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Stalin 1 

Post n°7 pubblicato il 30 Dicembre 2006 da ivanfi

Così si esprimeva colui che gli anticomunisti dipingono come un
tiranno spietato e assetato di potere e di sangue. Lo accusano ingiustamente di
aver sovrapposto il suo arbitrio personale alla direzione collegiale del
Partito, dopo essersi sbarazzato uno dopo l'altro dei massimi dirigenti
bolscevichi. Niente di più falso. Per ben due volte Stalin presentò le sue
dimissioni da segretario generale, e tutt'e due le volte a schiacciante
maggioranza se le vide respingere, a seguito delle notazioni critiche
riguardanti il suo carattere, contenute in quello che viene malevolmente
definito il "testamento" di Lenin e che invece era un semplice promemoria
personale e riservato che il fondatore del partito bolscevico, gravemente malato
e preoccupato di una scissione ma all'oscuro delle vicende interne al gruppo
dirigente, mai rese pubblico o fece uscire dal suo archivio personale e che il
Partito ricevette solo tre mesi dopo la sua morte.
Stalin era il migliore
discepolo, il solo autentico erede e continuatore di Lenin. E con Lenin aveva
condiviso linea e posizioni pur trovandosi molte volte in minoranza nel partito.
Nessun'altro nel gruppo dirigente aveva compreso come lui le novità apportate da
Lenin e il salto che il leninismo aveva apportato al patrimonio comune del
marxismo. Né Trotzki, da sempre un menscevico che aveva opportunisticamente
aderito al partito bolscevico solo nel luglio '17, così malato di individualismo
narcisista e inconcludente da risultare una sorta di Bakunin in insalata russa;
né Kamenev e Zinoviev, ripetutamente oppositori di Lenin, il quale arrivò
persino a chiedere l'espulsione dal partito dei due "crumiri" e
sabotatori dopo che avevano svelato pubblicamente la data dell'insurrezione; né
infine Bucharin, che aveva fama di teorico ma era privo di qualsiasi concreta
esperienza rivoluzionaria, il cui dottrinarismo scolastico e ondivago lo
oscillerà tra l'ultrasinistrismo trotzkista e le posizioni ultradestre
conciliatrici verso la socialdemocrazia, favorevoli ai kulak e rabbiosamente
ostili alla collettivizzazione nelle campagne, una caratteristica che già Lenin
aveva pubblicamente stigmatizzato con queste parole: "Come ha potuto Bucharin
giungere a una tale rottura col comunismo?Sappiamo che egli più volte è stato
chiamato per scherzo: "cera molle". Dunque, su questa "cera molle" qualsiasi
uomo "senza principi", qualsiasi "demagogo" può scrivere ciò che
vuole.
"(Lenin)
Comunque la si rigiri,
nessun altro dirigente bolscevico di allora eguagliava Stalin in qualità
politiche, organizzative e ideologiche, nessuno più di lui sarebbe stato capace
di garantire all'Urss e all'allora movimento comunista internazionale gli
sviluppi e i successi che ebbero. Deciso a salvaguardarne con ogni mezzo
l'unità, nel primo Congresso del partito bolscevico svolto senza Lenin, nel
1925, egli ricordò di essersi opposto e battuto con decisione contro le proposte
di espellere Trotzki dal partito e dall'Ufficio politico, fintantoché i dissensi
riguardavano questioni di linea: "Non fummo d'accordo con Zinoviev e Kamenev,
perché sapevamo che la politica dell'amputazione comportava gravi pericoli per
il partito, che il metodo dell'amputazione, il metodo del salasso ed essi
chiedevano sangue - era pericoloso, contagioso: oggi si elimina uno, domani un
altro, dopodomani un terzo; che cosa ci resterà nel partito?

E' impossibile dirigere il partito altrimenti che con il sistema
collegiale. Sarebbe assurdo pensarlo dopo la morte di Ilic, sarebbe assurdo
parlarne. Lavoro collegiale, direzione collegiale, unità nel partito, unità
negli organismi del Comitato Centrale, a condizione che la minoranza si
sottometta alla maggioranza: ecco che cosa ci occorre ora.
