Creato da Marvelius il 21/08/2012

Marvelius

Elrond lands :dove il mito e la fiaba, la realtà e la fantasia si incontrano al crocicchio del vento

 

Dorian II

Post n°119 pubblicato il 28 Gennaio 2019 da Marvelius
 

 

 

 

DORIAN II

 

 

Era al culmine del suo potere, quel potere che tanto è cercato da ogni  uomo, da un umanità sempre in bilico tra i principi, che come paletti guidano l’etica e la morale pur tra  le eccezioni che ne scalfiscono la corazza, e le deviazioni che li portano sul quel terreno incognito che è terra di nessuno.

Debole è la carne, debole la mente, fragile il corpo che unisce l’anima all’involucro che è destinato a frantumarsi sugli scogli del tempo, ma in questa fragilità quanta grandezza si erge sui bastioni di questo mondo che instancabile ruota macinando i grani di clessidre sempre uguali a se stesse.

Era all’apice del successo, quel successo che lo poneva  sul piedistallo della fama sotto il quale una moltitudine di uomini lo invidiava, altri, pochi, lo ammiravano,  i più lo odiavano aspettando che da quel piedistallo un giorno  potesse scivolare finendo nella polvere.

Ma lui era il falco che volava al di sopra delle sue sventure, l’astore solitario che amava rifuggire dalla compagnia dei suoi simili, il rapace che quegli stessi uomini avrebbe divorato sulla sua strada, percorsa sempre alla ricerca di un traguardo che lo poneva al di sopra di tutto.

Ma questa meta cosi ardentemente desiderata, questa ricerca strenuamente cercata, non era soltanto frutto di un volere banale  che lo ponesse al comando degli altri, ne la vanità frivola di potersi sentire al vertice di una piramide di consenso e di potere . No, egli non era il vuoto plutocrate che si sarebbe seduto sullo scanno soddisfatto di vedere il mondo prostrato ai suoi piedi, non era il despota che traeva soddisfazione e compiacimento nel sentirsi servito, quasi fosse un divino dispensatore di fortune e di condanne.

Piuttosto quel suo continuo varcare la soglia delle conoscenze era il prezzo che pagava all’ansia di una curiosità che gli bruciava dentro, quel suo impeto, quasi irrazionale, di confrontarsi coi suoi simili nella corsa per il dominio e il controllo,  era l’obolo che pagava alla insoddisfatta consapevolezza dei suoi limiti, al continuo misurare se stesso più che il valore degli altri, i quali rimanevano solo il mezzo, in mancanza di altro, per  soppesare le sue virtù.

Ma solitario restava, e la solitudine era il solo conforto, l’unica amante con cui amava restare solo, la sola  a cui consentiva di dare un giudizio su se stesso col suo silenzio che spesso diveniva nelle sue riflessioni  notturne un giudice impietoso, un boia cinico e feroce.




Eppure era stato bambino, e di quella  sua prima  giovinezza  ricordava ancora quanto era stata felice, quanta gioia c’era stata nelle sue giornate, quanta pace lo aveva accompagnato nelle sue ore tra i giochi e la compagnia di altri giovani come lui.

Poi tutto era finito in quel giorno maledetto, tutto si era frantumato in quell’attimo che rintanato nell’ombra a volte emerge dal buio come un lampo nel cuore della notte per bruciare ogni cosa e infine  inghiottire per sempre il futuro con le sue speranze.

Era oramai incapace di tornare indietro e quella incapacità era ben presente nella sua consapevolezza, simile alla volontà di percorrere una via che si sa irta e difficile se ne stava acquattata nella sua mente, ma nella sua testa una volontà più forte lo irretiva allontanando questa scelta e tutto rimaneva confinato nella sua indolenza come una scelta possibile ma improbabile sullo scacchiere delle sue azioni.

Sapeva di quanto feroce poteva essere e di quanto lo era nell’affrontare le sue imprese, di quanto essenziale si circondava e quanto quella sua essenzialità aveva eretto a dimora del suo spirito. Conosceva bene quanto implacabile fosse con i suoi avversari e ancor più quanto fosse letale con i suoi nemici. Dentro di lui la fiammella del perdono non si era spenta ma ardeva come il brillio di una stella lontana, eppure nella sua infinita distanza quella luce era quella di una stella,  un immensa nebulosa, pulsante di vita e di grazia.

A volte se ne stava seduto per ore sulla sua poltrona verde, fino a che quella pelle scarabeo si confondeva con la sua  pelle, fondendosi come una corazza a protezione della sua intimità e delle piccole fessure che si aprivano lungo le pareti del suo cuore pietrificato.

Si immergeva nelle sue ansie con  la  tenerezza di un bambino, fuoriusciva dal suo corpo col pensiero e si rivedeva fanciullo, così in questo suo viaggiare i suoi occhi si annacquavano nel silenzio dei suoi ricordi.

Il bicchiere di sidro gli scivolava a terra mentre il sigaro lentamente si spegneva ma il suo viaggio continuava fuori dal suo corpo e il pulsare del suo cuore scalfiva  il clipeo che lo avvolgeva. Ricordava la gioia nel tornare a casa quando ad aprire il portone di casa era suo padre che sorridendogli gli scombinava i capelli e ponendogli una mano sulla spalla si piegava per guardarlo negli occhi ricordandogli di quanto fiero fosse di lui.

Una lacrima si staccò dai greppi delle ciglia e scivolò veloce sul viso ma fu come se una carezza lo sfiorasse dolce, e in quella dolcezza che lui assaporava lasciandosene penetrare si alzò. Dentro di lui in quei momenti era come se qualcosa si spezzasse e l’uomo tenace e inafferrabile per ogni donna, così feroce e impenetrabile per ogni uomo, fosse d’un tratto diviso, come due tronchi di uno stesso albero, l’uno proteso al sole del comando e l’altro all’abisso della disperazione.

Erano i suoi momenti di solitudine che lo rapivano nell’ estasi fatta di un estrema desolante mietitura di se stesso. Serrato nelle sue catene  si contorceva non per liberarsene ma per sentire il freddo del metallo entrargli nelle carni, mentre  si perdeva nei suoi deserti  col desiderio di non ritrovarsi  e in queste lande  amava errare come sterpaglia rotolante nel vento.

Ancora una volta la mente percorse circoli che lui conosceva bene, sentieri seminati di spine che lo facevano sanguinare. Rivide gli occhi di sua madre e i suoi, verdi trasparenze fondersi come mare in burrasca. La voce di lei scaldargli il petto e la voglia soddisfatta di un fanciullo di cadere nelle sue braccia, come una nave nel porto di un mare in tempesta al riparo dalle sferzate del vento  e degli  scogli aguzzi.

Quando il ricordo divenne insopportabile si riscosse ricomponendosi sulla sua poltrona, raccolse il bicchiere da terra come se nulla fosse accaduto, ma sapeva bene quanto dura fosse stata la sua lotta. Si riaccese il sigaro e tirò forte per sentire il tabacco rosolarsi nella fiamma, ma stette ancora seduto nel silenzio come a far evaporare gli ultimi scampoli dei suoi ricordi, infine si alzò con una lentezza che non gli apparteneva e si diresse al piano che stava addossato a una parete della sua camera come un rapace dalla nera livrea. Si aprì la giacca e appoggiò le sue mani sulla tastiera, ma non suonò come  se temesse che le note che avrebbe suonato lo riportassero ancora una volta indietro nel tempo o che lo spogliassero di più e ancora del suo carapace .

 Si volse indietro  con lo sguardo allontanando le mani dai tasti e guardò la sua stanza così magnifica e teatrale, pareti rosse e tende di damasco, mobili pregiati e quadri di una bellezza mozzafiato. Ma non volle contemplare oltre tutte le altre ricchezze che aveva accumulato in quel sala a cui solo un trono mancava, se ancora qualcosa potesse mancare, così ritornò a posare le mani sui tasti e chiudendo gli occhi diede agio alle sue dita di amare l’avorio e  l’onice  del suo pianoforte, la vita e la morte della sua anima. E dentro di lui furono mille battaglie, mille altri ricordi  fino a che davanti a Dorian apparve lei … e la musica si fece rimpianto e il rimpianto si trasformò lentamente in rimorso per quell’amore che non aveva saputo trattenere. Lasciò che il dolore lo pervadesse in ogni suo canto e le note si trasformassero in aghi lacerandogli l’anima, il cuore libero dai cardini  sanguinò, mentre una lacrima di sangue sgorgando dal petto  scivolò a terra  .


Marvelius

 

 
 
 

DORIAN

Post n°118 pubblicato il 21 Febbraio 2018 da Marvelius
 
Tag: DORIAN

 

Se ne stava seduto su una poltrona

di cuoio  verde scarabeo,

una gamba accavallata sul bracciolo e

l'altra lasciata scivolare a terra,
la camicia inamidata con un papillon
di un blu acceso e la giacca sbottonata.
Era l'immagine
di un rapace che finito di banchettare
sulle sue prede
assaporava con gusto e una pace ritrovata
il momento del vuoto
dopo aver buttato a terra la sua maschera.

 

 

Tra le dita un
sigaro acceso e nelle volute del fumo
denso e bianco pensieri evanescenti.
Nell'altra mano un bicchiere di vetro
martellato con dentro i resti di
quello che poco tempo prima era il
succo velenoso che gli stava
bruciando il ventre. Lo sguardo assorto
sul nulla , occhi puntati tra le ombre
di una camera barocca, in cui la sua
figura troneggiava come un quadro
allegorico di cinica e furiosa bellezza,
accecando gli angoli di quel cubicolo
magnifico e sontuoso.
Prese un'altra tirata dal sigaro
mentre poggiava con calma misurata
il bicchiere ormai vuoto sul piccolo
tavolino di mogano posto li accanto,
come un altare di vizi dove riporre
gli oli speziali della sua arrogante
cecità.

 

 

Un impettito e superbo suono si
espandeva nell'aria quando pronunciava
il suo nome ... Dorian.
Aveva trascorso gli anni della sua prima
giovinezza ad affinare l'arte del
comando, la rigida e spietata
eliminazione di ogni concorrente nei
suoi affari, nei suoi amori, nella
scalata di ogni sua avventura.
Il falco , la tigre , il cannibale
erano i nomignoli che lo
accompagnavano precedendolo in ogni
luogo lui andasse, ma erano appena
sussurrati dai suoi nemici , gli
unici esseri del suo stesso sesso
che poteva vantare di avere e di
conoscere. Era un uomo solo dopotutto,
ma di questa solitudine si compiaceva
e non sentiva il bisogno di modificare
nulla di questa unicità, come si
beava della vicinanza delle sue donne
che ne ammiravano il carattere indomito,
la risolutezza dei modi, la passione
e la lussuria tra le lenzuola, odiando
l'impenetrabile muro eretto a difesa
della sua anima e della sua intimità.
Consumava avidamente ed egoisticamente
i suoi amori come i sigari e l'alcool
che mai sarebbero mancati nelle sue
alcove, tra lenzuola di seta nera e
le tende di tulle e organza.
Divorava la carne nella libido dei
sensi ubriacandosi di voglie e di
piaceri fino a sciogliersi in essi
come gocce di fiume nell'immensità
del mare.
Lo cercavano come un angelo maledetto ,
ne amavano i difetti prima ancora dei
pregi e ognuna nel farlo aveva dentro
di sé la speranza che ne avrebbe mutato
il destino, divelto le porte corazzate
del cuore, penetrato la sensibilità per
farne il suo re.

 

Invano avrebbero percorso quelle sale
per trarne una signoria, invano
avrebbero solcato le sue terre per
divenirne regine, invano avrebbero
nuotato in quegli abissi per trovare
la luce che le avrebbe portate sulle
acque in superficie.
La sua luce era quella di una stella
solitaria , avrebbe brillato
all'infinito nel cosmo siderale
di una galassia opaca.
Si alzò ricomponendosi con modi
affettati ma non artefatti, la sua
raffinatezza era l'alone che
lo permeava di fascino anche nella
solitudine di una stanza disadorna e
lo magnificava ancor più in quella
piena di broccati e legni
pregiati, tra essenze orientali e
quadri di una rarità assoluta.

