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Post n°12 pubblicato il 10 Febbraio 2007 da ivanfi




Foibe


La politica fascista nei territori slavi annessi all'Italia alla fine della I guerra mondiale

La conclusione della I guerra mondiale mutò radicalmente gli
equilibri politici internazionali e ridisegnò i confini geografici di
numerose nazioni.

I nuovi scenari geo-politici scaturirono dagli accordi e dai diktat
emersi dalla Conferenza di pace apertasi a Parigi, nel palazzo di
Versailles, il 18 gennaio 1919 ed alla quale parteciparono le
rappresentanze di ventisette Stati. Dalla Conferenza emersero le nuove
ambizioni imperialistiche e, con esse, i contrasti tra i paesi
imperialisti emergenti e si delineò altresì, la supremazia di Stati
Uniti, Francia e Inghilterra. L'Italia in particolare, vide
ridimensionate le sue ambizioni espansioniste. Le richieste presentate
a Parigi dal primo ministro Orlando in virtù di alcuni articoli segreti
stabiliti nel Trattato di Londra del 1915 (Trentino, Tirolo, vaste zone
balcaniche, colonie dell'Anatolia e dell'Africa), vennero osteggiate e
rimesse in discussione da Wilson, Clemenceau e Lloyd George. Orlando,
che in un primo tempo aveva abbandonato la Conferenza, rientrò a Parigi
accettando quanto stabilito dalle tre maggiori potenze.

Con la firma del trattato di pace da parte dell'Austria il 10 settembre
1919 nel castello di Saint Germain, all'Italia andarono Trento, il
Sud-Tirolo, Trieste e parte dei territori slavi meridionali. La mancata
annessione di tutti i territori rivendicati fece crescere in Italia la
protervia del nazionalismo e del nascente fascismo sfociata, il 12
settembre 1919, nella banditesca azione del manipolo guidato da
D'Annunzio dell'occupazione di Rijeka (Fiume).

La soluzione al contenzioso territoriale tra il Regno d'Italia e il
Regno dei serbi-croati-sloveni (denominato Regno di Jugoslavia nel
1929) si ebbe con il Trattato di Rapallo firmato il 12 novembre 1920.
Il confine orientale vedeva annessi all'Italia territori ad etnia mista
italo-croata e italo-slovena (concentrate soprattutto nelle città), ma
anche zone totalmente slovene comprendenti complessivamente una
popolazione di circa mezzo milione di persone tra sloveni e croati.

Il fascismo al potere in Italia significò per tutte le minoranze
nazionali presenti nel paese, l'inizio di una violenta campagna di
discriminazione, di negazione di diritti fondamentali e di
italianizzazione forzata. E questa campagna trovò l'apice più virulento
proprio ai danni della minoranza slava, nei confronti della quale il
regime manifestò un'avversione dettata da un profondo disprezzo di
natura razzista. Il programma di snazionalizzazione imposto dal
fascismo portò alla soppressione totale delle istituzioni nazionali
slovene e croate, al divieto dell'uso del serbo-croato e
all'imposizione dell'italiano come unica lingua nelle scuole e negli
uffici pubblici. Venne attuata l'italianizzazione delle principali
città con il trasferimento in esse di popolazione italiana. Nelle
scuole furono licenziati gli insegnanti di madrelingua e vi fu una
forte limitazione all'assunzione di impiegati sloveni negli uffici
pubblici. Scomparso ogni diritto a tutela della identità slava, si
arrivò perfino alla italianizzazione forzata dei cognomi.

Anche la gerarchia ecclesiale vaticana aderì a questa politica
rimuovendo dall'incarico i vescovi slavi di Trieste e Gorizia e
abolendo l'uso della lingua slovena nelle funzioni liturgiche e nella
catechesi.

Di pari passo all'attuazione del programma di snazionalizzazione, le
squadracce nere avevano campo libero per compiere le loro azioni
criminali. Vi fu uno stillicidio di attacchi e di devastazioni di sedi
di circoli e di organizzazioni slave e di sistematiche aggressioni a
persone che cercavano di opporsi alla politica del regime o che
manifestavano un qualche dissenso verso di essa.

