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Un blog creato da Mthrandir il 11/01/2005

Schegge di vetro

Ad averlo saputo prima, me ne stavo nel Beleriand! (Le immagini riprodotte su queste pagine sono di proprietà dei rispettivi autori, sperando che la dichiarazione mi sollevi dalla promozione di cause civili, che non ho tempo)

 
 

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DIES IRI (6)

Post n°75 pubblicato il 25 Ottobre 2005 da Mthrandir
 
Foto di Mthrandir

(Sesta puntata – “Ho seguito tutte le regole e tutte le procedure e ho agito nell’interesse dello Stato” Romano Prodi, 6 maggio 2003 a “L’Unità”)

Già. Il problema è che regole e procedure, nella visione dell’Aquilone, non coincidono con le regole e con le procedure stabilite dalla Legge Italiana. Quanto agli interessi dello Stato, ha fatto bene a non precisare “quale Stato”, perché non si tratta sicuramente di quello italiano. L’argomento è sempre lo stesso, le privatizzazioni, ma da questa puntata si entra nel vivo degli “affari” più discussi degli ultimi venti anni. Il primo è la vendita della famigerata SME, una prima volta oggetto del tentativo di omaggio a Mr. Carlo De Benedetti, poi effettivamente regalata (a pezzetti) in giro per il mondo. La SME (Società Meridionale per l’Elettricità) è la finanziaria dell’IRI che opera, come dice il nome stesso, nel settore alimentare. Viene da anni di crisi profondissima, ma, all’altezza dell’anno domini 1984, mostra segnali di inversione di tendenza, soprattutto grazie al momento congiunturale di grande interesse per il settore alimentare. In che condizioni economiche si trova effettivamente la SME? Prodi dice che è sostanzialmente in passivo e in grande crisi. Corre l’obbligo, quindi, di snocciolare alcuni numeri che saranno anche noiosi da leggere, ma sono indubbiamente utili per capire come stessero effettivamente le cose. La SME (come gruppo) fatturava oltre 2.500 miliardi con un utile netto di quasi 65 miliardi (dovuti a operazioni straordinarie in gran parte), aveva un patrimonio netto pari a circa 430 miliardi e debiti netti inferiori ai 20 miliardi. Le principali divisioni erano: GS Supermercati (21 miliardi di utili), Alivar-Autogrill (30 miliardi), Italgel (ne riparleremo a parte, 3 miliardi), Cirio (riparleremo anche di questo, poco meno di un miliardo). Più varie ed eventuali. Un gruppo povero? Si direbbe di no. Magari, però, si tratta di un gruppo che ha difficoltà di mercato.

Dunque, in realtà è:

1. monopolista nella ristorazione autostradale (Autogrill);

2. leader di mercato nei settori olio d’oliva (Bertolli) e conserve alimentari (Cirio e De Rica);

3. secondo operatore nel settore gelati (Motta, Alemagna, Antica Gelateria del Corso) e surgelati (Surgela e Valle degli Orti);

4. buone posizioni nel settore dei prodotti da forno e dolciario.

Allora, non ha nemmeno problemi di competitività.

Benissimo, quindi! Non essendo strategico per le Partecipazioni Statali, si può vendere alla grande e farne bei soldini.

E qui, ma non è una novità, le prospettive cambiano. L’Aquilotto sostiene (deposizione al Processo SME nel 2001) di aver contattato prima Barilla e poi Ferrero ottenendone due rifiuti. Ora, che sia vero o no, Romanone ammette candidamente che di aste proprio non ne vuol sentire parlare, lui tratta solo nei bar, durante gli happy hours il cui clima sembra essergli più confacente. E i giudici non fanno una piega. Ricevuti i due presunti “Non mi interessa”, Prodi pensa (casualmente) che la Buitoni possa essere interessata. In effetti, alla Buitoni interessa perché De Benedetti (che, casualmentel’ha comprata ben due mesi prima ed è anche, casualmente, un acceso “sostenitore” della sinistra democristiana di De Mita) intende diversificare l’attività dal settore informatico (Olivetti).

Ma chi è l’acquirente designato? Buitoni fattura circa 1.000 miliardi, ha perdite per 48, patrimonio netto zero e debiti per 300 miliardi. Ricorda, non so perché, una Banca Popolare recentemente divenuta assai famosa che tenta di scalarne un’altra che vale parecchio di più, ma anche una Compagnia di Assicurazioni che, analogamente, vuole scalare un’altra Banca che è grande 4 volte il potenziale compratore. Di sicuro, un pensiero che scaturisce dalla mia passione per la dietrologia. Ma torniamo a noi e non divaghiamo.

