Creato da amaitti il 28/08/2011

La vita

La vita

 

 

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Presepe.

Post n°382 pubblicato il 13 Marzo 2016 da amaitti
 

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Il parto nella tendopoli di Idomeni

Tu devi vivere. Per te, minuscola creatura senza nome venuta al mondo

sotto un cielo di pioggia, su un materasso di fango. Ma anche per noi,

che ti guardiamo inteneriti e ipocriti - disposti a piangerti morto e però

non disposti ad accoglierti vivo. Sei l'ennesimo: un numero di troppo,

in una somma con tanti zeri.

Se l'acqua con cui ti hanno lavato non sarà stata troppo fredda,

se i microbi e i batteri che proliferano nella fetida melma pestata

da scarpe esauste non infetteranno la ferita del cordone ombelicale,

allora anche per noi ci sarà perdono.

Un giorno saprai dove, come e perché ti è stato tolto tutto,

anche il diritto di appartenere, nei tuoi primi istanti, a chi ti ha generato.

Invece il mondo intero ti ha visto nudo, inerme, poco più grande

della mano che ti sostiene. Se resterai in questo continente,

ci incontrerai a scuola, all'università, al lavoro e non potrai

non chiederti dov'eravamo, mentre tua madre incinta attraversava

il mare bellissimo in cui noi ci facevamo il bagno, o camminava

sotto la pioggia ai margini di una strada che non doveva

condurre a nulla. E perché nessuno le ha trovato un tetto, o un letto

- nemmeno a lei, che degli ultimi era nella condizione di essere l'ultima.

Guardando il genitore di un tuo compagno, o il tuo datore di lavoro,

ti chiederai se è stato tra quelli che ritenevano tua madre

una minaccia alla sua identità, alla sua religione o alla sua opulenza.

Se è stato uno di quelli che distingueva i suoi bisogni in base

alla presunta sicurezza della regione da cui era partita, e classificava

i suoi compagni di viaggio tra aventi diritto e non aventi.

O se è stato invece uno di quelli che ti hanno aiutato -

dandole qualcosa da mangiare, o un passaggio, o anche

solo la tenda in cui sei nato. Che in verità costa molto poco,

sai, e i giovani di questo continente non la usano più nemmeno

per andare in vacanza. Misero aiuto, potrai pensare -

perché ciò che mia madre chiedeva non era cibo né tenda,

benché ovviamente avesse bisogno anche di quelli, ma era ciò

che voi considerate tutto. La dignità di essere riconosciuta

come un essere umano, e il diritto di sognare un futuro

per sé e per te. Che poi è l'unica ragione che muove il mondo,

e lo rinnova.

Forse ti diranno che tanti anni fa l'Europa era un campo di rovine,

dopo una guerra peggiore o identica a quella da cui sono scappati i tuoi.

Ricordandosi di non aver accolto neanche un profugo, di aver lasciato

affondare le barche che trasportavano un popolo condannato a morte,

giurando che lo scandalo non si sarebbe ripetuto, gli uomini

che dovevano governare il nuovo mondo compilarono

nobili costituzioni, e firmarono trattati impegnativi. Nel 1951,

la convenzione di Ginevra ha sancito che nessuno Stato

che l'ha sottoscritta "può espellere o respingere, in qualunque maniera,

un rifugiato alle frontiere di territori in cui la sua vita

o la sua libertà sarebbe minacciata"... Infatti non hanno espulso

tua madre né te. Ma non vi hanno neppure accolti. Siete lì, entrambi

- di tuo padre non so nulla - sospesi, nel bozzolo umido e primordiale

di una tenda. Vi hanno fermato - come si ferma provvisoriamente

un fiume, costruendo una diga, che allaga i campi tutt'intorno.

Ma come tutti sanno, l'acqua trova sempre una strada.

Tu l'hai trovata.

Se un giorno, in Germania, in Svezia, in Danimarca mi incontrerai,

chiedimi dov'ero il 12 marzo del 2016. Ti ho visto nascere,

ti dirò, ti ho augurato di vivere, ho scritto di te. Tu mi dirai:

non era abbastanza. Ma ci vorranno anni. E io ho ancora modo

di dimostrarti che ti considero più prezioso della plastica che ti circonda,

che sei tu il futuro mio e dell'unione di nazioni e popoli

di cui vorrei essere orgogliosa di fare parte.

Di dimostrarti che ti ho riconosciuto.


di MELANIA MAZZUCCO

(La Repubblica)

 
 
 
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