"
Mentre praticava la lotta ideologica attiva,
Stalin chiedeva la direzione collegiale e la favoriva in ogni modo, purché fosse
salvaguardato il principio sacro del centralismo democratico, ossigeno della
vita stessa del partito, secondo cui la minoranza si sottomette alla
maggioranza. Le battaglie di linea sono la linfa vitale di ogni partito
marxista-leninista e richiedono di essere combattute fino in fondo, solo così le
idee giuste hanno modo di prevalere sulle idee sbagliate. L'Urss non sarebbe mai
esistita se Lenin e poi Stalin avessero ceduto alla tesi trotzkista che il
socialismo non aveva speranza di prevalere in un solo paese ma pretendeva la
simultanea esplosione della rivoluzione in tutto il mondo. Non è, dunque,
una sua colpa se la frazione trotzkista, prima, e la destra buchariniana, dopo,
non ne vollero sapere di salvaguardare l'unità del partito, trasformarono i
dissensi in conflitto cruento, la dialettica ideologica e politica in
controrivoluzione, perseguirono la scissione e scatenarono la sovversione e il
terrorismo antisovietico, fino a diventare strumenti di quella quinta colonna
che i servizi segreti hitleriani e degli altri paesi imperialisti infiltravano
nell'Urss per espugnare la fortezza socialista dall'interno. Ecco perché si
arrivò alla repressione dei controrivoluzionari e ai processi degli anni Trenta,
che si svolsero sempre alla luce del sole, alla presenza di osservatori e della
stampa internazionale, e furono occasioni di grandi dibattiti pubblici che
coinvolsero e mobilitarono l'intera popolazione sovietica. Com'era potuto
accadere che dirigenti che avevano partecipato alla rivoluzione fossero
diventati dei traditori e dei sabotatori della rivoluzione? Per la stessa
ragione per cui un socialista come Mussolini diventò fascista o leader
autorevolissimi come Kautzki, che pure era stato l'erede testamentario di
Engels, e come Turati e Nenni diventarono i cani da guardia del capitale, tra i
più rabbiosi nella guerra condotta dalla socialdemocrazia contro la Terza
Internazionale. Non ce ne dovremmo stupire proprio noi che siamo circondati da
rinnegati, sessantottini pentiti e voltagabbana, al governo e alla Rai, nei
maggiori quotidiani nazionali e ai più alti livelli istituzionali, dappertutto,
anche nei circoli e cordate economico-affaristici. Persino in quelle
condizioni terribili, con l'Urss assediata e minacciata dall'esterno e
dall'interno e l'avvicinarsi dell'aggressione nazifascista, Stalin mai venne
meno al principio della direzione collettiva del partito e dello stato. "Non
è possibile decidere individualmente; le decisioni individuali
- ripeteva
proprio in quegli anni - sono sempre o quasi sempre unilaterali. In tutti i
raggruppamenti, in tutte le collettività, vi sono delle persone il cui parere
non può essere trascurato, come vi sono pure delle persone il cui parere risulta
erroneo. L'esperienza di tre rivoluzioni ci ha dimostrato che su cento decisioni
individuali, con corrette poi collettivamente, novanta risultarono del tutto
unilaterali. Nel nostro organismo direttivo, il Comitato Centrale del nostro
partito che dirige tutte le organizzazioni sovietiche e comuniste, si contano
circa settanta membri. E fra questi si annoverano i nostri migliori tecnici, i
migliori specialisti, i migliori studiosi di tutte le branche dell'attività.
Ciascuno ha la possibilità di correggere l'opinione, la proposizione individuale
dell'altro; ciascuno ha la possibilità di fare la propria esperienza. Se fosse
stato altrimenti, se le nostre decisioni fossero state adottate individualmente,
avremmo commesso errori gravissimi nel nostro lavoro. Invece, avendo ciascuno la
possibilità di correggere gli errori degli altri e tenendo tutti conto delle
correzioni, le nostre decisioni sono il più possibile giuste.
