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Rime di Celio Magno (216-231)

Post n°1082 pubblicato il 18 Gennaio 2015 da valerio.sampieri
 

Rime di Celio Magno

216

All'illustrissimo signor Alberto Badoaro, cavaliere

Signor, se misurando il proprio danno
del grand'avolo vostro il fin piangete,
ah ch'in voi, non in lui pietoso sete:
e dal senso ragion riceve inganno.

O se per fonte pur le lagrim'hanno
il mal ch'indi a la patria uscir vedete,
deh nova piaga al cor non le giungete
con quel che nascer può dal vostro affanno.

Chi può morte fuggir? Chi dar col pianto
e co' lamenti al corpo essangue vita?
Perché al voler di Dio lagnarsi tanto?

Carca d'anni e di gloria al ciel salita
l'alma or si gode al suo fattor a canto
fuor di queste miserie eterna vita.

217

In morte dell'illustrissimo signor Francesco Contarini, cavalier, procurator

Ahi mio dolce signore, ahi mio secondo
padre, imagin del primo a morte spinto,
qual destin vuol ch'ancor te pianga estinto,
con eguale aspra piaga, al cor profondo?

Parto di tua pietà, rinacqui al mondo,
l'empio furor di mia fortuna vinto;
or, di te privo, in novo mar respinto
d'affanni io son, che non ha porto o fondo.

Né di tua patria men sostegno e lume
tu fosti: ond'ella meco, orbata e mesta,
versa dagli occhi un lagrimoso fiume.

Alma or beata in ciel, già in mortal vesta,
sii pia ver noi; deh serba il tuo costume:
ambo consola, e 'l tuo favor ne presta.

218

In sacro tempio, ove divota, umìle
turba pace e perdono al ciel chiedea,
sotto velo mortal celeste dea
m'apparve in vista a Citerèa simìle.

Questa, in atto e parlar dolce e gentile,
volto a me 'l lume, onde negli occhi ardea,
degnò chiedermi in scorta, ove fremea
l'onda del vulgo impetuoso e vile.

Io, com'uom ch'alto dono a sé concesso
di sognar crede, quindi fuor la scorgo,
ben più d'ogni altro aventuroso duce;

ond'ella sparse in me sì dolce luce
che vinto io ne rimasi, ed or m'accorgo
che per altrui guidar perdei me stesso.

219

Cor d'Aletto crudel, nemica mia,
a torto accesa in me d'ira e di sdegno,
ch'io, qual misero Orfeo, render m'ingegno
col canto a' miei desir benigna e pia;

quando avrò da te pace? Oh quando fia
ch'almen t'incresca del mio strazio indegno,
posto il velen, per cui pianger convegno
mia speme uccisa allor che più fioria?

Deh, se ver te mai non commessi offesa,
mercé si desti omai dentro il tuo petto,
onde mi sia la morte speme resa;

e volto in gioia il mio doglioso affetto,
con questa cetra, a miglior fine intesa,
canti la tua pietate e 'l mio diletto.

220

Sentì non men che proprie in sé 'l mio core
le due vostre profonde aspre ferite,
da cruda, avara man di morte uscite,
con tai voci sfogando il suo dolore.

Dunque ben nata coppia, altero onore
già del mondo, or del cielo alme gradite,
sete, ohimè, così tosto a noi sparite
amari a noi lasciando i giorni e l'ore?

Dunque né tal valor né tal beltate
con tal senno e parlar sì dolce accorto
poteo trovar qua giù per voi pietate?

Ma poiché 'l vostro merto a Dio v'ha scorto,
porgete almen dal cielo amiche e grate
a tanto nostro duol qualche conforto.

221

Ahi, ch'a debil soffiar di picciol vento
non cade torre ben fondata e salda,
né leve offesa d'ira il petto scalda,
sì ch'un verace amor ne resti spento.

Fu 'l mio cor sempre a sol piacervi intento
né vive brama in lui più ardente e calda;
ma, se v'offesi, pur s'emenda e salda
l'error col vivo affetto, ond'io me n' pento.

Dunque giusta pietà di prego umìle
da voi m'impetri omai pace e perdono,
onde non fu mai scarsa alma gentile;

che senza sì pregiato e caro dono,
qual occhio senza luce orbato e vile
od uman tronco senza spirto, io sono.

222

Ahi, ch'empia sorte il mio signor pur serra
in ria prigion, sol per mio grave affanno;
che s'era vaga del suo strazio e danno
far anzi a me dovea sì acerba guerra.

Io son l'anima sua, che 'l regge in terra;
da lui gli spirti miei vita sol hanno;
a me sue piaghe, a lui tormento danno
i colpi, che fortuna in me disserra.

O prigion lunga, o fato iniquo e duro!
O cor mio, fossi almen dentro anch'io teco,
e si doppiasse allor la porta e 'l muro.

Ch'ivi è mia dolce libertà, non meco;
ivi è il mio sol; qui piango il giorno oscuro
in carcer senza te più mesto e cieco.

223

Se tela variar di seta e d'oro
sapea, qual voi, con dotta, industre mano,
l'antica Aracne, avria Pallade invano
palma sperato al suo più bel lavoro.

E quando nude, esposte in Ida foro,
per aver di beltà vanto sovrano,
le tre dee, voi scegliea giudicio sano,
se foste giunta a paragon tra loro.

E se Diana ancor per santo zelo
di verace onestà lassù riluce,
quanto di splender voi più degna in cielo?

Poich'in voi tanto de l'eterna luce,
novella dea, dal bel corporeo velo
fuor per ben mille raggi a noi traluce.

