Creato da nina.monamour il 11/06/2010 |
L'INFERNO CHE HO SCELTO..
Lei gli sussurrò
"Sono il tuo inferno"
e lo guardava con occhi densi di desiderio.
Lui la attirò prepotentemente a sé...
e mentre la spogliava con gli occhi e con le mani rispose...
"TU.. sei l'Inferno che mi sono scelto..."
il resto....è storia...
CARPE DIEM..
Ci sono persone che non vivono la vita presente, ma si preparano con grande zelo come se dovessero vivere una qualche altra vita e non quella che vivono e intanto il tempo si consuma e fugge via..
"Carpe diem, quan minimun credula postero"
Messaggi di Giugno 2018
Post n°8419 pubblicato il 10 Giugno 2018 da nina.monamour
La sottoveste negli anni '50 rappresentò la ritrovata sensualità della donna dopo il periodo della guerra. Questo capo di lingerie femminile è diventato nel tempo un oggetto di culto tanto da essere più volte stato al centro di memorabili scene cinematografiche. Ogni tipologia di donna indossa la sottoveste a lei più appropriata e si riconosce in certe attrici piuttosto che altre. Semplice e nera la sottoveste indossata dalla popolana Anna Magnani nel film Bellissima di Visconti, nera ma con il pizzo quella della Lollobrigida nel film La Romana. Liz Taylor sedusse tutto il pubblico dell'epoca con la sua sottoveste bianca rifinita in pizzo nel film "La gatta sul tetto che scotta".
Negli anni '60 cambia la donna e quindi anche la lingerie che diventa di pizzo, sinuosa sul corpo femminile e di colore bianco o nero. Icona di questa femminilità borghese è la Claudia Cardinale del film Gli indifferenti.
Dovremmo arrivare agli anni ’80 per trovare una sottoveste molto chiacchierata e che è entrata nell’immaginario erotico di tutti.
Nonostante questo capo abbia subito una battuta d'arresto negli anni '70, un decennio dopo torna a nuovo splendore anche grazie ad una sensualissima Kim Basinger che la rilancia nel film "9 settimane e 1/2". Il pigiama finisce nel dimenticatoio, in nome della seduzione. La sottoveste è tornata non solo simbolo di sensualità nascosta ma elemento di un’eleganza da indossare in molteplici occasioni. Direi che è arrivato il momento di comprarsi una bella sottoveste sexy se ancora non è presente nel nostro armadio!
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Post n°8418 pubblicato il 09 Giugno 2018 da nina.monamour
La vista è abbastanza mozzafiato.
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Post n°8417 pubblicato il 08 Giugno 2018 da nina.monamour
Era il 5 luglio del 1946 quando la danzatrice francese Micheline Bernardini sfilò presso la piscina Molitor di Parigi indossando il primo bikini della storia. L’evento suscitò immediatamente scandalo e polemiche, anche se si dimostrò una pietra miliare per la moda mondiale. Il suo ideatore Louis Reard l’aveva denominato “atome” e aveva faticato molto a trovare una modella disposta ad accettare la sfida e a subire le critiche dei benpensanti. Ben presto, però, gli attacchi si dissolsero e il “costume da bagno più piccolo del mondo”, così come lo definiva il suo creatore, iniziò a diffondersi sulle spiagge europee e su quelle oltreoceano. Pochi giorni prima gli americani avevano innescato due bombe all’idrogeno sull’atollo tropicale Bikini e da lì prende il nome per cui oggi tutti lo conosciamo. Una vera e propria esplosione di sensualità!
