Creato da scricciolo68lbr il 17/02/2007

Pensieri e parole...

Riflessioni, emozioni, musica, idee e sogni di un internauta alle prese con la vita... Porto con me sempre il mio quaderno degli appunti, mi fermo, scrivo, riprendo il cammino... verso la Luce

 

Messaggi di Marzo 2022

PHILL COLLINS NON PUÒ PIÙ SUONARE...

Post n°1215 pubblicato il 28 Marzo 2022 da scricciolo68lbr

Phil Collins ha detto addio ai suoi fan. Il concerto dei Genesis di sabato 26 marzo 2022,
a Londra, alla O2 Arena, è stato l’ultimo della sua vita secondo quanto riporta il 
Daily Mirror. L’artista combatte da anni contro precarie condizioni di salute e oggi,
a 71 anni, non riesce più a tenere una bacchetta in mano dopo un intervento
chirurgico alla schiena.

È stato lui stesso a dire addio ai suoi fan, lasciando intuire quindi che quello di ieri fosse

il suo concerto. “Ora dovrò trovare un lavoro vero”, ha detto inoltre al pubblico.

Il gruppo – composto oltre che da Phil Collins, anche dal tastierista Tony Banks e dal 

chitarrista-bassista Mike Rutherford – si è riunito per il tour The Last Domino, ma è

stato costretto a cancellare una serie di spettacoli a causa del Covid lo scorso anno.

Collins, riporta il Mirror, è apparso piuttosto fragile durante tutto il tour, esibendosi

sempre da seduto. Il danno alla schiena gli impedisce di suonare la batteria e deve

camminare con un bastone.

L’artista nato nel 1951, ha iniziato la sua carriera proprio come batterista nei Genesis.

Diversi i suoi successi anche da solista, come In The Air Tonight e Against All Odds

rivelare l'addio ai fan è stato il Daily Mirror. Il danno alla schiena, infatti, impedisce

all'artista di suonare la batteria e deve camminare con un bastone.

 
 
 

Governo italiano inadeguato, figlio dell’improvvisazione.

Post n°1214 pubblicato il 21 Marzo 2022 da scricciolo68lbr

"Il Presidente del Consiglio Draghi ha deciso di non accettare l'invito di Putin, mentre un ministro degli esteri incauto definisce il presidente russo "un animale"". Peggio di così...


A ben vedere l’Italia non sta facendo una politica di pace. Il ministro della difesa Guerini non mi rappresenta. Non sono solidale con gli esponenti di questo governo che ha schierato l'Italia con i falchi USA e GB, insieme a polacchi e cechi, invece di svolgere il ruolo di pace che la Costituzione assegna al nostro paese. La condanna dell'invasione russa è scontata ma l'Italia non doveva unirsi a quelli che gettano benzina sul fuoco con l'invio delle armi e la russofobia più becera che dilaga sui media e nelle dichiarazioni. La nostra storia di buone relazioni con la Russia avrebbe dovuto suggerire un ruolo internazionale differente, più utile a tenere aperto un canale di comunicazione con Mosca ed uno spazio di mediazione.

Invece il Presidente del Consiglio Draghi ha deciso di non accettare l'invito di Putin e un ministro degli esteri incauto, impreparato e sfrontato ha definito il presidente russo "un animale". Purtroppo il nostro governo è dominato dall’improvvisaziine, dall’impreparazione e dall’ansia, tipica di una classe dirigente di una “colonia”, che fa di tutto per compiacere il padrone e accreditarsi a Washington. Purtroppo ci tocca ricordare con nostalgia i tempi in cui l'Italia era capace di una politica estera autonoma! Quando avevamo nel Governo politici di ben altra caratura, onesti intellettualmente e moralmente... altri tempi!

 
 
 

Cambiare per non morire.

Post n°1213 pubblicato il 14 Marzo 2022 da scricciolo68lbr

Conoscete la storia del detto “quando una porta si chiude, se ne apre un’altra”?

