! Poi sono chitarrista, e questo mi porta ad amarli ancora di più perchè dopo Hendrix, la rivoluzione per questo strumento magnifico è per mano di Eddie Van Halen (e la sua Frankestrat, una Fender Stratocaster distrutta e rivisitata con humbucker e Floyd Roses). Per anni sono stato famelico divoratore di musica anni ottanta: Guns n' Roses, ACDC, Allan Holdsworth, il Vasco di Fronte del Palco (con Big Boy Braido) ecc... 

Fatta la dovuta premessa, devo dire di amare lo spirito di quegli anni, la sua ingenua fiducia nelle proprie capacità, la voglia di divertirsi, di leggerezza, di sensazioni forti e di sbattersene di che cosa si andrà in contro. Si viveva la giornata, così mentre Reagan spianava la strada agli ambiziosi yuppie (mi viene in mente Michael Douglas o Denny DeVito, affacciato alla finestra del trecentesimo piano di uno dei tanti illuminatissimi  grattaceli newyorkesi, con una di quelle giacche dalle spalle larghissime), Slash e Axl Roses ci raccontavano quant'era facile divertirsi con "it's so easy".

Si, mi sono dilungato, ma tanto non volevo parlare del film, merita di essere visto, ma se non si ha idea di che cos'erano quegli anni si perde molto del suo senso. 

Il protagonista è un reduce, un eroe anni ottanta, annichilito dagli odiosi e insipidi novanta, che lo hanno trasformato in semplice merce, in un "pezzo di carne martoriata". Mi sono commosso, più volte anche - che femminuccia che sono diventato, colpa anche di The Boss con la sua colonna sonora.

Ho sentito l'amerikano che  è in me e il suo sconforto per questi anni privi di fiducia in tutto.

... poi è arrivato quel Cobain e ci ha rovinato la festa ... Noi volevamo solo divertirci ...

Odio i Nirvana.

 
 
 

Anarchia, stato e utopia

Post n°15 pubblicato il 09 Marzo 2009 da liberemanuele
 

Prendendo in prestito il titolo del saggio di Robert Nozik (che per la verità è interessante ma non sono riuscito ad entrarci bene, trovo molto più sulle mie corde gli scritti di Murray N. Rothbard per temi trattati), sulla scia del post di AnarchiaVelenosa e di un acquisto fresco di ieri, "Lo Stato canaglia" di Piero Ostellino, vorrei sviluppare un ragionamento sulla crisi.

Avrei voluto farlo non prima della lettura del libro appena citato dell'editorialista del CorSera, ma devo dire di essere rimasto colpito dal post sopra riportato sulle proposte anticrisi.

Il titolo è solo un esperimento - molto "semplificato"e breve: userò - con improbabili risultati - la "triade dialettica" del da me odiatissimo Hegel: TESI (anarchia), ANTITESI (stato) e SINTESI(utopia). Spero mi scuserete se alla fine risulterà un esercizio utile solo a dimostrare la mia inadeguatezza intellettuale.

Anarchia (una lettura della crisi).

La crisi viene da un sistema di cattivo investimento - l'ho già scritto su "Il ministro che cita Marx" e "Obanomics",  abbiamo sperperato denari su investimenti sbagliati, essi non ci hanno remunerato e la crisi è diventata finanziaria (non avendo restituito i soldi che le banche, drogate dalle liquidità "centrali", ci prestavano acriticamente). Questo è il momento di riparare.
"Tutti sono froci con il culo degli altri" ci consiglierebbe un detto popolare (scusate la volgarità ma è esplicativa), ma in verità i licenziamenti sono un tributo ad anni di crescita inflazionistica ed economica sconsiderata, in quanto a buon (falso) prezzo. Ricchezza è stata bruciata per dei castelli di aria, ora è il momento di risparmiare - c'è la deflazione che ci aiuta a vivere, e far si che la disoccupazione e le risorse si incanalino verso le giuste imprese economiche.
Lo stato continua a spremere i contribuenti con la pistola alla tempia, per bruciare quanti più soldi in stupide ed inutili casse integrazioni , opere faraoniche come il ponte sullo stretto o investimenti a perdere come le energie rinnovabili (ovviamente generalizzo, alcune di queste energie sono valide, ma vanno sviluppate con criterio e non dallo stato).

Stato (la proposta).

Ma uno Stato c'è, è in gran parte lui responsabile della crisi - con le banche centrali - : può essere utile?
La risposta è "no" in teoria: meno fa, prima la crisi si "assorbe".  Il "laissez-faire" è la migliore medicina per una pronta guarigione consiglierebbe Rothbard (ma si sa, lui è anarchico: una società senza stato è più giusta, solidale e ricca). In fondo in America la recessione del 1920, molto severa negli effetti, si risolse in un anno senza politiche anti-cicliche, mentre quella del 1929 con una guerra mondiale e una decina di anni di depressione.
 Ma a oggi è una risposta poco realistica, sarebbe abominevole agli occhi di tutti.
Nel caso italiano qualcosa si può fare, innanzi tutto la riforma del "welfare state" in "welfare to work".
Basta con l'iniquo assistenzialismo politico! Ci vuole una riforma che attivi la società: l'imprenditore deve essere libero di licenziare, lo stato supporta economicamente  il lavoratore, lo riqualifica professionalmente, e fa da tramite con il mercato del lavoro: alla seconda proposta di lavoro rifiutata, basta. Aboliamo il valore legale dei titoli universitari e le categorie professionali: lasciamo che tutti possano in poco tempo e senza lacci, realizzare la loro impresa e le loro professioni, neghiamo alle varie corporazioni qualsiasi "diritto" alla protezione! Togliamo i regolamenti che vincolano le attività economiche, dagli orari, ai giorni di apertura. Facciamo delle nostre metropoli delle piccole New York dove non si dorme mai ed evitiamo divieti inutili come quello di Alemanno sui cornetti dopo l'una di notte ...
Per il sud un bello shock fiscale (basta con i contributi a pioggia alle mafie): incentiviamo l'impresa economica e l'occupazione con un anno di zero tax.

Utopia (sintesi).

La sintesi di ciò è la sua irrealizzabilità. L'Italia ha i suoi anticorpi contro la libertà, fatti di regolamenti centrali e locali, di politica e cultura politica, di sindacati e di corporazioni, accumunati dalla condivisione del principio che l'Italia "è il paese dove tutto è vietato tranne che ciò che è espressamente permesso" - citando Ostellino -  e il loro potere è direttamente proporzionale al "vietato".