"
Nemico delle adulazioni e dell'esaltazione alla sua persona
svincolate dall'adesione sostanziale alla causa del socialismo, Stalin si
opponeva in pubblico e in privato a qualsiasi tipo di culto della personalità,
in coerenza con le sue ben note e insistite parole: "Sono finiti i tempi in
cui i grandi uomini facevano la storia
". Nella risposta al colonnello Razin
che gli chiedeva nel 1946 un parere su alcune questioni militari, gli espone
dialetticamente e in modo convincente le sue idee ma lo avverte senza mezzi
termini: "Urtano l'orecchio i ditirambi in onore di Stalin: è addirittura
fastidioso leggerli
". Cioè lo prega di
smetterla di incensarlo come fosse una divinità e lo invita piuttosto a
criticare senza indugi la dottrina militare borghese, anche a costo di
correggere qualche giudizio sbagliato formulato dai maestri del
marxismo-leninismo. Chi alimentava, dunque, il cosiddetto "culto della
personalità", Stalin, o piuttosto opportunisti e individui a doppia faccia come
Krusciov e Togliatti visti quest'oggi nel filmato? A un intervistatore che gli
pose il quesito: "Credete che vi si possa comparare con Pietro il Grande?",
Stalin tagliò corto con queste parole lapidarie: "Le comparazioni storiche
son sempre arbitrarie. Questa, poi, è addirittura assurda
". La grandiosa
vittoria della seconda guerra mondiale poteva indurre in chiunque manie di
onnipotenza o vertigini di successo, non certo in Stalin che ribadì la necessità
irrinunciabile del controllo delle masse sui dirigenti e sull'attività del
partito:"Si dice che i vincitori non si giudicano, che non bisogna criticarli
né controllarli. Non è vero. I vincitori si possono e si devono giudicare. Si
possono e si devono criticare e controllare. Ciò è utile non soltanto alla
causa, ma agli stessi vincitori: vi sarà meno presunzione e più modestia. Il
partito comunista del nostro paese non varrebbe granché, se temesse la critica e
il controllo.
"Stalin non si stancava di
ricorrere anzitutto personalmente e insieme di esortare tutti i dirigenti e i
militanti all'autocritica, che doveva diventare una consuetudine come ogni sera
e ogni mattina ci laviamo per rimuovere lo sporco accumulatosi nel frattempo.
"Noi non possiamo fare a meno dell'autocritica. Non lo possiamo in nessun
modo
", rispondeva a Gorki che gli aveva esposto dei dubbi sulla
strumentalizzazione che il nemico ne avrebbe fatto. "Senza l'autocritica sono
inevitabili la stagnazione, l'imputridimento dell'apparato, lo sviluppo del
burocratismo, il soffocamento dell'iniziativa creatrice della classe operaia.
Certamente, l'autocritica offre spunti ai nemici.Ma essa offre spunti (e dà
impulso) al nostro progresso, al libero sviluppo dell'energia costruttiva dei
lavoratori, allo sviluppo dell'emulazione.Il lato negativo è compensato e
più che compensato dal lato positivo.
" A chi accusa Stalin di aver ridotto il socialismo nella
dittatura del partito, di aver zittito ogni critica e schiacciato senza pietà i
contadini e la classe operaia ricordiamo quest'altra sua esortazione pronunciata
nel gennaio 1925 in una riunione di partito: "Talvolta questo ottimismo
ufficiale fa venire la nausea. E frattanto è chiaro che la situazione non è e
non può essere affatto buona. E' chiaro che ci sono dei difetti che bisogna
mettere a nudo, senza temere la critica, e che devono poi essere eliminati. La
questione sta dunque in questi termini: o noi, tutto il partito, daremo ai
contadini e agli operai senza partito la possibilità di criticarci, o saremo
criticati con l'insurrezione. L'insurrezione in Georgia è stata una critica.
Anche l'insurrezione di Tambov è stata una critica. L'insurrezione di Kronstad:
che cos'è questa se non critica? Una delle due: o noi rinunceremo all'ottimismo
burocratico e all'atteggiamento burocratico in questa questione, non avremo
timore della critica e daremo agli operai e ai contadini, senza partito, sulle
cui spalle ricadono le conseguenze dei nostri errori, la possibilità di
criticarci; o non lo faremo, e il malcontento si accumulerà, crescerà, e allora
la critica verrà con l'insurrezione.
