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Don't say a word

Post n°59 pubblicato il 15 Ottobre 2010 da marina1811

Nel 1991 un gruppo di rapinatori si introduce in una banca di Brooklyn per trafugare un prezioso diamante rosso del valore di dieci milioni di dollari. Il colpo va a buon fine, ma un membro della banda riesce a ingannare gli altri compagni e a sottrarre il diamante. Dieci anni dopo, lo stimato psichiatra Nathan Conrad viene coinvolto da un collega in un caso che riguarda una ragazza con disturbi mentali improvvisamente colta da raptus di violenza, Elisabeth Burrows. Il mattino seguente è il giorno del Ringraziamento: Conrad si sveglia, prepara la colazione e si rende conto che qualcuno è entrato nell'appartamento e ha rapito sua figlia di otto anni. I rapitori risultano essere gli stessi del colpo alla banca di dieci anni prima e vogliono che Conrad tiri fuori dalla mente di Elisabeth un numero a sei cifre, altrimenti uccideranno la bambina.
“Seeing her father die, that was ground zero”, argomenta lo psichiatra Michael Douglas per giustificare il comportamento della sua giovane paziente disturbata. Il fatto che, assieme a Zoolander e Serendipity, Don't say a Word sia stato uno dei primi film ambientati a New York distribuiti in seguito all'11 settembre 2001, rende la frase più problematica. Soprattutto alla luce del fatto che il film è l'unico dei tre a non presentarsi come una commedia spensierata e a non aver subito rimozioni digitali o riadattamenti a tutela di dolorose memorie. La soluzione del problema sta tutta nella disinvoltura del film e nel suo andamento zigzagante che non concede neppure un attimo di credibilità, ma tutto sacrifica alla logica dell'intrattenimento e dello spettacolo ludico.
Don't say a Word ha un incipit da action movie, poi diverge verso il thriller psicologico e il dramma familiare, e infine cerca di scorrere con una certa agilità lungo l'insieme di questi binari. Il principio con cui Gary Fleder (Il collezionista, Cosa fare a Denver quando sei morto) orchestra una sceneggiatura piuttosto complessa e piena di incoerenze, inverosimiglianze ed elementi irrisolti, è quello dell'eclettismo e dell'accumulazione dei generi.
Ogni anima del film trova un proprio stile e l'abilità da riconoscere al regista è quella di riuscire ad amalgamare le dimensioni parallele del racconto utilizzando un montaggio serrato e tensivo. Il suo approccio alla materia illogica e deficitaria della sceneggiatura è quello di chi prova ad allargare i confini della sospensione dell'incredulità giocando di ritmo e appellandosi all'importanza dell'evasione. D'altronde, non avrebbe potuto scegliere momento migliore.

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marina1811
marina1811 il 15/10/10 alle 10:48 via WEB
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