Un giorno, tra non poco, forse diventeremo più "occidentali". Un "paese dove tutto è permesso, tranne ciò che è espressamente vietato", ma bisogna accogliere prima di tutto in noi la responsabilità dell'indipendenza.

Non sarà facile.

 

 

 
 
 

Million Dollar Baby

Post n°14 pubblicato il 05 Marzo 2009 da liberemanuele
 

Un film può piacere, divertire, può farci sognare altre vite o semplicemente far passare una serata piacevole. 

Questo non è uno di quei film.

Non parlerò della trama, consiglio di vederlo a chiunque non l'abbia già fatto: merita come altri pochissimi. 

Ciò che è successo con il caso Englaro, la trama della legge sul testamento biologico, il Vaticano, i TeoDem, i TeoCon e quant'altro la cronaca politica ci offra, ci rende il quadro di una realtà distante miglia dal vissuto di certe esperienze, che invece  rendono necessaria la presa di contatto con esigenze profonde, che possono vedere anche nell' "eutanasia" una risposta.

Questa ci è presentata come qualcosa di mostruoso, indiscutibile ed indisponibile, come se dall'alto delle loro autorità, "lorsignori" - scusate l'espressione panneliana, sapessero ciò che è bene e ciò che è male.

Ma questa è vera inumanità!

Come si può avere la pretesa di decidere per gli altri, soprattutto in certe situazioni?! 

Ognuno di noi nasce con la sacra "libertà" - non diritto, nessuno ha l'autorità di rinoscermi un bel niente! - sulla propria vita! Se dopo un tutto di esperienze, si arriva a una decisione tanto sofferta, come quella dell'eutanasia, allora nessuno può arrogarsi alcunchè! 

Ho passato due lunghissimi mesi anni fa, avvitato in quattro punti sulla testa - avevo rotto il collo - e notti insonni a pensare se non fosse andata bene: avrei desiderato di vivere paralizzato dal collo in giù? La risposta è NO!
Non rinnego niente, una serata più intensa e pregna può giocare brutti scherzi, se poi si è sopra una due ruote il rischio è tutto tuo. Non la sorte, non il fato o il destino ha voluto che mi scontrassi con una Mercedes, la responsabilità è la mia: e la rivendico con orgoglio, perchè è stato il vissuto che mi sono scelto che mi ha reso libero, non altro. Mi è andata bene, ho avuto tempo per riflettere e crescere, ma senza rinnegare nulla: l'incidente mi ha regalato molto e mi ha tolto relativamente poco.

Però non dimentico: l'insegnamento che quest'asperienza mi ha dato è che la vita da tanto e a volte toglie. Ma la libertà è nostra! Nessuno può arrogarsi il "diritto" di togliercela.

"Chi vive nella libertà ha un buon motivo per vivere, combattere e morire."  Winston Churchill

Per quanto riguarda il film, dopo averlo consigliato a chi non l'avesse ancora visto, è un opera che resisterà agli anni: Clint Eastwood - attore e regista che adoro, interpreta tutte le sfacciettature di una parte drammatica e difficile da rendere per il grande schermo. Ma lui ci è riuscito. Hilary Swank e Morgan Freeman completano un cast da Oscar. 

 
 
 

L’irresponsabilità del mito della “gente comune” e l’assurda “decrescita dolce”.

Post n°12 pubblicato il 03 Marzo 2009 da liberemanuele
 

"... l'effetto stressante della civiltà: è disagio a conseguenza del collasso della civiltà chiusa. Lo stress prodotto dallo sforzo che la vita in una società aperta e parzialmente astratta richiede continuamente da noi, con l'esigenza di essere razionali, di rinunziare ad alcuni almeno dei nostri bisogni sociali emozionali, badare a noi stessi e di accettare la responsabilità". Karl R. Popper


Ormai è parte del linguaggio politico, l'uso-abuso del richiamo alla gente comune: "ma tanto alla gente questo non interessa!"; "perché la gente si è rotta le scatole della politica, la gente vuole questo e quello!". Questo tipo di esercizio retorico evidenzia una debolezza culturale della politica, che non sapendo più che pesci pigliare, si attacca alle esigenze elementari e istintive dell'uomo della strada per poter aver qualcosa da proporre. Peggio, legittimata dalla "volontà generale", può arrogarsi qualsiasi tipo di nefandezze. La nostra cronaca politica non manca di darcene prova quotidiana.

Ma non a caso ho usato "volontà generale", concetto introdotto da Rousseau, ispirato a ideali collettivistici e romantici, ma che ha intrinseco passioni riprovevoli (il nazionalismo principio di razzismo). Infatti per Rousseau il popolo, riconosciuta una volontà, doveva elevarla a super-personalità: nel rapporto con lo straniero, esso diventa uno solo, un individuo. Questa "volontà generale" è concetto pericoloso per le potenzialità nefaste che porta.

Chiunque può nascondersi dietro di essa e giustificare le peggiori proposte o evitare riforme necessarie ad un ordinamento democratico. Le ronde di matrice leghista, oggi previste per legge, sono il frutto di questo accresciuto imbarbarimento della proposta politica. La crisi economica che stiamo vivendo, aumenta quel disagio, che Popper direbbe dovuto allo stress della civiltà aperta, è lo esaspera. Allora quella "volontà generale" diventa sempre più "individuo", nella condivisione di intenti, in quel rispolverato "buon senso" della "società chiusa", in quel rifiuto sempre più legittimato dei principi astratti - quali libertà, uguaglianza, umanitarismo -  della "società aperta". Ci si riscopre pragmatici, pronti a voltare pagina in senso opposto: per tornare indietro. Il sindaco di Roma già propone la svolta col coprifuoco del cornetto: niente più fragranti brioche dopo l'una di notte. Oppure si riscopre la caccia anche per i sedicenni: così vanno a letto presto.

Mi sembra molto attuale la descrizione che Benedetto Croce faceva della stagione italiana delle leggi razziali: " ... ciò che mi opprime veramente è la condizione generale degli spiriti in Italia e fuori d'Italia, le malvagità e la stupidità in cui siamo immersi e quasi sommersi ...". 

Questo ritorno a una concezione tribale della società, trova la sua fonte primaria nella "volontà" della gente comune.

 Negozianti sempre più pronti all'uso della pistola - nonostante quello all'autodifesa è discorso a se stante e che meriterebbe una sua trattazione, una diffusa intolleranza allo straniero, il fenomeno di un esasperata pubblicità al Made in Italy e al comprare italiano, un riscoperto anti-cosmopolitismo, l'insofferenza dell'economia nazionale alla competizione e alla concorrenza, forme di assistenzialismo sempre più esasperato. Senza contare che oramai si può prendere qualsiasi tipo di provvedimento e nascondersi dietro il solito: "è la gente che lo vuole!".

