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IL mondo oggi 

Post n°6 pubblicato il 30 Dicembre 2006 da ivanfi

Attualmente il mondo è dominato
dall'imperialismo. Esso è presente dappertutto con i suoi capitali, con le sue
banche, con le sue multinazionali, con le sue fabbriche, con le sue merci, con
la sua tecnologia, con la sua cultura. Il suo mercato non ha più confini. Rari
sono gli ostacoli che gli intralciano il cammino. Dopo la disintegrazione del
socialimperialismo sovietico e del suo impero, del suo mercato, delle sue
colonie e delle sue zone di influenza, tutto gli è più facile e più
semplice.


La cosiddetta ``globalizzazione'' -
cioè l'abbattimento delle barriere doganali e tariffarie, la liberalizzazione
dei mercati, la formazione di un mercato unico -, sancita nel 1994 dall'accordo
di Marrakech in Marocco sul commercio mondiale, gli ha creato le migliori
condizioni per la sua espansione per soddisfare appieno e liberamente la
tendenza propria e connaturata al capitalismo. Quella tendenza già rilevata nel
1848 da Marx ed Engels e così ben descritta nel ``Manifesto del Partito
comunista'' con queste parole: ``Il bisogno di sbocchi sempre più estesi per
i suoi prodotti spinge la borghesia per tutto il globo terrestre. Dappertutto
essa deve ficcarsi, dappertutto stabilirsi, dappertutto stringere
relazioni.


Sfruttando il mercato mondiale la
borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i paesi. Con
gran dispiacere dei reazionari, ha tolto all'industria la base nazionale. Le
antichissime industrie nazionali sono state e vengono, di giorno in giorno,
annichilite. Esse vengono soppiantate da nuove industrie, la cui introduzione, è
questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili - industrie che non
lavorano più materie prime indigene, bensì materie prime provenienti dalle
regioni più remote, e i cui prodotti non si consumano soltanto nel paese, ma in
tutte le parti del mondo... In luogo dell'antico isolamento locale e nazionale,
per cui ogni paese bastava a se stesso, subentra un traffico universale, una
universale dipendenza delle nazioni l'una dall'altra... Essa costringe tutte le
nazioni ad adottare le forme della produzione borghese se non vogliono perire;
le costringe a introdurre nei loro paesi la cosiddetta civiltà, cioè a farsi
borghesi. In una parola, essa si crea un mondo a propria immagine e
somiglianza''
.


Fin da quando il capitalismo si è
trasformato in imperialismo a cavallo tra il secolo scorso e quello attuale,
come rileva Lenin nell'opera del 1916 ``L'imperialismo, fase suprema del
capitalismo'', l'esportazione di capitali ha assunto una maggiore importanza
rispetto all'esportazione delle merci. Oggi la circolazione di capitali su scala
mondiale, anche in base ai nuovi mezzi informatici e telematici, è divenuta
vertiginosa e si attua in tempo reale.


Questa libera, rapida e incontrollata
circolazione di capitali condiziona governi ed economie di interi paesi, e può
segnare la rovina o la ricchezza di singoli e di Stati. I grandi finanzieri e le
multinazionali hanno quindi in mano un enorme potere che usano unicamente per
arricchirsi sempre più, per fare affari più lucrosi e per diventare ancora più
potenti. è stato calcolato che nel mondo esistono 40 mila multinazionali, ma le
prime 100 appena controllano direttamente i due terzi del commercio
mondiale.


A Londra, Stati
Uniti e Unione europea (Ue) hanno firmato, in gran segreto, un accordo dal
titolo ``Trattato per il rispetto delle norme che rafforzano la protezione degli
investimenti''. In sostanza le due superpotenze si impegnano a tutelare
maggiormente i ``diritti dei capitali'' e gli investimenti delle multinazionali,
che, secondo loro, vanno difesi, con sanzioni, da qualsiasi misura di
espropriazione decisa dagli Stati.


