DIO E GLI UOMINI
Ci sono atei che si interessano a Dio molto più di certi credenti frivoli e superficiali
Post n°140 pubblicato il 11 Febbraio 2011 da deontologiaetica
CREDERE, SPERARE, MORIRE, RISORGERE Ognuno e' alla ricerca di una strada che gli dia fiducia. La gente si muove in maniera diversa anche all'interno del sociale: trent'anni fa un giovane diventava volontario per cambiare il Terzo Mondo, adesso lo fa per cambiare se stesso. Una bella differenza, no? E la Chiesa sta a guardare. Sta a guardare perche' e' abbastanza sconcertata e teme magari che una gran massa di credenti sfugga al suo controllo, se ne vada dall'ovile e non sia piu' recuperabile. E' così? Non so fino a che punto si possa accettare una fede autogestita. Tuttavia i movimenti di rinnovamento dello spirito sono una evidente realtà, a dimensione mondiale. La Chiesa, è vero, sembra spiazzata, presa, com' è t ra il fuoco di una religiosità che non ammette controlli o ombrelli, o comunque che puo' farne a meno, e le rigidita' dell'Opus Dei o di movimenti consimili. Non e' facile decidere se accogliere tutto o fare distinzioni che potrebbero risultare comunque sbagliate. La cautela e' d'obbligo perche' ci sono cose che lasciano perplessi: ad esempio l'enfatizzazione di guarigioni spirituali o fisiche; la tentazione di "possedere" Dio in esclusiva e in termini quasi magici; l'eccesso di celebrazione che potrebbe tramutarsi in autocelebrazione. Il pericolo soprattutto che la gente venga manipolata con danno incalcolabile per chi si abbandona in buona fede. |
Post n°139 pubblicato il 12 Gennaio 2011 da deontologiaetica
PRIVATIZZARE E TASSARE L'ACQUA ANCHE QUELLA PIOVANA Ho visto un bellissimo film: «Anche la pioggia» di Iciar Bollain. È di acqua che parla. E la battaglia per l’acqua pubblica è uno di quei segni del tempo che passano inosservati e sono invece grandi trasformazioni epocali destinate a modificare il destino dei popoli, delle generazioni a venire. Sarà un disastro ma facciamo silenzio, non diciamolo a nessuno. Lasciamo che sia il popolo del web ad accorgersene: ci stanno togliendo l’acqua, e moltissimo di più. |
Post n°138 pubblicato il 18 Dicembre 2010 da deontologiaetica
IL MIO MENU' NATALIZIO: ISTRUZIONI PER L'USO
Concediamoci, per il pranzo di NATALE, piatti "festosi", più importanti ed elaborati del solito, purchè l'elaborazione non si traduca in un tour de force per la “casalinga”. Dopo l'aperitivo, si porta in tavola la galantina di galletto, il piatto più impegnativo poichè si dovrà disporre di un pollo di cortile disossato e parzialmente spolpato, riempito con una farcia costituita da polpa tritata, prosciutto crudo, funghi freschi, pistacchio e tartufo nero; legato, lessato e raffreddato, il "salame" si affetta e si serve con un'insalatina di valeriana. Lo sformato di parmigiano e porri, guarnito con gocce di aceto balsamico tradizionale, si prepara (un'oretta, cottura compresa) al momento: è semplice ma di grande eleganza, soprattutto se servito in porzioni individuali (usate stampini antiaderenti). Il primo è il "lenzuolino" del bambino: grosse e sottili lasagne fatte a mano cosparse di un ragù di salsiccia bagnata col vino, funghi, poco pomodoro, aromi dell'orto. Chi preferisce (o vuole aggiungere) una minestra, potrà lessare mezzo cappone e preparare la zuppa di maltagliati e cappone sfilettato. Come secondo, un regale stracotto di bue grasso al Barbaresco accompagnato da cipolle brasate (il tutto si puo' fare in anticipo) e purè di patate e zucca. Per dessert, prima del panettone servito con una coppa di zabaione o di seirass (ricetta delle valli del Cuneese che unisce ricotta, tuorli d'uovo, zucchero, Passito di Pantelleria, uvetta e panna montata), servite delle pere martine cotte nel vino rosso con cannella e scorzette d'arancia. |