Su quali basi viene fissato il prezzo? Sulla base di una perizia di Guatri (rettore della Bocconi) e Poli (emerito professore) che arrivano a stimare il valore a 497 miliardi. Peccato che la perizia fosse riferita ad un progetto di fusione all’interno del Gruppo (delibera IRI del 1984) e lo scopo fosse quello di valutare il “peso” della SME all’interno di quel contesto. In questo caso, invece, si deve vendere sul mercato e i valori devono tenere conto di ben altre poste di bilancio. La sola capitalizzazione della SME si aggira sui 1.300 – 1.500 miliardi.

Prodi (“Io non mi occupo di valutazione di aziende”, bontà sua, deposizione del 2001) con De Benedetti firma un preliminare per la vendita (condizionato al si di Governo e CDA dell’IRI, dice lui, ma De Benedetti la pensa diversamente) alle seguenti, favorevolissime, condizioni:

A. Prezzo di vendita: 497 miliardi, a rate, per il 64% della SME. Ma se si tiene conto della rateizzazione, il prezzo reale scende a 333 miliardi;

B. Garanzie del pagamento: IMI e Mediobanca, cioè due banche controllate dallo Stato, che hanno già pattuito di ricomprare il 13% della SME per 104 miliardi (Visto? Il 64% costa 333 nella fase di vendita e, per miracolo, il solo 13%, due giorni dopo, ne vale 104 e non 67,5. Mah….). Inoltre, lo Stato, tramite l'IRI, vende a un privato al quale fornisce contestualmente le garanzie per pagare: se non paga la Buitoni, lo Stato si paga da solo. Ma è Presidente dell'IRI o in tour con quelli di Zelig?;

C. Ulteriori contributi: già stabiliti finanziamenti pubblici a favore dell’acquirente tra i 500 e i 700 miliardi per il risanamento del gruppo acquisito al tasso di interesse del 5% (il medio di mercato, all’epoca, fa 15%);

D. Ammennicoli vari: La SME, se acquisita da terzi, avrebbe permesso all’acquirente di dedurre 600 miliardi di perdite pregresse, con utile implicito di 210 miliardi (bel regalino, ne?). Autogrill e Agip si impegnavano a mantenere in essere i contratti anche per il futuro, sicchè l’Aquila di Scandiano ha risolto anche il problema dei fatturati futuri.

Accidenti! Un altro paio di soggetti che proteggono così gli interessi dello Stato e siamo a posto. Prodi, porta l’offerta al CDA dell’IRI che l’approva. A questo punto, Craxi si incazza sul serio e fa presente a Prodi e Darida (Ministro delle Partecipazioni Statali) che, sebbene Natale sia dietro l’angolo, siamo ancora a Maggio: un po’ presto per i pacchi dono. A margine, l’incazzatura di Bettino raddoppia perché De Benedetti non è esattamente compreso nel parco amici dell’ex segretario socialista. Nel giro di qualche giorno, piovono all’IRI altre offerte per la SME: 550 miliardi attraverso l’avvocato Scalera (chi cazzo sia e chi ci fosse dietro non si è mai saputo) e 600 da parte della cordata IAR (Barilla, Ferrero – ma non avevano detto che non erano interessati? – Confcooperative e Berlusconi). A questo punto, Darida non può fare a meno di imporre a Prodi la valutazione delle altre proposte. De Benedetti non rilancia perché sostiene di aver firmato un contratto di acquisto valido: denuncia tutti (tranne l’Aquila di Scandiano), chiede sequestri azionari, sospensioni, giudizi a destra e a manca (TAR del Lazio, Tribunale di Roma, ecc.). Gli danno torto su tutta la linea perché quell’accordo non poteva essere considerato un preliminare di vendita. Scatta la campagna di stampa sulle presunte tangenti che Berlusconi avrebbe pagato a Squillante per comprare le sentenze (ma chi diede definitivamente torto a De Bendetti fu Filippo Verde). E’ il tentativo disperato di De Benedetti per accaparrarsi il bottino. Di fatto, chiude l’operazione della tentata vendita e rimanda tutti a tempi migliori. Intanto, sotto processo finisce il solo Berlusconi: gli altri fischiettano e fanno finta di niente.

Ancora dalla deposizione di Prodi al Processo SME (dicembre 2001):

Avvocato Dinacci (di Berlusconi): “Come valutò la seconda offerta della cordata IAR?”

Prodi: “Con un senso di frustrazione e di profonda irritazione. Vidi che c’erano Barilla e Ferrero, che con me si erano detti non interessati. E poi Berlusconi, che non avevo contattato perché era totalmente estraneo al settore alimentare”.

De Benedetti, invece…. lui si che era un agricoltore (Rino Formica). Amen.

Mthrandir

(Nella foto, l’apertura dell’offerta di De Benedetti)

 
 
 
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