Questo accordo, anche se non ancora
ratificato dal Consiglio europeo e dai singoli Stati dell'Unione, evidentemente
è una preintesa parziale tra Usa e Ue sul nuovo trattato internazionale sugli
investimenti che si propone di difendere i ``diritti degli investitori di
capitali'' che i governi sarebbero obbligati a garantire. Tale trattato,
chiamato ``Accordo multilaterale sugli investimenti'' (Ami) è stato preparato
dai membri dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
(Ocse) fin dal 1995, ma la trattativa è ancora aperta perché permangono delle
contraddizioni e delle riserve. Ciascun paese imperialista infatti difende gli
interessi delle proprie multinazionali e dei propri capitalisti e cerca di
avvantaggiarli rispetto agli altri concorrenti. Nel contempo però tutti insieme
lavorano per definire un trattato internazionale da imporre ai paesi capitalisti
più deboli e ai paesi più arretrati economicamente.


Il loro obiettivo è quello di
codificare per legge il dominio del capitale nel mondo. Il direttore generale
dell'Organizzazione mondiale per il commercio (Omc), l'italiano Renato Ruggiero,
l'ha detto chiaramente: ``Vogliamo scrivere la costituzione di un'economia
mondiale unificata''.


Dalla trattativa sull'Ami si ha ancora
una volta la conferma che sono le leggi coercitive del capitale,
dell'imperialismo e del mercato a determinare la politica degli Stati e dei
governi borghesi, da qualsiasi partito essi siano diretti. Questo però non vuol
dire, come sostengono certi ``teorici'' borghesi, revisionisti e trotzkisti, che
nell'``era'' della ``globalizzazione'' gli Stati e i governi nazionali vengono a
perdere tutto il loro potere e che questo potere è ora passato alle istituzioni
internazionali economiche e finanziarie.


É vero che il Fondo monetario
internazionale (Fmi), la Banca mondiale, l'Ocse e l'Omc hanno un peso
rilevantissimo negli affari dell'imperialismo e nel mercato mondiale e che
condizionano enormemente le politiche degli Stati nazionali, non però fino al
punto di annullare o ridurre al minimo il potere politico ed economico dei
singoli Stati. Non comunque se questi Stati si chiamano Usa, Ue, Giappone, per
esempio, che anzi servono con diligenza.


Il peso di tali istituzioni diventa
schiacciante solo sugli Stati più deboli e poveri, finanziariamente ed
economicamente dipendenti, ma non arriva fino a sostituirsi totalmente ad essi,
anche se possono influire, come i fatti dimostrano in molti casi, sul cambio dei
governi, con le buone o con le cattive, direttamente o indirettamente persino
attraverso colpi di Stato.


Esiste una dialettica e una reciproca
influenza tra tali istituzioni internazionali e gli Stati capitalisti e
imperialisti, in quanto questi ultimi costituiscono e governano indirettamente
le prime e queste hanno dei grossi margini di manovra e di potere legale
impositivo. In ogni caso non si può dire che tali istituzioni sovrastatali
costituiscono un nuovo ``Stato mondiale''.


Diverso è il discorso se si parla delle
istituzioni politiche o militari internazionali, quali, per esempio, l'Onu e la
Nato o, per quanto riguarda l'Europa occidentale, l'Ue. Anche se anch'esse,
comunque, non si sovrappongono agli Stati nazionali che le compongono. In questi
casi si può parlare di trasferimento di quote di sovranità nazionale, anche se
di quote importanti, ma non di totale trasferimento ad esse del potere politico,
economico e militare degli Stati nazionali. Naturalmente ciò vale per adesso e
perdurando l'attuale situazione e ordinamento istituzionale mondiale ed europeo.
Finché le multinazionali dei vari paesi hanno bisogno di uno Stato che tuteli i
loro interessi particolari, non ci può essere un trasferimento totale dei poteri
statali nazionali a una identità statale sovranazionale.

 
 
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