Le grandi dive iniziarono immediatamente a sfoggiarlo sotto il sole delle più note località balneari, Brigitte Bardot, Marylin Monroe, Rita Hayworth. In Italia Sophia Loren e Lucia Bosè sono le antesignane. Questa è la storia del bikini, il capo che più ci tormenta e ci rende insonni… C’è chi già ad aprile si osserva allo specchio indossando quello dell’estate precedente cercando di capire come rimediare alle abbondanti cene invernali. Ecco qualche consiglio sulla scelta più efficace per valorizzare il vostro fisico. Se avete un corpo esile con forme non esattamente prorompenti scegliete il bikini a triangolo, magari con applicazioni e decorazioni colorate. Il vostro addome non è scolpito, anzi conserva memoria di quanto avete esagerato con i dolci nei mesi precedenti? Allora puntate sul reggiseno a tinta unita e lo slip con motivi floreali in modo da dissimulare il più possibile. Se siete molto atletiche attirate l’attenzione sul punto vita con cuciture strategiche o cinture incorporate. Con un bikini che si allaccia sul collo, invece, enfatizzerete la linea elegante delle spalle.
Studiate la strategia giusta per essere a vostro agio sotto l’ombrellone e buona...Estate!! |
Post n°8416 pubblicato il 07 Giugno 2018 da nina.monamour
Daniele ha iniziato tagliando barbe e capelli quand’era in carcere a Regina Coeli e ora sogna di aprire il suo barber shop. Irene, invece, adora le acconciature, la considera una forma d’arte "a suo modo". Daniele e Irene sono due allievi della prima edizione di "Dacci un taglio", il corso professionale biennale per acconciatori finanziato e organizzato da l’Oréal Italia e rivolto a 14 ragazzi, tra i 17 e i 35 anni, ospiti della comunità di recupero di San Patrignano, che dal 1978 accoglie persone che soffrono di dipendenze e marginalizzazione sociale per aiutarle a ricostruirsi un futuro attraverso un percorso di riabilitazione. Il corso, presentato nella sede della comunità a Coriano, nel riminese, è riconosciuto ufficialmente dalla Regione Emilia-Romagna, comprende un monte di 1.800 ore, cioè 1.100 ore di lezione e 700 ore di stage, e si conclude con una certificazione che consentirà ai partecipanti, cioè ai ragazzi della comunità, di esercitare la professione una volta terminato il loro percorso di recupero. Tra le materie insegnate ai ragazzi, diagnosi del capello, hairstyle, customer relationship management in salone e business management, per imparare, non solo a curare i capelli dei clienti, ma anche a gestire, un giorno, la propria attività. Quello di l’Oréal e quello di San Patrignano apparentemente sono due mondi distanti, invece oggi si puo' affermare che tra i due c’è stata una contaminazione positiva e virtuosa. L'Oréal si è inserita con delicatezza incontrando le ragazze per insegnare loro a prendersi cura di sé, a valorizzarsi e a recuperare quella femminilità sana che avevano perso. Hanno poi voluto spostare l’asticella più in alto, aprendo lo spazio della relazione con la sfera professionale per dare ai ragazzi la preparazione ad affrontare il mondo come da sempre San Patrignano fa in altri contesti. Il fare configura poco a poco un bagaglio di competenze che appartiene ai singoli, veicolo per la conquista della loro autonomia. Oggi mi piace pensare che il futuro è di chi cura e protegge la bellezza, intesa come amore per il prossimo, per la vita, per i traguardi personali e professionali che grazie a l’Oréal si puo' dare ai ragazzi. Il corso è gratuito e finanziato da l’Oréal Italia e dalla Fondazione l’Oréal che si sono fatti carico dei costi di gestione, della fornitura del materiale di lavoro per ciascun partecipante, della strutturazione dell’offerta formativa, la supervisione di percorsi di formazione e lezioni in aula/salone, condotti dalla divisione l’Oréal Professionnel, la fornitura di prodotti per parrucchieri e la relativa formazione tecnica, la consulenza sulle novità di prodotto e styling. L’Oréal, attraverso la sua rete di clienti e commerciale, si occuperà inoltre, a