L'opposizione alla politica mussoliniana si sviluppò essenzialmente su
due direttrici: una di tipo nazionalista e irredentista, basata su
gruppi chiusi e su azioni dimostrative anche di tipo terroristico che
il regime utilizzò per cercare di dare giustificazione all'inasprirsi
dell'azione repressiva; l'altra che, accanto alla salvaguardia
dell'identità nazionale, sosteneva la necessità dell'allargamento e del
radicamento della lotta antifascista tra la classe operaia e le masse
popolari delle diverse etnie presenti in quei territori.

La repressione dell'opposizione fu durissima e tuttavia il regime non
riuscì mai a "normalizzare'' la situazione in quei territori. Il
Tribunale speciale iniziò la sua nefanda opera in quella zona nel
febbraio del 1927. E tra il 1927 e il 1943, solo contro imputati
sloveni e croati, ci furono centotredici processi. Le condanne furono
sempre durissime. Trentaquattro antifascisti sloveni vennero condannati
a morte, mentre ad altri 581 vennero inflitti complessivamente 5.418
anni di reclusione. Tra le vittime di questa spietata azione
repressiva, moltissimi furono i militanti comunisti.



L'attacco nazifascista alla Jugoslavia

All'alba del 6 aprile 1941 l'aviazione della Germania nazista
sferrava un violento bombardamento su Belgrado, radendo al suolo interi
quartieri della città e provocando la morte di circa diecimila persone
tra la popolazione civile. Contemporaneamente in più punti del Paese,
truppe di invasione tedesche, italiane, bulgare e ungheresi violavano i
confini dello Stato balcanico. Cominciava così l'invasione nazifascista
della Jugoslavia che, secondo le intenzioni di Hitler, doveva portare
allo smembramento e alla scomparsa del regno jugoslavo come nazione. Il
15 aprile il re e il governo fuggirono in Grecia per rifugiarsi poi in
Inghilterra, e dopo soli undici giorni di combattimento il 17 aprile i
rappresentanti militari di Belgrado si arresero al generale Von Weichs.
La spartizione del territorio jugoslavo tra gli occupanti portò la gran
parte della Serbia e della Slovenia sotto il controllo tedesco, la
Macedonia alla Bulgaria e la zona di Novi Sad all'Ungheria.

La Croazia fu formalmente eretta a regno indipendente. In realtà si
creò uno Stato fantoccio con il duca Aimone di Savoia nominato re e la
guida del governo assegnata all'ustascia fascista Ante Pavelic.
L'Italia ricevette Lubiana e la zona meridionale della Slovenia, parte
consistente del litorale della Dalmazia e alcune zone della Bosnia, del
Montenegro e del Kossovo.

L'occupazione nazifascista scatenò in Jugoslavia una vera e propria
campagna di terrore e di oppressione che si avvalse anche dell'apporto
dei gruppi collaborazionisti della destra nazionalista che
approfittarono della situazione per fomentare e realizzare un
sanguinario clima di odio etnico e religioso. Particolarmente efferati
furono i massacri compiuti dagli ustascia di Pavelic contro le
popolazioni di nazionalità serba e di religione ortodossa in Croazia e
Bosnia-Erzegovina e quelli dei collaborazionisti cetnici contro i
cattolici croati.

Nella Venezia-Giulia e nei territori annessi dall'Italia dopo
l'invasione si inasprì ulteriormente la repressione poliziesca e
giudiziaria, alle quali si aggiunse anche quella dei reparti militari.
Nel dicembre 1941, ad esempio, dopo una sentenza del Tribunale speciale
vennero fucilati a Trieste cinque esponenti del Fronte di Liberazione
sloveno, ad altri cinquanta imputati vennero inflitti 666 anni di
reclusione, mentre altri ancora non arrivarono neppure al processo
perché morirono a seguito delle torture a cui furono sottoposti in
carcere.

I reparti militari si dedicarono a sistematiche azioni contro i paesi e le popolazioni civili delle zone annesse.

Molti villaggi del retroterra delle province di Trieste, Gorizia e
Rijeka (Fiume) vennero attaccati dai reparti militari, alcuni furono
incendiati, migliaia di civili deportati, altri assassinati in
esecuzioni sommarie e arrestati. I popoli della Jugoslavia pagarono con
un altissimo tributo di sangue, circa un milione di morti, le nefande
azioni degli invasori nazifascisti; mentre altre settecentomila furono
le vittime della lotta di Liberazione e della guerra.