La "decrescita dolce".

Nel fronte opposto prendono il sopravvento i pionieri della "decrescita dolce", una trattazione sicuramente più sofisticata del problema politico, ma non meno assurda. Il tema cruciale è uno: l'arricchimento e il sistema che abbiamo adottato fin'ora è insostenibile, bisogna cambiarlo e decrescere. In parte ne ho già parlato nel post precedente, per quanto riguarda le tematiche energetiche. Qui voglio accennare alla questione morale che porta con se la critica al sistema economico odierno.

Innanzi tutto, la prima obiezione che muovo contro i paladini della "decrescita" è che le cause umanitarie le sostengono solo le società ricche. Quello che viviamo oggi è un periodo in gran parte felice, perché possiamo permetterci di dedicare relativamente poco tempo al lavoro, godiamo di una diffusa cultura del tempo libero e abbiamo le risorse per pensare al nostro prossimo.

Si dice che la competizione propria del capitalismo, abbia ridotto i nostri rapporti personali a meri rapporti di forza.

Voglio qui ricordare che, l'autore della "Ricchezza delle nazioni" e padre del liberalismo economico, Adam Smith, si è posto il problema, cruciale nel suo pensiero, dell'allocazione di quei principi umanitari e morali come la simpatia, la benevolenza e l'amore di se.

"Per quanto l'uomo possa essere supposto egoista, vi sono evidentemente alcuni principi nella sua natura che lo inducono a interessarsi della sorte altrui e gli rendono necessaria l'altrui felicità, sebbene egli non ne ricavi alcunché, eccetto il piacere di constatarla".

Il liberalismo economico riconosce un ruolo ben importante al umanitarismo - in gran parte scisso dalla Stato e dal suo ruolo, in quanto concepisce l'economia non riducibile a numeri, ma come quell'insieme che è "l'azione umana" (titolo di uno dei testi di riferimento della Scuola Austriaca di Economia, scritto da Ludwing von Mises).

I rapporti di forza fanno parte semmai di ben altra scuola di pensiero, quella che si richiama a nomi echeggianti, come Platone ed Hegel: che facevano passare l'affermazione di se sulla pelle degli altri, che per natura o capacità non meritavano, arrivando alla teorizzazione della schiavitù. Ma questo è bagaglio culturale di ben altre matrice, profondamente illiberale, a cui si ascrive quella parte di società che crede, e oggi con rinnovato vigore, nella verticalità dei rapporti, che gode nel permettere le cose dall'alto del suo potere, che si esprime in un indecifrabile non senso fatto di paroloni e concetti a sproposito e che si atteggia ad alta autorità.


In molta parte faccio riferimento al pensiero e l'opera di Karl Popper, mi si può accusare di poca originalità, ma non è mia la presunzione di offrire qualcosa di nuovo, più modestamente voglio solo  proporre una chiave di letture dell'attualità politica.



 

 
 
 

L’insostenibile ingegneria sociale del “Green deal”.

Post n°11 pubblicato il 24 Febbraio 2009 da liberemanuele
 

"Project Indipendence"

Il mito del "l'indipendenza energetica" è il cavallo di battaglia dell'amministrazione Obama, che vuole far passare l'uscita dalla crisi economica, attraverso la riconversione ecologica del sistema energetico americano. L'obbiettivo non è nuovo per gli Stati Uniti: già nel 1973, dopo tre settimane di embargo petrolifero arabo,  Nixon presentò alla nazione il "Project Independence" con il quale entro sette anni, avrebbero soddisfatto "autarchicamente" i propri bisogni energetici.

Ovviamente questo è un punto estremamente discriminante rispetto alla politica di integrazione globale dell'amministrazione Bush.

Gli Stati Uniti - a discapito dell'opinione diffusa, si riforniscono di petrolio e gas naturale principalmente dal Canada. La seconda fonte di approvvigionamento è il Messico e la terza il Venezuela - la quale col "socialismo del Ventunesimo secolo" di Hugo Chàvez sta nazionalizzando il settore privato e talvolta minaccia un embargo sui prodotti petroliferi diretti verso l'America.

Ma l'inconsistenza basilare della soluzione del "l'indipendenza energetica" è che esiste un solo mercato petrolifero mondiale e quindi anche nel caso gli Stati Uniti non importassero petrolio, sarebbero comunque sottoposti alle turbative delle forniture di petrolio al di fuori dei suoi confini.

Storicamente gli americani sono stati il primo esportatore al mondo di petrolio, nei tre decenni dopo Nixon sono passati dall'importare un terzo del loro petrolio ad importarne il 60%, ma se poi si parla di dipendenza energetica in senso più ampio le cose cambiano. Infatti il paese è autosufficiente al 70% per l'energia totale (carbone, nucleare e la crescente energia rinnovabile).


Le nuove "energie"

Paradossale la sorte del petrolio. In principio esso era considerato un carburante "verde", in quanto aveva decurtato la dipendenza dall'inquinante carbone inglese e prese il posto di alcuni biocarburanti come l'olio di balena. La parola biocarburante può assomigliare a una bestialità se accostata alla strage di balene di quei periodi, ma oggi i nuovi biocarburanti derivati da materie prime alimentari come il grano, spingerà i prezzi di quest'ultime a livelli altissimi. Tutto ciò è un male soprattutto per la parte più povera del mondo per tutte le ripercussioni che porterà al loro approvvigionamento alimentare.

"Le crisi energetiche non ci hanno ancora sopraffatto, ma lo faranno se non agiremo rapidamente. ... La cosa più importante, in queste proposte, è che l'alternativa potrebbe essere una catastrofe nazionale. Ogni rinvio può influire sulla nostra forza e potenza come nazione"   Presidente Jimmy Carter, 18 aprile 1977

Con queste parole il presidente Jimmy Carter inaugurava una stagione di lotta alla crisi energetica, varò sussidi per l'energia solare, eolica ed incoraggiò il risparmio energetico. L'invasione di pannelli solari fu accompagnata dal probabile avvento della macchina elettrica, inoltre Chrysler abbandonò la sua linea di vetture grandi. Anche allora l'idea che i mercati fossero troppo ottusi nel non aumentare i prezzi in maniera sufficiente a rendere necessari i carburanti sintetici si dimostrò solo un' arroganza.