 

 

Si cambiò di abito quasi volesse mutar pelle,
sistemò la cravatta e la nuova camicia ,
indossò la giacca assaporando quell'incedere
dentro la sua nuova armatura di gambardine
e , per una attimo,
assunse la posa naturale di un guerriero
sul carro del sole .

Poi ,con passi
misurati e silenziosi, si avvicinò al
letto dove Pasife e Salmace si erano
abbandonate al sonno ristoratore dopo
una notte di tormentate battaglie

I capelli sciolti, i visi tirati
affondanti nei cuscini di piume, i
corpi tumidi nella nudità di forme
discinte, l'incarnato latteo
pennellato appena da lievi rossori
la dove più cruenta era stata la
presa, più selvaggia la battaglia
e la resa .
Restò a guardarle con
impassibile voluttà, ne ricamò le
anse e i rilievi, avvertendo
distintamente tutti gli odori che
la notte aveva generato.

 

 

Si morse
un labbro per tornare alla realtà dai
suoi viaggi in un vuoto denso di
meraviglie, sentì il sangue
pervadergli le tempie mentre
osservava le bocche delle due ninfe
come fichi spezzati nel rosso turgore
delle labbra. Gli accarezzò la pelle
seguendo percorsi che solo lui
conosceva, raggiunse luoghi appena
di svelati alle meraviglie del cosmo.
Così sul baratro di un ponte sospeso
ai confini del mondo si fermò, si
inginocchiò sulle sponde di terre
sconosciute ai più, e si attardò sui
greppi celanti bordure profumate
di sogni.
Lampi di ricordi
tintinnarono tra le vene aumentando
il corso delle linfe di un torrente
tornato vorticoso, mentre l'incedere
dei palpiti del suo cuore risuonava
nel folto della foresta antica.
Quando l'alba si risvegliò
nell'intreccio di carni pulsanti ,
i tendini si intrecciarono come
ofidi in preda di una ritrovata
frenesia di piaceri ,in quel preciso
momento egli si alzò dal talamo
per gustare la perfezione di un ritmo
che scuciva gli orli del tempo.
Quel rimestio di acque e linfa lo
rapiva non per trascinarlo nel fondo
ed annegarlo nella voluttà dei
sensi, ma per traghettarlo tra le
acque furiose come Nettuno trainato
su un barroccio da bianche schiere
di lucci , tra le caverne di un
desiderio infranto .

MARVELIUS

 

 

 
 
 

Il Fabbro dei Sogni II ( parte A)

Post n°117 pubblicato il 06 Gennaio 2017 da Marvelius
 

 

(Post "Il Fabbro dei Sogni II° ",scisso 

in tre parti: A-B-C, e che segue il post

precedente " Il Fabbro dei Sogni I°)

 

PARTE A

E il Fabbro dei sogni si sedette a

pensare sul tavolo della speranza,

con le mani impastò lieviti di cuore

e sale di lacrime, segnò i sentieri

di un incontro che sembrava

impossibile realizzare e si

commosse leggendo l'animo ferito

di quell' uomo e quello disperato

della donna. Poi alitò sulla speranza

e lascio che il vento del mattino

la conducesse lontano, la dove

tutto può essere e ogni cosa può

accadere se lo spirito della verità

si condensa nella volontà di tornare

a essere vento di passione e di

unione perfetta.

 

Un lieve borbottio d'acqua rendeva

quei momenti come tratti dal silenzio,

rotti dallo stallo di una natura rigogliosa

ma stanca di rumori, così quelle piccole

cascatelle tra i bordi e le anse del

fiume parlavano alle pietre su cui

scivolavano eterne.

Lui se ne stava seduto sulle gambe a

guardare la corrente perdersi lungo

il greto del fiume, il gorgoglio lo

incuriosiva e gli destava una curiosità

infantile, quella che cattura gli occhi

oltre il flusso per immergersi in esso

in cerca di tesori e di misteri .

Così, lentamente, lo sguardo si perse

oltre le linfe, si incuneò nei greppi tra

piccole bordure di muschio e licheni

fino a gemere nell'acqua fredda

tra le profondità del torrente.

Nel preciso momento in cui ogni cosa

sembrò smarrirsi, in quelle profondità

oscure ogni rumore si spense e tutto

divenne ovattato.

La memoria vagò nel limbo della

mente scavò nei cassetti dei suoi armadi,

si infilò dentro a ogni cubicolo tenuto

gelosamente al riparo dai dubbi, dal

rimorso e dal rimpianto.

Un freddo bruciante lo percorse lungo

la schiena come un brivido urticante,

fino a quando una luce sembrò

attenderlo oltre il lungo corridoio

che stava percorrendo.

Così il ricordo di lei si fece chiaro,

prima un alone indistinto poi pian

piano tutto si schiarì, i contorni

presero forma distaccandosi dal nero

caliginoso delle ombre, e il volto di lei

gli apparve come l'aveva lasciato

molto tempo prima.

Si mostrò con la sua fluente coda di

un rosso sfolgorante, lei la sciolse

con le dita dal piccolo cerchietto di

stoffa che ne richiudeva i lunghi e lisci

capelli facendoli ricadere sul petto e

lungo la schiena.

 

Era magnifico il viso suo, un ovale ben

disegnato su cui la bocca perfetta si

plasmava su bianchi denti .

Il labbro superiore si arricciava

leggermente in una piega sensuale

che nelle foto creava una leggera

ombra, lui sorrise nel ricordare la

stessa battuta che le ripeteva sempre

nel guardarle

"Sembra che hai i baffetti lassù Lilith"

e lei sempre a caderci nella

provocazione gli rispondeva

imbronciando la voce e,

con un irritazione che andava via

spegnendosi, a ripetere che non era

vero,e in effetti la sua era una bocca

così perfetta che lui mai ne aveva

potuto sigillarne i contorni con le

dita, le labbra e gli occhi in una

finitudine umana ma gli appariva

come il lascito di una dea, come del

resto tutto di lei sembrava richiamare

una natura divina.

"Non ho i baffetti, non li ho mai avuti, ma che dici"

Lui se ne stava un pò in silenzio a

ridacchiare sotto i suoi di baffi fino a

quando ritornava a prenderla in giro

in un gioco che piaceva a entrambi

" Non sono troppo lunghi i tuoi capelli?

Sei alta ok ma fino alle fossette della

schiena non ti sembrano un po' troppo

da ragazzina Lily "

"Uffa ma la smetti, sempre a darmi

addosso, prima i baffetti proprio a me

che non ho peli da nessuna parte ok?"

e arrossiva un po' nel dirlo, quasi

fosse un adolescente, ma in fondo

tra di loro vi era ben più che una

manciata di anni .

"E ora la storia dei capelli lunghi ...

a me piacciono come sono, fatteli

piacere anche a te, tanto so che li

adori, sciolti, a treccia, raccolti o

stretti sotto un cappellino ... tu ami

tutto di me e non puoi nasconderlo "

Eh si lei era proprio così, con un

carattere deciso e suscettibile, si

accendeva subito e quando lo faceva

a lui bastava poco per renderla ancora

più vulnerabile al suo arco che

scoccava frecce incendiarie sulla

sua stizzosa permalosità

"Stai bruciando Lilith, o meglio dovrei

chiamarti neurina, non ti accorgi che

alzi quella tua voce calda che riscalda i

tuoi neuroni e acceca l'amore che porti

per me ... lo rendi incandescente, cosi

rovente che mi bruceresti senza

nemmeno accorgerti che lo stai facendo"

Queste parole l'infiammavano di una

rabbia dolce, quella che si strugge nella

schermaglia tra innamorati, che cercano

la guerra per avere la pace, che il più

delle volte dal vivo si conduce tra le

lenzuola di un letto come su un campo

di battaglia, in notti lunghe che

lasciano senza forze, col cuore calmo

e la mente appagata, libera di vagare

oltre le consistenze terrene.

Lui sapeva come farla spegnere e

riaccendere di passione ma anche lui

aveva il suo carattere indomito e guai

a stuzzicarlo se non si avevano armi

altrettanto buone nel tenere una

discussione, lavorare di

cesello con l'ironia o a spegnere i

fuochi della sua personalità sempre

armata di una spada fiammeggiante

e lei ...


beh lei aveva quasi tutte queste

qualità, le doti giuste per

un uomo come lui e poi ne possedeva

una che era stato difficile trovare

per molto tempo in altre donne.

(clicca sul video sottoper continuare

ad ascoltare la musica)

Aveva il dono di una concupiscente

passione, la grazia di una dolcezza

senza fine, le fiamme di una

libidine che lo plasmavano rendendolo

pazzo di lei.

Ricordò molto di quella donna,

gli occhi trasparenti rapiti al mare,

la voce calda e sensuale, quelle note

rauche a volte che lo facevano vibrare,

e la risata smorzata quasi rotta a volte

dalla sincerità di ciò che la colpiva.

Era sicuro del suo amore, del trasporto

nato poco per volta, della sincerità con

cui lei era stata capace di avvolgerlo .

Eppure non era stato un rapporto facile,

sin dall'inizio si erano subito affrontati

guardinghi, la differenza di età li aveva

confinati su rive opposte, lui l'aveva

respinta con una malcelata indifferenza

e lei a disagio per un avversione tanto

immotivata se n'era andata compunta.

Ma erano fatti l'uno per l'altra e quel

seme che era stato gettato nel loro limo

era via via attecchito in un richiamo

che li avrebbe fatti ritrovare per sempre.

Si erano legati con un filo che lui aveva

riavvolto pian piano mentre

lei si era lasciata andare alla sua

deriva consapevole che avrebbe perso

tutto pur di affidare la sua anima a

quell'uomo che aveva saputo

allontanarla tanto quanto aveva saputo

circondarla di attenzioni e carezze .

Erano stati onesti in tutto quel tempo,

onesti e leali come due colombe nel

volare lungo quel tratto d'orizzonte.

Avevano attraversato difficoltà,

gelosie, incomprensione ed equivoci

che li avevano portati spesso a

interrompere il sentiero che li stava

conducendo ad altezze vertiginose.

Erano scesi negli inferi, navigato su

acque torbide e scure, viaggiato su

percorsi impervi e nuotato in acque

gelide e profonde, ma sempre erano

tornati in superficie, guadato fiumi

burrascosi, approdando su rive

candide e in acque calde e ferme.

Sempre oltre le anse di sentieri

tortuosi avevano ritrovato la strada

dritta e illuminata dal sole o dalla

luna splendente per tornare a baciarsi.

Sempre era tornato il sole e il vento

li accompagnava gonfiando le vele

del loro meraviglioso naviglio.

Ma il giorno della sconfitta era

giunto anche per loro, il nero mantello

della disillusione era calato sul loro

tempo che, breve, aveva cessato d'un

tratto di scorrere come le nubi su un

firmamento di stelle.

Il giorno dell'inganno era calato dal

nord gelando tutte le acque, piegando

gli steli dei fiori appena sbocciati.

MARVELIUS

(segue sotto parte B)

 

 
 
 

Il Fabbro dei Sogni II°(Parte B)

Post n°116 pubblicato il 06 Gennaio 2017 da Marvelius
 

 

(Post "Il Fabbro dei Sogni II°",

scisso in tre parti: A-B-C che segue

il post precedente "Il Fabbro dei Sogni I°")


PARTE B

Le bugie si erano dischiuse come
boccioli di rose amare, le labbra di
lei fino ad allora fragili e vere si
erano aperte di svelando storie che
mai avrebbe voluto udire.
Tutto s'era dissolto nell'aria cupa
della Notte.
Le cime degli alberi si erano scosse e
la tempesta era giunta d'un tratto,
senza preavviso, senza essere scorta
in lontananza e come un tuono che
spacca il buio si era palesata d'un
tratto cogliendolo allo scoperto .
Il suo sguardo nel ricordare era ora
una maschera di ghiaccio, il volto
contorto di una sofferenza mai
immaginata scavava solchi che
sarebbero rimasti vivi per sempre.
Finanche una lacrima si sporse oltre
le ciglia e rimase li a annacquare le
pupille come una tempesta sull'orlo
di un lago chiuso da bastioni di
roccia bianca.