fine corso, di reperire sul territorio opportunità di stage e di apprendistato supervisionando la ricerca di lavoro dei partecipanti e promuovendo per loro il reinserimento nel mondo del lavoro. L’obiettivo di questo progetto non è solo quello di fornire un servizio all’interno comunità, ma preparare questi ragazzi ad un nuovo mestiere, una professione che è appagante ed è affascinante e opera in un mercato molto importante, quello dei saloni e della bellezza, che in Italia vale poco meno di 8 miliardi di euro. La bellezza e la cura di sé sono una parte importante nel percorso di auto-ricostruzione esistenziale e di inclusione sociale. Per questo la Fondazione L’Oréal è impegnata nello sviluppo di iniziative a supporto delle persone vulnerabili che si trovino a dover superare situazioni particolarmente difficili, per aiutarle a sentirsi e vivere meglio. Il progetto "Beauty for a Better Life" prevede un programma internazionale di training gratuiti di elevata qualità per formare ai mestieri della bellezza le persone in difficoltà. Il programma è già stato sviluppato in trenta paesi, consentendo a circa 4.000 persone ogni anno di raccogliere queste opportunità di formazione, reintegrandosi nella società. La partnership con San Patrignano in Italia è un passo importante che, alla luce della riconosciuta competenza della comunità nei processi di riabilitazione dalle dipendenze, consente a sempre più persone di trarre il maggior beneficio da questi programmi. |
Post n°8415 pubblicato il 06 Giugno 2018 da nina.monamour
"Lasciate ogni speranza o voi che entrate", è tratto dalla Divina Commedia di Dante Alighieri.....ma..... "Please lasciate il vostro cellulare, voi che entrate??" Tranquilli, questo post non è sulla Divina Commedia, anzi trattasi di una lodevole iniziativa, all'ingresso dei salotti-bene ad accogliere gli ospiti che lasciano borse e paltò arriva anche il cofanetto per depositare il proprio smartphone. La battaglia di alcuni ristoranti contro l'uso del telefonino a tavola oggi comincia ad estendersi anche ai salotti privati, nel nome della buona conversazione senza il disturbo di continui bzzz, dlin dlin e squilli di ogni sorta. Ma cosa ci suggerisce il galateo in merito? Un giornalista esperto di bon ton, ammette che nel quotidiano il cellulare è diventato una nostra appendice irrinunciabile, soprattutto legata all'amplificazione della vita "social". Ma non sempre l'utilizzo in pubblico del dispositivo mobile è determinato da buon senso e rispetto. Messaggi continui a tavola, squilli sul treno o in bus, suonerie improbabili che devastano l'udito, l'amico che interrompe improvvisamente la conversazione per l'ultimo selfie da postare, un bombardamento che a volte ci fa spalancare gli occhi. Se il cellulare fosse esistito nel Cinquecento, probabilmente monsignor Giovanni della Casa avrebbe scritto un trattato a parte. Nel Terzo Millennio invece niente trattati ma sicuramente una serie di norme di buona creanza che nel rispetto del prossimo ci aiutano a vivere meglio, anche in sicurezza, l'uso del nostro telefonino senza infastidire. Al di là delle norme di sicurezza che ci vietano l'uso del cellulare alla guida e al di là dei cartelli che troviamo prima di entrare in ospedale, in un museo, in sala al cinema o in teatro che ci indicano di spegnere il cellulare, tra le prime regole di bon ton c'è quella di non parlare ad alta voce quando si riceve una telefonata in un luogo pubblico costringendo chi ci sta accanto ad ascoltare magari una conversazione imbarazzante. Sarebbe opportuno allontanarsi in una zona appartata per continuare a parlare con il chiamante. Se non è possibile lasciare il posto in cui ci troviamo, allora sarebbe meglio trattenersi il minor tempo possibile al telefono usando un tono di voce basso. Prima ancora al momento dello squillo del telefono è educato scusarsi con chi sta attorno a noi, anche con un solo gesto del capo. E poi "è obbligatorio, non educato, richiamare quando si perde la telefonata".