Ad oggi il costo dell'eolico è concorrenziale al contrario del fotovoltaico. Le sovvenzioni federali in America aiutano l'uno e l'altro senza considerare che il primo non ne ha bisogno e il secondo non è ancora pronto.

"Eppure, molti sostengono che le energie rinnovabili siano la risposta al problema degli alti costi dell'energia, il che è un po' come Maria Antonietta che suggerisce ai contadini senza pane di mangiare brioches" Michael C. Lynch

Non è il momento di sprecare denaro in forme di approvvigionamento energetico anti economiche o non ancora pronte. Se prescindiamo da una visione del "mercato far-west" e approcciamo il mercato per quello che è, cioè la misesiana "azione umana", eviteremo inutili disquisizione su ciò che è giusto fare, intese come qualcosa che venga dall'alto e lasceremmo decidere al mercato, che poi siamo noi. Quando sarà il momento e saranno convenienti anche nuove forme di energia, queste si faranno strada da sole e vivranno di "luce propria".


Il risvolto politico: l'ingegneria sociale.

"La buona notizia è che le politiche necessarie per contrastare il cambiamento climatico sono le stesse che occorrono per risolvere la crisi economica e quella energetica"  Al Gore

"Né singoli provvedimenti, né un miglior ministero dell'ambiente per quanto necessari e sacrosanti potranno davvero produrre la correzione di rotta, ma solo una rifondazione culturale e sociale di ciò che in una società si consideri desiderabile." Alex Langer

Ci troviamo di fronte ad un chiaro influsso di ingegneria sociale o socialismo "scientista". Secondo Friedrich von Hayek - studioso austriaco che ha affrontato l'argomento nel "L'abuso della ragione", le elite culturali sono affette dal virus del "razionalismo costruttivista", per cui basterebbe riunire attorno a un tavolo gli scienziati più importanti per raggiungere quindi imporre una società migliore.

Capita sovente che gli assertori dell'ambientalismo energetico, auspichino a una presa di posizione dall'alto, che non tenga conto dello svantaggio economico o più semplicemente del radicale cambio d'abitudini e propongano così di "riprogettare" e "rivedere" la cultura in chiave ecosostenibile.


Ho fatto riferimento in larga parte per i dati dall'Occasional Paper di Michael C. Lynch "Crocifissi su una croce di biomassa?" e l'IBL Focus N.45/2007 di Daniel Yergin "Indipendenza Energetica", entrambi reperibili dal sito dell'Istituto Bruno Leoni - vedi link.

 

 

 
 
 

Serata in teatro. La prima.

Post n°10 pubblicato il 12 Febbraio 2009 da liberemanuele
 

Ho 22 anni, vivo in campagna vicino ad un paesino. Tutto sommato a venti minuti da Perugia, città che organizza vari eventi di cui andare orgoglioso. Alcuni, di cui sono affezionato partecipante, sono nei link, ma il teatro mi mancava. 

L'occasione è stata la messa in scena della commedia del mio amato Eduardo De Filippo, "Filumena Marturano". Ho collezionato vari DVD, con spettacoli interpretati da Eduardo stesso, e mi sono subito appassionato alla sua recitazione: amara e ironica, condita di tic e gesticolazioni tipicamente italiane  e che donano il marchio inconfondibiile della sua opera. Insieme alla sua fisicità asciutta, dal viso notevolmente scavato ed espressivo. Ovviamente dal vivo è un' altra cosa, Luca De Filippo, figlio di Eduardo, conserva alcuni tratti del padre e un affermato talento, ma la sorpresa è stata Lina Sastri, un' inerpretazione toccante, aiutata sicuramente dal ruolo.

L'altra sorpresa sono stati i "loggioni" - credo si chiamino così i posti alti del teatro, intimi, da dove si può godere in pace lo spettacolo, nelle pause conversare senza paura di essere spiati o sovrastati dalle altre voci. Abituato come sono al cinema, dove si è ormai bloccati in una "comoda" poltroncina, senza nessuna pausa e costretti in un unica posizione per tutto il tempo, è stato veramente una piacevole sorpresa.

Infine il saluto della compagnia, con inchini ad ogni apertura di sipario, ripetuto il tutto per sette o più volte e puntuali gli applausi sempre più scroscianti. 

Finito, non è come al cinema dove c'è una generale fuga, ma tutti ordiantamente tra le chiacchere, ci si direziona alla porta.


"C'aggi' a fa? Tu saie tutto..saie pure pecché me trovo int' 'o peccato. C'aggi'a fa?" Ma essa zitto, nun rispunneva. E accussì faie è ovè? Cchiù nun parle e cchiù 'a gente te crede? Sto parlanno cu te!.... Rispunne! 'E figlie so' figlie!' Me gelaie. Rummanette accussì, ferma. Forse si m'avutavo avarrìa visto o capito 'a do' ne veneva 'a voce: 'a dint' 'a na casa c' 'o balcone apierto, d' 'o vico appriesso, 'a copp' 'a na fenesta.... Ma penzaie: 'E pecchè proprio a chistu mumento? Che ne sape 'a gente d' 'e fatte mieie? È atat essa, allora... È Stata 's Madonna! S'e vista affruntata a tu pe tu, e ha vuluto parlaà... ma ... allora, 'a Madonna pe' parlà se serve 'e nuie.....E quanno m'hanno ditto: 'Ti togli il pensiero!', è stata pur'essa ca m'ha ditto, pe' me mettere 'a prova! E nun saccio si fuie io 'o 'a Madonna ca facette cu 'a capa accussì!" 


Una bella serata dopo giornate amarareggiate dalla cronaca politica e dure nel lavoro.

 
 
 

E ora solo silenzio.

Post n°9 pubblicato il 10 Febbraio 2009 da liberemanuele
 
Foto di liberemanuele


Dichiarazione di Benedetto Della Vedova, presidente dei Riformatori Liberali e deputato del Pdl:

“La sorte o la provvidenza hanno risparmiato ad Eluana, alla famiglia e agli italiani le immagini devastanti di una donna morente sequestrata dai carabinieri, che avrebbero scortato medici cui veniva, per legge, imposto di accanirsi su un corpo inanimato da 17 anni.

La lezione civile e morale che Beppino Englaro ha impartito ad un paese, che comunque stava dalla sua parte, è quella di avere saputo combattere per la libertà e il diritto, anche contro chi gli rimproverava di non avere agito nell’ombra, come troppo spesso accade e non deve più accadere.