" Come è potuto accadere "
disse tra le labbra, ma fu solo un
sussurro, un leggero alito di vento
scaldato dal petto, un refolo di respiro
che morì sulle labbra cosi come era nato.
Poi una voce alle sue spalle schiuse la
roccia che lo sigillava nel mondo dei
ricordi, giunse diamantina a fendere le
lastre di ghiaccio che lo avvolgevano e
penetrarono come un eco nella sua
mente riportandolo indietro
"Mio Lord "
Furono le sole parole che lei riuscì a
pronunciare. Un vento caldo scese dai
monti e scosse planando sulle acque,
un fremito lieve le agitò increspandole,
piccole onde si disegnarono sulla loro
superficie e si infransero sulle rive
opposte come un flusso costante di
pensieri molesti.
Si girò lentamente come richiamato
da un suono familiare, una voce amica
che avrebbe riconosciuto fra mille e
mille simili alla sua .
"Lilith"
Esclamò con un velo di riluttanza
"Cosa ci fa qui, come mi hai ritrovato?"

E lei, come su una barchetta  tratta a riva

nel mezzo di una burrasca rispose   
"Ti ho cercato, dopo essere fuggita, come
sempre ho fatto, ho capito che scappare
non risolve nulla, non ripara i torti
fatti, non lenisce il dolore e il rimpianto "
"Sei venuta a dirmi che ti dispiace? Che
il tempo che ha accompagnato la nostra
storia e che ha subìto l'oltraggio della
farsa può essere ripagato da un ultimo
tardivo atto di rimorso?"

Le parole di lui erano piene di risentimento,

scorticato dalla rabbia ma piene d' amarezza

che lo accompagnava come un ombra.
"Non c'è mai stata farsa tra di noi
mio Lord, io ti ho rispettato e amato
come mai ho amato altri".
"Tu sai cosa vuol dire amare Lilith?
"Io so che dentro di me mai c'è
stato un sentimento tanto grande e
forte, so che dal primo giorno ho
provato qualcosa che cresceva in
mezzo al petto come una marea
inarrestabile, e so quanti errori ho
commesso ...
Oh tanti, molti ... ma nessuno per farti
del male, nessuno per deluderti come ora
so che ho fatto."

Piegò il capo sospirando e la voce già
era rotta dal dolore e l'imbarazzo, poi
si fece coraggio e continuò

 

"Tante sono state le mie bugie e molte le
menzogne che ho tenuto dentro di me in
attesa di confessarti chi ero realmente"

" Errori, bugie, mezze verità ... tu
chiami amore una simile torre costruita
sull'argilla? Chiami affetto la pula
che entra negli occhi confondendo la
vista, l'eco stonato delle falsità che
hanno corrotto le mie orecchie,
melliflue parole hai usato
dipingendo immagini ed evocando
un futuro che sapevi già spento e
senza vita e ora invochi su una
bilancia il metro di una giustezza
barattata col vile gioco della falsità "

"Non invoco il tuo perdono ... come
potresti darmi un simile dono che
non merito, come potrei pretenderlo,
ma il mio desiderio più grande in
questo tempo che ci ha visti su rive
infrante, lontani come il cielo e la
terra è stato quello di affrontare la
mia viltà e tornare da te per spiegarti
ogni cosa, ogni mio gesto e parola,
non per redimermi ma per subire
tutto il peso delle mie azioni l'ingrata
torre che ho costruito giorno per
giorno sull'errore ma giuro che non
vi è stato momento che io non abbia
avuto il pensiero di fermare tutto
questo e dirti ogni verità ma
man mano che l'amore e la paura
di perderti cresceva essa bloccava
il mio coraggio di agire.
Non credevo che ti avrei amato
tanto, all'inizio pensavo fossi come
tutti quelli che hanno incrociato la
mia vita, uomini attratti dalla mia
bellezza, da un corpo fatto di carne
senza vederne lo spirito, l'anima
oltre gli occhi rubati al mare .
Finchè un giorno sei comparso tu,
diverso da tutti coloro che mi avevano
sfiorato guardando un involucro,
desiderandolo senza mai
guardare la sua profondità e di
cui io mi sono sempre allontanata.
Mai e poi mai avrei immaginato che
in mezzo a tanto grigiume e tanta
banalità, ci fosse un fiore, Tu!
Ma l'ho capito nel tempo e ormai le
bugie te le avevo dette, certo avrei
potuto confessarti la verità, almeno
nel momento in cui mi sono accorta
di amarti in modo così profondo.
Ma ricordi cosa ti dissi una volta ?
Se si inizia con le bugie, diventa
complicato trovare il momento
giusto in cui ritrattare tutto e
scoprirsi per ciò che si è davvero."

"Lo hai fatto quando tutto era ormai
perduto, quando la lama del coltello
già serrava la tua gola e il respiro
annaspava nel trovare anche solo
un filo d'aria.
C'erano troppe cose che non andavano
troppi perché senza risposte eppure i
sensi di colpa li hai voluti dare a me,
i torti di una fiducia che sembrava
cedere sotto i colpi dei dubbi che pur
erano fondati ti irritavano, la
gelosia e la possessione che mai avrebbe

dovuto sfiorarti ti ha roso come un tarlo
consuma il legno, eppure la mia onestà
era limpida come acqua di fonte, la mia
fiducia in te era solida, la mia lealtà
granitica come il quarzo nel cuore
di una montagna.
Mi hai ripagato coi dubbi, con timori
senza fondamento, con bugie e liti
costruite sui tuoi sensi di colpa ?"

Lilith si mise a piangere, un pianto
profondo, vero, che le toglieva il respiro.


Entrò nell'acqua e vi si immerse
sprofondando oltre le ginocchia mentre i suoi
occhi si arrossavano come punti da un ago.
Le lacrime erano grandi come chicchi di
melograno e le rigavano il viso,
scivolavano sulla sua pelle liscia come
biglie su un panno di seta e ne inzuppavano

la veste.
Mise le mani sul viso coprendo i suoi
occhi ma i singulti non cessarono,
anzi sembrò flettere sotto il peso della
colpa e di un rimpianto che la lacerava
fino al centro del petto.

(segue sotto la parte C)

MARVELIUS

 
 
 

Il Fabbro dei Sogni II (Parte C)

Post n°115 pubblicato il 06 Gennaio 2017 da Marvelius
 

(Post "Il Fabbro dei Sogni II°,

scisso in tre parti: A-B-C e che segue il

post precedente "Il Fabbro dei Sogni I°")


PARTE C

Anche sotto l'onda della rabbia e del
dolore lui ebbe un fremito di compassione,
le aveva voluto bene come forse a nessuna,
l'aveva amata quella donna che ora le
appariva cosi diversa.
Era e si mostrava come un'altra donna, i suoi
occhi orientali avevano perduto il loro
taglio, la bocca perfetta, con quel
ricciolo cosi suadente, si era trasformata
in qualcos'altro, un taglio inferto nella
carne del viso che sembrava
spento sotto la smorfia del pianto.
Non era più la Lilith che aveva
conosciuto e imparato ad amare, colei
che le era rimasta vicino nel bene e nel
male, nella gioia di momenti esilaranti
e di sincera allegria, ma anche nella
passione travolgente e nell'estasi
fino alla tragica dimensione di un
tratto infelice della sua esistenza.
Ora le sembrava trasmutata nel viso
e nel corpo, solo la voce rimaneva
ancorata a quell'idea di lei, quel
timbro sensuale e caldo lo aveva
sempre distratto da ogni cosa, che lui
attendeva in ogni ora del giorno e della
notte come un infuso che gli toglieva le
forze e gliele ridava centuplicate.
Si dispiacque della sua arringa, delle
parole incendiarie con cui l'aveva
avvolta, della dura sferza con cui
sapeva rivestire la frusta della sua
lingua e cosi cercò dentro di sé la forza
di frenare il suo impeto di risentimento
, di colmare la sua rabbia con olio
profumato di una gentile compassione
e così traendo un respiro profondo
riconquistò un po' della sua serenità
e guardandola con più benevolenza le
disse

" Smettila di piangere ora, non serve
a darci una ragione di ciò che è
accaduto, serve solo a bagnare le ferite
col fuoco e col sale . Continua a parlare ...
io ti ascolterò in silenzio fino alla fine"

Lei scosse la testa e tenne le mani infisse
sugli occhi.

provava un misto di dolore
e pentimento, di gratitudine per lui e
rabbia per sé stessa. Ma dentro le visceri
le ardeva il fuoco del rimpianto e la
voglia di svuotare tutto ciò che le
restava da confessare, mentre si
accorgeva sempre di più di quanto
quell'uomo l'avesse amata e
di quanto quell'uomo ferito e deluso
ancora nutrisse per lei amore e un affetto
che andava oltre il limite della ragione e
di una rivalsa che avrebbe avuto diritto
di asilo contro di lei, un castigo che
avrebbe voluto lui le infiggesse per
alleviare almeno un poco il senso di
colpa che l'affliggeva.
Lilith respirò affannosamente e per
lunghi tratti, tirando su col naso e
asciugandosi le lacrime col palmo
delle mani, poi riconquistando la
sua compostezza cercò di parlare.
Prima le riuscì male, la voce uscì
spezzata e le si mozzò in gola poi
riavutasi dallo stordimento riuscì a
dare alla sua voce una parvenza di
vita

"Ti ho fatto del male con ciò che di me
ho costruito, l' infedele verità che non
meritavi e anche se ho deciso troppo
tardi di rivelare la realtà che mi ha
distrutto dentro non vuol dire che io non
ti abbia amato. Spero tu almeno ora
mi crederai, ti ho amato fino a
distruggere le mie notti, fino a che
il pensiero e il tormento del
peso che portavo dentro mi ha
portato a corrompere il mio corpo.
Non ho più potuto continuare a
recitare una parte che non mi
apparteneva, a ingannare te e me,
perché se cosi
avessi ancora fatto ne sarei morta.
Ti ho preso in giro, lo so ,
può sembrare così cinico e perverso,
ma non l ho fatto con l'intenzione di
farti del male, sei l'ultima persona al
mondo a cui farei del male,
avrei preferito farlo a
me stessa mille volte e Dio sa
quante pene mi sto infliggendo
per il torto che ti ho fatto.
Ho immaginato la mia vita con te ,
ho costruito per noi torri e palazzi,
visto mondi che mai pensavo di
vedere, ho sognato e vissuto con te
la parte della mia vita più sfolgorante
e insieme eravamo pronti a
viaggiare oltre i confini del mondo
fianco a fianco, ma sapevo che
tutto ciò sarebbe presto finito
perche ciò che ho mostrato di me
era solo una superficie che non mi
apparteneva e che prima o poi sarebbe
svanita insieme ai sogni e le illusioni.
Chi sono io ora lo sai, cosa sono
lo conosci, chi ero hai imparato a
sentirlo sulla tua pelle. Mi hai guardato
con gli occhi della verità, mi hai confidato
cose della tua vita cosi intime che
mi facevano arrossire e
piangere per quanto onesto e limpido
sei stato con me mentre io mi nascondevo
dietro le tende di una falsa illusione.
Ora che il mistero si è rivelato, ora
che sai molte cose vere e molte
infondate, certamente mi odierai
bruciando l'immagine che tu hai
ora di me.
Mi hai toccata sapendomi sincera e
lo ero dentro di me, mi hai amata
come si ama la più bella delle donne,
la più reale e leale delle ancelle e ora
senti che tra le mani avevi solo una
donna piena di conflitti, di un vissuto
nascosto, di contraddizioni e tristezza,
così ho ripagato la tua purezza,
la tua luminosa fedeltà con un
castello di bugie ...
tante, molte tranne una verità,
indissolubile ,
indubitabile ... il mio amore unico,
vero, immenso, sconfinato per Te."
Lui rimase seduto sul ciglio del fiume
osservava l'acqua scorrere in silenzio,
il lieve borbottio nel risucchio delle
anse tra pietre lisce e smosse.
Il vento gli agitava i capelli sulla
fronte sparpagliandone le ciocche
mentre carri di nubi oscuravano il cielo.

