« Messaggio #9  »

Prodi elogia il suo governo 

Post n°10 pubblicato il 15 Gennaio 2007 da ivanfi

Nel suo discorso introduttivo ha dipinto un quadro idilliaco del suo governo, affermando che "i due grandi obiettivi", e cioè la "crescita economica e sociale" del Paese e
l'"equità", sono già state avviate, l'economia "comincia a svegliarsi"
e l'Italia "ha finalmente riacquistato un ruolo internazionale" e una
statura di "paese trainante nella politica dell'Unione Europea". Quanto
alla Finanziaria, "che tante polemiche ha suscitato", essa è invece per
l'economista democristiano "una manovra forte" e anche "appropriata", e
se ha portato "inquietudini e anche qualche incomprensione", è
una manovra "che riporterà di nuovo l'Italia fra i grandi protagonisti
della vita europea". E a dimostrazione di ciò il premier si è vantato
che non solo la sua Finanziaria non ha aumentato le imposte (certo non
direttamente, ma attraverso i tagli ai comuni, i ticket e gli aumenti
tariffari, eccome!), ma soprattutto che essa ha regalato alle imprese
"il più corposo incentivo che sia mai stato dato", con ben 5 miliardi
di euro per il 2007 e 9 nel 2008.

Allora tutto va bene, insomma! Il 2007, ha sottolineato
infatti Prodi, sarà l'anno della "svolta", e il governo proseguirà con
questa politica liberista che avrà come obiettivi prioritari
l'accelerazione delle privatizzazioni e delle liberalizzazioni,
l'apertura del mercato italiano a maggiori investimenti esteri, una più
accentuata politica familistica di stampo cattolico. Tutto ciò
accompagnato da misure demagogiche, annunciate solo per gettare fumo
negli occhi, come una "nuova politica ambientale", il "rilancio della
ricerca", la "difesa del potere d'acquisto del cittadino-consumatore",
la "riduzione drastica dei tempi della giustizia", e così via: cioè
quelle cose - guarda caso - già ignorate o addirittura colpite e
penalizzate dalla sua politica e dalla Finanziaria, e che per questo
avevano suscitato forti proteste nel Paese e fatto calare il consenso
popolare nei confronti del suo governo.

Nelle risposte alle domande dei giornalisti Prodi ha continuato
sostanzialmente su questa linea autoassolutoria, ricorrendo a tutta la
sua esperienza di vecchio volpone democristiano per barcamenarsi senza
esporsi troppo sulle domande più imbarazzanti. Esemplare a questo
proposito la risposta che ha dato sulle pensioni, e in particolare
sulla proposta dei "disincentivi" per scoraggiare i pensionamenti di
anzianità

sostenuta da Padoa Schioppa (e da lui stesso fino a pochi giorni prima,
come gli ha ricordato la Confindustria): "Voglio tranquillizzare tutti
gli italiani perché la riforma grossa, corposa delle pensioni noi
l'abbiamo già fatta con il primo governo Amato, con il governo Dini e
con il mio precedente governo", ha detto infatti il premier,
aggiungendo che quindi non servono disincentivi ma semmai incentivi per
chi vuol rimanere al lavoro. Ma subito dopo ha aggiunto sibillinamente
che occorre però "affinare il sistema, che va adattato soprattutto ai
mutamenti demografici", col che ha riaperto uno spiraglio ai falchi
della Confindustria e a quanti nella maggioranza premono per un
innalzamento dell'età pensionabile, pur ottenendo anche il plauso dei
dirigenti falsi comunisti di Rifondazione e del PdCI e dei vertici
sindacali.

Stesso comportamento gesuitico sui Pacs e sull'eutanasia, quando a
specifiche domande su questi temi ha risposto che il governo lavora per
il "riconoscimento dei diritti civili alle convivenze", ma anche che su
questo intende procedere con i "limiti ed i confini precisi definiti
nel nostro programma", che appunto non prevede i Pacs; mentre a
proposito del caso Welby e dello spietato rifiuto della chiesa di
concedergli i funerali religiosi, Prodi se l'è cavata con un capolavoro
di ipocrisia democristiana, dichiarandosi contrario tanto all'eutanasia
quanto all'accanimento terapeutico, rifiutandosi di "entrare nel merito
delle scelte dell'autorità ecclesiastica" e rimettendosi per il resto
alla "grandezza della misericordia di Dio"!

Con lo stesso atteggiamento ipocrita e opportunista se l'è cavata anche
su altre domande imbarazzanti, come per esempio sull'impiccagione di
Saddam, che ha criticato non perché illegale dato il contesto in cui è
stata decretata dal governo fantoccio iracheno, ma perché "avrebbe più
effetti negativi che positivi", e alla domanda se intendesse fare un
passo politico in sede internazionale per scongiurare l'esecuzione, poi
eseguita di lì a poche ore, è riuscito solo a bofonchiare che la
questione era "complicata", che "al momento non è ancora matura una
situazione di questo tipo" e altre banalità del genere. E, sempre per
fare un altro esempio, sulla domanda se fosse favorevole ad intitolare
una strada a Craxi, alla quale ha risposto che non sarebbe contrario a
intitolargli una strada a Sigonella.

Sulla sostanza della sua linea politica liberista, presidenzialista e
interventista, però, ha riaffermato di voler tirare dritto
infischiandosene delle critiche, e a chi gli ha ricordato le pressioni
di certi alleati come Fassino e D'Alema per passare a una "fase 2"
della politica di governo, il premier democristiano ha risposto
infastidito che non ci sarà nessuna "fase 2" ma una "assoluta
continuità" nella politica del suo esecutivo. Quanto alla "sinistra
radicale", nessun problema. Come farà a convincerla a votare per il
rifinanziamento della missione in Afghanistan, per la "riforma" delle
pensioni, per le liberalizzazioni, ecc.? "Esattamente come ho fatto
finora", ha risposto seraficamente Prodi, ribadendo che per quanto
riguarda in particolare l'Afghanistan "è un impegno preso dal nostro
Paese. Una missione che abbiamo deciso di mantenere e manteniamo".

Di sbagli l'economista democristiano non è disposto ad ammettere di
averne fatti, se non che tornando indietro nominerebbe "qualche
sottosegretario in meno" e "qualche donna in più". E mentre respinge
ogni critica al suo operato, sordo alle proteste che già si levano alte
dalle piazze, dalle fabbriche e dalle scuole, tende la mano alla Casa
del fascio per riprendere il dialogo sulle "riforme istituzionali", a
partire dalla legge elettorale, perché su questi temi, ha detto
conciliante, "la convergenza è obbligatoria".

 

 
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