Post n°137 pubblicato il 23 Novembre 2010 da deontologiaetica
Ma la virtù non sarà mai delle cicale... Come nella favola della cicala e della formica. L'inverno dell'economia di mercato presenta il conto a tutti. Conto più salato per gli scialacquatori della buona stagione. Passò quel tempo che l'Europa assisteva con invidia allo spettacolo delle nostre baldorie. Quanta meraviglia constatare come un Paese in deficit di produttività (tale che la crescita dei consumi per l'aumento delle retribuzioni trovava sfogo nelle importazioni dall'estero), se la passava meglio degli altri grazie all'espediente di distribuire, in forma di Bot, cospicui interessi sulla ricchezza che non produceva. «Siamo il Paese che non rinuncia a essere il secondo consumatore di champagne e il primo importatore di Mercedes, ma pretende anche la cassa integrazione». si diceva . La legge del contrappasso vuole che il tema degli ammortizzatori sociali ritorni drammaticamente nel piano anticrisi del governo, in previsione dell'ULTERIORE ONDATA DI LICENZIAMENTI che minaccia TUTTI e non solo i lavoratori precari o i più vulnerabili. |
Post n°136 pubblicato il 13 Novembre 2010 da deontologiaetica
Credo in Dio, perché è una donna
Fino a circa 30.000 anni fa Dio non esisteva. Erano ormai quasi due milioni di anni che l’essere umano calpestava il suolo del pianeta Terra, vivendo e morendo da solo.La prima idea della possibilità di «un qualcosa dopo la morte» appare solamente 90.000 anni fa, e ce ne vollero altri 60.000 perché il concetto di «Dio» apparisse nella cultura umana, ma attenzione: quel Dio era femmina!Quando, poi, il concetto di «Dio» cominciò ad apparire tra gli umani, esso era ben diverso dall’attuale; il primo dio era femmina; questo è abbastanza naturale da comprendere perché se Dio è il creatore di tutto, chi meglio di una donna può rappresentare la creazione della vita ed assurgere a simbolo creativo per eccellenza? Chi meglio di lei può prendersi cura delle sue creature, cosi come una madre allatta e si prende cura della sua prole? Fu solo successivamente, con l’avvento dell’agricoltura e l’abbandono della vita nomade che il concetto di Dio iniziò a cambiare. Ci fu quasi un colpo di stato da parte del dio maschile contro la sua antagonista femminile, cosa che relegò le donne, da allora sino ad oggi, in posizione soggiogata e socialmente inferiore rispetto agli uomini.
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Post n°135 pubblicato il 31 Ottobre 2010 da deontologiaetica
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Post n°134 pubblicato il 25 Ottobre 2010 da deontologiaetica
«Un giorno», la storia d'amore
«Un libro incantevole, che racchiude tutti quelli che vorresti leggere» scrive Swan su aNobii, il social network dedicato agli appassionati di narrativa. «Se sapete ancora emozionarvi, leggetelo» suggerisce Ferruccio Morocutti su Facebook. Suggestioni, opinioni e consigli scatenati in Rete da Un giorno (Neri Pozza, pp. 491, €18), il best-seller inglese dello scrittore David Nicholls, diventato un caso editoriale anche in Italia. SUCCESSO - Delicato e al tempo stesso brillante, il libro racconta l’eterno rinvio dell’amore tra Emma e Dexter. Un uomo e una donna che si incontrano sul limitare dell’età adulta – la sera della laurea, il 15 luglio 1988 – e che non riusciranno più a dimenticarsi. L’autore torna a raccontare le loro vite lo stesso giorno di ogni anno, fino al 2007, sempre legate da un filo sottile, nonostante la reciproca paura di riconoscere i propri sentimenti. Pubblicato un anno fa, Un giorno ha superato in Gran Bretagna il mezzo milione di copie vendute ed è diventato il soggetto di un film con Anne Hathaway. In Italia è arrivato lo scorso 24 giugno e ha toccato le 120 mila copie: sette le ristampe, quattordici le settimane nella Top