Eluana, dopo un calvario clinico e giudiziario di 17 anni, se n’è andata in pace secondo la sua volontà, tenacemente e fino in fondo rispettata dalla sua famiglia, contro il tentativo dello stato di sequestrare anche quel che rimaneva della sua esistenza biologica.”


da http://www.riformatoriliberali.it


Il caso Englaro qui finisce. 

Ora, dopo tante fiaccole e fiammate di passione reazionaria contro il Presidente della Repubblica - rivelatosi una decisa e ferma istituzione di fronte gli scomposti attacchi della maggioranza, contro la Giustizia, contro l'individuo, bisogna ricomporre "i cocci".

Al Senato stasera è stato rimandato tutto di, al massimo, due settimane, poi avremo, a quanto esponenti della maggioranza e opposizione affermano - Binetti e UDC su tutti, una legge che affermerà l'obbligo dell'accanimento terapeudico. Anche di fronte ad una manifestata volontà di non voler sopravvivere a certe condizioni, lo Stato passa sopra l'individuo e lo intuba a forza, finchè "morte naturale" non sopraggiunga... già,  fino a quando la scienza non batterà anche quella che oggi potremmo intendere come "morte naturale", e sposti così il limite ancora più là. 
Chissà, forse proprio i credenti, coloro che vedono nella morte il compimento e completamento della vita, vogliono sconfiggerla e obbligarci a vivere secondo quello che è
 scientificamente possibile
Quelle che una volta erano nemiche, sono oggi alleate: la sacralità della vita passerà attraverso respiratori, intubazioni, cuori artificiali e quanto altro la scienza metterà a disposizione. 




 

 
 
 

Vita, morte e... senza miracoli.

Post n°7 pubblicato il 05 Febbraio 2009 da liberemanuele
 

 

 

La libertà di cui godiamo noi occidentali, credo passi da ciò che il filosofo David Kelley ha chiamato la "prospettiva imprenditoriale della vita", la proprietà esclusiva sulla propria vita. 
Da questo parto per sviluppare la mia critica nei confronti dell'atteggiamento politico - generale anche se più marcato nel centro destra - sul caso Englaro.

 

Siamo un paese cattolico, dove "nessuno non può non dirsi cristiano" - come affermò l'ex presidente del Senato Pera, perciò da noi difficilmente si potrà mai pensare a una legge sull'eutanasia (che tanto dà da pensare alla nostra politica e chiesa). Questo però non vuol dire si possa far passare altrettanto pacificamente una linea a difesa del cosiddetto "accanimento terapeutico".

 

Che cosa centra lo Stato nella vicenda Englaro?

 

Nulla, consiglierebbe il buon senso. La vicenda familiare e umana di Eluana è qualcosa di profondamente privato, non riguarda la società, non riguarderebbe la famiglia, ma solo lei: Eluana. Il suo caso però è quanto di peggio il destino può prospettare: la forma umana ha ormai una vita vegetale. Alcuni potrebbero obbiettare o gridare alla bestemmia, anche se in campo medico è più che usato l'attributo "vegetativo" a un determinato stato umano. Questo ci rende incapaci di contatto con l'esterno o, a mio modo di vedere, ci ha staccato la spina, anche se gli altri sperano che sia solo uno standby.
Il povero paziente così, privato della capacità di poter esprimere la sua volontà, mette il suo destino in mano ai suoi cari. Questi ultimi hanno tra le mani una responsabilità enorme: il destino di una persona, in quanto essi sono gli unici in grado di avvicinare quanto più possibile, la sorte alla volontà del paziente. Il loro è un dovere morale quanto più grave.

 

Non sono un "idealista" né un "essenzialista". Credo che la vita ognuno abbia la sua e possa quindi decidere solo per la sua. Non mi sto a chiedere che cos'è o qual è la sua origine (perciò non mi pongo questioni di sacralità, ma solo di rispetto: rispetto della proprietà altrui). Tutt'al più posso comprendere la sua "indisponibilità" una volta concepita, quindi i vari protocolli che regolano la pratica dell'aborto, in quanto siamo in presenza di una vita indifesa e che non ha mai espresso un volontà.

 

Ma qui la questione è completamente diversa, siamo in presenza di una persona che nella pienezza della sua facoltà e nell'intimità della sua famiglia, in un' occasione specifica - stando alle parole del padre, espresse la volontà di morire nel caso fosse ridotta, per qualsiasi motivo, a stato vegetale.
Qui si pone in essere, per la società tutta, il categorico dovere di stare all'interpretazione che la famiglia dà, delle volontà di Eluana.

 

Altrimenti in che cosa la famiglia è un valore? Nessuno si deve permettere di mettere in discussione ciò che la famiglia decide tenendo conto della volontà della paziente, almeno che si abbiano prove certe che la volontà di quest'ultimo fosse diversa. In questo ci correrebbe in aiuto lo strumento del testamento biologico, che sembra ormai argomento per lo meno di discussione in ambito politico.

 

Non stiamo parlando di "eutanasia" sia ben chiaro, benché non abbia niente contro e anzi sono personalmente favorevole, è una questione del tutto diversa: Eluana dipende da delle macchine, la sua è una terapia permanente e che perciò prefigura, se ancora protratto, un "accanimento terapeutico".

 

Molti sostengono che si deve sperare nel "miracolo", perché nulla vieta che un giorno si trovi una cura o Eluana stessa riprenda le sue facoltà. Ma questa è un affermazione infondata, si basa su un "credo"  e questo è affare tutto individuale: la generalizzazione ci porta dritti allo "stato etico". Da occidentali bisogna approcciare il problema in maniera laica, così bisogna garantire gli spazi di autodeterminazione della persona, anche quelli che mirano a dare disposizioni future nel caso venga a mancare la propria capacità diretta di esporle.

 

 

 

     Il governo nel caso Englaro esce male.
 Il Ministro Sacconi ha dato prova di come un governo possa prevaricare una famiglia e il suo dolore privato - dimostrando così un oltraggioso non rispetto
 

 

 

 
 
 

Il Belpaese: uno stivale stretto.

Post n°6 pubblicato il 01 Febbraio 2009 da liberemanuele
 

Amata, odiata Italia

 

Cos'è la democrazia?

