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Post n°2280 pubblicato il 19 Ottobre 2022 da fedechiara
 

04/10/2009 Il popolo dei sanculottes

Aubusson Limoges Angouleme
C'è un aspetto caratteristico della Francia 'citoyenne' e dei suoi quartieri più popolari che non notavo a Monaco di Baviera, neanche nelle periferie.
Sono i ritratti, i gesti, le espressioni gergali caratteristiche e sovente buffe del popolo che ha fatto 'la' rivoluzione: quella fondamentale (non la prima e, forse, neanche la più cruenta); quella che uccide un re con pubblica esecuzione e apre all'era moderna, abolisce i privilegi feudali, esalta la libertà abbinandola alla eguaglianza e alla 'fraternità' tra gli eguali e i 'citoyens' e la esporta per virtù di un popolo in armi in Europa e sparge i semi di altre rivolte e rivoluzioni e incredibili evoluzioni del quadro sociale e politico del secolo nuovo.
Non che a Monaco il popolo manchi di una sua espressività e gestualità e gergalità, anzi! forse è una questione di affinità, di 'cuginanza' e qui il pieno possesso della lingua che a Monaco, invece, mi ingessava - perchè quando in una 'Stube' ascolti i dialoghi incomprensibili in quella loro lingua dura e spigolosa ti sembrano tutti conferenzieri anche se parlano di cappelli e trine e merletti o di come si prolunga l'estate ancora calda.
Entro a bere un caffè ad Aubusson - un tempo capitale degli arazzi e della 'tapisserie' artistica - e osservo un gruppo di anziani che scambiano battute, ammiccano, ridono davanti al quartino di un buon rosso e schegge di formaggi stagionati: arguzia contadina, savoir vivre, nonchalance di un popolo che, diresti, si veste quasi per scommessa - giusto perchè andare in giro nudi non si può - e in sfregio alla loro capitale che è detta 'capitale della moda'.
Forse gli avi 'sanculottes' giravano senza mutande per una precisa scelta e coscienza di popolo, piuttosto che per l'estrema povertà che li spinse con le picche levate alla Bastille, chissà.
Nelle vetrine dei negozi di Aubusson osservo capi di vestiario orrendi e la maggioranza delle persone che mi sfilano accanto sono più ineleganti di me che vesto da viaggiatore.
Quando salgo alla cattedrale la trovo piena di popolo e, in fondo alla chiesa, il tavolo imbandito e le bottiglie di un buon brut locale di un ricevimento che si terrà in chiesa dopo la messa. Strano abbinamento: anima e corpo finalmente riuniti in una religione che sempre ha castigato i corpi e premiato le anime capaci di 'staccar l'ombra da terra' lasciandovi il corpo peccatore.
Chiedo a una signora che sorride e saluta chi entra se le chiese qui sono sempre così piene e ride e dice che no, che si tratta di un omaggio a una 'sorella' morta di recente e molto amata in città.
Franca Siberia
04/10/2009 h07.30 Franca Siberia

Il gestore è un contadino rude e di poche parole. Mi serve la colazione con gesti essenziali e se non fossi io a parlargli e chiedere e dire finirebbe con un 'adieu' stitico e amici come mai prima.
Forse è imbarazzante un tete-à-tete, per lui che in questa sala - solo un mese fa - ospitava i piccoli gruppi caciarosi delle 'randonnèes' (escursioni) tanto amate dai francesi tra i boschi e le colline e i villaggi e i 'chateaux'.
Ha silenziato la sua tivù al plasma e le immagini sono quelle che avevo negli occhi una settimana fa: le Alpi bavaresi e del Salisburghese: i masi e i castelli turriti. 'Bello', gli indico. Annuisce. Gli chiedo di Limoges, capitale del Limosino e la liquida con due parole noncuranti . 'Ce n'est pas grande chose.'
Invece, mi racconta (evviva!) di quel villaggio della guerra ormai lontana nel tempo - forse una sua memoria dolorosa e che lo tocca da vicino. Forse ci aveva un parente, in quel villaggio bruciato dai tedeschi in ritirata con tutti gli abitanti chiusi nelle case e nella chiesa - le porte sbarrate dall'esterno e chi si buttava dalle finestre in fiamme lo mitragliavano.
Un martirio, un piccolo olocausto della 'Francia profonda', un suo giorno di maledetta apocalisse e i ruderi anneriti sono ancora lì, com'erano, a memoria e monito delle future generazioni.
Una violenza 'farouche' quella dei soldati tedeschi, ripetuta in tutti i luoghi della rabbiosa ritirata dove trovavano resistenza - così si legge in una lapide apposta dentro al cortile del municipio di La Rochelle.
Gli chiedo dei suoi viaggi ad est - dei quali parlano le molte 'matriosche' esibite dentro a una vetrina e nella mia camera - e dice che sono della moglie siberiana, regione dell'Altai, e nel dirlo ammicca e, per la prima volta, sorride. 'Sapesse come l'ho conosciuta.', azzarda, ma subito si arresta, come se gli fosse sfuggito di bocca, e io non oso chiedergli altro.
Quando scendo a salutare e consegnare le chiavi, mi apre una ragazza di non più di trent'anni, magra e timida, non bella. Mi invita ad entrare e, dov'ero seduto io, sta il marito, il rude contadino. Tiene in braccio un bambino di pochi mesi e lo allatta col biberon e mi guarda severo come se avessi violato un suo segreto.
Contadini franco-siberiani crescono: il futuro ricomincia ad ogni generazione nuova e chissà che mondo uscirà dal presente 'melting pot' nascosto perfino nei borghi più segreti della Francia profonda.
Alla curva della strada che mena alla statale un baio statuario e bello dei suoi giovani muscoli e della criniera chiara e lunga mi osserva fisso. Gli altri suoi compagni non mi curano, invece, e continuano placidamente a brucare. 'Bonjour', gli dico e scendo dalla macchina per carezzarlo e in risposta risuona alto un nitrito minaccioso.
E' così intensamente verde questa Francia agricola e varia di boschi e foreste e le ghiandaie volano a ciuffi fuori dalle ramificazioni fitte delle querce che il gran secco ha già fatto ingiallire.
'Troppo secco quest'estate.' mi confermava ierisera il contadino. 'Niente girolles e chanterelles. I pochi che trova li vendono a 23 euro al mercato. Mai visto prima'.

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