Lo riportò alla realtà il salto di uno
scoiattolo nero che da un ramo
passava ad un altro in un insieme
di pirotecniche evoluzioni, mentre
davanti ai suoi occhi un pesce dai
riflessi di un verde cangiante era
guizzato in superficie ingoiando un
insetto posato su una ninfea.
Sorrise per quanto poté di quanta
difficoltà c'era nella vita di ogni
essere che popolava la terra.
Poi scuotendo la testa si alzò e
guardando Lilith negli occhi provò
a parlarle con tutta la pace che aveva
ritrovato nel suo animo

(clicca sul video per continuare ad ascoltare)

 

"Cosa resta di noi Lilith? Cosa resta
di un sogno vissuto a occhi aperti, dei
progetti costruiti con slancio e una
passione che sembrava non
appartenere a questo mondo .
I nostri segreti ce li siamo rivelati
con la stessa intensità con cui ci
scambiavamo baci e promesse eterne .
Promesse, segreti sogni che erano
veri per metà di noi , l'altra metà
cuciva solo orli di verità, il resto
erano orpelli e gingilli .
Chi ho davanti ora veste abiti
consunti, dove sono finite le organze,
i damaschi che onoravano le tue
stanze, gli ori e gli argenti di un tempo,
dove quello sguardo fulgido,
quella presenza altèra.
Mi hai dato
molto ma molto ho scoperto era solo
un apparenza, mi hai mostrato sentieri
puntellati da fiori dove ore ci sono
sterpaglie e rovi. Mi hai raccontato
storie meravigliose e tragiche, hai
riso con me e con me hai dormito e
vegliato fino all'alba di giorni che
sembravano non finire mai.
Con me hai percorso strade e visto
luoghi che mai avevi veduto, ci siamo
stretti per mano su una fune sospesa
sull'abisso di vertigini profonde ...
e ora cosa resta di tutto questo?"

Disse queste parole abbassando
lo sguardo sulle acque,
un ultima rivelazione a se stesso,
nel tentativo di comprendere
come fosse stato possibile non
accorgersi di tutto questo, come
aveva fatto a non capire. Ciechi
erano stati i suoi occhi, sorde le sue
orecchie, confusa la sua mente che
mai aveva ceduto e con lei invece
si era assopita sotto l'onda delle
emozioni che giungevano dal petto.
"Restiamo noi , resta il nostro amore"

rispose Lilith con un accorato impeto
che recuperava tutte le sue forze,
un coraggio ritrovato al di la di ogni
giudizio, ogni colpa commessa, ogni
falsità perpetuata nei confronti di lui.
Per non perdere ciò a cui teneva più
d'ogni cosa quelle parole si erano
rivestite d'ogni bene e si erano offerte
al castigo e al risentimento di lui, ma
erano uscite dalla sua bocca vere e
piene di una grazia che egli avrebbe
saputo soppesare .
Ma erano tardive e lei lo sapeva,
apparivano vuote e lei ne sentiva
tutto il distacco, certo erano spoglie
di falsità, pure e limpide, piene di un
affetto che avrebbe attraversato i secoli
indenne, ma erano gravide di un peso
lacerante, di una gravità e di una colpa
che si trascinava dietro oramai da
troppo tempo.
Un lampo squarciò il cielo in due, una
folgore bianca su un panno di ardesia,
illuminò la radura e si riflesse sulle
acque del fiume. Di li a poco un tuono
risuonò su tutta la foresta, mentre un
vento gelido si infranse tra le fronde
degli alberi disperdendo gli ultimi
tepori.

"Lilith"
Disse lui con voce ferma, ma il
calore con cui l'ammantò fu come
un refolo di mare sulle rive appena
bagnate da riccioli d'onda e nel
parlare gli porse una mano
sorreggendola

" Vieni via da queste acque, fra poco
arriverà la pioggia che tutto monda,
ciò che resta lo scopriremo in questo
tempo che ci è dato.
Labile è la corteccia che protegge
l'alburno tralcio, insipida la buccia
che protegge il mallo di una noce,
e mendaci sono i raggi del sole nel
cuore dell'inverno come la neve di
d'aprile al primo scaldare del sole
di primavera.
Ciò che è stato scivola nei passi
ghiacci di questi monti , ciò che
è lo abbiamo davanti ai nostri occhi
e ciò che sarà lo scopriremo
percorrendo il sentiero dove ci
conducono i nostri passi "

E tenendola per mano si avviarono
lungo la strada tra colonne di verdi
cipressi e i grandi lecci della foresta
fino a sparire oltre le bordure di
corbezzoli e le nere ombre della
notte.

MARVELIUS

 
 
 

Il Fabbro Dei Sogni... I

Post n°114 pubblicato il 28 Dicembre 2016 da Marvelius
 

 

 

Credeva che i sogni fossero il prologo di

un racconto non scritto, la sintesi di una

vita non ancora vissuta, il filo su un

baratro non ancora dipinto.

Così nascevano nella testa quelle celle di

silicio bianco infuse di emozioni,

dimoravano nel suo cuore e si affacciavano

sull'uscio delle labbra come navigli sui greppi

di una vertigine d' acque.
Parole e vento miscelava con lacrime e

sospiri nel suo atanor di sogni, le

impastava col lievito di emozioni di svelate

, le irrorava con assenzio e mandragola e

leggere nebulose d'oro gravitanti con

piccoli grani d'argento
A volte si fermava a condensare pensieri

fumosi, affumicati su graticci d'ere agonizzanti

e quando il peso dei suoi ricordi diventava un

 macigno che non poteva più trattenere li filtrava

con le speranze levigate su grandi lastroni di basalto

 miste a bianche cortecce d'alberi mai morti,

oscure presenze irte nei laghi di abissi profondi

dove svettavano cime innevate e ghiacciai

 perenni.

Ma nel suo cuore albeggiava la luce che mai cessa

di brillare  e fiumi di lava incandescente ribollivano,

mentre una musica tintinnava tra le squille argentine

d'acqua mai imbrigliata e si incuneava tra le loriche

di foreste vetuste e i nodi contorti di ulivi secolari.
Spesso si  chiedeva quanto pensiero racchiudessero

le parole e quanto vuoto in esse riempisse gli spazi

come una verticale che vacilla o un incudine che

attende il colpo di un  maglio senza cuore.
Parole, sogni e ancora illusioni,  misteriose

creazioni oniriche  su cui infondeva la sua verità

come un verbo che non teme le crepe del dubbio,

un sigillo di fuoco che lasciava dietro di sé una

densa spirale di fumo.

Eppure bastava avere un briciolo di fiducia,

leggere con attenzione tra le labbra e nello

sguardo che si fa strada nel buio delle ombre

per comprendere l'essenza delle cose.
 Cosi le sue parole erano come il vento che nella

sera scivola tra le case del borgo o all'alba sibila tra

gli anfratti  delle linfe di piccoli torrenti, di specchi

di gore stagnanti. Era  il rumore molesto della

corrente tra il greto affiorante, il frusciare delle

foglie ai primi raggi del sole quando tutto si

risveglia dal grigio pennello di una notte

agonizzante.

Parole che si ammantavano di colori per divenire

sogni e come fumo di torba salivano in alto come

bistro fumigato di graticci sbuffanti per poi

precipitare, nere di caligine e pesanti dal troppo

peregrinare.

Quel giorno all'Illusionista si presentò una donna

chiusa nel suo mantello di pensieri. La caverna

era un luogo inospitale così piena di ampolle e

fumi maleodoranti, ricchi fastigi di un epoca

trapassata l'adombravano come grandi tende di

fumo su cui erano scritte storie andate perdute,

arazzi di china volteggiavano su soffitti di

madreperla dove sostavano, incaute, speranze

imberbi.

"Mi chiamo Lilith" disse la donna con voce

tremante, e nel dire quelle semplici parole

chinava lievemente il capo arrossendo un po',

ma quel rossore sembrò fuoco che usciva dalle

viscere della terra, fiamme guizzanti di un vivo

tremante .

 

Gli occhi erano di un azzurro penetrante che

nelle giornate  d'inverno divenivano di un

grigio trasparente. Il corpo era velato d'aria

e foglie e il vento la copriva e la carezzava

on   refoli profumati d'oltremare.

Il crine raccolto e composto in una treccia  che

le ricadeva su un lato del collo fino a sfiorarle

il ventre era di un mogano che sfumava in cupi

riflessi di un nero ramato e in quel contrasto con

la  pelle eburnea finanche la luna e la notte se ne

ingelosivano, amareggiandosi come il mare che

dei suoi occhi si sentiva defraudato.

" Io sono il Fabbro dei Sogni Lilith e questa è

la mia dimora ...Nessuno da un era è più giunto

su questa vetta, dimmi cosa cerchi da un vecchio

che vive solitario tra fusti avvizziti d'alberi silenti

e rocce scure ammorbate da infusi che più

neanche distinguo".

Disse con una calma che filtrava dalle condense

del ghiaccio, mentre il viso rubizzo sembrava

scolpito nella pietra, poi aggiunse con un tono

più lieve

"Questo io sono nel cuore di una montagna

che dorme per non sentire i miei lamenti,

uomo che aprì lo scrigno dei sogni  fui   e che

materializza i suoi pensieri da epoche perdute

nel tempo" .

 

 

La donna prese coraggio e traendo un profondo

respiro chiuse gli occhi per un istante poi

guardando l'Uomo Eterno, cercando dentro di

sé una calma che non possedeva, chiese

mettendo nella voce tutta la volontà che le rimaneva

" Cerco la via di un delirio , la verità che mi ridia

speranza , cerco i sogni che ho perduto da tempo,

la forza di una speranza consumata tra la cenere

del fuoco che ardeva un tempo"

Il Fabbro dei sogni rimase a riflettere su quelle

parole e una lieve smorfia gli stirò le labbra,

un piccolo segno di un dolore appena avvertito lo

colse nei pensieri andanti, poi chiuse gli occhi e in

quell'attimo di eterna fusione colse dalla sua memoria

i fiori di un giardino eliso, i profumi di un

prato fiorito che anelava sospiri al vento

tremulo della sera.

Quando il suo vagare si ritirò sulla sua torre

d' avorio le sue ali si chiusero raccogliendo il vento

dei ricordi e i grani del tempo precipitarono nella

clessidra di sabbie giovani riavvolte nel soffio

di un respiro appena sussurrato ed esclamò

con voce dura ma che nulla aveva del rimprovero

ne una scorza di giudizio


"Vi sono sogni che nascono tra albe grumose

che pennellano il cielo con la luce scintillante

del mattino e speranze che muoiono con essi

dopo un fugace battito di ciglia, come una

lama che affonda nel petto del cosmo esse

pugnalano il crepuscolo con rossi squarci di

inconsistenza versando sangue dagli acini

di ciò che più non sarà".

Lilith rimase a guardare l'Eterno con le mani

congiunte al suo petto in attesa di parole che

le dessero speranza, i suoi occhi erano

lucidi e il cuore palpitava ma dentro

di lei si faceva strada il buio della notte e

le ombre della sua disillusione presero ad

allungarsi lungo il cammino che la

conduceva all'oblio.

Il Fabbro la guardava restando immobile

e colse nel suo sguardo un intenzione

che morì sul nascere, la voglia di

chiedere oltre quell'incompresa ragione,

così le donò altro di un vaticinio che

nulla aveva della speranza se non la morte

stessa di quel delirio tanto agognato.

"I tuoi desideri li hai sacrificati da tempo

  Lilith, i tuoi sogni li hai barattati sull'ara

dell'orgoglio, le tue speranze erano

flebili fili d'erba che il vento ha strappato

dai crinali dei monti trascinandoli negli

angoli di gore putrescenti, come mulinelli

di foglie rinsecchite il flusso delle

acque le ha portate via con sé dove

esse più non sono che tenere inconsistenze ."

La donna piegò il capo e comprese quanta verità

ci fosse in quelle parole e cedette sotto

il peso del rimorso che le serrò la gola

mentre il rimpianto per ciò che poteva

e non era stato le divorava il ventre

come una fiammella divora il buio della notte.

Quando l'Illusionista tornò a parlare di lei

  • restava solo l'ombra, il pavido riflesso di se
  • stessa, l'informe calco della sua presenza,
  • finanche il vento stentava a riconoscerne
  • i tratti attraversandola come soffio tra le
  • giunchiglie di uno stagno.
  • "Belle sono state le emozioni giunte
  • inaspettate come carri trionfali trainati
  • da leoni bianchi, intense scaldavano
  • il tuo cuore ammantando le tue ossa pe
  • r troppo tempo lasciate al freddo dell'inverno.
  • Erano musica che inebriava lo spirito,
  • squilli di araldo che infondevano la gioia
  • della primavera nelle tue stanze ancora
  • disadorne, come una spina che non
  • da dolore e placa il mare che urla
  • dentro esse ti rendevano bella più
  • d'ogni fiore che nasce nel
  • cuore d'una roccia.