Ten della narrativa straniera. Un successo favorito dal tam tam su Internet: oltre 1.300 i fan di Nicholls su Facebook, più di mille gli estimatori su aNobii, decine i commenti su forum e blog. Tanto che l’autore è stato invitato in Italia, ospite il mese scorso delle librerie Feltrinelli di Roma e Firenze. «Piace perché è la storia d’amore dei nostri tempi - commenta Giuseppe Russo, direttore editoriale di Neri Pozza -. È probabile che i trenta-quarantenni, i maggiori frequentatori della Rete, si siano riconosciuti e abbiano innescato il passaparola su Internet». DIBATTITO - Stando alle reazioni sul web, in effetti, i lettori si identificano («Em&Dex mi mancherete» scrive Miki su aNobii). Il linguaggio brillante e la capacità di raccontare un’epoca recente, i pregi riconosciuti al libro. Nicholls, che è anche sceneggiatore, riesce a disegnare i caratteri con efficacia. I dialoghi, frequenti e ironici, sono sempre accompagnati dalla voce narrante che smaschera i protagonisti, rendendoli più umani e scongiurando il sentimentalismo. Il differimento negli anni, inoltre, consente di cogliere i cambiamenti dei personaggi e, insieme, quelli della Gran Bretagna e del mondo nell’ultimo ventennio. Anche se resta il sospetto, tra i detrattori, che dietro ci sia piuttosto l’astuzia di tenere i lettori incollati alle pagine. «È un libro furbetto - nota Bloggatto su aNobii –. Non è difficile immaginare le scene del film che hanno già in progetto di realizzare». Oppure c’è chi, come Kiz, ammette i limiti ma si lascia andare: «Nulla di straordinario, ma le vicende di Emma e Dex conquistano per la loro capacità di rispecchiare ciascuno di noi. E così si legge e legge, e ci si affeziona ai personaggi, e quando il libro termina un po' ci si dispiace... Mica poco, no?».
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Post n°133 pubblicato il 21 Ottobre 2010 da deontologiaetica
Susan Boyle: «Non dovevo nascere Per i medici ero nulla»
Se sua mamma non avesse giudicato «impensabile» il mettere fine alla sua nona gravidanza, oggi non avremmo il piacere di ascoltare una delle voci più splendide del panorama musicale internazionale. I Dreamed I Dream, il brano tratto dal musical Les Misérables ispirato al romanzo di Victor Hugo, non l’avrebbe resa celebre, nell’aprile 2009, se l’opinione dei dottori che avevano in carico sua madre avesse surclassato il desiderio materno di mettere al mondo un’altra figlia. Susan Boyle, la 49enne inglese, nuova star della musica pop internazionale, ha rivelato in una recente biografia che il personale medico aveva suggerito a sua madre di non farla nascere e di ricorrere all’aborto. Motivo: la gravidanza era a rischio. |
Post n°132 pubblicato il 08 Ottobre 2010 da deontologiaetica
L'INVIDIA E' ANTICA COME IL MONDO: SAGGI E ANTOLOGIE NE RACCONTANO LA STORIA, DALLA BIBBIA ALLA PSICOANALISI E ALLA PUBBLICITA' Il PECCATO SENZA PIACERE! Nella Bibbia è scritto che fu a causa dell'invidia del diavolo che la morte si palesò. Invidioso della benevolenza che godevano presso Dio creature palesemente inferiori a lui, Satana tentò Adamo ed Eva. Molti personaggi biblici cadono vittime dell'invidia: Caino, autore del primo omicidio, Esaù, Saul; per invidia fu venduto Giuseppe e per invidia gli ebrei cedettero Gesù a Pilato. Inclusa nei setti peccati capitali, cos'è esattamente l'invidia? Il dispiacere o la scontentezza per la superiorità o per la felicità altrui. L'invidia è connessa alla maldicenza, all'avidità; come avevano compreso i Padri della Chiesa, discende dalla superbia, che dei sette peccati è il primo. Chi ha analizzato con maggior profondità questo sentimento sono stati proprio loro: Gregorio, Cipriano, Tommaso; poi gli scrittori e i filosofi - Hobbes e Kierkegaard - e naturalmente gli psicoanalisti: Freud, Melanie Klein. A