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« Ventiquattro - Scritto f...Ventisei - Un Addio »

Venticinque - Per Nome ebbe il suo Tempo

Post n°26 pubblicato il 13 Settembre 2009 da passato_per_caso

Si domandò in quale posto lo avesse imparato, su quale libro letto o soltanto in quale storia trovata la  traccia. “I nomi cambiano a seconda  di come le cose venivano guardate”.

Era quello il succo di una filosofia che per quanto assurda e paradossale, l’aveva colpito , dapprima distrattamente, come quando si passa davanti ad un qualche cosa e quella stessa cosa, per un indecifrabile motivo, che la logica non coglie, ti attrae strappandoti un sorriso.

Poi s’accorse che col passare del tempo, quell’idea si stava impadronendo di lui e lui di quelle parole. Era il periodo della compenetrazione. Come quando due corpi s’attraggono magicamente e poi finiscono col fondersi.

 

Si mostrò un esempio, se lo costruì per bene. “E’ come – disse – quando incontri una sconosciuta e a quel punto, in quel primo punto, la puoi chiamare solamente “donna” o “essere umano”, mentre lei ha invece tutta una sua esistenza già ben delineata. I suoi contorni sono netti, così come il suoi passato già costruito e i desideri e i sogni, quel suo essere individuo, anzi, forma individuale.

 

Basta un attimo, la presentazione nella frazione di secondo, e “quell’essere umano” o “quella donna” svela il suo nome proprio avuto in dono col battesimo. E forse anche il suo cognome.

Allora quell’entità fata e formata assume un uovo segno. Era “quella donna” o un “essere umano” e diventa “Paola, Assunta, Deborah, Cristina….”

 

Ora provate ad immaginarvi un minimo di confidenza in più e questa vi svelerà magari il suo diminutivo o vezzeggiativo, o come la chiamano gli amici.

 

Se poi a tutto questo s’aggiungesse lo sbocciar della confidenza ed il lambir’una passione o forse dell’amore, allora scoprireste che quella medesima “donna” assumerebbe infinite varianti di nominazione e sarebbe diventata santa, puttana, moglie, amante, amore e avrebbe assunto l’infinita varianza di nomi a seconda dell’attimo.

 

Infine, se l’amore v’avesse abbandonato eccola diventar di nuovo altro nell’affogar lento dei ricordi, a volte del rancore, altre del rimpianto.

 

Era come se guardando uno stesso diamante da diverse angolazioni ogni faccia possedesse incisa una propria denominazione, lo stesso diamante cambiava il nome a seconda del lato, o della luce, o della situazione.

 

 

Si scoprì un giorno mentalmente ad estendere questo suo pensiero. Tutto attorno aveva un nome che cambiava se lo si guardava a lungo e sotto angoli diversi. Un cane, che era un cane, ne assumeva uno diverso quando diventava il “proprio” cane e via via che la confidenza aumentava era un montar di nuovi nomi, vezzeggiativi per dimostrare affetto o apprezzamento, altri più duri per sottolineare un rimprovero o un’arrabbiatura.

 

Ogni nome cambiava nel corso di una esistenza ed erano gli occhi del momento, ed il momento stesso che ne determinavano di volta in volta, la sua definizione.

 

E lo stesso accadeva alle cose, ed era per quello che, ad esempio, alcuni davano un nome alle proprie macchine o alle cose. “Villa Rita” ad esempio, al posto di un semplice “casa”, che poi comunque sarebbe potuta benissimo diventar “casetta” o magione” o “reggia” o “dimora” e via, via, lungo il percorso infinito di attributi.

 

I nomi cambiavano continuamente per definire pur sempre una identica cosa.

 

E cambiavano per il momento, o l’affetto dell’attimo o l’occasione.

 

Ne aveva parlato con lei di questo suo pensiero strampalato e lei aveva accolto quella sua “teoria” con un sorriso e un bacio.

 

Amava quando usava quel suo tono serio, o meglio “serioso” come di chi non sa davvero se credersi o canzonarsi, nel declamare il frutto d’un arzigogolato pensiero.

 

Amava quel suo guardarsi attorno come a cercare in ogni dove un modo per organizzar differentemente le cose, o concatenare i fatti in modo desueto.

 

Non la colpì allora quando, con voce intinta nel profondo del tramonto che già filtrava dentro la stanza, le chiese,–“Qual è il mio nome, adesso?”-

 

Lei gli rispose col filo di un sorriso. La voce intrisa da quel poco di Maestrale che spirava sulla terrazza deserta da cui ogni notte s’immaginava il mare. Lei gli sorrise nei colori di un tramonto giunto improvviso e che la illuminava già. Lei gli rispose guardandolo nel viso  -“Tu sei  di nome, la mia serenità”-

 

Rubò dal cielo che tramontava una manciata di parole e le impastò con l’aria del creatore. Soffiò leggera fra le mani come fosse carezza, e lui da lei raccolse il nome.

 

Guardò l’impasto e il dono e la sua luce e il suo significato e poi rapido, immediato, guardò nel fondo dello sguardo di lei. Sorrise sciogliendo il filo di quello di lei intrecciandolo al suo.

 

Prese le lettere ad una ad una, attento le guardò in controluce, come una filigrana. Poi le girò con le dita mutandone il verso. Anche il segno cambiava.

 

Era sereno il cielo in quel momento sopra le loro teste e i loro cuori, e lui s’accorse in quel preciso istante, della bellezza delle parole. Era sereno il cielo e lui lo era egualmente in quello stesso istante. S’accordavano il nome ed il tempo sia quello metereologico che grammaticale.

 

Nulla era più instabile del tempo. Sarebbe passata una nuvola di lì a poco e chissà quando e il tempo sarebbe cambiato e così, col tempo anche il suo nome nella bocce di lei. E i cumuli e i nembi avrebbero invaso quello spicchio di cuore e le parole allora, come stormi di rondini, avrebbero smesso di volare alte in attesa di un prossimo acquazzone.

 

Così andavano i sentimenti, come i cieli della vita. Si alternavano d’immense luci e temporali. E c’erano quindi i giorni di sole pieno ed altri in cui pareva che nulla avrebbe potuto bucare le coltri e l’acqua e il gelo e finanche la neve, parevano assediare il cuore e ricoprirlo fino a farlo quasi soffocare.

 

Quello era il regalo del vento in quel pomeriggio che andava a tramontare. Il cuore e l’amore seguono i ritmi del tempo, come tutto nella natura, e quando è bello non è mai bello per sempre, così come le nubi non avvolgono mai il paesaggio per l’eternità.

 

Lasciò i pensieri poggiarsi sopra il comodino, accanto al letto, in quella stanza. Guardò la donna accanto che in quel momento amava certo di esserne riamato, e non pensò alle nubi che sarebbero venute un giorno e sciolse l’ultima luce di quel giorno in un abbraccio forte, intenso, che dovesse sembrare per davvero, che non potesse finire mai.

 

 
 
 
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