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evenementistica storica in un incrocio di reti - a cura di Oscar Brambani

 

 

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La scelta degli Internati Militari Italiani (I.M.I.)

Post n°42 pubblicato il 10 Febbraio 2007 da reticolatistorici
 

“La colpa degli ex-prigionieri è di non essere morti”: lo esternò nel 1897 un nostro ministro al rimpatrio degli ex- prigionieri italiani ad Adua ed, altri, più tardi, lo pensarono per quelli di Caporetto cancellati dalla storia sabauda e fascista; lo pensava anche Stalin dei propri e degli altrui prigionieri e si comportò di conseguenza. La “storia rimossa” fu constatata con amarezimmagineza da storici e saggisti […] ma gli internati sono stati del tutto ignorati da popolari giornalisti come Enzo Biagi o Indro Montanelli. Come se un volontariato di massa dei Lager, di oltre 600.000 soldati con forse 50.000 caduti, che hanno anteposto per onore o dignità la Patria alla Famiglia coinvolgendo nell’angoscia altri 7 0 10 milioni di italiani, fosse un particolare del tutto “irrilevante”.
In realtà vinti e vincitori sono usi a stendere un velo d’apertura d’omertà sui prigionieri, testimoni imbarazzanti di patrie vergogne. Ma i nostri militari in Germania non erano vinti ma volontari. I veri perdenti si trovavano in Italia e in Germania, fuori dei Lager!

Questo volontariato del Lager fu un fenomeno unico nella storiografia concentrazionaria nazista, che coinvolgeva quasi 24 milioni di “schiavi”: prigionieri, internati, deportati civili, lavoratori stranieri variamente costretti. Ma per i militari italiani catturati dai tedeschi (gli IMI) la “via del Lager” fu una scelta spontanea, individuale e plebiscitaria, variamente motivata e non condizionata da “colonnelli e partiti”.

La scelta degli I.M.I. fu triplice e reiterata per 20 mesi: “NO” alla collaborazione armata diretta col III° Reich “nazista”, richiesta alla cattura e nei primi mesi; “NO” al riconoscimento politico e della collaborazione armata con la R.S.I. “fascista” sollecitata soprattutto nell’autunno-inverno ’43-’44; “NO”, alla collaborazione civile col lavoro volontario in Germania (e per taluni anche in Italia) finché la violenza fisica e psicologica e la minaccia delle armi lo consentivano.

(P. DESANA, La via del Lager, Alessandria, Ugo Boccasi Editore, 1994, pagg. 18-19)

 
 
 
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