Suonerie invadenti...che odissea. Un inquinamento acustico a cui siamo esposti nostro malgrado. E' una cosa che va oltre la buona o cattiva educazione, resta solo questo punto interrogativo. A tavola, a meno che non si tratti di emergenze, il telefono è bandito, non teniamolo in bella vista accanto a forchetta e coltello. La regola arriva dove non arriva il cuore, diceva mia nonna. In teoria il telefono andrebbe bandito dalla tavola ma è una norma poco applicabile oggi, sappiamo bene che i cellulari sono diventati estensione della mano destra. In questo caso, basta usare un po' di buon senso. Ad esempio è bene tenere silenzioso il cellulare quando siamo a tavola, soprattutto in caso di una cena formale. In caso dovessimo ricevere una telefonata urgente di lavoro o della baby sitter si dichiara prima ancora di sedersi, chiedendo scusa ma dovrà ricevere una telefonata. E' inutile giustificarsi quando il telefono sta già squillando. Gli occhi puntati sugli schermi durante i pasti, già il galateo suggerisce che in presenza di due commensali a tavola non si dia attenzione a uno solo di loro ma che la conversazione sia il più fluida possibile, figuriamoci se ci si distrae con lo smartphone, il nuovo aggiunto virtuale. Ammesso comunque l'invio di un messaggio veloce, "per dire, ad esempio, arrivo tra cinque minuti". O indicare il posto dove si è. Insomma informazioni, non conversazioni in presenza di altre persone. E allora si può sorridere pensando al dott. Raniero Cotti Borroni del film "Viaggi di Nozze" che non spegneva mai il suo cellulare...nemmeno sull'altare. |
Post n°8414 pubblicato il 05 Giugno 2018 da nina.monamour
Noi donne siamo così, c'illudiamo che tutto dipenda da noi, che basta spostare una virgola per cambiare il destino...
?????? Sogno ??????
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Post n°8412 pubblicato il 04 Giugno 2018 da nina.monamour
La fragola è un frutto solare, la stagione della luce che ritorna dopo il buio invernale, questo frutto, quando non è coltivato in un ambiente chiuso o concimato con prodotti chimici, è un concentrato di proprietà curative, è diuretico, astringente depurativo e tonico; le foglie e le radici guariscono piaghe e riducono le abrasioni, l'infuso è rinfrescante. Ma sapete davvero tutto di questi piccoli dolcissimi cuori dal colore rosso rubino? Le fragole, bacche o frutti? Le fragole non sono bacche, anche se dalle loro caratteristiche verrebbe da pensarlo spontaneamente, perché sono piccole, carnose e commestibili. Ma allora, sono frutti? Neppure. Anche se dal punto di vista nutrizionale contengono vitamine e minerali, le fragole sono considerate dalla botanica un falso frutto, o meglio, un frutto composto. I veri frutti sono i semini gialli che si trovano sulla sua superficie, detti anche acheni. In media ogni fragola avrà circa 200 acheni. La famiglia a cui appartiene è la stessa delle rose, se ci avviciniamo ad una pianta in piena fioritura, ci accorgiamo del profumo che emana. Le fragole, medicina per il corpo e per l’anima, il loro uso alimentare e terapeutico affonda nella notte dei tempi, i reperti archeologici testimoniano che gli uomini dell’antichità erano ghiotti di fragole, proprio come San Giovanni Battista, vegetariano convinto e come San Francesco di Sales, che lodava il loro meraviglioso sapore. I Romani coltivavano le fragole per curare moltissime malattie, dalla depressione, alla febbre, fino al mal di gola e ai calcoli renali. E sulla loro nascita avevano anche creato un mito: la dea Venere, a causa della morte del suo amato Adone, per la disperazione, pianse copiosamente e quelle lacrime, appena toccarono terra, si trasformarono in piccoli cuori rossi, le fragole, chiamate fragrans, proprio per ricordare il loro profumo inebriante. Il poeta Virgilio, in una delle sue Egloghe, metteva in guardia i ragazzi, che durante le loro passeggiate nei boschi avrebbero potuto incontrare serpenti nascosti mentre raccoglievano le nascentia fragra. Plinio, invece, definiva le fragole come un prezioso frutto del bosco, da apprezzare per la sua dolcezza. Linneo, fondatore della moderna botanica, le chiamava bene di Dio, in virtù