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Messaggi del 29/04/2023

L'infinito viaggiare.

Post n°2551 pubblicato il 29 Aprile 2023 da fedechiara
 

CACHI, 25 marzo 2019 – L'infinito viaggiare.

E dell'infinito viaggiare è epitome questo dilatarsi dei paesaggi chiusi in lontananza dalla catena delle cime pre andine dove si sfilacciano le nubi fermate dalle Ande. E la strada vuota, la mitica ruta nacional 40 resa famosa dal giovane Guevara nel suo viaggio iniziatico in motocicletta e dagli epigoni che ne seguirono le orme, è spina dorsale di questo paese che si estende fino al finis terrae della fredda Patagonia ma fa tesoro, a metà del tragitto, del suo clima sub equatoriale e a Mendoza mostra il trionfo dei vigneti che danno un vino-idromele che ben si accompagna alla carne squisita e tenera come un burro.
Ed è vero che 'lascia senza parole' questo susseguirsi di immagini coloratissime del nostro viaggiare e ci incanta tanto quanto ci hanno incantato le nostre Alpi, ma con l'aggiunta di una estensione terrestre che la placca africana-europea nel suo insorgere non raffigura infinita al pari della placca continentale del Pacifico.
E il villaggio di Cachi è silente e vuoto di persone e attraversato dal vento, come nelle colonne sonore dei film 'western' girati al confine con il Messico, e l'architettura coloniale della dominazione ispanica viene ripresa dall'architetto che ha costruito il bell'albergo a cinque stelle dove alloggio e, sapientemente, mescola e compendia in un'unico luogo gli elementi caratteristici della scarsa vegetazione degli altopiani pre andini con risultati eccellenti.
E un buon albergo è parte del piacere del viaggiare e, a sera, negli occhi stanchi delle lunghe miglia percorse, si configura come quella poetica siepe che 'di tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude'.
L'infinito viaggiare del sogno del poeta recluso nella sua Recanati.

 
 
 

Registi e ruoli.

Post n°2550 pubblicato il 29 Aprile 2023 da fedechiara
 

Di storie vere, metafore e sogni - 29 aprile 2017

R. Kapuscinsky, in un suo libro, racconta di un villaggio africano dove il vento solleva vortici di polvere e il caldo intenso chiude le persone nel chiuso delle capanne, ma, come un'apparizione, giunge una jeep dal deserto accompagnata da un camioncino e un regista conosciuto dagli abitanti allestisce in velocità coi suoi aiutanti un improvvisato set, parte una musica e, miracolo! ecco gli abitanti del piccolo villaggio uscire a gruppi dalle capanne - e prendono a danzare al suono di quella musica come se un misterioso copione fosse stato distribuito in anticipo.
L'evento dura poco più di un'ora e coinvolge l'intero villaggio - donne e bambini inclusi. Infine il regista e i suoi aiutanti salutano, ripongono le attrezzature e se ne vanno e torna il vuoto nella piazza e i mulinelli della polvere e il caldo africano e gli abitanti di nuovo chiusi nelle capanne in attesa della sera e della notte.
Possiamo partire da questo episodio e farne una metafora di tutto quanto accade da noi, in quei villaggi strani e campi profughi improvvisati sotto l'urto di una immigrazione massiccia e in crescita esponenziale che sono le nostre caserme requisite allo scopo e gli hotels vuoti requisiti dal ministero degli interni - e ne seguono le proteste degli abitanti e dei sindaci contro i prefetti che fanno il lavoro comandato loro dalle cattive politiche degli s-governi dai quali dipendono e ne sono la maledetta longa manus.
E dovremmo narrare - in parallelo alle polemiche sugli incessanti arrivi e sbarchi dai gommoni e i traghetti delle o.n.g. dai finanziamenti opachi che li prelevano a poche miglia nautiche dai porti di partenza - di come vivono quei neri dentro quelle strutture di una assistenza misericordiosa che ci hanno imposto col grimaldello della pietà e di una 'legge del mare' nata per gli occasionali naufragi e applicata invece, impropriamente, alle migrazioni bibliche dei migranti economici, alias clandestini dei naufragi organizzati, che pagano cifre altissime ai trafficanti di uomini e donne e bambini.
E dovremmo narrare di cosa fanno tutti quei giovani neri chiusi li dentro e quali progetti di vita sognano e perché, invece, li vediamo a nugoli aggirarsi per le strade mendichi o ciondolare a gruppi davanti alle stazioni e la chiamiamo 'accoglienza', ma ha tutto l'aspetto di una catastrofe umanitaria che non sappiamo gestire e che ha precipitato le nostre città nelle narrazioni dickensiane della miseria globale oscenamente esibita e della mendicità diffusa e della piccola criminalità urbana che riempie le carceri.
E avremmo bisogno di un regista che apparisse all'improvviso in queste nostre città e villaggi globali della mendicità oscena e povertà e microcriminalità diffusa che ci suonasse un'altra musica e improvvisasse il flash mob del cambiamento e di una vera accoglienza dove quei neri per caso degli sbarchi organizzati e profumatamente pagati e che generano il miserabile business dell'accoglienza italica e delle pelose o.n.g globali trovassero, invece, un lavoro onestamente pagato e una casa in affitto come facciamo tutti noi indigeni - ma qui siamo in un'altra storia e film di una altra epoca futura di cui non siamo sicuri che i titoli di testa preciseranno che è tratta da una 'storia vera'.
Nessuna descrizione della foto disponibile.

 
 
 
 
 

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