"Le parole di Stalin suonano come musica, una melodia che
Mao riprenderà e svilupperà all'indomani della controrivoluzione ungherese nel
'56 e maturerà solo grazie all'esperienza storica sin lì acquisita in Urss e in
Cina, sono più o meno le stesse che pronuncia Mao quando comincia a pensare ed
elaborare quella teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura
del proletariato che è all'origine della Grande Rivoluzione Culturale
Proletaria. Per pretenderla dagli altri la pretendeva anzitutto da se
stesso, sia quando l'autocritica riguardava un errore ideologico sia quando
doveva correggere una sua decisione o un suo atto sbagliato, che fosse stato
appena compiuto o che risalisse indietro nel tempo. Nella prefazione alla
pubblicazione del primo volume delle sue opere nel 1946, non esita a denunciare
i suoi errori su due questioni, relative al programma agrario e alle condizioni
della vittoria della rivoluzione socialista, commessi allora perché si giudicava
"un giovane marxista che non era ancora un marxista-leninista completamente
formato
". Nell'opera
"Questioni del leninismo", scritta nel gennaio 1926, poco meno di
due anni dopo quel ciclo di lezioni tenute all'Università e titolate
"Principi del leninismo", riconosce l'erroneità di alcune sue
affermazioni riferite alla teoria della rivoluzione "permanente" e a quella
della vittoria del socialismo in un solo paese, con esemplare onestà
intellettuale e senza remore, anzi cercando di spiegarne le radici storiche e
politiche che le avevano favorite. Lo accusano che negli ultimi anni della
sua vita fosse diventato intollerante a ogni tipo di critica e ossessionato dal
sospetto. Niente di più falso. Nell'opera "Problemi economici del
socialismo in Urss
", scritta solo pochi mesi prima della sua morte, con
una lucidità e freschezza giovanili trae un acuto bilancio critico e autocritico
di alcuni aspetti dell'esperienza storica della costruzione del socialismo in
Urss. Del resto persino all'indomani della storica vittoria sul fascismo, nel
ringraziare il popolo russo perché aveva avuto "fiducia nella giusta politica
del suo governo e accettò ogni sacrificio pur di assicurare la sconfitta della
Germania
", non aveva avuto esitazione ad ammettere :"Il nostro governo ha
commesso non pochi errori, vi sono stati momenti, nel 1941-42, in cui la
situazione era disperata, in cui il nostro esercito, ritirandosi, abbandonava
villaggi e città a noi cari: li abbandonava perché non v'era altra
alternativa.
Ecco come Stalin intendeva e
praticava permanentemente la critica e l'autocritica.Rispetto ai tanti
oppositori costretti dallo zarismo a espatriare, Stalin fu il solo capo
bolscevico della prima ora a dirigere l'intero corso della rivoluzione russa
dall'interno, salvo rari espatri illegali e viaggi e soggiorni all'estero per
partecipare a riunioni e attività di partito, condividendo col suo popolo la
sconfinata miseria e lo spietato terrore poliziesco zarista. Figlio devoto del
popolo georgiano eppure internazionalista inflessibile, l'organizzazione di
partito da lui diretta era un modello di internazionalismo proletario, dove
pariteticamente si amalgamavano gli operai d'avanguardia georgiani, armeni,
azerbaigiani, russi. Fu lui a fondare il partito bolscevico nell'intera
Transcaucasia e a svolgere un'attività faticosissima di costruzione del partito
spostandosi da un capo all'altro dell'immenso impero zarista e garantendo un
prezioso lavoro organizzativo. Come l'acciaio s'indurisce dopo essere stato
tuffato incandescente nell'acqua fredda, così temprò il suo spirito
rivoluzionario superando prove terribili: la persecuzione della famigerata
polizia politica segreta Okhrana, la repressione giudiziaria e poliziesca, il
carcere brutale e il confino in Siberia, in villaggi sperduti ben oltre il
circolo polare artico, dove lui, uomo del sud, dovette difendersi da temperature
inferiori ai quaranta gradi sotto zero, condannato alla fame, senza abiti né
legna, e alle peggiori malattie come la tubercolosi e il tifo. E tuttavia
riusciva sempre a mantenere la corrispondenza coll'organizzazione di partito, a
partecipare attivamente alla lotta tra le due linee nel partito al fianco di
Lenin, a scrivere importanti articoli, che indussero Lenin a definirlo in una
lettera il "meraviglioso georgiano", non si arrese mai tanto da evadere per ben cinque volte.
