Creato da ariel.46 il 30/09/2009

Sentiero di Luna

Camminando con te, sul magico sentiero della Luna.

 

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La casa delle Farfalle

Post n°247 pubblicato il 19 Febbraio 2012 da ariel.46
 

 

fata dei fiori

Un tempo, neppure troppo lontano, in un bosco ombroso e profumato dalla resina di abeti rossi ed alti larici, ai bordi di una fonte cristallina proveniente da un immenso e abbagliante ghiacciaio, viveva Asteria, la fata.
A lei obbedivano le nevi invernali, il disgelo, lo sbocciare dei fiori sui prati e lo sciamare delle farfalle, cui era lei a donare la varietà di colori.
Quello era il suo compito, da millenni, e ricordava di averlo sempre svolto con amorevole precisione. Quando l'inverno stendeva su tutto la sua coltre di silenzio, Asteria si addormentava, chiusa tra pareti di cristallo.
Appena il sole primaverile scioglieva quelle gelide mura, la fata si destava e quello era sempre, per lei, un nascere nuovo alla vita. Allora nubi di farfalle, bianche come le nevi perenni, le si affollavano intorno.
Con un lieve accennare di ciglia ella ne colorava alcune di giallo, altre di rosso, altre di azzurro; quando, ormai stanca, si accorgeva che le ultime, più timide e timorose, non erano riuscite ad aggiungere alcun colore alle loro ali, le chiamava tutte presso di sè e, ruotando vorticosamente, le spruzzava del profumato umore dei suoi lunghi capelli.
Allora, le miti farfalle candide si screziavano di punti luminosi, con tutte le tinte dell'arcobaleno.
La fata, così, era felice : batteva le mani, gioiosa, le contemplava nei loro voli e spesso, assumendo le dimensioni di una libellula, gareggiava in volteggi sotto i raggi del sole. Quando la sera scendeva, Asteria cercava un morbido giaciglio tra i fiori e là riposava, aspettando il nuovo giorno.
Nessun umano, mai, si era spinto così in alto da poterla vedere : le cime dei monti, minacciosamente innevate, l'avevano protetta.
Al termine di una lunga giornata estiva, piena di voli, di canti, di soste lungo la fresca riva del ruscello, la fata era stanca. Scelse la corolla azzurrina di un convolvolo come sua stanza da notte e si adagiò tra quei petali, che si richiusero su di lei, come scrigno a custodire la perla. Il mattino, quando il primo raggio di sole la risvegliò, le farfalle azzurre le recarono il loro saluto. Ancora semiaddormentata, ella sentì tutto il fiore scuotersi, come per un violentissimo terremoto.

Non fece in tempo a volare via, e si trovò in un luogo buio e soffocante. Non poteva riacquistare le sue dimensioni abituali perchè le fate, quando sono prigioniere, perdono i loro poteri. Non si spaventò: la sua natura eterea la proteggeva da qualunque pericolo. Sentì che qualcuno la portava lontano. D'un tratto si fermarono. La luce apparve di nuovo ed ecco, un lembo del sacchetto in cui era stato infilato il fiore, si aprì.
Fu lesta a uscirne, furibonda per l'offesa subìta, ed a riprendere la figura usuale. La sua ira sbollì improvvisamente, però, quando vide l'essere che le era dinanzi.
Era alto più di lei, giovane, bruno, incredibilmente bello; i suoi occhi scuri avevano un'espressione curiosa e meravigliata: sembravano morbidi come petali di fiori. Non era un elfo dei boschi e neppure uno degli appartenenti al popolo magico.
-Chi sei? - gli chiese, e la sua voce aveva in sé il mormorio delle foglie del bosco.
-Sono Max, il cacciatore. Ma tu, piuttosto, chi sei, e dove eri nascosta? -
Asteria rise, e al giovane sembrò di udir scorrere l'acqua del ruscello.
- Sei certamente un uomo! Solo uno di loro può essere così impudente!- lo guardò di nuovo. -Sono diventati belli, gli uomini. Sei il primo che arriva quassù da più di mille anni. A proposito, - e qui sentì che la collera la riprendeva - come hai potuto strappare la corolla di quel fiore?-
Il giovane la contemplava, ammirato e intimidito.
- Ma sei vera? Credevo che le fate non esistessero più. Perchè tu devi essere una fata, oppure io sto sognando ad occhi aperti.
- Lei gli sorrise e tutta la sua persona rifulse come gemma.
- Si, Max il cacciatore, io sono Asteria, la fata; a me sono affidati questi monti, e tutto ciò che li fa vivere è sotto la mia cura. Non devi strappare le corolle dei fiori, o catturare gli esseri del bosco, perchè susciti la mia ira; sei bello, cacciatore, per questo non ti punirò. Dovrai però andare via di qui. Potrai restare un po' -aggiunse poi, notando che lui si rattristava in volto- soltanto promettendo di non far nulla che rechi danno ai miei protetti.-
Il giovane acconsentì all'istante. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di restare con lei: mai aveva visto essere più affascinante. La sua veste lieve era composta di multicolori ali di farfalle, i suoi capelli avevano la tinta delle viole che crescevano sulla riva del ruscello; quando lo guardava, nei suoi occhi brillava il cielo stellato delle notti d'agosto.