E' stato detto che le democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre ad oggi sperimentate.                                                                                                                                Winston Churchill

Nel opinione corrente, ma anche nei dibattiti o nei comizi, la democrazia è indicata come governo del popolo. Tale interpretazione, rigorosa sotto un profilo etimologico, è il precipitato di una domanda per lo meno ingenua: chi deve governare? Questa è la domanda che molto del pensiero politico si è posto. Platone risponderebbe i saggi, Marx il proletariato.
Ma il problema non è questo. Gli antichi greci lo sapevano, così si spiega l'introduzione della pratica dell'ostracismo, una precauzione contro l'avvento del demagogo, del dittatore popolare (ricordiamoci che Hitler - che alla domanda "chi deve governare?" avrebbe probabilmente risposto "io" - nonostante non avesse mai vinto una libera elezione in Germania, in Austria ottenne un  enorme consenso). Con questo ci vacciniamo anche dalla superstizione che il popolo non può essere ingiusto.
Con la domanda "chi deve governare?" si finisce per definire chi deve "dominare", mentre è proprio questo che la democrazia deve evitare. La domanda giusta è quale obbiettivo deve avere il nostro governo, e il migliore mi sembra quello della garanzia della libertà. Non fosse per altro che nella storia, gli stati che perseguivano i fini più nobili o i paradisi in terra, sono finiti tutti per istaurare dittature sanguinarie.

Lo Stato non deve essere più forte di quanto basta a garantire che ogni cittadino abbia tanta libertà quanta è compatibile con la minore limitazione di libertà altrui.

 

L'Italia.

 ... un governo paternalistico (imperium paternale) ...    è il più grande dispotismo pensabile.                                                          

Immanuel Kant

 

Cittadini a rischio zero. Cittadini a libertà zero.

http://www.liberilibri.it/


Fatta la premessa ora trattiamo l'eterna ammalata Italia. Stato di unica bellezza e storia, terra di poeti ed intellettuali, inventori, artisti, terra di talenti e matrice di molte delle artistiche creazioni umane sparse per il mondo, intrappolata però da mille nodi e retaggi del passato, dai quali non riesce e probabilmente, in gran parte, non vuole districarsi. L'italiano è qualcosa di particolare: siamo sempre pronti a fare critica distruttiva parlando delle nostre cose, poi però se scendiamo nel particolare, c'è sempre qualche motivo di religiosa importanza - perciò non spiegabile, per cui tutto debba rimanere com'è. Il nostro raziocinio ha dei limiti, volontari e spesso puramente estetici, per cui siamo sempre pronti a fermare il cambiamento, a sostenere il mito della stabilità. In fondo in questo ci riconfermiamo profondamente "intellettuali", Platone con la sua Repubblica affermava e promuoveva lo stato ingessato, sotto il comando del saggio che cristallizzava la società, le sue ambizioni e ricchezze così che esse poteva rimanere il più possibile fedele alla sua essenza.

Il paternalismo italiano passa per  la marea indefinita di leggi, regolamenti, burocrazia e una lunga costituzione - che ha l'ambizione di regolare e prevedere la società, che fa dell'Italia il paese dove tutto è vietato tranne ciò che è espressamente permesso ... poi, che quest'ultimo sia permesso è discutibile. Mentre la norma sarebbe che è tutto permesso tranne tutto ciò che è esplicitamente vietato.

Il buon senso ci dice che poche ma buone leggi, come il sistema anglosassone - dominato dalla common law, o anche dal buon senso, sia migliore, soprattutto per i cittadini ma anche per la qualità dei codici. Tante leggi creano un sistema indefinito, dove muoversi è difficile e dove l'iniziativa è strozzata da questa overdose normativa.

Lo stivale è troppo imbottito, piede e caviglia sono immobili, in più non scalda: non ci siamo accorti che sarebbe bastato avere una imbottitura anche sottile ma di qualità, per essere più agili e protetti.

Eppure il nostro è un paese molto attaccato alle istituzioni. Non tanto nel senso del rispetto - che anzi dal '68 in poi è scemato clamorosamente, ma dalle smisurate aspettative che nutriamo in esse, che ci condannano ad essere interdipendenti, se non qualora "moderni schiavi" del sistema di potere da esse rappresentato.
C'è una bellissima pagina di Tocqueville, in cui ci dice che nella democrazia più anziana ad oggi esistente, l'America,  quando si deve costruire un asilo, un piccolo ospedale o fare un lavoro di interesse generale dalle dimensioni contenute, i cittadini non
vanno dal politico - espressione che da noi richiama tutta la letteratura e la vita della cosiddetta Prima Repubblica, ma che ancora oggi possiede un richiamo pratico nemmeno tanto ridimensionato, ma si riuniscono in comitato, fanno un "found raising" e costruiscono o fanno ciò che gli abbisognava.

L'Italia è un po' il paese dell' "io speriamo che me la cavo", della clientela politica, dove non è tanto importante ciò che è utile alla massimizzazione della libertà di iniziativa, ma i "sistemi di potere" dove quest'ultima filtra, a vari livello: locale in un piccolo comune, regioni e provincie, nord e sud o addirittura nazionale.
Cos'è la Mafia se non un sistema di potere: esso esemplifica, con gli eccessi che conosciamo, come funziona il nostro paese. Il sistema di potere sono le varie famiglie che si spartiscono il territorio siciliano; l'imprenditore che vuole mettere mano al piano regolatore del comune, la madre che cerca lavoro per il figlio, l'anziano che vuole asfaltare la strada, per ottenere ciò che vogliono devono fare riferimento alla famiglia del territorio.

Nonostante il mio interesse nei confronti di un certo filone di anti-italiani, quello conservatore - cui posso citare quelli a me più cari: l'anarchico Prezzolini, dalla orgogliosa tempra indipendente, della quale più umilmente mi riconosco o cerco di avvicinarmi e Montanelli, cui grazie alla vorace lettura della sua "Storia d'Italia" sono riuscito a capire qualcosa del mio paese ai miei tempi di ragioneria. Questo non vuole essere un post o un blog anti-italiano.
Prima di tutto per l'importanza relativa che do all'essere italiano - profondissima invece in persone come Longanesi, Prezzolini o Montanelli - e perché la mia è semmai, una critica liberale. L'autore cui faccio riferimento in questo post è principalmente Karl Popper.    

 

 

 

 

 
 
 

Benedetto VXI e i "fratelli maggiori".

Post n°5 pubblicato il 28 Gennaio 2009 da liberemanuele
 

 

 

                       Dialogo cristiani-ebrei

 

Sulla scia della giornata della memoria, vorrei riprendere un punto della riflessione di ieri: Benedetto XVI e gli ebrei.

La notizia di questi giorni della riabilitazione dei vescovi cui, per il Vaticano,  avevano accettato un’ ordinanza “valida ma illecita” da parte di Lefebvre: perciò scomunicati, è di per se un atto della più larga opera di ricomposizione da parte del Papa, ma può determinare un “disorientamento” nel mondo cristiano. Così Alberto Melloni in un’ intervista di questi giorni al CorSera e specifica il perché.