Si laureò all'università della clandestinità, trasformando carcere e confino
in accademie dove formare i deportati politici dal punto di vista rivoluzionario
e ideologico. Rivoluzionario di professione non si rifugiò mai nella crisalide
del cospiratore, preferiva vivere tra le masse, magari cambiando identità e
lavoro finché era possibile, partecipare alle loro riunioni, lotte,
manifestazioni, organizzarle e dirigerle considerandosi sempre uno di loro.

Ancor prima di conoscerlo di persona, Stalin fu il primo tra i dirigenti
russi a comprendere la vera statura e il ruolo di Lenin quale capo e teorico
della rivoluzione russa, fu il primo a salutare in Lenin il Marx del ventesimo
secolo, strenuo difensore del marxismo, in contrapposizione ai revisionisti
socialdemocratici, ed erede e sviluppatore della dottrina elaborata da Marx ed
Engels nella nuova epoca dell'imperialismo e delle rivoluzioni proletarie. Ne
condivise ogni scelta, lo affiancò e lo sostenne attivamente in ogni battaglia
all'interno e all'esterno del partito, con la modestia e la riconoscenza che
avevano animato Engels nei confronti di Marx. Non ancora venticinquenne,
come ben spiega il video appena visto, già parla di leninismo e definisce
"una vera aquila di monte".il
Lenin del Che fare?, il quale a sua volta apprezzava la sua
"eccellente impostazione della questione" relativa al rapporto tra
partito e classe operaia. Tale sodalizio si sarebbe cementato nella capitale
rivoluzionaria della Russia, Pietrogrado, dove giunsero all'indomani della
rivoluzione borghese del febbraio '17, uno dalla deportazione in Turukhansk e,
l'altro dall'interminabile esilio in Europa, e sarebbe stato alimentato dal
lavoro politico svolto fianco a fianco e da un rapporto personale diretto, dalle
frequentazioni quotidiane e da consultazioni e una collaborazione sulle
questioni più urgenti e controverse del momento.
Quando nel maggio del '17
si costituisce l'Ufficio politico del Comitato centrale Stalin ne viene eletto
membro e, dopo le giornate di luglio, aiuta Lenin a nascondersi clandestinamente
in Finlandia perché ricercato e perseguitato dal governo Kerenski; ha la
direzione immediata del Comitato centrale e dell'Organo di stampa centrale e
tiene, in assenza di Lenin, il rapporto del CC al 6° Congresso del partito
bolscevico in cui peraltro, appoggiando le celebri "Tesi di
Aprile
" che spingevano il partito a trasformare con decisione la
rivoluzione borghese in rivoluzione socialista, batte in breccia le esitazioni e
i tentennamenti di matrice trotzkista sull'impossibilità della vittoria del
socialismo in un paese arretrato come la Russia: "Non è esclusa la
possibilità
- avverte - che proprio la Russia sia il paese che aprirà la
strada al socialismo...E' necessario respingere l'idea superata che soltanto
l'Europa può additarci il cammino. C'è un marxismo dogmatico e un marxismo
creatore. Io sono sul terreno del marxismo creatore
". E infine
respinge il disfattismo di Zinoviev e Kamenev che si opponevano a porre
l'insurrezione all'ordine del giorno come aveva indicato Lenin: "Ciò che
propongono Kamenev e Zinoviev
- dice Stalin davanti al Comitato centrale
- dà, oggettivamente, alla controrivoluzione la possibilità di prepararsi e
organizzarsi.Noi ci ritireremmo senza fine e porteremmo la rivoluzione alla
disfatta
.Del capolavoro della Rivoluzione d'Ottobre Lenin
fu l'architetto, quell'insuperabile maestro e scienziato delle leggi della
rivoluzione che ne ideò e studiò la strategia, la tattica e le tappe del suo
intero corso storico, fino al momento in cui era diventata non solo
politicamente ma anche tatticamente matura e, allora, l'aveva preparata secondo
un vittorioso piano insurrezionale dettagliato e completo; Stalin ne fu uno
degli artefici e il dirigente operativo e organizzativo, teneva i collegamenti e
impartiva le necessarie disposizioni alle guardie rosse dallo Smolny, fu il più
stretto collaboratore di Lenin, l'uomo di fiducia a cui furono affidate mansioni
e missioni delicate, diresse praticamente e direttamente l'insurrezione in
qualità di membro del centro del partito incaricato di ispirare il Comitato
militare rivoluzionario presso il Soviet di Pietrogrado, considerato una sorta
di stato maggiore legale dell'insurrezione. Quella radicale svolta storica tra
capitalismo e socialismo preconizzata da Marx ed Engels si è compiuta grazie a
Lenin e a Stalin, a questi due giganti, alla testa di un partito numericamente
piccolo ma politicamente e ideologicamente potente e vincente, che sono riusciti
in un'impresa neppure tentata dai ben più forti, antichi e blasonati partiti
socialdemocratici ridottisi gradualmente a puntelli dei regimi borghesi.