-Vieni con me, cacciatore. Ti mostrerò la bellezza del mio regno.-
Battè leggermente le mani: nell'aria apparve una barchetta bianca, trainata da farfalle azzurre.
Salirono su di essa senza difficoltà, quasi fossero privi di peso. A Max sembrava di vivere un sogno.
Le acque, i fiori, i profumi lo stordivano. La sua compagna lo guardava e quel sorriso contribuiva ad accrescere la confusione dei suoi pensieri. Lo scenario attorno cambiava continuamente: un momento immersi nelle nubi bianche, subito dopo a sfiorare la superficie dei ghiacciai. Intanto Asteria cantava una canzone antica, che mai essere umano aveva udito: al giovane sembrava che fosse il sole a far tintinnare i ghiacci, il vento a far mormorare erbe e fiori. Senza suoni conosciuti essi dicevano :
ama, sii felice, ama .
La sera li sorprese sull'altipiano: avevano bevuto il nettare rosato delle primule e riposavano sotto un abete pluricentenario, che li proteggeva coi suoi rami odorosi.
-Eccoti, finalmente!-
Una voce stridula ruppe quell'incanto silenzioso. Max sembrò svegliarsi da un sogno :
-Irma! Ma...perchè sei qui? Io sono a caccia...-
-A caccia! E' lei la tua preda? Volevi ingannarmi? E dicevi di amare me! -
La fata dapprima fu infastidita da quel chiasso, poi capì. Si levò in piedi e la sua figura si erse maestosa, nuove stelle brillarono sul suo capo. I due giovani ammutolirono. Ella prese a parlare e, pur nell'ira, la sua voce era dolce come la musica dei mondi.
-Ragazza! E anche tu, cacciatore! Non potete turbare questa pace. Voi umani non siete cambiati!Sempre aspri e litigiosi come mille anni fa. Non imparerete mai, dunque?-
Guardandoli, li vide tremare di paura. Si impietosì.
-Non dovete temere. Irma, non essere gelosa di me: alle fate non è concesso amare gli umani. E tu Max, conserva nel tuo cuore il ricordo di questo giorno : forse potrai salire ancora fino a me, e per sempre. Sappi, però, che lo potrai solo se il tuo animo sarà stato sempre puro e sincero.-
I due giovani ascoltavano silenziosi.
-Andate ora. Le lucciole vi guideranno fino al grande sentiero. Poi ci sarà la luna.-
All'improvviso disparve al loro sguardo.
Essi si incamminarono, tenendosi per mano.

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Vivere, sognare di volare,
poi morire...
e cos'altro t'aspetti,
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Forse che Dio ti tramuti da crisalide
senza chiedere un tuo sforzo vitale?
Credi forse che il semplice sogno
di divenire farfalla
trasformi il tuo corpo
nell'ambizione più grande che hai?
Mangia la foglia, giovane bruco,
crescendo capirai
che non basta sognare
per cambiare in ciò che si vuole,
crescendo capirai
che un sogno è importante
solo se cominci a volargli incontro.

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Poesia del mio amico Marco.

 

 

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