fare il punto sull'invidia, grande motore individuale e collettivo, è un recente libro curato da Enzo Funari, L'invidia. L'invidia è prima di tutto un atto visivo: in-videre, guardare di mal occhio. L'invidioso è uno che non può vedere bene. Dante, che non la considera un peccato grave, colloca gli invidiosi nel Purgatorio; li descrive come uomini che avanzano in gruppo sorreggendosi l'un l'altro, per via delle palpebre chiuse e cucite col fil di ferro. Tra tutti i peccati capitali è l'unico che causa soprattutto sofferenza: non procura piacere e gioia, come la lussuria o la gola, ma dolore e infelicità. Secondo la dottrina cristiana, spiegano due studiose del pensiero medievale, Carla Casagrande e Silvia Vecchio, l'invidioso sperimenta il peccato senza il piacere. Il suo è un tarlo interiore che lo rode, una ruggine interna, una putrefazione del pensiero. La causa sta nel rovesciamento che produce: provare dolore per il bene degli altri. San Tommaso scrive: l'invidioso vede nel bene degli altri un male per se stesso. Aristotele afferma che l'invidia riguarda le persone tra loro vicine; solo se è possibile stabilire un paragone, si prova infatti invidia. Non s'invidiano i lontani e gli sconosciuti. In questo senso, come ha confermato la psicoanalisi, l'invidia non è generata dal bene dell'altro in senso generale, ma solo da quel bene che si pensa possa ledere l'eccellenza dell'invidioso. I Padri sono concordi nello stabilire che l'invidioso non è altro che un superbo deluso nella sua volontà di eccellere, un arrogante frustrato dalla gloria altrui, un orgoglioso che si vuole superiore agli altri. E tuttavia l'invidia confina con l'ammirazione. Kierkegaard scrive che l'invidia è un'infelice affermazione di sè, mentre l'ammirazione è un felice atto di resa. Lo psicoanalista Leslie H. Faber sostiene che «più è acuta l'invidia, tanto più l'invidioso è costretto a calarsi drammaticamente nella parte dell'ammiratore». L'ammirazione sincera, in effetti, si tiene in disparte, rispetta le distanze, si alimenta nel silenzio. Quando ammiriamo troppo, e con troppe lodi, si palesa il desiderio di possedere le qualità che hanno suscitato l'invidia. Tutti sono capaci di percepire l'invidia degli altri, quasi nessuno riconosce di essere invidioso. Ma cosa produce in noi l'invidia? Un'esperienza di scissione, non solo perchè ci aliena dai nostri simili, ma perchè ci separa da noi stessi. Parenti prossimi dell'invidia sono l'odio, la gelosia, l'amore. Ma come distinguere l'invidia dalla sua sorella la gelosia? L'invidia è un sentimento a due attori, la gelosia a tre. Scrive Farber: la gelosia è un dramma monotematico e romantico, nel quale recitano tre attori. L'invidia è statica più che drammatica; adatta, afferma lo psicoanalista, le proprie manifestazioni più alle circostanze che all'intreccio; la gelosia, al contrario, riunisce in modo ossessivo sulla scena parti sempre più vaste della realtà, spingendo il dramma verso la temuta e sicura rovina, come documentano innumerevoli romanzi e film, oltre la nostra stessa esperienza di vita. La parola gelosia deriva dal greco zelos che significa emulazione, zelo, e denota un sentimento d'intensità come il fervore, la devozione. Per quanto la gelosia non figuri tra i setti vizi capitali, è probabilmente molto più pungente e devastante dell'invidia e colpisce un campo molto vasto delle relazioni interpersonali; l'interdetto sociale cade più sull'invidia che non sulla gelosia. L'invidioso è disapprovato, il geloso compatito. Questo perchè l'invidia, a differenza della gelosia, è una malattia sociale. Il padre occidentale dell'invidia è stato Gregorio Magno. Fu lui nel VI secolo a dare all'invidia un posto di rilievo nella gerarchia dei vizi. Il suo obiettivo era quello di favorire il perfezionamento spirituale dei