Alla Rivoluzione francese del 1789, modello insuperato di rivoluzione della
borghesia e portatrice dei principi e del sistema di dominio del liberalismo,
ora finalmente risultava contrapposta la Grande Rivoluzione socialista d'Ottobre
del 1917, modello della rivoluzione del proletariato e portatrice dei principi e
del sistema politico del socialismo.Come Engels aveva difeso e chiarito il
pensiero di Marx, completando persino la stesura e pubblicazione di un'opera
come "Il Capitale", così Stalin ha compiuto un preziosissimo e
impegnativo lavoro di analisi, riflessione e sistemazione critica del pensiero
di Lenin, specie dopo la sua morte, quando si trattava, da una parte di
salvaguardarlo dalle interpretazioni opportunistiche di matrice trotzkista e
revisionista di destra e, dall'altra, di non disperdere quel ricco patrimonio di
idee ed esperienze e di individuare, definire e raccogliere organicamente quel
che di nuovo e originale aveva apportato al patrimonio del marxismo. A questo
scopo, in particolare, rispondono le due opere scritte rispettivamente nel '24 e
nel '26, opere fondamentali
marxiste-leniniste per trasformare il mondo e sé stessi, "Principi del
leninismo
" e "Questioni del leninismo",che rappresentano un'esposizione insuperabile, un'esaltazione appassionata e una profonda
giustificazione teorica del leninismo non semplicemente dal punto di vista
puramente russo ma per i marxisti-leninisti del mondo
intero.
I DIECI GRANDI MERITI STORICI DI
STALIN

Dopo la prematura morte di Lenin, toccò a
Stalin edificare il nuovo Stato socialista, partendo da condizioni economiche e
produttive disastrose lasciate in eredità dallo zarismo, dalla guerra
imperialista e dalla controrivoluzione bianca e dalla guerra civile combinate
all'aggressione militare sferrata da una coalizione di ben 14 Stati capitalisti.
Si pensi che solo nel 1927 la patria dei Soviet raggiunse un livello economico
pari all'anteguerra. Eppure Stalin riuscì in un'impresa che era dir poco
disperata in un paese che l'imperialismo cercava di soffocare strangolandolo
economicamente e commercialmente. Il volto dell'Urss mutò radicalmente: da paese
arretrato, alla fame, privo di tutto e dipendente dal capitale straniero nei
settori economicamente e tecnologicamente decisivi, si trasformò rapidamente in
un paese socialista prospero e autosufficiente, con un'agricoltura arricchita e
rinnovata dalla collettivizzazione delle campagne, un'industria moderna e
rispondente al fabbisogno della popolazione e uno Stato a dittatura del
proletariato che garantiva la massima estensione della democrazia per i
lavoratori mentre schiacciava senza pietà gli sfruttatori, la borghesia e i
nemici del popolo. Il paese fu strappato alla barbarie zarista e feudale e
catapultato nel socialismo. Non è poi così scandaloso e strano che siano stati
commessi degli errori nella costruzione del socialismo, anzi è del tutto
naturale quando si aprono strade inesplorate. Una cosa è costruire il socialismo
in una congiuntura internazionale più o meno pacifica e un'altra è
industrializzare un paese così immenso e arretrato che doveva prepararsi a tappe
forzate alla seconda guerra mondiale, per di più senza copiare gli altri Stati
capitalisti che si erano procurati le risorse necessarie grazie allo
sfruttamento implacabile del popolo lavoratore, alle guerre di conquista, alla
spoliazione sanguinosa delle colonie e dei paesi dipendenti e ai prestiti
esteri. Negli errori inevitabilmente cade chiunque, davanti a un'esperienza
storica inedita, è chiamato a risolvere i problemi senza avere l'esempio di
modelli concreti a cui ispirarsi e senza l'aiuto del confronto con altre realtà.
