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IL TERRORE, CATASTROFI, CALAMITA', MESSINA 1908

Post n°135 pubblicato il 31 Ottobre 2010 da deontologiaetica

Il sisma del 1908 e la percezione del terrore 

Il terremoto del 1908 rappresenta un grande "laboratorio" per lo studio della storia sociale della nostra area. Su questa direzione di marcia appare stabilmente incanalata la ricerca storiografica che, sollecitata dall'occasione del centenario, ha offerto i suoi frutti migliori nell'indagine sulla cosiddetta solidarietà "verticale", ovverosia gli aiuti giunti dallo Stato e dalle diverse istituzioni italiane e internazionali, e "orizzontale", quella dei comitati civici mobilitatisi ovunque per prestare assistenza e soccorso alle popolazioni piegate dalla tragedia.
Di grande interesse si è rivelato, inoltre, l'approccio mirante a evidenziare l'impatto del terremoto sulla mentalità collettiva e la percezione che di esso ne ebbero i contemporanei. Sul tema si segnala, per ampiezza e accuratezza dell'indagine, il volume scritto da un giovane studioso, Andrea Giovanni Noto, dal titolo "Messina 1908. I disastri e la percezione del terrore nell'evento terremoto", uscito di recente per i tipi di Rubbettino nella collana dell'Istituto di studi storici "Gaetano Salvemini".
Noto, partendo dalla ricostruzione del dibattito storiografico sulla disastrologia, ha preso in esame dapprima i casi emblematici di alcuni sismi delle epoche passate e i loro effetti nelle comunità locali, per poi focalizzare l'attenzione sulla vicenda messinese, in un'analisi ad ampio spettro che, al di là degli aspetti politici e legislativi, ha dedicato spazio alle ripercussioni e conseguenze sotto il profilo psicologico dei traumi suscitati dall'orda distruttiva del terremoto.
L'esperienza del disastro fu talmente traumatica da produrre una influenza duratura e incancellabile nella mente e nei ricordi dei superstiti. La vita emotiva degli scampati ne fu duramente segnata, per l'affiorare di atteggiamenti di stordimento, incredulità ed estraniamento fino all'instaurarsi, in molti casi, di reazioni psicopatologiche, quali malattie mentali, turbe psichiche e stati d'angoscia. Rifacendosi alle indagini mediche effettuate "a caldo" da psichiatri e psicologi nei mesi successivi al disastro, opportunamente intrecciate con le testimonianze dirette di giornalisti, intellettuali e gente comune che vissero sulla propria pelle quella terribile esperienza, Noto evidenzia tutti i contorni dell'«apocalisse psicopatologica e culturale» legata a un evento vissuto alla stregua della fine del mondo. La consuetudine allo spettacolo del dolore e della morte, la rottura del canonico confine tra vivi e morti, la distruzione della domesticità e dei legami familiari determinarono, a seconda dei casi, reazioni descritte dagli esperti in termini di «atonia sentimentale», di perdita di affettività, di apatia.
Non furono rari fenomeni di allucinazione, di smarrimento mentale completo tali da condurre al suicidio, mentre per altro verso tra gli istinti irrefrenabili si imponeva quello dell'autoconservazione, capace di far resistere le persone in condizioni ambientali proibitive senza toccar cibo anche per alcuni giorni.
Tra le manifestazioni acute di disagio, connesse al trauma del disastro, rientravano i «complessi di colpa» da parte di chi ce l'aveva fatta nei confronti dei familiari o amici rimasti sotto le macerie. Il tema della colpa, dell'autoaccusa e dell'indegnità morale era strettamente collegato soprattutto sul versante popolare – come sottolinea Noto – alla percezione della catastrofe quale espressione dell'ira di Dio, della punizione celeste. Particolarmente acceso fu il dibattito culturale – opportunamente richiamato dall'autore – proprio sui significati etico-filosofici connessi alla tragedia. Non mancarono spiegazioni diverse, che chiamavano di volta in volta in causa la cieca manifestazione di malvagie forze primordiali o il semplice concretizzarsi di ineluttabili leggi dell'universo.
Il ricorso alla cosiddetta "calendarizzazione" del lutto, con le processioni e i momenti rituali aggreganti in grado di assicurare una sorta di controllo del dolore, avrebbe costituito uno dei meccanismi più importanti di quella elaborazione della perdita, necessaria per avviare il faticoso percorso di ripresa individuale e collettiva della popolazione locale.

 
 
 
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