<< … l’antisemitismo è non un accessorio, ma una parte costitutiva del lefebvrismo. Lefebvre si battè nel Concilio Vaticano II contro l’abbandono dell’interpretazione degli ebri come “popolo deicida”, perché contraddiceva l’insegnamento dei Pontefici del passato. … Qui c’è stata una rapidità di esecuzione che non ha calcolato le conseguenze >> .

La conseguenza è il disorientamento: Vaticano II è un atto con il quale misurarsi o un optional? Nella loro richiesta di riabilitazione, essi accettano si la sottomissione al Papa e gli insegnamenti della chiesa cattolica romana, ma non includono il Vaticano II quando la questione è proprio questa. Sempre Melloni conclude << … Non accettare il Vaticano II significa contraddire ciò che Pio IV, Pio IX e Paolo VI hanno ribadito in diverse occasioni storiche: non è possibile permanere nella Chiesa cattolica se non si accettano le decisioni adottate da un concilio>>.

Può Ratzinger essere così insensibile verso il popolo che lui stesso definì “fratelli maggiori”, fino a tenere in così poca considerazione l’apertura conciliare fatta da Vaticano II, creando una situazione di “disorientamento” dentro la Chiesa stessa? Senza poi considerare il caso del monsignor Williamson.
Intanto gli ebrei si allontanano da un “fratello minore” così insolente, che riconosce e riabilita chi apre ferite ancora così sanguinanti.

Un percorso, quello di avvicinamento tra cristiani ed ebrei, che va avanti da ormai cinquant’anni e di cui il pontificato di Benedetto XVI sembra essere un momento di fermo se non di indietreggiamento rispetto agli alti raggiunti da Giovanni Paolo II. 

 

Questa vicenda è l’apice raggiunto dall’era Ratzinger: nel 2007 c’è il ricevimento del direttore dell’emittente polacca Radio Maryja, Tadeusz Rydzyk, noto per le sue affermazioni antisemitiche; poi la reintroduzione della preghiera nel Venerdì Santo per gli ebrei, che nella formula precedente al 1959 era  oremus et pro perfidis Judæis” - tradotta “preghiamo per i perfidi Giudei”, poi modificata per coadiuvare il dialogo tra cristiani ed ebrei e oggi riproposta più addolcita.

La questione non è facile, in ballo l’importante rapporto tra cristiani ed ebrei, quest’ultimi sentono il peso di alcuni atteggiamenti papali e hanno momentaneamente sospeso i rapporti ufficiali con il Vaticano.
Intanto Benedetto XVI
rompe il silenzio sul caso Williamson: «Solidarietà agli ebrei, no al negazionismo e al riduzionismo»


 

 
 
 

L'orrore non ha fine.

Post n°4 pubblicato il 28 Gennaio 2009 da liberemanuele
 
Foto di liberemanuele





In questi giorni non manca occasione per riconoscere l’ orrore.


Il giorno della memoria sta a ricordarci l’apice che esso può raggiungere.


I vari casi di stupro sulle prime pagine dei giornali, ci apre gli occhi sul fatto che esso aleggia in mezzo a noi.


Ma l’orrore è anche il silenzio, l’accettazione passiva di ciò che succede o la complicità implicita di certe opinioni incredibilmente diffuse o di certe teorizzazioni di alte autorità intellettuali o religiose.


 


Così come l’ignoranza porta troppi a dire che le vittime spesso se la sono cercata, siano queste ultime ragazzine o un intero popolo, talvolta si può incappare in un vescovo revisionista che nega l’esistenza dei forni crematori (il Papa magari avrebbe dovuto avere il gusto di evitare di togliere la scomunica  al vescovo lefebvriano monsignor Richard Williamson, ma tant’è che Benedetto XVI sembra voler continuare nella sua linea ostile verso gli ebrei: non mancherà occasione di parlarne).


Totale assenza di rispetto. Ecco cosa è l’orrore, ciò che esso rappresenta nella sua forma più estrema: mancanza di  rispetto della vita altrui, asservimento dell’altro al proprio potere oltraggiandone la persona e la sua essenza.


A Roma una coppia come tante si è vista calpestare nel suo insieme, nel suo amore e nelle individualità che ne sono parte.


Lui privato completamente della sua funzione protettrice della coppia, disarmato, picchiato, disonorato di fronte alla creatura che avrebbe voluto proteggere e assistere, piegato alle schifose ed orrende voglie del gruppo dei quattro sulla sua ragazza e forzato a spettatore dello spettacolo raccapricciante.
Lei nella esile forma dei suoi ventuno anni, invece di una serata d’amore con il suo compagno, ha dovuto fare i conti con l’orrore di essere pretesa con la forza, schiacciata nella volontà dalla prepotenza della violenza di chi pretende senza guardare in faccia al prossimo.


Una coppia come tante, che senza colpe si è vista violata nella sua intimità: nell’impotenza di lui, sul corpo di lei, vittima che si porterà dietro i segni fisici e metafisici, di una sera che ha cambiato tutta una vita.


 


L’orrore di chi nella codardia, si nasconde nel gruppo, e compie ogni genere di schifo.


L’orrore di chi legittimando una superstizione voleva spazzar via  dalla faccia della terra un intero popolo.


L’orrore di chi guarda a tutto questo e non sa bene da che parte stare.


 

 

 

 
 
 

Per la memoria, senza andare troppo lontano.

Post n°3 pubblicato il 27 Gennaio 2009 da liberemanuele

israele e la memoria

Sono lieto che ci siano pubblicati tanti post per la giornata della memoria. E' importante ricordare gli orrori del passato per evitarli in futuro. Tutto giusto.

Ma la sola cosa che sento di dover notare, è che oggi lo stesso popolo di cui ne celebriamo la memoria (il 27 gennaio 1945 l'Armata rossa aprì i cancelli di Auschwitz e con essi gli occhi del mondo), è di nuovo sotto attacco.

Un attacco più sottile - in occidente, ma pur sempre un attacco. 
La cosa peggiore è che oggi come allora, le istituzioni tacciono, c'è un discreto prendere le distanze, lasciando nel groppone delle istituzioni israeliane l'onere di difendersi. Gli organi transnazionali, tra cui Onu e Nazioni Unite - e io parlerei volentieri di Europa, se ne lavano le mani. Cosa che non succederebbe se a essere attaccato (per un mese intero e senza poter rispondere) fosse un altro paese occidentale. I caschi blu (esercito terzo), interverrebbero e riuscirebbero a gestire meglio la situazione: le guerre mondiali ci dovrebbero aver insegnato quanto le nazioni siano "irrazionali" in guerra e che la via della collaborazione difensiva internazionale è la sola a garantire pace e prosperità.