224

Notturno amante a la sua diva in seno
di soverchio gioir, languendo, isvenne;
ella, ch'in tutto, ahi lassa, estinto il tenne,
i sensi dal partir perdeo non meno.

Ma il ciel, d'aver turbato il lor sereno
pentito, un sì gran mal più non sostenne:
che l'un e l'altro in sé tosto rivenne,
di spavento, di duol, di gioia pieno.

Così provar l'inferno e 'l paradiso
ambo ad un tempo; ambo, confusi il core,
cangiaro il riso in pianto, e 'l pianto in riso.

Chiaro specchio ad ogni un, ch'invido Amore
è da compito ben sempre diviso:
e mesce col piacer sempre il dolore.

225

Per Laura arse il gran Tosco: ardo non meno
anch'io per Laura; ei con soave canto
fe' la sua ricca di sì nobil vanto
che l'immortalità la serba in seno.

Io l'istesso farei se 'l bel sereno
sguardo fosse ver me pietoso alquanto;
che quei celesti lumi han valor tanto
che scioglier pon di muta lingua il freno.

Deh non tolga, cor mio, pensier crudele
a voi tal gloria, a me giusta mercede,
né s'odan sempre invan le mie querele;

che se vostra beltà punto non cede
a l'altra, abbiate e voi servo fedele
ch'al mondo apra i tesor che 'l ciel vi diede.

226

Oh quanto esser mi dei diletto e caro
tu, che col raggio e 'l suon l'ore mi mostri,
che, fermando il tuo corso, i piacer nostri
festi incauti al fuggir del tempo avaro.

Per te mie gioie allor si raddoppiaro,
tal ch'invidia non ebbi a gaudî vostri,
alme beate ne' superni chiostri,
finché mi colse il dì nascente e chiaro.

Ed a quel che provai, breve spavento,
salvo or pensando, alto piacer ne piglio,
e dolce al cor, quel poco amaro i' sento.

Ma s'altro fin sortia sì gran periglio,
io ben chiuder potea lieto e contento,
dopo tanto diletto, in morte il ciglio.

227

Spiega ne l'aria pur l'umide penne,
movi, Noto, con fronte oscura e bruna,
e folte nebbie d'ogn'intorno aduna
quante usar per Giunon mai ti convenne.

Indi, se d'aspro duol ch'altri sostenne
ti punse il cor giamai pietate alcuna,
versa con tal furor pioggia importuna
ch'al mondo il ciel novo diluvio accenne.

Perché non sol partirsi indarno tenti
Cinzia, ma del camin ch'oggi prepara
per così tristo augurio ognor paventi.

Che senza la sua vista amata e cara
ben vinceria le tue stille cadenti
de le lagrime mie la pioggia amara.

228

[1]

Del labirinto in cui chiuso e smarrito
per voi mi tenne sì gran tempo Amore,
senza aver mai dal ciel penne o valore
da levarmene fuor pronto e spedito,

questa è la porta pur; qui pur, seguito
lungo fil di speranza e di dolore
al fin son giunto, o mio soave ardore,
da la vostra pietà pur fatto ardito.

Dunque con voci a la mia lingua scorte
dal vivo ardor c'ha nel mio cor ricetto,
eterne grazie a voi per me son porte;

e poiché chiuso m'è l'avorio schietto
di quella man che mi legò sì forte,
quest'uscio bacio, pien di caldo affetto.

229

[2]

Tu dai rubini d'oriental colore
a bel candor di schiette perle unito,
onde il vago di lei volto arricchito
porge altrui nel mirar gioia e stupore,

porti sì grato odor, che di minore
stima è quel che dan gl'Indi al nostro lito;
e tra le note sue da me sentito,
rende agli spirti miei vita e vigore.

Io benedico il dì ch'Amor soggetto
a voi, donna, mi fece; e diè per scorte
le vaghe luci onde 'l mio stato è retto.

Sol in ciò meno avien ch'io mi conforte:
che mentre chiuso m'è l'amato aspetto,
farsi veggo mie gioie e tronche e corte.

230

[3]

Ma bench'io sia di fuor, dentro il mio core
se n' passa a voi, mia vita; e 'n voi rapito
gioisce or ne' begli occhi, onde ferito
provò lunga stagion tema e dolore.

Ma perché anch'io del dolce almo splendore
seco non godo, a pien di pene uscito?
Ma duro intoppo al già quasi fornito
camin ritrovo, e resto in cieco orrore?

Deh m'aprite il riparo onde intercetto
m'è, quasi un sol da nebbia densa e forte,
il vostro chiaro e desiato aspetto.

Giorno sereno il vostro aprir m'apporte,
e non lasci ch'in voi picciol diffetto
turbi la mia tranquilla e lieta sorte.

231

[4]

Ma che giova viar nobil convito
che renda intorno prezioso odore
e prometta al gustar divin sapore,
s'è tolto il pascer poi nostro appetito?

Quasi Tantalo i' son, cui dolce invito
fan le poma pendenti e 'l chiaro umore
che invan per sete e per digiun ne more;
e sempre il suo sperar piange fallito.

Ma non vogliate, ohimè, dolce mia morte,
ch'io sì presso languisca al mio diletto,
tal che vostra pietà biasmo ne porte.

Ché se m'apriste già del vostro petto
per man d'Amor l'adamantine porte,
perch'entrar questa, or m'è per voi disdetto?

 
 
 
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Un blog di: valerio.sampieri
Data di creazione: 26/04/2008
 

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