 

Il detto che sicuramente tutti noi conosciamo: “quando una porta si chiude, se ne apre un’altra”, è una citazione di Alexander Graham Bell. Egli terminava spesso la frase con: “ma spesso noi guardiamo così a lungo e con rimpianto alla porta chiusa, da non riuscire a vedere quella che si apre per noi”.

 

Si, credo tutti conoscano l’ottimistico detto: “quando una porta si chiude, se ne apre un’altra” (in Italia anche nella versione “si apre un portone”). Il detto come dicevo, è una citazione di Alexander Bell che, dopo una serie di iniziali fallimenti nella vita privata e lavorativa, ebbe una vita di successo, con il primo brevetto del telefono e una serie di studi sui disturbi del linguaggio.

La sua citazione, però, non si ferma qua, ma riguarda anche la necessità di non perdere le opportunità e di mantenere la mente “aperta” alla novità.

“Quando una porta si chiude, un’altra si apre, ma così spesso noi guardiamo a lungo e con rimpianto alla porta chiusa, da non riuscire a vedere quella che si apre per noi.”

Quello che Bell vuole insegnarci è l’abituare la mente a non temere il cambiamento, perché spesso può rivelarsi un’opportunità per migliorare! 

 

Per alcuni dicevo è un cambiamento, per altri progresso, ci sono anche alcuni che lo chiamano semplicemente adattamento. Alcune persone sviluppano praticamente una fobia del cambiamento mentre altre sono quasi dipendenti dalla novità che esso implica. Le prime così preferiscono un andamento costante delle cose, la regolarità, la prevedibilità delle varianti e le cose diciamo così, all’antica. I dipendenti dalla novità amano appunto la non-ripetitività, la differenza e l’incertezza. In ogni caso, è la vita stessa ad essere cambiamento. Schopenhauer lo disse: “Il cambiamento è l’unica cosa immutabile”. Ecco perché è fondamentale sviluppare un livello di tolleranza al cambiamento che ci permetta di affrontare le trasformazioni senza compromettere in maniera eccessiva è stressante il nostro equilibrio psicologico. Ma che cos’è la resistenza al cambiamento per l’individuo? In psicologia con il concetto di resistenza al cambiamento si fa riferimento a quella categoria di individui che sperimentano un livello di angoscia emotiva causata anche solo da una prospettiva di una trasformazione oppure, nella peggiore delle ipotesi dal cambiamento in atto, quello che sta già avvenendo. Durante All’inizio per la psicologia, la resistenza al cambiamento individuale veniva individuata ed analizzata di conseguenza, come un problema di “motivazione”. Pertanto, era sufficiente per eliminare questa resistenza, convincere un individuo a motivarsi. Adesso sappiamo che quando qualcuno resiste al cambiamento è perché ci sono da affrontare diverse aree problematiche, alcune relative ai tratti della personalità, altre riguardano la storia di vita dell’individuo, infine occorre analizzare la situazione attuale

Dalla prospettiva di ciascun individuo, la resistenza al cambiamento personale è un’occasione incredibile per guardare dentro di noi, è sempre un’opportunità per scoprire qualcosa di più di se stessi. Infatti, nel caso in cui non ci sentiamo motivati al cambiamento, vuol dire che esiste un impedimento, qualcosa che ci trattiene, come ad esempio la paura, e quando la sua entità sarà maggiore, la motivazione non sarà sufficiente a superare la resistenza. Il ciclo della resistenza al cambiamento personale

 

Elisabeth Kübler-Ross è stata una psichiatra svizzera. Viene considerata la fondatrice della psicotanatologia e uno dei più noti esponenti dei death studies. Dopo gli studi in Svizzera, nel 1958 si è trasferì negli USA dove lavorò per molti anni presso l'Ospedale Billings di Chicago. Dalle sue esperienze con i malati terminali ha tratto il libro “La morte e il morire”, pubblicato nel 1969, che ha fatto di lei una vera autorità sull'argomento. Celebre la sua definizione delle cinque fasi di reazione alla prognosi mortale: diniego (denial and isolation), rabbia (anger), negoziazione (bargaining), depressione (depression), accettazione (acceptance). Chiave del suo lavoro è la ricerca del modo corretto di affrontare la sofferenza psichica, oltre che quella fisica.