Se al regime di Belgrado mancò la volontà e la capacità di opporsi al
nazifascismo, non così fu per il popolo jugoslavo. La classe operaia e
le masse popolari infatti seppero organizzare una attiva e forte
resistenza agli invasori che iniziò già nell'estate del 1941,
immediatamente dopo l'attacco hitleriano all'Unione Sovietica. Fu una
vera e propria guerra di popolo il cui esercito di uomini, donne e
giovani delle varie zone del Paese composto all'inizio da circa
quindicimila combattenti andò via via ad ingrossarsi fino a superare le
ottocentomila unità. Una guerra di popolo che seppe anche sviluppare,
attraverso la lotta di Liberazione, il processo rivoluzionario che
portò il 29 novembre 1945 alla proclamazione da parte dell'Assemblea
Costituente, della Repubblica Popolare Federativa di Jugoslavia. La
forza principale nella organizzazione e nella direzione del Movimento
partigiano e della Resistenza, specie dopo il tradimento operato dai
militari nazionalisti cetnici del generale Mihailovic passati al
collaborazionismo attivo, fu il Partito comunista jugoslavo che
nell'ottobre 1940 aveva svolto a Zagabria la sua quinta Conferenza nel
corso della quale venne eletto il nuovo CC e confermato Tito alla
carica di segretario generale.

Abbiamo visto come il confine stabilito nel Trattato di Rapallo, avesse
annesso all'Italia un territorio abitato da oltre un quarto della
popolazione slovena. Le borghesie italiana e slovena avevano
accondisceso a questa soluzione accettando l'una la piena legittimità
del diritto italiano a quelle terre e l'altra a riconoscere
l'annessione all'Italia per cercare di arginare l'avanzata della lotta
rivoluzionaria in Slovenia. Radicalmente divergenti da questa posizione
erano i sentimenti popolari e della classe operaia dei due paesi,
specie dopo l'avvento al potere del fascismo in Italia e l'attuazione
della feroce politica di snazionalizzazione contro la popolazione
slovena.

Nell'aprile del 1934 i partiti comunisti italiano, sloveno e austriaco
sottoscrissero una dichiarazione comune sulla questione slovena. In
essa si affermava tra l'altro: "la violenta spartizione del popolo
sloveno tra i due Stati imperialisti vincitori, la Jugoslavia e
l'Italia, che è stata compiuta lasciando all'Austria una frazione degli
sloveni, ha avuto come conseguenza che i territori sloveni sono
diventati il teatro della lotta nazional-rivoluzionaria delle masse del
popolo sloveno, e, in pari tempo, il campo dei più intensi intrighi e
trame imperialistiche, strettamente collegate con la preparazione di
una nuova guerra. Nel periodo del nuovo ciclo di guerre e di
rivoluzioni, di cui siamo alla vigilia, la questione slovena può
diventare, o una leva della rivoluzione degli operai e dei contadini,
liberatrice dei popoli oppressi, oppure uno strumento della
controrivoluzione imperialistica''.

La giusta soluzione del problema, indicata nella dichiarazione, stava
nella proclamazione del diritto di autodecisione del popolo sloveno
fino anche alla separazione dalla Jugoslavia, dall'Italia e
dall'Austria; lo stesso diritto veniva peraltro riconosciuto agli
italiani, ai croati ed ai tedeschi presenti in Slovenia. La lotta per
l'unificazione del popolo sloveno attraverso il diritto
all'autodecisione deve collegarsi, si sottolineava nella dichiarazione,
alla lotta contro la borghesia per l'instaurazione del potere
socialista. "Questo legame - continuava la dichiarazione - è
indispensabile... perché il popolo sloveno potrà raggiungere la propria
liberazione ed unificazione solo attraverso la lotta rivoluzionaria
sotto la direzione della classe operaia e in alleanza con il
proletariato della nazione dominante... Soltanto la lotta comune dei
lavoratori della nazione slovena e della nazione dominante assicurerà
il successo, la vittoria sui nemici e sugli oppressori''.