  • Eri assisa su nubi di un bianco candido
  • nel tepore di sale d'incanto, ma troppo
  • ingorda sei stata nel serrare le catene
  • al tuo trono, troppo avido il tuo possesso
  • da togliere l'aria alla torre che ti ospitava,
  • troppo ingiusto il tuo pesare parole e
  • pensieri che hanno divelto le pietre
  • e le fondamenta del tuo castello."
  • Lilith sussultò sotto il peso di quelle parole
  • e guardò il Fabbro di Speranze con le
  • lacrime che le scorrevano sulle guance
  • emaciate, con lo sguardo lo implorava e
  • le mani piegate nella ricerca di una pietà
  • non voluta si torcevano come il corpo
  • attorcigliato su se stesso simile a un
  • giunco affastellato su un altro dritto e
  • imperioso, una verga infissa nel
  • midollo della terra che saliva al cielo fino a
  • bucarne l'intima cella.
  • Ma non disse nulla, non aveva più parole
  • da consegnare alle sue labbra ne un alito
  • di respiro con cui scaldarle, così piegò il
  • capo e raccogliendosi come un riccio si
  • chiuse nelle sue spalle poggiando le
  • ginocchia sul mantello della terra, trasse
  • un ultimo ansito e lentamente prese a
  • spegnersi consegnandosi al vento di borea.
  • "Tornerai alito di vento Lilith, tornerai
  • fuoco su questa terra nella fucina del
  • Fabbro, la dove i sogni prendono forma
  • impastandosi con le speranze nel lievito
  • di desideri mai sopiti, ma ciò che hai
  • perduto lo hai perduto per sempre, e
  • nulla può tornare di ciò che hai disperso
  • perché ciò che più non'è ora vive in
  • altre forme e lievita come pane su altre
  • mense, col sale di altri sogni da gusto e
  • sapore alla tavola della gioia, la dove
  • un'altra donna cova le sue visioni e
  • genera speranze che vedranno un'altra
  • luce, combatte con tenacia per le sue
  • conquiste perché si avverino nutrendole
  • di speranza."
  • Era duro Il Fabbro dei Sogni ma la sua
  • durezza non era preda della sua rabbia ne
  • metro del suo giudizio, era clamide
  • perfetta di congiunzioni di una verità
  • che calzava senza pieghe il nudo corso
  • delle sue parole, era ombra rituale di un
  • simulacro imbiancato dal sole sul far della
  • sera, era il verbo che pesava l'incapacità
  • della donna a lottare per ciò che aveva
  • stretto a sé un tempo e a cui non aveva dato
  • la giustezza di un valore scartato, come uno
  • scrigno di muschio e licheni zeppo
  • d'oro tratto da un mare profondo Lei
  • l'aveva rigettato ai pesci incapace di andare
  • a fondo ... cieca non aveva visto il brillio
  • delle pagliuzze ma solo la scorza
  • consumata dal sale , così era fuggita
  • incapace di amare, restando fedele alle sue
  • inconfessate debolezze.
  • "Il coraggio ti è mancato per tenere
  • avvinto a te ciò a cui non hai dato i
  • giusti bezzi, la forza non hai avuto per
  • serrare le vele al tuo naviglio Lilith"
  • Esclamò Il Vecchio Sognatore con voce
  • stanca, un lento scandire di parole ammantate
  • di melanconia e un filo di doloroso disincanto.
  • Oramai Lilith non era che un pugno
  • di terra sciolto nella pioggia, un grumo
  • di fango ancora palpitante, il suo calore
  • andava disperdendosi nel fresco della sera
  • come un refolo tra tende d'organza mentre
  • una musica dolcissima scendeva dai
  • monti come la luce diafana della luna
  • spandeva sulle cime degli alberi la sua
  • coperta di latte.
  • Il Fabbro dei Sogni aveva aperto gli
  • occhi e ora osservava la donna con un
  • certo distacco ma man mano che Lilith s
  • vaniva nella sua consistenza e si perdeva
  • nella bruma della notte lui avvertiva
  • dentro di sé, per la prima volta, il dolore
  • della rinuncia, un certo molesto affanno,
  • una cuspide che lo tormentava nel petto.
  • L'osservava svilirsi attimo dopo attimo nella
  • cocente delusione delle sue speranze ormai
  • smarrite e ne provava compassione, avrebbe
  • voluto aiutarla ma non c'era più nulla che
  • avrebbe potuto donarle, nulla che avrebbe
  • potuto impastare per lei, far lievitare al caldo
  • della notte sotto i carboni ardenti di una
  • pagliuzza di desiderio poiché quel desiderio
  • era volato via da lei nel tempo dove tutto
  • può essere, quella biglia che contiene gli
  • attimi che legano due vite, un ellisse dove
  • due pianeti ruotano instancabilmente attratti
  • l'uno dall'altro, che niente e nessuno può
  • infrangere e che la volontà riesce a
  • frenare fino all'attimo che li congiunge per
  • sempre.
  • Quando non poté più fare a meno di
  • restare in silenzio l'Illusionista si aprì
  • dalle sue consegne e con voce dolce
  • come un unguento parlò cercando di
  • apparire meno duro di quanto non avrebbe
  • voluto mentre sulle sue spalle si aprirono
  • tese bianche come la neve di ghiacciai

  • " La diffidenza può essere lo scudo della
  • prudenza e l'armatura del pregiudizio, la
  • gelosia può essere la croce delle passioni,
  • il monte spoglio dove immoliamo le storie
  • che profumano di eterno ... è tardi per
  • rimediare alle tue diffidenze ma hai
  • ancora tempo per rinascere in un altro
  • luogo, per avere altre speranze, un luogo
  • e un tempo dove incontrare un altro
  • pianeta con cui dividere i sogni di una vita
  • futura ... rinascere si può ma ora non
  • puoi comprendere ciò che le mie parole
  • ti mostrano lungo la strada della tua
  • esistenza perché ciò che non è
  • sbocciato lascia un amaro che uccide
  • la speranza . Avrai altri cieli scaldati
  • dal sole e mari di un azzurro accecante,
  • notti tempestate di stelle e occhi che
  • ti guarderanno gioendo e ciò che non'è
  • stato sarà allora un fugace ricordo, ciò
  • che di quel tempo e di quell'uomo
  • serberai dentro sarà solo il pallido timbro
  • di un eco lontano, quando nuovi occhi
  • ti guarderanno e una voce nuova ti
  • sussurrerà parole che ti sembrerà di
  • udire per la prima volta, così tornerai a
  • tremare e il tuo cuore a palpitare le pene
  • che pensavi ti avessero abbandonato
  • per sempre, tornerai ad amare e amerai
  • senza dubbi e con fiducia ritrovata colui
  • che ancora non conosci ma che da
  • qualche parte nel mondo aspetta di
  • incrociare il tuo sguardo, penetrare nei
  • tuoi occhi sciogliendo il ghiaccio che ora
  • ti confina nel gelo dell'inverno ".
  • Lilith si destò dal suo torpore e come
  • scossa da quella rivelazione pianse
  • profondamente, di un pianto sordo e
  • soffocante poi come in un ultimo afflato
  • si avvicinò alle vesti dell'Immortale e
  • portandole agli occhi rigati dalle lacrime
  • esclamò con voce rotta dal pianto
  • " Io non voglio un altro domani, non
  • desidero che un altro sole illumini le
  • mie giornate, che un'altra stella
  • illumini il mio cammino ne che un
  • altro vento mi carezzi la pelle, ne
  • desidero una torre diversa da ciò che
  • anelo mi tenga prigioniera con le sue pietre
  • squadrate, io bramo ciò che ho perduto
  • quando potevo stringerlo tra le braccia e
  • invece ho lasciato che mi scivolasse come
  • sabbia tra le dita delle mani, voglio
  • quel fuoco che bruciava le mie carni
  • ma che mi dava calore e e tormento,
  • desidero quella mancanza che mi
  • toglie il respiro e gonfia il mio cuore
  • di una solitudine lacerante "
  • E il pianto si fece singulto fino a che la
  • disperazione sciolse i nodi che tenevano legata
  • la sua anima al passato .
  • Il Fabbro dei Sogni si chiuse nei suoi
  • pensieri crucciando lo sguardo e quando
  • ormai tutto era preda della notte aprì le sue
  • braccia e piegandosi verso la donna le cinse le
  • spalle con le sue mani traendola verso di lui,
  • quando l'ebbe sorretta e i loro sguardi si
  • fronteggiarono l'uno di fronte all'altro
  • con le dita di una mano le alzò il viso
  • donandogli una carezza e con la dolcezza
  • di un gesto insolito le regalò le sue ultime parole
  • " I giorni sono doni che non hanno
  • ripetizioni come le ore sono miracoli che
  • hanno in sé altre gemme di meraviglia, vivile
  • immergendoti in essi col desiderio di ciò
  • che fu riportando indietro il ricordo, ricamalo
  • con le parole che avresti voluto dire e che
  • non hai detto e purificalo dei pensieri che
  • non sono serviti a darti coraggio, abbi
  • della notte venerazione perché essa porta
  • i profumi dei desideri, il regalo del silenzio
  • , l'aroma della riflessione che placa i cuori
  • e rende la verità chiara come acqua di fonte.
  • Prega per ciò che hai perduto affinché
  • quelle stelle possano ascoltare i tuoi rimpianti,
  • perche la notte sa creare gemme che
  • volano tra le ombre e ci abbandona sulle
  • ali della speranza , lì forse incontrerai
  • nuovamente i tuoi sogni e con loro potrai
  • legare colui che di sogno è vissuto insieme a te.
  • Nulla forse è mai definitivamente scritto, nulla
  • mai definitivamente perduto se l'amore ancora
  • vive nel canto del petto, se una lucerna ancora
  • brilla nel fondo dell'anima come
  • un asticella che si agita solitaria nel cuore
  • della terra."
  • Il Fabbro dei sogni disse quelle parole con
  • voce rotta dall'emozione e quando ebbe
  • finito insieme a quella speranza ritrovata le
  • regalò una lacrima che si era generata sui
  • greppi delle sue ciglia, una stilla d'acqua
  • benedetta che mai aveva versato prima d'ora,
  • una gemma che gli avrebbe rotto il cuore
  • per sempre ma che le donò con generoso
  • slancio perché l'umanità che aveva avvertito
  • in quella donna l' aveva provata dentro di
  • lui come una lama che scava un lacerto in
  • mezzo al petto, un oceano di sogni si erano
  • rimestati dentro di lui nuovi desideri e nuovi
  • sogni si impastavano come rapiti da vortici di
  • lievito, si ricreavano per ogni altro uomo e
  • donna che su quella terra giacevano privi
  • di una luce, spogli di sogni per andare
  • oltre le loro tristezze e i vuoti di tartari pieni
  • di solitudine.
  • Quelle ultime parole furono per Lilith come
  • un balsamo su ferite mai guarite, cicatrici
  • inferte lungo le ossa del costato, lacerti pulsanti
  • sull'alburno tralcio delle vene e in quel
  • momento, nell'istante che il Fabbro di Sogni
  • le consegnava al vento Ella sorrise e fu come
  • un sole pallido che filtrava in una cortina di nubi
  • illuminando appena le cime degli alberi di
  • una foresta per troppo tempo immersa
  • nel gelo della notte preda di un oscurità
  • incessante mentre il volto dell'Illusionista
  • era tornato il volto di un tempo ...

MARVELIUS

 
 
 

Nel fondo del petto...

Post n°113 pubblicato il 20 Novembre 2016 da Marvelius
 

 

 

Nessuna porta è mai cosi assolutamente chiusa, cosi

definitivamente serrata da non aver chiavi per aprirla e

quand'anche esse siano perdute il vento troverà il modo

per renderla violata, come la luce degli occhi saprà

sempre attraversarla, come il pensiero saprà

fonderla e il cuore sempre trovarne il calco ...