della loro proprietà anti-gotta. Nel Medioevo, le fragole erano addirittura una medicina dei sentimenti, tanto da essere prescritte agli amanti disperati, per placare le passioni d’amore. Ma, con il tempo, divennero anche simbolo della tentazione. In Francia, durante il regno di Luigi XVI, il Re Sole, le dame, in occasione delle feste di corte, affondavano il cucchiaino nelle coppe di fragole cosparse di zucchero e panna e questo era un chiaro invito al cavaliere prescelto. In Inghilterra, Shakespeare le definiva cibo delle fate, perché quei rossi cuoricini polposi riuscivano a conservare il loro fascino, perfino sotto l’ortica. Viaggiando verso il Nuovo Mondo, troviamo, invece, un’affascinante leggenda Cherokee, secondo la quale le fragole furono messe sulla Terra per convincere la prima donna del creato a fare pace con il primo uomo, in seguito a un litigio. La prima donna si trovò nel bosco, circondata da queste piante ricche di fiori delicati e di frutti rossi, dolcissimi. Li mangiò e, d’un tratto, dimenticò la rabbia, tanto che desiderò tornare dal suo uomo per condividere un cestino di fragole. Nell’Ottocento, il poeta francese Baudelaire usò la metafora della fragola per descrivere la bocca di una donna nella sua poesia Le metamorfosi di un vampiro, che fa parte della celebre raccolta I fiori del male, all’epoca censurata perché ritenuta scabrosa. Ed ecco una bella e fresca ricetta con le fragole, una specie di tiramisu' 500 gr di fragole, 500 gr di mascarpone, 6 cucchiai di zucchero, 4 uova 200 gr di savoiardi o pavesini 50 ml di alchermes, 50 ml di acqua, 1 limone, farina di cocco qb. Tempo Preparazione:30 Minuti, Tempo Cottura 0 Minuti, Tempo Riposo 2 Ore, Dosi 8 Porzioni, Difficoltà Facile Prendete metà delle fragole, lavatele e tagliatele a pezzettini piccoli. Mettetele in un recipiente e conditele con l'Alchermes, il succo del limone, due cucchiai di zucchero e l’acqua fredda. Potete anche non mettere l’Alchermes, qualora non lo gradiate. Lasciatele insaporire per circa mezz'ora. Nel frattempo preparate la crema al mascarpone, lavorate i tuorli con lo zucchero rimanente, quindi unite il mascarpone. Lavate e private del picciolo la seconda metà delle fragole e frullatele insieme al succo di quelle messe a insaporire in precedenza. Cominciate a inzuppare i savoiardi (o i pavesini), da entrambi i lati nel succo di fragole appena frullato e formate uno strato nel recipiente che avete deciso di utilizzare, bicchieri monoporzione o una pirofila più grande. Dopodichè prendete le fragole tagliate a pezzettini e disponetele uniformemente sul primo strato di pavesini. Versateci sopra la crema al mascarpone a coprire il tutto. Qualora vi rimanga ancora della crema al mascarpone procedete formando un altro strato di savoiardi seguendo lo stesso procedimento appena eseguito. Spolverate la superficie con la farina di cocco, decorando a piacere con qualche fragola a pezzetti. Lasciate riposare il tiramisù alle fragole in frigorifero almeno 2 ore prima di servire.
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Post n°8411 pubblicato il 03 Giugno 2018 da nina.monamour
Quell'allegria, quella vivacità scompare per lasciare il posto a questa fastidiosa noia, voglia di far niente, solo di buttarsi al letto e piangersi addosso. Odio la Domenica...
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Post n°8410 pubblicato il 02 Giugno 2018 da nina.monamour
La testimonianza di una delle prostitute anziane del Ghat Brothel ... "Se anche riuscissi a fuggire dove potrei andare? I miei mi hanno sempre detestato e certo non mi rivogliono indietro. Sono la pecora nera della famiglia. Noi tutte ci dobbiamo rassegnare al fatto che siamo delle schiave e come schiave dobbiamo morire". Una realtà che sconvolge, fatta di povertà e miseria. E’ la cruda vita nei bordelli del Bangladesh, dove le prostitute sono costrette a far vivere le proprie figlie, costringendole a prendere le pillole che si danno alle mucche per ingrassare velocemente e piacere di più ai clienti, per dare "conforto" ai turisti, ai marinai, agli scaricatori di porto. Che ne pensate?? |
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