è su queste basi che il proletariato, gli antifascisti e i comunisti
italiani e sloveni si mossero negli anni bui della tirannia fascista.



L'esplosione dell'odio popolare contro i criminali fascisti e i loro lacché dopo l'8 settembre '43

Quando l'8 settembre 1943 l'Italia firmava l'armistizio, vaste zone
del Friuli, della Venezia-Giulia, della Slovenia e dell'Istria erano
controllate dalle formazioni partigiane italiane, slovene e croate. Il
disfacimento del regime portò allo sfaldamento degli organi di gestione
e di controllo del potere mussoliniano a cui si sostituirono le prime
forme embrionali di governo da parte del Fronte di Liberazione sloveno
e croato. Il Movimento di Liberazione proclamò i territori delle
province di Trieste e Gorizia e di Pola e Fiume annesse rispettivamente
alla Slovenia ed alla Croazia. Fu in questa situazione, tutt'altro che
stabilizzata sul piano della sicurezza e del controllo militare, che in
Istria nel settembre 1943 alcune centinaia di persone: fascisti
italiani (squadristi, gerarchi e funzionari delle istituzioni del
regime); slavi (collaborazionisti e ustascia) e soldati tedeschi, molti
dei quali già sul punto di scappare per non dover rendere conto del
proprio operato, furono giudicati colpevoli di crimini contro la
popolazione locale e quindi passati per le armi dai partigiani slavi e
italiani e i loro corpi infoibati.

La propaganda fascista parlò, allora come oggi, dello sterminio etnico
di migliaia di italiani. Tutti gli atti risultanti dalle indagini e
dalle ricerche svolte nel dopoguerra, anche da parte occidentale, e
suffragate da una puntuale documentazione, hanno stabilito che furono
circa cinquecento le persone uccise e infoibate nel 1943 in Istria,
senza poter altresì smentire in alcun modo quanto, su quegli
avvenimenti, ebbe ad affermare il PC croato già nel settembre del 1944.
"La reazione - si legge nella dichiarazione dei comunisti croati
diramata il 29/9/44 - cercherà di sfruttare ancora le foibe affermando
che allora si tentò di distruggere gli italiani dell'Istria e che
quella fu la manifestazione di uno sciovinismo croato. Noi sappiamo
benissimo che nelle foibe finirono non solo gli sfruttatori e assassini
fascisti italiani, ma anche i traditori del popolo croato, i fascisti
ustascia e i degenerati cetnici. Le foibe non furono che l'espressione
dell'odio popolare compresso in decenni di oppressione e di
sfruttamento, che esplose con la caratteristica violenza delle
insurrezioni di popolo''.

Una oppressione e uno sfruttamento fatti di crimini e atrocità che
ancora e fino alla fine del II conflitto mondiale dovranno subire le
popolazioni di quelle regioni da parte dell'esercito nazista, delle SS,
dei fascisti della "Rsi'' e dei reazionari slavi.

Immediatamente dopo l'8 settembre 1943 l'esercito tedesco puntò ad
assumere direttamente il controllo delle zone precedentemente occupate
dall'Italia. La costituzione il 1° ottobre 1943 della "Zona
d'Operazione Litorale Adriatico'' coincise con lo scatenamento di una
brutale controffensiva nazista. Il comando della zona d'operazione fu
affidato a Friedrich Reiner, mentre a capo delle SS e della polizia
venne nominato il generale Globocnik, criminale nazista già
responsabile dello sterminio di due milioni di ebrei polacchi. Fu
questo uno dei momenti più tragici e sanguinosi del conflitto
contrassegnato dalla violenta offensiva militare degli invasori nazisti
e dalla loro ferocia repressiva attuata con l'attiva partecipazione dei
fascisti italiani riaggregati nella "repubblica di Salò'', degli
ustascia e dei cetnici a cui si aggregarono anche migliaia di cosacchi
e caucasici, bande di traditori e di controrivoluzionari alleate dei
nazisti nella guerra contro l'Urss di Stalin, e che ora erano in fuga
dopo essere stati sbaragliati dall'Armata Rossa sovietica. Innumerevoli
furono le devastazioni e i saccheggi di paesi e villaggi, le
distruzioni delle risorse economiche e del territorio, le torture e gli
eccidi ai danni della popolazione civile, gli stupri contro donne e
ragazze, per finire con i rastrellamenti e le deportazioni per lo più
senza ritorno, nei campi di prigionia e nei lager, tra cui la Risiera
di San Sabba a Trieste, tragico simbolo in Italia della barbarie
nazifascista.