Così...di colpo gli apparve una foresta le cui porte

erano sbarrate da ampi grovigli di rovi...

 


Ebbe d'un tratto timore di doversi arrendere, cedere

alla lusinga della rinuncia ma non si arrese alla sconfitta, 

avanzando col sole che ormai alle sue spalle declinava

oltre le cime dei monti oscuri e quando giunse ai

cancelli del bosco un ombra lo scavalcò come il buio

che arranca e tutto copre con un velo d'organza.

Poi trovò un varco come seguitar d'un segugio scaltro

e senza pensare oltre passò la soglia che più non si

torna affondando d'incestua lena come una lama

nel cremoso sodalizio della carne.

Ed ebbe sorpresa nel cingere i fianchi d'alberi dalla chioma

larga e folti ciuffi di achemille e  cesti di  viole grondanti

effluvi d'oltremare, gli slarghi delle radure bordurati

d'acanti e gli ampi corsi d'acque cristalline...fino a che la

luce argentata d'una marmorea stella lo inondò di

fasci  di polvere cangiante .

 


Ecco dunque, era nel mezzo della foresta antica ma

invero era giunto nel cuore d'una donna...

Eppure il suo richiamo s'infranse sui bastioni

del petto  come le onde sui bianchi scogli.

Ecco la sua isola circondata dall'azzurro del mare,

tra verdi distese di caule filute e ciuffi di asfodeli

lungo i rigogliosi prateggi, tenere giunchiglie

 tra le anse di fiumi serpentini e le bordure dei

boschi.

Avvertì il profumo penetrare le narici  e farsi

largo tra la carne tremula nel soffio caldo,

tra gli odori di viole che stordiscono i sensi .

Ebbro di effluvi di un eliso giardino si addentrò

nei labirinti della mente e con dita tremanti  

sfiorò ciuffi di achillea tra la terra  smossa,

su prati di foglie carnose di ligustro e aghi di

agrifoglio nel pungente timbro di resina d'ambra.

Piccoli steli affusolati di fiordaliso bianco danzarono

nelle corolle lattee tra spire di vento rarefatto,

mentre petali schiusi di un fiore candido

stillarono terse lattiginose dall'odore pungente.

 "Carnale è la mia  Isola"

 

 

pensò tra sé col cuore madido di pene,

ventre grumido di rocce sgorgate dal mare,

intreccio di lamine nel fertile solco;

ne sentiva il pungente ancoraggio di radici di faggio,

 le spinte poderose dei bastioni lungo le pareti dei

monti come abissi languidi e mortali ...

Eppure in quell'acqua quieta avevano sostato

e  nel tumulto delle onde

 generato turgide zolle e al sole del mattino,

 emerse nell' eco di un vagito che aveva scosso

le fondamenta della terra.

 


Gemettero le acque d' un fiume di voglie,

schiumando, ridendo, godendo e gorgogliando

tra i duri sassi nel solco delle faglie.

Lunghe vesti gli cingsero i fianchi

tra fruscii di veli che molestavano il corpo,

bianche le gote come nivei nembi

e rosse le sue labbra come fico divelto

nel gravido vento tra l'erba dei campi

come  seme  germogliante la nuda terra.

Così ancora una volta ricordò quel segno,


il profumo di un incontro nell'ora che


colora i prati e tutto indora


I capelli tirati sulla nuca e legati a nocca


per rendere più splendente il viso suo


Oh tumide labbra come carnosi lembi di


terra, rive di un fiume candido tra


i verdi greppi  dove calda


tintinnava la voce sua.

 



Morbido come seta le scivolò nella testa


quel timbro di donna, come un una squilla


argentina che scava lacerti tra le ossa


e i fili della carne.


Nell'ovale perfetto del  viso suo due

perle saettarono come verde baleno,


tempeste d'inverno i suoi riflessi


su spuma candida che infrange le rocce


nell'armoniosa cella dello sguardo


Di lei tutto gli piacque ... tra voglie che


generavano voglie e in queste brame scoprì


che era vento saettante tra boschi

resinosi carezzando i solchi e la crosta


della terra.

Cosi il ricordo giunse sulle ali del tempo

e colmò sull'uscio l'ora che tutto arresta,

il vespro che  offusca la luce col drappo

c'appressa la notte con le amiche ombre

così il partire fu lesto come dolce il naufragare ....

 