Usava anche praticare la tecnica dell'uscita fuori da corpo (OBE), che aveva appreso da Robert A. Monroe. Negli anni settanta ha tenuto numerosi seminari e conferenze. La Kübler-Ross suggerì un ciclo emozionale che le persone possono seguire nei casi di lutto, ma che si applica perfettamente a qualsiasi altro tipo di cambiamento nella vita che rifiutiamo di accettare. Il suo "modello a cinque fasi", elaborato nel 1970, permette di capire le dinamiche mentali più comuni della persona cui si è diagnosticata una malattia terminale. Gli psicoterapeuti lo hanno trovato valido anche quando si debba elaborare un lutto affettivo o ideologico.

Essendo questo un modello a fasi e non a stadi, le fasi possono alternarsi e ripresentarsi più volte, con varia intensità e senza un ordine preciso; le emozioni non seguono regole ma, come si manifestano, così svaniscono, magari miste e sovrapposte:

 

1. Fase della scossa. È lo stato di paralisi o blocco emotivo iniziale quando ci esponiamo per la prima volta alla prospettiva del cambiamento. In questo stato di solito non reagiamo, in modo tale che le altre persone possono pensare che abbiamo accettato volentieri la trasformazione, ma in realtà ciò che accade è che il nostro sistema emotivo si è “congelato”. La nostra mente razionale non ha ancora elaborato il cambiamento e ciò che significa. Nella misura in cui lo assumiamo, possiamo sperimentare una crisi d’ansia o altre reazioni fisiche.

2. Fase della negazione. In questa fase neghiamo il cambiamento, questo implica chiudere gli occhi davanti alla realtà e a qualsiasi prova che la trasformazione è necessaria o sta avvenendo. Normalmente continuiamo con le nostre vite, come se nulla fosse accaduto, con la pretesa ingenua che la necessità di cambiare scompaia. Ciò accade perché, afferrandoci alla routine quotidiana, recuperiamo la sensazione di controllo.

3. Fase dell’ira. Quando non possiamo più negare il cambiamento, la cosa più comune è reagire con rabbia, frustrazione e ira. In questa fase emergono tutti i sentimenti repressi durante le fasi precedenti. Sempre in questa fase di solito ci chiediamo anche “perché mi deve accadere proprio questo?”.

4. Fase della negoziazione. È una fase in cui cercheremo di trovare una via d’uscita, anche se di solito è inutile perché in realtà stiamo ancora resistendo al cambiamento. In questa fase non abbiamo ancora accettato il cambiamento, ma cerchiamo di trovare “il modo” di evitarlo.

5. Fase della depressione. A questo punto finalmente accettiamo che il cambiamento sia inevitabile. Ma non lo accettiamo volentieri, e possiamo reagire deprimendoci o irritandoci.

6. Fase della prova. È una fase in cui la resistenza al cambiamento sta finalmente scomparendo perché ci rendiamo conto che dobbiamo reagire. Allora cominciamo a cercare soluzioni realistiche e nuovi modelli di coping che si adattino alla realtà. In questa fase cominciamo a fare dei piccoli esperimenti che ci avvicinano al cambiamento e ci permettono di osservarlo in una nuova prospettiva.

7. Fase dell’accettazione. È l’ultima fase in cui torniamo a trovare l’equilibrio perso con il cambiamento. Qui troviamo e mettiamo in pratica nuovi modelli di comportamento adattativo che ci aiutano a ricostruire la nostra identità nelle nuove circostanze.