monaci. Gregorio si rese conto che, nonostante la separazione dal mondo, anche nei monasteri e nelle comunità dominava l'invidia, causa di tensioni e conflitti continui. L'invidia è presentata come la nemica dell'ordine sociale; contravviene al comandamento evangelico della carità, dell'amore vicendevole. Tra il XII e il XV secolo, la Chiesa svolge delle vere e proprie campagne contro l'invidia, la quale sembra allignare soprattutto in due luoghi: la corte e il mondo intellettuale. La nascita dell'intellettuale moderno, sganciato dalla Chiesa, avviene in un clima di forte competizione culturale ed economica all'interno delle università; questo impone a Tommaso d'Aquino di rivalutare la competizione sociale e di darle uno statuto positivo, fino a legittimare la ricerca dei beni temporali di cui altri già godono. La concorrenza, fondata sull'invidia, si emancipa progressivamente dal suo statuto di peccato. Da allora dovranno trascorrere diversi secoli prima che l'invidia venga di nuovo alla ribalta come problema, ora solo individuale. Freud parla di «invidia del pene» da parte delle bambine in uno scritto del 1905; l'invidia resterà per lui il limite stesso dell'intervento psicoanalitico, come ricorda Paolo Leoni che ripercorre il tema dell'invidia nelle opere del fondatore della psicoanalisi. E' Melanie Klein, autrice di invidia e gratitudine, a sostenere negli anni cinquanta del Novecento che l'invidia in realtà è connessa alla pulsione di morte, a una forza distruttiva innata che non concede scampo. La Klein lega il sentimento dell'invidia al rapporto del bambino con la madre; il neonato, al contatto con il seno materno, dispensatore di nutrimento e piacere, prova insieme un senso di gratificazione e d'invidia. La psicoanalisi stabilisce un rapporto molto stretto tra avidità e invidia, ma anche tra invidia e senso di colpa. Delineando uno scenario ben più infernale di quello descritto dai Padri della Chiesa, Melanie Klein parla dell'invidia come espressione sadico-orale e sadico-anale di impulsi distruttivi che entra in funzione sin dalla nascita. Sviluppando l'intuizione dantesca dell'invidioso che non vede, Farber e Bion la definiscono un boomerang che colpisce l'invidioso: egli non riesce a vedersi e perde la capacità psichica d'amare. Lo scrittore John Berger, in un libro dedicato al guardare (Questioni di sguardi), ha messo bene in luce come la pubblicità renda le persone invidiose di se stesse, di ciò che potranno essere: «Che cosa dunque rende invidiabile quel se-stesso-che-potrebbe-essere? L'invidia altrui. La pubblicità parla delle relazioni sociali, non di oggetti. La sua non è una promessa di piacere, ma di felicità: felicità misurata dall'esterno, col metro del giudizio degli altri. La felicità di essere invidiati è glamour». Nessun termine rende così bene la condizione contemporanea come la parola glamour: fascino, seduzione, magia. Il motore segreto della pubblicità, e della moda, è proprio la fascinazione prodotta dall'invidia: «La spettatrice-compratrice - scrive Berger - deve invidiare se stessa per ciò che diventerà se compra il prodotto. Deve immaginarsi trasformata dal prodotto in oggetto d'invidia per gli altri, un'invidia che quindi giustificherà l'amore che ella prova per se stessa. Per dirla in altre parole: l'immagine pubblicitaria la deruba del suo amore di sè per ciò che lei è, e glielo restituisce al prezzo del prodotto». Neppure i fantasiosi Padri della Chiesa avrebbero previsto che l'invidia sarebbe diventata uno dei motori principali del cambiamento sociale, della trasformazione dell'uomo in oggetto di se stesso. Questo significa che il cerchio dell'invidia si è chiuso? Difficile dirlo. |
Post n°131 pubblicato il 01 Settembre 2010 da deontologiaetica
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