Marvelius

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 

addio fratello

Post n°112 pubblicato il 13 Ottobre 2016 da Marvelius

Ti rivedrò Fratello ... Is not goodbye John

  • Fumo di china saliva nel cielo e confondeva l'azzurro d'un tempo, i verdi
  • prati su cui giocavamo erano  lunghe distese di cemento tra file di
  • palazzi signorili, piccole carrozze di legno costruite da ragazzi pieni di
  •  ingegno sfrecciavano sull'asfalto stridendo con piccole ruote metalliche
  •  nella calura dell'estate mentre i miei occhi ancora chiusi si perdevano nei
  • ricordi e sfumavano nei sogni .
  • Una mano amica mi scosse e una voce che avrei riconosciuto tra mille mi reclamò riportandomi indietro dalle ombre caliginose di un sonno infermo.
  • "Roby ... ehi Roby e sveglia su che è tardi"..." Così aprii gli occhi della mente come un sipario tra luci che stordiscono e un profumo di rose e viole che
  •  prende le narici si espande nell'aria rarefatta.
  • "John? E tu che ci fai qui ... che strano stavo sognando e tu eri nel mio
  • sogno tra distese di ricordi di un tempo che non torna "
  • " Lo so ... tu sei un sognatore, un romantico cuore d'avventuriero, te l'ho sempre detto di scendere con i piedi per terra, di separarti dalle tue visioni, tanto il mondo che immagini non sarà mai come lo desideri, è solo un
  • variopinto susseguirsi di incontri che solo in parte modifichiamo con la
  •  volontà delle nostre intenzioni"
  • "Certo illuminato fratello ... ma senza visioni cosa saremmo? Macchine
  •  senza desideri, sogni senza speranza ... tu non hai avuto un miraggio
  • sempre dinnanzi a te ? Quante città hai guardato studiando le ossa delle
  •  loro fondamenta, leggendo i segni del loro mutamento, ascoltando il canto delle loro pietre e seguendo il sangue e la linfa delle loro genti.
  • " Uhmm ... non posso darti torto questa volta, ho sempre avuto dentro il demone della ricerca, la voglia di inseguire l'indefinito, il desiderio di creare,
  • di guardare oltre il limite dei miei occhi, trovare la radice del mallo dentro l'involucro delle cose, spolpare la corteccia per scoprire l'intima rete delle
  • sue sostanze"
  • " E io ho cercato di starti dietro per un po', poi il fiume si è diviso e le sponde
  •  si sono allontanate, separate dal mare come gocce d'acqua cristallina stillata dal cuore delle montagne e confinate come onde stanche su rive opposte".
  • Un leggero vento mi scombinava i capelli mentre ricordavamo come due
  • vecchi amici brezze giovanili, piccole storie di imberbi fanciulli nei giochi di un
  •  età ribelle e spensierata, quelle linee di esistenza fatte di circoli e rimandi,
  • di passi gettati sulla via delle emozioni nei giardini della conoscenza.
  • "Ricordi John i giochi nei quartieri del paese vecchio, i profumi delle pentole
  • di sugo messe a sbottare all'alba perdersi come effluvi tra i corridoi di
  • corrente e le viuzze strette sotto i supporti di legno di castagno. Ricordi le bande del rione Rummango, i gruppi del Pedale e i sodali della Jisterna sotto Santa Maria, o quelli del Casalicchio apparentati con il Timpone abbarbicato
  • tra cento gradini e un pugno di case strette intorno alla chiesa dell'Immacolata?" .
  • "Certo che li ricordo, bande di ragazzini tenaci con le loro canne entro cui arrotolare piccoli fogli di carta a forma di cono con un leggero strato di saliva passandolo sotto la lingua, coppi da utilizzare come cerbottane per infastidire
  •  i passanti o simboleggiare guerre cittadine tra rioni opposti.
  • Si noi eravamo quelli del rione Conche e su fino alla Chiazza stesa sotto il palazzo del castello e la torre dell'orologio di San Giuseppe a guidare un quartiere nuovo, moderno contro i vicoli delle zone antiche. Quasi fossimo un paese nel paese, l'odore della modernità contro il profumo dell'antichità,
  • l'idea di un progresso contro la lenta parvenza di una tradizione ormai
  • avviata sul sentiero della rinuncia.
  • Pensavamo ai giochi che impegnavano le nostre teste e il tempo che ci accomunava come ragazzi di strada, sì ma dopo aver fatto i compiti in una scuola dura e un po' autoritaria che faceva il paio con genitori che ci tenevano all'educazione e al rispetto come punto fermo e irrinunciabile di un educazione quasi spartana. Un etica che sarebbe andata via via scemando verso quel permissivismo che scambia un po' i ruoli all'interno delle famiglie nel decisionismo delle scelte.
  • "Nostro padre ci portava da bimbi a Napoli, diceva che gli facevamo compagnia nella notte, impegnato a guidare su una strada sempre pericolosa con l'ombra del sonno che nelle ore più buie della notte si stende come l'ala di un corvo.
  • In realtà amava restare aggrappato sempre a uno spicchio di famiglia per sentire quel legame indissolubile che lega un padre ai suoi figli,quel calore che
  • ci rende vivi nel saperci uniti. Eravamo due facce di una stessa medaglia così diversi ma cosi uguali, tu alto, smilzo e coi capelli neri, io più piccolo col viso tondo e il crine chiaro, due ali contrapposte di uno stesso rapace pronto a sfidare le altezze rarefatte e le vertiginose discese tra i dirupi delle Timpe
  • "Si ... lo ricordo come fosse ieri fratellino ... come potrei dimenticare la mia infanzia. Nostro padre che per chiamare te chiamava me e per chiamare me chiamava te ... Rammento che mi mandava a portare i soldi di un incasso al direttore della banca che non avevo ancora sei anni, arrivavo appena al bancone dello sportello dell'allora filiale della cassa rurale del paese, era piccola ma solida, all'interno della quale era forte il legame con i
  • soci e l'etica del risparmio e della fiducia saldava i rapporti tra gli uomini rendendoli parte di un unico formicaio"
  • "Papà teneva i soldi sempre liberi a casa perche diceva che se i soldi si devono guardare in casa propria allora in quella casa padre e madre non sono stati bravi a educare ... beh qualche soldo lo abbiamo preso dal cassetto e lui lo sapeva ma era il limite giusto del prelievo, quello necessario a ragazzi che crescono e sperimentano le necessita della propria cassa. Anche al negozio qualche spicciolo spariva per il bigliardino e il flipper da spendere nel locale di donna Veluzza di fronte alla cantina di via Firrao, ma faceva finta di non accorgersene almeno fino al giorno della paghetta con cui iniziammo a sentirci grandi".
  • "Ehi Roby ... rammenti quanti giochi si facevano per strada, potrei citarne a decine, con le monetine, con gli stecchi e i copertoni di ruote abbandonate, le carrozze di legno con le ruote e i pallini delle macchine, scarrozzacavallo, uno manto la luna, gli strummuli da far girare sulle mani o scaraventare sulle
  • trottole più grosse fino a spaccarle. Usavamo finanche le stecche di legno che rimanevano dai gelati di panna ricoperti di cioccolato per giocare tra ragazzi pieni di ingegno".
  • In lontananza i tuoni baturlavano mentre il vento prima fiacco si era fatto più teso raggelando la pelle e portando odore di pioggia. L'immagine delle lenzuola stese sembrava rapire la mente facendo dimenticare per un attimo quei ricordi e disegnava origami di vortici lungo i fili dei balconi. Come vele di navi pronte a salpare si srotolavano catturando il vento di ostro scuotendone le reni .
  • "Gionnettì e Robertì ci chiamava ... cavolo se ci ha voluti bene ... vorrei poter dare metà dell'affetto che ci ha donato nella nostra infanzia ai miei figli , vorrei avere la dignità e la forza che ha avuto lui quando ci ha lasciati in quel letto di ospedale dall'odore di medicine. Ricordo quando una mattina dopo aver
  • dormito su una sedia per l'ennesima notte mi chiese di aiutarlo ad alzarsi dal letto per andare in bagno. Lo sostenni fino alla porta del bagno poi ebbe come un lieve capogiro ma entrammo lo stesso, "Ho bisogno di sciacquarmi la faccia" mi disse appoggiandosi ai bordi del lavandino. Poi come a riconoscere i cambiamenti del volto si era passato una mano sul viso ispidito dalla barba di un paio di giorni con lo sguardo crucciato parlò allo specchio ma in realtà era a se stesso che parlava e a me ... "Non sono più lo stesso, non sono piu il Rinaldo di una volta" e quelle parole significavano per la prima volta la presa di coscienza che tutto stava cambiando repentinamente, la consapevolezza che qualcosa si era rotto in quella roccia granitica che aveva fino ad allora per anni annientato la
  • malattia come se fosse un entità irrilevante rispetto alla sua forza di volontà
  •  e a quel suo nome importante che lo faceva sentire un paladino della vita e
  • di cui andava orgoglioso visto che ad osservare la sua esistenza gli cascava a pennello.
  • Dieci giorni di ospedale per un raffreddore presto trasformatosi in polmonite e
  • si è dissolto in quei rantoli affannosi in quella dignità che sprigionava in occhi potenti e vivi cosi forti da bucare i miei ... fragili occhi di un figlio che vedeva sfiorire la quercia che aveva pensato essere immortale.
  • Ho impresso i suoi occhi fissi nei miei nell'attendere una morte che lo
  • avvolgeva mentre gli parlavo con le lacrime agli occhi tenendogli la mano e
  • lui senza pianto sembrava asciugare le nostre dandoci l'esempio di una sofferenza per una malattia mai pienamente accettata, senza che un
  •  lamento uscisse dalle labbra...Si è spento così nostro padre, tra l'affanno del respiro che pian piano abbiamo atteso rallentasse fino agli ultimi flebili sospiri
  • di un petto che come un mantice ritmava la fine delle sabbie di una clessidra di cristallo ... fino all'ultimo... fino a quello che svuota i polmoni e lascia che la vita
  • si libri in volo oltre le stanze di una prigione terrena "
  • "Dai su Robertì non velare questo incontro col ricordo della morte ma cerca di trovare nel ricordo le tracce e i segni della gioia .
  • Ricordi i natali con zio Nino e i cugini ? Quanta felicità, quante risate, ricordi i fratelli di mamma ... le visite dal Canada, la gioia nel rivedere le persone che
  • sai mai ti abbandoneranno, che l'oceano non separa , che i chilometri non
  •  fanno dimenticare. Sono stati anni felici, intensi, pieni di un affetto che scalda
  •  e crea fiducia nel destino del nostro vivere."
  • "Hai ragione fratello ... se penso al passato, a quando noi ragazzi coi pantaloni stretti in vita e larghi alle caviglie uscivamo per il paese d'estate affollato come se fosse sempre festa mi si allarga il cuore . Ricordo le tue follie ... a dieci anni
  • ti cappottasti con nostro cugino Maurizio e cento altre peripezie che hanno
  • dato un gran da fare ad angeli custodi e santi locali, impegnati a tirarti su dai capelli, quel caschetto lungo e liscio che muovendoti ondeggiava come tende
  •  in balia del vento. A undici hai distrutto la macchina di papà, tra tredici e quattordici rubavate le auto dei genitori con la tua combriccola di matti per fare di notte gare in montagna salvo poi finire la benzina e ridiscendere a folle o rimanere bloccati sulla neve. Potrei scrivere un libro : Le mille avventure di John e Maurizio salvo poi aggiungere tutti gli altri protagonisti che a turno entravano nelle peripezie sbullonate della giostra di turno ".
  • " Non rinfacciare come sempre, perche qualche volta c'eri anche tu con noi e non credo che anche da solo o con i tuoi amici non hai bucato il muro di nebbie che appare sempre davanti agli occhi di un ragazzo come un canto di sirene, trascinando la sua curiosità e la sua irruenza verso confini insondati e pericoli nascosti. Ti sei salvato anche tu da qualche sbandata finendo sul ciglio di una diga o sfiorando i duecento nelle discese perigliose di Paola ... sempre con
  • quel pilota di cugino che ci ritroviamo, fosse nato al nord a quest'ora avremmo festeggiato con lui qualche mondiale di rally ."
  • " Beh vero, salvato si ... mi hai portato in braccio a tredici anni dal liceo a casa per mezzo chilometro ... in corpo avevo una milza spappolata e un mare di sangue nel ventre e nemmeno lo sapevo. La morte mi correva dietro ma mi sono salvato per un miracoloso intreccio di fatalità saldate l'una all'altra come catene di acciaio, quello che però non'è stato dato a te che forse meritavi più
  • di me"
  • " Ancora a rimuginare sul fato fratellino .
  • No ... non sondare misteri che non possiamo investigare e credimi da buon ingegnere li ho indagati anche io alacremente ... accetta la vita per come si presenta, viverla intensamente è il segreto, viverla nel giusto è il sale che le
  •  da gusto. È un fiume che scorre verso il mare e verso il mare incontra ostacoli
  • e subisce deviazioni ma quelle acque lasciano sempre dietro di sé un limo
  • fertile dove attecchiscono i semi della tua esperienza , cerca di immergerti
  • con onestà nei turbini che incontri, vedrai che da quelle piante
  • germoglieranno frutti buoni."
  • "Ora sembri il vecchio saggio della montagna di Piancavallo"
  • "E chi sarebbe questo saggio, non l ho mai sentito nominare"
  • "Infatti stavo scherzando ... beh hai perso smalto se non afferri più le mie battute John, era per dire che spari frasi come certi scrittori d'oggi, saggi pensatori dalla lacrimuccia facile eh eh, ma dopotutto per quanto sei un raziocinante ingegnere logico che tutto vuole dimostrare con la legge della matematica non hai smesso di essere un romantico. Sei stato un uomo di temperamento, caparbio e deciso ma sempre buono, la tua sensibilità ha lasciato tracce ovunque come l'onestà che ti ha preceduto e spesso creato delusioni, quel fiume generoso ha attraversato molte terre e molte piante
  • ora sorgono superbe all'orizzonte "
  • "Uhm usi le mie parole su di me? Sei un sofista Roby"
  • "Non uso le parole tue su di te dico solo, e non sono un sofista, che in fondo
  •  in fondo i più razionali sono anche i più idealisti, quelli che arrivano al punto morto sul binario della scienza e dopo tanto rimuginare scelgono di cambiare binario salendo sul treno del dubbio e del mistero per viaggiare sugli spazi di Dio".
  • Il silenzio si fece leggero come un alito di vento che viene dal mare, profumi di oleandri pervasero le stanze del pensiero e piccoli vortici di stelle rotearono nell'infinità del cosmo. Le note di una musica alpestre si fusero col rumore del mare, riccioli d'onda si plasmarono sulle rocce bianche mentre la spuma moriva tra la sabbia.
  • "Hai costruito pezzi di una città ricca sulle sponde di un lago, ideato evoluzioni ardite che la tua testa teorizzava tra formule matematiche e geroglifici geometrici, progettato ponti e strade, gallerie chilometriche e in un continente immenso dalla tua testa hai partorito l'idea di un intera città che stava crescendo come cristalli di quarzo, lungomare, quartieri , strade, piazze, ponti
  • e chissà altro se solo il tempo non ti fosse scivolato tra le mani ... a cinquant'anni".
  • Un nodo mi strinse la gola come una fune da strangolamento e trattenni la rabbia e lacrime amare, ma fu un momento come il fugace scroscio di pioggia
  • in una giornata di sole. Poi sentii freddo tra le ossa e mi si accapponò la pelle
  •  e senza vento i miei capelli si mossero frangendo la fronte . Mani di una trasparenza d'aria mi sfiorarono la testa, piccole consistenze di polvere di
  • stelle vibrarono tra le luci della stanza e un calore ritrovato sembrò
  • avvolgermi per trasportarmi lontano.
  • Angeli dal volto emaciato mulinarono intorno alle mie braccia mentre tutto intorno prese a scorrere come un vortice di tempo per rivivere indietro le
  • storie che avevo dimenticato, i volti degli amici, i giochi di ragazzo con mio fratello, le risate al mare tra gli spruzzi d'acqua, l'università nella stessa
  • stanza a studiare matematica sotto la luce delle lampade mentre lui
  • disegnava strade e chissà quale futuro immaginava, il volto di mia madre sveglia ad attenderci fino a notte fonda, quando con una maserati che
  • nostro padre ci aveva regalato a vent'anni per farsi perdonare di non averci
  •  mai voluto comprare qualcosa che corresse con due ruote tornavamo stanchi
  •  di serate lungo le coste di una regione che dire meravigliosa è non rendergli giustizia. Ma fu un attimo e tutto svanì lentamente come fumo di china scacciato dal vento di borea e nella penombra tornata regina io ripresi a parlare con lui come se le mie parole fossero lo squillo di un araldo che echeggia tra le falesie dei monti.
  • "Questi ponti legheranno lo spazio col tempo, la memoria e i cuori di chi hai incontrato ... sono felice di questa tua intensità. Piano piano inizio a comprendere che a volte ciò che siamo, che diventiamo, è anche ciò che facciamo e quel che realizziamo è ciò che lasciamo come segno dei nostri
  • passi, come suono delle nostre parole nei cuori delle persone che
  • incontriamo."
  • "Una vita intensa è una vita che non si risparmia, è un cammino che getta
  •  ponti, che pianta semi, che raccoglie doni Roby".
  • "Vorrei uccidere la morte che strappa queste vite però, che falcia le spighe migliori quando sono ancora nel pieno del loro sviluppo, che insensibile chiude le stanze al calore della vita per confinarle in argentei palazzi avvolti dal gelo dell'inverno "
  • "La Morte? Vorresti eliminare la dolce Fata che apre le porte alla luce che
  • acceca ma che non fa male agli occhi, il fuoco tenero della grazia che scalda
  • ed espande i sensi come un fascio di atomi nell'iperspazio delle emozioni?
  • No Roby, lei mi ha dato la mano sussurrandomi parole che mai avevo udito, carezzandomi come nessun vento e nessuna mano aveva mai fatto prima,
  • dolce è il suo andare e lieve il suo sostare, tenero il suo commiato come le parole di una madre al figlio in grembo"
  • "Vorrei crederci"
  • "Devi credere ".
  • "Vorrei"
  • "Devi"
  • "Ok ok ci proverò"
  • "Ci riuscirai"
  • "Ma non adesso ... ora ho rabbia, delusione, sfiducia ... distacco verso la comprensione delle cose, verso la catena che lega i nostri giorni al ricordo e
  • alla separazione, contro tutto ciò che mi appare un ingiusto controsenso"
  • "Prima dell'uscio si ragiona da ingegnere lo sai ? L'ho scoperto attraversando
  • la soglia della mutazione. Osservavo le nuvole attraversare il cielo e non
  • capivo che ero io che attraversavo lo spazio, guardavo il mare scivolare verso
  •  la spiaggia e non capivo che era verso di me che andava incontro ... ora guardo le cose volgendo indietro lo sguardo e vedo il mondo dietro l'uscio cercarmi ma so che sono io che vi tengo stretti, che vi vengo incontro, non c'è distacco tra i due mondi è la stessa luce che penetra entrambi, solo che ora vedo tutti e due, ascolto i loro suoni, parlo la lingua di tutti i mondi e sono
  •  parte di questo tutto".
  • " Ma noi siamo ciechi, stranieri del tuo mondo, scarnificati degli atomi di uno spazio che non conosciamo e questa aliena mancanza genera dardi di fuoco
  • e gelo che penetrano la carne e pungono come una cuspide ferma a un dito
  • dal cuore .
  • Non puoi pensare che comprendiamo e accettiamo una simile lacerazione,
  •  non ora, non adesso ... poi il tempo lenirà ciò che deve essere ricucito, il
  •  lacerto che ora pulsa e duole"
  • "Non pretendo che accettiate il mistero ma vorrei tanto che non lo rifiutaste come si rifiuta l'idea che tutto finisca con l'ultimo alito di vita"
  • "E' un sogno fratello vero? Questo è il sogno dove la speranza gioca a dadi
  •  con l'illusione? Chi apre gli occhi dopo un lungo sonno si ritrova con la bocca impastata d'amarezza e l'orizzonte che ha il sapore del dubbio e tutto resta
  • un vuoto incedere di passi verso i giorni della mancanza"
  • "E' un sogno Roby ma i sogni non sempre sono ciò che desideriamo, spesso però sono la porta che conduce alla verità , il filo che lega ciò che dentro sentiamo possa essere reale, un provese che tiene avvinte le emozioni
  • vissute e che vivono dentro e fuori l'uscio dei nostri mondi".
  • "Io so solo che come un soffio in un mattino appeso tra il finire dell'estate
  •  e l'inizio d'autunno qualcosa si è spezzato, un albero possente è stato trascinato via dalla corrente del fiume ed ora giace nel limo sul fondo del lago"
  • "Quel limo è terreno fertile fratellino, sedimento dove riposano i rami e dove
  • un giorno germoglieranno altre radici ma la corrente ha già trascinato via i
  • semi che daranno altri alberi con altri frutti generosi. La corteccia sarà
  •  concime e si dissolverà come humus nelle acque, la linfa alimenterà la terra
  • e ogni singola parte del suo alburno muterà per rendersi viva in altre forme".
  • "Hai risposte per ogni domanda John"
  • "Non ho risposte ... ho la visione di ciò che sono ora e di ciò che ero un tempo "
  • "E cosa sei ora "
  • "Sono più di un tempo, sono come un tempo, sono diverso da un tempo e sono tutte queste cose insieme"
  • ""Vuoi dirmi che sei ... che vivi ...? Respiri oltre questo sogno?"
  • "Tu sai cosa voglio dire ... tu senti cosa c'è oltre ma la ragione e il timore schiaccia la visione dello spirito che giace sotto il peso del dubbio"
  • In quel momento sentii di nuovo quel profumo di rose e di viole pervadere la stanza, infondersi nelle narici e fin dentro il petto mentre un refolo di aria tiepida fece vibrare le tende.
  • "Ora devo andare saluta nostra madre a cui sarò sempre devoto e nostra sorella, di loro che gli sono accanto sul far del giorno e quando le ombre più
  • si accalcano intorno ai loro corpi, quando la notte li sorprende e il sonno
  • stenta ad arrivare, nei loro sogni come vigile sentinella e nei loro pensieri
  • come pastore di fragili sospiri. Quanto a mio figlio e mia moglie di loro che
  • sarò la loro corazza contro il vento e il gelo e tutte le asperità della vita, il
  •  falco che veglierà sul loro cammino, il mantello che li riparerà dal sole e dalla pioggia battente. Di loro che li porto nel cuore e che li amerò per sempre ... oltre il limite del tempo, oltre lo spazio che sembra una distanza incolmabile e che è solo un lieve batter di ciglia sul panno dell'universo"
  • "Non puoi dirgli tu queste cose come hai fatto con me? Non puoi manifestarti come fossi un alba che giunge nel cuore della notte a diradare le nebbie?"
  • " Io non ti sono apparso ... stai sognando fratellino, in questa onirica visione
  •  le cose si confondono e la bruma si dissolve, resta il senso di una verità che teniamo dentro da sempre, cercala e capirai chi sei e dove è diretto il tuo cammino, io ho scelto te per dire ciò che mi è dato rivelare e nel tempo tutti capiranno"
  • " Devo dunque svegliarmi?
  • "Si ... devi Roby ... "
  • In quel momento poco prima che la visione svanisse le vidi, candide trasparenze vibranti avvolgerlo in un vortice di luce mentre un sorriso gli si disegnava in volto, una piccola fossetta sulla guancia fece capolino mentre i suoi occhi verdi si stamparono nei miei in un sol colore, accanto a lui lo
  • sguardo di nostro padre e il cenno della sua mano che a me sembrò la
  • carezza più dolce della mia vita, più avanti la mano di una donna vestita di
  •  veli con vortici di riccioli color fiamma lo chiamava a sé, un niveo cherubino
  • con una stola azzurra intorno alla vita, i piedi scalzi e uno sguardo sereno e potente allo stesso tempo da togliermi il respiro e infondermi profonda
  • grazia nel petto, mentre su un altura un argenteo leone si stagliava docile
  • su rocce di rame e ciuffi di alloro circondato da riverberi di luce dorata .
  • Poco dopo mi svegliai aprendo gli occhi e di quel sonno non rimase che
  • l'azzurro del cielo tra nubi bianche e gonfie trasportate dal vento, mentre il soffio vespertino mi portò sul viso un dolce profumo di rose e viole e la
  • serenità di un sospiro che mi riempì il cuore di una pace ritrovata.
  • MARVELIUS