La Resistenza antifascista italo-slava

Ciò che permise di sconfiggere tutto questo fu la lotta comune del
proletariato e delle masse popolari italiane e slave, l'azione
congiunta della Resistenza antifascista italo-slava, il valore e
l'eroismo dei combattenti delle Brigate Partigiane italiane e
dell'Esercito Popolare di Liberazione jugoslavo, caduti a migliaia
nella lotta di Liberazione, il cui spirito di sacrificio e i cui meriti
rimarranno scolpiti per sempre nel cuore e nella memoria del
proletariato e delle masse popolari antifasciste italiane e delle
nazioni slave.

Le principali forze e organizzazioni combattenti in queste regioni
furono in campo jugoslavo il VII e IX Corpus sloveno e la IV Armata
dell'EPLJ e in campo italiano: le Divisioni Garibaldi-Friuli e
Garibaldi-Natisone, i Gruppi di Azione Partigiana (GAP) operanti in
Friuli ed a Trieste, Monfalcone e Muggia. Nel corso del 1944 nacquero
inoltre formazioni partigiane formate da combattenti cattolici, del
Partito d'Azione e da reduci della divisione alpina Julia; nell'aprile
del 1944 alcune centinaia di militari italiani formarono nell'area
delle province di Gorizia e Trieste il battaglione triestino del Carso
che dopo un accordo raggiunto con le Divisioni Garibaldi e il IX Corpus
sloveno formerà la Brigata Garibaldi Trieste; in Slovenia dal dicembre
1944 è attiva alle dipendenze del VII Corpus la Brigata Fratelli
Fontanat composta da circa 750 uomini in prevalenza operai dei cantieri
navali, studenti e militari; mentre in Istria agiscono dall'aprile 1944
il Battaglione Alma Vivoda e il Battaglione Pino Budicin inquadrato
nella brigata croata "Vladimir Gortan''.

Furono queste forze e questi combattenti che ottennero la vittoria
nella lotta di Liberazione contro il nazifascismo, affrancando i
territori occupati. Tra la fine di aprile ed il 1° Maggio 1945 i
partigiani liberarono Udine e tutto il Friuli e il 1° Maggio entrarono
vittoriosi in Trieste il IX Corpus sloveno e la IV Armata jugoslava.

Il periodo che va dal 2 maggio al 12 giugno 1945 vede sui territori
della Venezia-Giulia e dell'Istria la presenza militare delle truppe
degli Alleati e quelle dell'Eplj e sul piano politico la rivendicazione
dell'Avnoj (Consiglio antifascista di liberazione jugoslavo) di quei
territori come parte integrante della Jugoslavia - dove era ormai
consolidato sul piano della volontà popolare il processo rivoluzionario
che porterà alla costituzione della Repubblica Popolare Federativa di
Jugoslavia (Rpfj).

Una rivendicazione che, come precedentemente detto, era già stata
esplicitata all'indomani dell'8 settembre '43. L'abbandono del
principio del diritto all'autodecisione aveva generato contrasti, anche
seri, nelle relazioni tra comunisti italiani e jugoslavi in un momento
peraltro cruciale della lotta di liberazione. Contrasti ricomposti,
anche se non in maniera definitiva, con gli accordi intervenuti il 4
aprile e il 7 maggio 1943, che stabilivano la necessità della comune
lotta contro il nazifascismo e la soluzione delle problematiche
politiche inerenti ai confini e ai rapporti statali alla conclusione
del conflitto. Una posizione questa condivisa dal Movimento comunista
internazionale. Ancora nel gennaio del 1945 il PCJ rivendicò
l'annessione di Trieste, dei territori slavi e delle zone miste alla
Jugoslavia in un incontro che Hebrang - membro dell'Up del PCJ e del
Comitato di Liberazione Nazionale Jugoslavo - ebbe a Mosca con Stalin e
Molotov soprattutto per concordare forme di aiuto economico e militare
dell'Urss alla Jugoslavia. In quell'occasione i dirigenti sovietici
ribadirono a Hebrang che tale questione poteva trovare soluzione solo
sul piano politico-diplomatico sulla base della volontà espressa dalle
popolazioni coinvolte nel problema e non sulla base di azioni di forza
unilaterali.