Ebbene questa è una vergogna, per questo se davvero "la memoria" deve servire a qualcosa, serva anche a questo. Mi riferisco ad un' iniziativa che proponga Israele in Europa e per far godere la stessa della difesa internazionale che sarebbe garantita a qualsiasi altro paese. Solo così avranno fine le stragi e solo così la Palestina troverà la pace di cui abbisogna.

Pace.

 
 
 

Il Ministro che cita Marx

Post n°2 pubblicato il 27 Gennaio 2009 da liberemanuele
 

Il Ministro che cita Marx

Seguendo i telegiornali è difficile nell'ultimo periodo non incappare in una manifestazione dove sia presente il nostro Ministro dell'economia Giulio Tremonti. Rinvigorito politicamente dalla crisi dei mercati, Tremonti ora gode della legittimazione culturale della sinistra e della ammirazione-fiducia del premier Berlusconi.

Credo che se ci fermiamo un attimo, non possiamo non notare la peculiarità di un ministro di centro destra che si mette a citare Marx, che si fà paladino della lotta al neo-liberismo e portavoce della retorica anti-mercatistica. Un ministro dichiaratamente anti globalizzatore, critico verso la politica di apertura economica a oriente dell'amministrazione Bush e orgoglioso della poco moderna industria nazionale, che proprio in quanto tale, non sarà probabilmente condannata alla ghigliottina economica della crisi.

Fautore dello strumento più paternalistico che uno stato democratico può proporre, che è la social-card: una patente di manifesta povertà, da esibire alle casse dei vari supermercati, tra il fastidio della cassiera e il sorrisino del vicino. 

Tremonti inneggiava alla reazione nei suoi ultimi scritti, verso un Europa vecchia, verso un mercatismo sconsiderato e verso "Cindia" (nome che sintetizza il fenomeno di India e Cina e titolo di un bellissimo saggio di Federico Rampini): un miliardo e mezzo di persone non sfamabili nel breve periodo e che nella tesi tremontiana avrebbero dovuto perire le pene del loro inferno ancora per un po' di anni o decenni.

La tesi di Tremonti non lascia scampo, eppure non tiene conto di un errore più alla base, se vogliamo per certi versi più semplice o meno clamoroso. Il vero errore è delle banche centrali e dei governi, non dell'economia e questo per una semplice ragione: il denaro ha un valore, un tasso di sconto, deciso dalla discutibile autorevolezza delle banche centrali che hanno così in mano un potere immenso. Il premio nobel Friedrick von Hayek (noto per l'influenza economica della sua "Mont Pelerin Society" e per l'ampio respiro dei suoi studi ) ha evidenziato come il denaro sia il mezzo della diffusione della conoscienza nel mercato. Infatti se l'operatore economico non può presumersi onniscente - sarebbe impossibile, per questo le economie pianificate sono fallimentari, tale onniscenza è anche inutile: il prezzo di ciò che gli serve lo indirizzerà verso le alternative più giuste e a fare a meno di ciò che gli è relativamente poco utile. 

Ritornando alla nostra crisi, se la Fed non avesse drogato l'economia di continue iniezioni di liquidità e di denaro a buon mercato, con tassi di interesse che ad oggi vacillano lo zero, gli investimenti non sarebbero stati così clamorosamente sbagliati - o poco oculati. Non ci sarebbe nemmeno stata l'inflazione galoppante dei mesi scorsi.
Se il governo americano non avesse fatto passare il suo appoggio alla "proprietà della casa" - ricordiamoci che l'America è diverso da noi, la loro migliore dinamica, sconta una maggiore insicurezza lavorativa e professionale che può essere assorbita da un sistema di affitti ma non dalla "proprietà di casa a tutti i costi" - , che anzi è diventata bandiera politica, non ci sarebbe stata la bolla immobiliare. 

Gli interventi che si preannunciano prolungheranno la crisi, ritarderanno gli assesti economici di cui abbisogna un soluzione veloce e il conseguente riassorbimento occupazionale. Si preannuncia una nuova Grande Depressione, anche oggi abbiamo i nostri presidenti Hoover, con la loro ambizione: propaganda di interventismo politico e incapacità di analisi.

L'economia se vorrà salvarsi, dovrà contare solo su se stessa e non aspettare che un Roosvelt entri in guerra (storicamente non è stato solo per quello) per riprendere il via.


Per chi fosse interessato consiglio "La Grande Depressione" di Murray Newton Rothbard, della Rubbettino editore, libro con il quale ho passato le vacanze natalizie e mi ha fornito molto spunti per questo post.

 

 
 
 

Si inizia ...

Post n°1 pubblicato il 27 Gennaio 2009 da liberemanuele
 

to POST or NOT ...

Dopo tanto tempo mi sono deciso: ho fatto il mio blog.

Questa è una cosa che covavo da ormai tempo, trovare un modo - e una motivazione - in più per ordinare meglio le mie riflessioni, le mie tensioni, buttarle giù e quindi pubblicarle.

Nella vita di tutti i giorni, negli uffici, nei locali, è difficile trovare il modo di poter esprimersi in modo completo, logico, rigoroso nella propria soggettività. Le chiaccherate sono frugali, veloci, banali nel loro ridursi a spot e una diffusa arroganza tende a far dell'urlato lo stile comune nello scambio di opinioni. 

Credo che questo sia anche riconducibile al fatto che pochi scoprono il piacere dell'ascolto nella loro vita: di quella capacità di arricchirsi, di non partire da parti fatte e di mettersi in discussione. Alla base c'è la grande insicurezza che quindi va mascherata con il risoluto tono urlato, quasi a intimorire l'interlocutore per paura di essere a nostra volta intimoriti dalle sue ragioni.

Questa è la paura di coloro che ingessano la propria mente alle loro piccole verità, le loro piccole ragioni irrazionali, deduzioni nate nell'ignoranza dell'esperienza superficiale. Il fine è una stabilità fasulla, un principio totalitario: il presupposto della "società chiusa".

Fatta la premessa, voglio con questo blog, trattare i vari campi della nostra vita sociale: dalla politica, all'economia, fino a qualche riflessione su libri, fatti di costume o spunti dalla vita privata. Per arrivare alla musica, passione e tormento della mia vita.

Finita la "lista della spesa", si comincia.

 

 

 
 
 
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