 
 
 

Ricordi di un Fauno II

Post n°111 pubblicato il 24 Aprile 2016 da Marvelius
 

 

 

 

Ma la tristezza non lo avvolse come il vento le

loriche degli alberi.

Solo un velo di nostalgia lo sfiorò per ciò che era

stato un tempo per lui felice, piccoli riflessi di

rugiada su ombre mescolate ai profumi dell'estate

si librarono tra le nebbie dei pensieri.

Così si volse per un attimo verso la finestra che

dava sul giardino mentre sui vetri

scivolavano gocce di pioggia , un lieve alone le

rendeva opache  di un grigio ferro mentre gli

alberi di la da essa ondeggiavano colpiti dal vento.

Così si rivide in un altro tempo a danzare con lei

come foglie d'albero nel tintinnio delle acque

 


L'ago dei ricordi si fece tremolante come la luce

della candela che anelava alla notte.

Morbide ombre plasmate sulle pareti tinte a  calce

si mescolavano agli oggetti semplici che ricoprivano

le mensole vicino al camino. Spigoli di una memoria

ardita tra le colonne di quel tempio che   andava

ricostruendo nel viso suo piccoli tasselli di colori

ritrovati, una tela che mieteva immagini tra le

sabbie di una clessidra che sgranava gli attimi come

chicchi informi di un rosario su cui erano impresse le

loro voci lontane.

Era cambiato in quegli anni , era mutato il suo viso,

la  voce era divenuta più calda, forse un po più

profonda, come le parole che nuotavano nel fondo

dell' animo, troppo spesso annidato in una

regione difficile da raggiungere. Non aveva lacrime

ne sorrisi da pescare nel lago del suo spirito duro

come scorza di bosso, ne quelle lamine dorate che

un tempo disegnavano riccioli felici ai lati della

bocca.

Era semplice ora come lo sbuffo di una  nuvola ,

glaciale come un granito di ghiaccio, ma sapeva

che dietro quella maschera restava più fragile,

che nella roccia profonde ferite minavano una

solidità perduta.

Il suo carattere si era ingentilito tra le pieghe del

silenzio  ed era divenuto un cristallo levigato tra

i pensieri della notte  che, come una compagna,

lo attendeva sul finire del giorno, quando il sole

morente si dava commiato sulle brulle montagne

e si inabissava nel lago a ovest dei verdi campi

di Gared.

 


Un tempo non troppo lontano aveva combattuto

per quelle terre , aveva mostrato alla sua gente la

testarda irruenza della sua razza, l'inviolata cuspide

della sua indipendenza. Come un castellare di pietra

si ergeva al di sopra delle sue debolezze per

ubriacarsi nell'orgoglio e nella saggia visione del

suo tempo, giungendo la dove gli altri si erano

arresi.

 


Ora che la visione della sua ninfa sfumava tra i

contorni del suo essere sentiva il peso della sua

mancanza, come se il sapore della sua vita si fosse

d'un tratto ritratto del sale. Sentiva che il lievito

di cui era impastata la sua anima stentava a

crescere e come un mare senza onde si ritraeva

oltre le rive d'un tempo, lasciando dietro di sé

solo l'opaco ricordo di antiche  meraviglie.

 


Era biglia di vetro senza i colori del suo interno,

sterile trasparenza  senza inganni rotolava lungo

il pendio dei suoi anni prossimi al traguardo di un

nuovo inizio che non catturava più la sua curiosità.

Raccolse tra le mani la spilla di elettro che lei

teneva tra i capelli , ne seguì il profilo con le dita

e chiuse gli occhi per farne coriandoli di poesia ,

stelle cadenti di un firmamento di  luci che

popolavano i suoi silenzi.

Poi apparve ... oltre la cortina del nero caliginoso

 in un raggio di fuoco, e il suo odore di muschio

 e sandalo si impresse nella stanza come olio

 fumigato, il crogiolo della memoria fu aperto

e i suoi occhi la videro entrare su un carro

trainato da leoni di un bianco sfolgorante.

 


Il nero crine smosso dalla brezza calda di una notte

che profumava di fiori di arancio si tese come vele

sgualcite di una nave che solca le tempeste,

poi la ninfa parlò e l'incanto di quella visione si

 fece meraviglia .

"Non ti ho mai lasciato Fatuus ... mai  nelle mie notti

d'esilio, sul limbo tenero di questo mio essere altro."

E i suoi occhi vibrarono di un intensità sconosciuta,

il verde brillìo delle sue iridi irradiò la stanza di una

luce mistica mentre la sua voce la riscaldava come

il fuoco di cento camini.

Resta  Eco ... resta in questa casa da troppo tempo

abbandonata persino dall'aria , dove il mattino non

osa entrare ed 'è rifugio d'ombra e silenzio ... entra

mia regina per mai più ripartire""

e dicendo queste

parole Fatuus si alzò dal suo giaciglio con occhi pieni di

speranza e allungando una mano cercò di sfiorare

 le sue trasparenze.

Ma la sua mano penetrò il velo  d'aria ricamata

di polvere di stelle e nel freddo incedere di quella

sostanza sentì il suo cuore riempirsi del sangue di Lei

mentre la guardava come in un tempo ritrovato.

 


"Vorrei restare tra queste  mura, dalle  tue braccia

che non posso toccare farmi cingere come rami

d'acanto ... ma non mi è permesso sostare più del

tempo di un batter di ciglia ... ma sempre resterò

vicino a te quando la luna assisa in cielo si

ammanterà di luce tra le nubi trasportate dal vento,

nel cuore della foresta cercami,  nella radura dove

danzavamo trovami , lungo il fiume dove mi hai

amato ritornerò a te, nell'aria che si scalda

dell'algore sarò per sempre la tua sposa ... per

sempre come la pioggia che si scioglie nella terra".

Pian piano tra quelle ultime parole sospese

l'immagine sfumò e si disperse come pulviscolo

nel vento sul tratto d'orizzonte.

Restò il profumo del suo passaggio e il calore

della sua presenza nel cuore di Fatuus che si

lasciò cadere sul pagliericcio accanto alla

finestra aperta, tra il rumore della pioggia e

l'odore di terra che impregnava l' aria nella

notte.

I suoi occhi si serrarono come i suoi pugni

mentre il suo animo chiuse le porte alla

tristezza lasciando un piccolo spiraglio alla

speranza e adagiandosi sul suo giaciglio si

abbandonò al sonno popolato di  sogni  

mentre ai lati della bocca due piccoli

riccioli disegnarono un lieve sorriso ...

 


Marvelius

 

 
 
 

Ricordi di un Fauno I

Post n°110 pubblicato il 07 Aprile 2016 da Marvelius
 

 


Aprì  gli occhi per non lasciare andare via
l'intimità delle cose rubate dal vento
Nel silenzio dipinse le storie ingannate dal tempo
come cose ritrovate le toccò tra le dita
per vederle sfiorire come camme avvizzite

 


Il tempo crudele cancellò le orme dei suoi passi
cosi restò aggrappato ai ricordi di spuma di mare
Ma nulla è più sfuggevole di occhi felici
quando il destino riga le veglie del suo incanto
Restò immobile tra le sabbie di quel mondo
a guardare l'orizzonte inghiottire la memoria
di tutte le cose belle che erano state
e il volto delle cose vissute e che mai più torneranno.

 


Così stese la mano per cercare nel buio
il fiore che era cresciuto nel loro giardino
Ma ciò che restava era solo il profumo
del suo volto su un bianco cuscino ...
il tenero ricordo di un amore sbiadito.

 

Marvelius

 
 
 
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