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Delitti quotidiani.

Post n°168 pubblicato il 09 Aprile 2013 da Noneraunsogno

 

Delitti quotidiani

(racconti che viaggiano in un  autobus della linea urbana)

 Appare all'improvviso, proprio quando sto per meravigliarmi della sua assenza, mentre aspetto infreddolito al capolinea l'autobus impreciso delle 6.30.

Arriva quasi sempre alle spalle, qualunque sia la mia  posizione, come se ci trovasse gusto a piombare sulla scena del delitto (in effetti di un delitto quotidiano si tratta) come la lama di un  coltello scagliata da una mano invisibile e criminale.

< E' partito il 104? >. Stessa frase, stessa coltellata inflitta al mio  precario buonumore.

< Sono le 6 e venti e ogni giorno si ostina ad interrogarci con lo  stesso tono su un autobus della linea urbana che collega la periferia al centro. E mai una volta che questo cazzo di autobus si facesse trovare già pronto, scalpitante, in modo da lasciarci, per una volta, liberi da doverosi riscontri che ci costringono ad aprire gli occhi fino a pochi istanti prima  tenuti socchiusi, immersi nell'oblio fatiscente del pazientate un altro po', per favore, ho ancora  sonno>.

Sembra leggersi questo pensiero  lungo il filo invisibile che,  ad ogni sua domanda, corre   dal mio sguardo a quello della signora che scende da Boccadifalco, e da questa al ragazzo che se ne sta appoggiato al cartellone pubblicitario, per proseguire la corsa dentro gli  occhi di un vecchio pensionato che trascorre la sua vita a ripercorre su e giù per tutto il giorno i tratti polverosi che collegano  la memoria alla sua vita.

Lui, il viaggiatore criminale, magro e con un viso allungato, ha  due baffetti sotto il cordolo del  naso che gli danno un'aria da soldato del passato.

Di quelli di una volta, che vivevano in trincea nelle vecchie guerre  persi ad aspettare un'ombra o un rumore  all'orizzonte.

Muove spesso, il reduce baffuto, con un movimento asimettrico e costante, entrambe le spalle, quasi per scrollarsi d'addosso, simulando, gli anni passati nei fossati, le battaglie immaginate,  il gelo ed il freddo.

Con ritmo intermittente,  allo stesso tempo, chiude ed apre gli occhi  come se accendesse o spegnesse dentro sè, continuamente, una luce  o  un interruttore. 

Il suo nome è un mistero, come è segreta (visto il tono lieve del suo raccontare) ogni sua confessione.

Un giorno dice di chiamarsi Massimo e di essere stato un uomo di scorta di un famoso giudice saltato in aria tra Punta Raisi e Palermo.

Racconta, inoltre,  di essere sopravissuto a quel massacro sol perchè si trovava  dentro un' altra macchina, dentro un altro istante, dentro un altro tempo.

Aggiunge al racconto notizie sconcertanti, tipo quella  di essere stato minacciato  al telefono, proprio la sera prima dell'attentato, quasi che quella gente si fosse presa la briga di avvertirlo  del botto che ci sarebbe stato, all'indomani, in autostrada, in pieno giorno. 

< Vedi le mie dita e le mie mani  accartocciate? Sono così perche tenevo stretto a me, dopo lo scoppio,  il mitra incandescente> . Ogni tanto tira fuori questo particolare per far capire che le sue non sono affatto balle.

Un altro giorno, al ragazzo che se ne stava appoggiato al sostegno di ferro della obliteratrice ha confidato di chiamarsi Settimo Libero Cavalleggeri e di essere stato uno scienziato di fama quasi mondiale, per intenderci da Premio Nobel, come diceva lui, e che, sebbene caduto in disgrazia per via della sua militanza nelle Brigate Rosse e subìto in carcere anni di duro isolamento ed aspri  interrogatori, egli ha strenuamente resistito, non rivelando nomi o fatti,  pur perdendo di colpo gloria, fama, salute e soldi.

Spesso gli uomini si raccontano e, raccontandosi, disegnano nell'aria  le loro incredibili solitudini; a volte raccontano sogni diventati ricordi o gesti estremi di eroi dimenticati, altre volte intrecciano le parole con i loro più profondi tormenti per farne lunghe corde da lanciare in fondo ad  infiniti  pozzi.

Sono storie ed invenzioni che aiutano a sopravvivere e a non morire anzitempo,  piccoli gioielli che brillano nel cielo  delle mille periferie senza stelle.

Mi sembra strano che la sua voce mi colpisca sempre alle spalle nonostante che io giri  armato di caffè, di specchi e di speranze.

Come mi sembra strano che la signora che scende giù da Boccadifalco, prima che  il gallo canti almeno cinque volte, sia in realtà una nobile ricamatrice che ha servito il Papa, il Re ed il Duce  (questo è almeno quello che lei, al Massimo Cavallegeri, ogni tanto, dice!).

Per fortuna ci siamo io ed il ragazzo a mantenere la giusta rotta; io, impassibile  e preciso nel negare racconto ogni forma di riscatto,  ed il ragazzo, curioso quanto basta per tenere alta la  sua concentrazione o per  fargli esclamare un 'oh', imbrattato con il suo giovane sorriso.

Per fortuna che ci sono in giro uomini che non sanno stare zitti. A parte quelli che, come me, aspettano ogni mattina  l'autobus delle 6.30 e che per loro l'alba non è mai affatto  un buongiorno.

A parte quelli che non si raccontano storie inventate o, magari,  appartenute ad altri.

Per fortuna o meno male che ci sono ancora gli autobus e gli uomini nelle strade.

 

 

 
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