La questione delle foibe e la nascita della nuova Jugoslavia

Fu proprio nei giorni precedenti gli accordi del 12 giugno tra il
governo jugoslavo e gli alleati che stabilirono per la cosiddetta "zona
A'' (Trieste Gorizia e Pola) l'amministrazione "alleata'' e il
controllo della "zona B'' (la parte restante della regione, l'Istria e
Fiume) alla Jugoslavia, che si acutizzò lo scontro delle forze ostili
al nuovo governo rivoluzionario nel tentativo di mettere in discussione
la nascita della nuova Jugoslavia proprio mentre si insediavano e
cominciavano a operare le nuove istituzioni del paese. E fu questo il
momento in cui i fascisti, i nazisti, i collaborazionisti di ogni sorta
e i controrivoluzionari jugoslavi, dovettero assumersi la piena
responsabilità della loro politica e delle loro azioni. In questa
azione di giustizia tanto necessaria quanto difficile, saranno
sicuramente stati emessi verdetti errati per alcune persone così come
si saranno verificati casi di vendette personali; ma questo non può
assolutamente costituire un fattore di alterazione e di falsificazione
di quegli avvenimenti.

Vi è una connessione stretta e ineludibile, un filo conduttore che lega
particolari e contingenti avvenimenti quali le foibe, la detenzione dei
prigionieri di guerra, il cosiddetto esodo degli italiani d'Istria,
alla politica fascista della snazionalizzazione, all'aggressione
nazifascista della Jugoslavia, all'occupazione militare italiana,
all'attività nazista nel "Litorale Adriatico'', alla persecuzione
antifascista e antiebraica.

è necessario quindi ribadire con forza verità e responsabilità sugli
avvenimenti di quegli anni, fuori dall'ottica delle falsità prodotte
dalla propaganda fascista sia sul piano quantitativo (il numero dei
morti ritrovati nelle foibe) che su quello storico, e dentro, invece,
allo sviluppo organico della politica nazifascista.

Sul piano dei rapporti fra Stati, l'Italia ha disatteso alla
salvaguardia dei diritti della minoranza slava e l'Italia ha fatto
carta straccia del Trattato di Rapallo attaccando la Jugoslavia nel
1941 e annettendosi i territori della "provincia di Lubjana''. Sul
piano della responsabilità politica, la snazionalizzazione delle
popolazioni slave, l'invasione e lo smembramento di un intero Stato,
l'oppressione sanguinaria delle popolazioni civili sono alla base della
rivolta e della richiesta di giustizia delle masse popolari italiane,
slovene e croate. Sul piano della verità, le foibe non rappresentano
affatto il simbolo del genocidio della popolazione italiana e dell'odio
antiitaliano. Non ci fu nessuno sterminio etnico contro gli italiani,
ma una comune rivolta contro gli aguzzini fascisti, nazisti, ustascia e
collaborazionisti macchiatisi di ogni sorta di crimini.

Una lotta di Liberazione contro la barbarie nazifascista e per la
riappropriazione della libertà e dell'indipendenza nazionale. E
l'esempio principale è dato proprio dalla lotta unitaria dei diversi
popoli, dalla lotta unitaria delle diverse organizzazioni e formazioni
partigiane, dall'aiuto generoso dato dalle popolazioni slave a migliaia
di soldati italiani in rotta dopo l'8 settembre 1943 e braccati dai
loro ex alleati tedeschi. Soldati che erano invasori ma che devono la
loro salvezza e la loro libertà al popolo jugoslavo e a quanti mettendo
a repentaglio la loro stessa vita, li hanno sottratti alla vendetta
nazista.

è nostro dovere impedire a chiunque di gettare fango sulla lotta di
Liberazione e sui partigiani. Gli ideali e i valori della Resistenza e
dell'antifascismo sono e devono rimanere un patrimonio indelebile della
nostra storia, del nostro popolo e dell'intera umanità.
 

 
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