Del resto non avevano sbagliato gli stessi Marx ed Engels quando, all'inizio
della loro avventura politica, immaginavano una società socialista che in tempi
ravvicinati avrebbe portato all'estinzione delle classi e al comunismo? Alcuni
errori sono attribuibili a Stalin, rientrano nel novero degli errori fisiologici
e insiti nella dialettica delle vita e, non di rado, sono stati da lui stesso
prontamente corretti o sono stati oggetto di sue successive autocritiche
complete o parziali. Altri sono stati in gran parte dettati dai contraccolpi
derivanti dal soffocante accerchiamento imperialista subito per tanti anni e
sfociato nell'aggressione bellica nazifascista. Altri ancora furono commessi
alle sue spalle, da settori e dirigenti di partito centrali o periferici e
persino dai nemici di classe e sabotatori del socialismo. In tutti i suoi
discorsi e interventi Stalin era particolarmente attento e sensibile a
radiografare spietatamente gli errori commessi dal partito nella
collettivizzazione e industrializzazione del Paese. Nel leggere, ad esempio,
opere come "Vertigine dei successi" del marzo 1930, "Risposta ai compagni
colcosiani" dell'aprile 1930, o "Della deviazione di destra nel Partito
comunista (bolscevico) dell'URSS" dell'aprile 1929 si rivive il dibattito di
quegli anni e noi stessi diventiamo gli allievi di lezioni storiche
preziosissime ed educative sulle radici degli errori di destra compiuti dalla
corrente buchariniana nelle campagne e sulle tappe storiche dei disaccordi che
diventeranno antagonistici, sulle cure e le premure dedicate da Stalin a
correggerli come contraddizioni in seno al popolo. "In ogni caso gli errori
commessi da Stalin - avverte il compagno Scuderi - non sminuiscono la sua
figura, il suo pensiero e la sua opera. Rimane pur sempre un gigante del
pensiero e dell'azione rivoluzionari, un grande maestro dei marxisti-leninisti e
del proletariato internazionale".
Rispetto ai meriti, gli errori di Stalin
furono assolutamente secondari e comunque sono valutati dai marxisti-leninisti
come delle lezioni storiche perché non si ripetano in futuro. Facendo un
bilancio del pensiero e dell'opera di Stalin emergono, tra gli altri, dieci
grandi e incancellabili suoi meriti storici. Eccoli in estrema sintesi.

E' stato il grande maestro del proletariato internazionale che ha ereditato,
difeso e sviluppato il marxismo-leninismo arricchendolo in moltissimi campi dal
punto di vista teorico e dell'esperienza storica, è stato il primo a riconoscere
il ruolo di Lenin e a riconoscere nel leninismo il marxismo dell'epoca
dell'imperialismo e delle rivoluzioni proletarie.

  1. E' riuscito nell'impresa senza precedenti di edificare il primo Stato
    socialista al mondo pur in presenza di una situazione nazionale e internazionale
    difficilissima.
  2. Ha diretto vittoriosamente l'Internazionale Comunista e la rivoluzione
    mondiale e ha dato vita al campo socialista.
  3. E' stato il condottiero del fronte unito internazionale che ha portato
    all'annientamento del mostro nazifascista durante la seconda guerra mondiale.
  4. E' stato il massimo dirigente organizzativo della Grande Rivoluzione
    Socialista d'Ottobre.
  5. Ha capeggiato vittoriosamente la lotta contro il revisionismo di destra e di
    "sinistra" nel partito bolscevico e sulla scena internazionale.
  6. Ha per primo risolto dal punto di vista dei principi la "questione
    nazionale" nel socialismo, traducendola poi in modo conseguente nella vita
    dell'Urss.
  7. Ha fondato il partito bolscevico e le prime organizzazioni sindacali in
    Transcaucasia.
  8. E' stato, prima, il più stretto compagno d'armi di Lenin nella costruzione
    del partito bolscevico e ne è stato, poi per un trentennio, il dirigente, il
    capo, il maestro.
  9. E' stato un rivoluzionario di professione inflessibile che ha agito nella
    Russia zarista per l'intera durata della rivoluzione russa senza lasciarsi
    piegare né dal carcere né dalla repressione né dalle
    deportazioni.

 
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