 

 

Ritornando nello specifico alla situazione di resistenza al cambiamento che  mantengono l’individuo intrappolato nel passato, siamo  consapevoli che il cambiamento è l’unica costante della vita. Tuttavia, l’individuo per natura tende al miglioramento, vuole cambiare ma nello stesso tempo non discostarsi troppo dalle proprie abitudini, e continuare a fare le stesse cose. Questa dicotomia genera resistenza, spesso a livello inconscio.

Spesso tutto ciò si verifica quando non comprendiamo che è giunto il momento di cambiare. In alcune circostanze infatti potremmo non avere chiaro il quadro della situazione che necessiterebbe un punto di svolta, soprattutto se ci sentiamo relativamente sicuri e confortevoli nella nostra zona di comfort. Se pensiamo che le cose che abbiamo fatto per tanti anni continueranno a funzionare anche in futuro e non ci sono motivi per cambiare, ci opporremo a qualsiasi trasformazione. Il concetto di cambiamento impone al suo interno la presenza dell’incognita: la diffidenza per quello che non si conosce e l’incertezza che ne deriva, sono tra le ragioni principali per opporre resistenza al cambiamento. Come regola generale, abbiamo sempre bisogno di certezze, e ci lanciamo verso l’ignoto solo se crediamo che ciò che ci attende valga la pena, ma quando non siamo sicuri di cosa troveremo, sarà molto difficile per l’individuo rinunciare alla propria posizione, dove ci sentiamo al sicuro e abbiamo tutto relativamente sotto controllo

Anche le insicurezze di fondo e il timore del fallimento rappresentano altrettanti fattori di resistenza al cambiamento, che poche persone sono solite ammettere. Quando crediamo di non avere le necessarie competenze, le abilità o le forze necessarie per affrontare la trasformazione, non lo riconosciamo, ma reagiamo resistendogli. L’attaccamento alle abitudini può rappresentare un ulteriore ostacolo al superamento della resistenza al cambiamento Se abbiamo fatto le cose sempre in un certo modo, per molto è molto tempo, sarà molto difficile poter cambiare questi modelli. Non si tratta solo di abitudini di comportamento, ma anche modi di relazionarsi e di pensare. Il cambiamento richiede la necessità di abbandonare la strada vecchia e prenderne una nuova, ma il nostro cervello di solito tende sempre ad applicare la legge del minimo sforzo

 

 

Esistono poi altri casi, alcuni al limite, in cui l’individuo esercita una forte resistenza al cambiamento: ad esempio, quando percepiamo che il cambiamento è imposto da qualcuno e noi non abbiamo a disposizione alcuna voce in capitolo o diritto di voto, la prima reazione, com’è naturale che sia, è il rifiuto. La maggior parte delle persone non ama i cambiamenti imposti, quindi se non vengono consultate, la volontà di cambiare sarà minima. In molti altri casi la resistenza al cambiamento è dovuta al fatto che il livello di tolleranza al cambiamento è stato superato (sfinimento psicologico); la persona è stata sottoposta ad un così alto livello di trasformazione che ha sviluppato un rifiuto alle stesse a causa dell’esaurimento e della saturazione. In altri casi il cambiamento rappresenta un punto di rottura con alcune delle nostre credenze, convinzioni oppure opinioni, il che genera una dissonanza cognitiva che non siamo disposti ad assumere.

Ogni cambiamento richiede sempre la mobilitazione di determinate risorse, quindi se non siamo provvisti di sufficiente motivazione, oppure se questa non è una motivazione intrinseca, resisteremo a tale trasformazione. In molti casi la resistenza al cambiamento è causata dal fatto che il cambiamento arriva in un momento particolare della vita: potrebbe essere che la persona stia attraversando una situazione difficile o che abbia altri progetti e non sia disposta ad affrontare ulteriori cambiamenti.

 

Ci sono personalità più disponibili e predisposti al cambiamento mentre altre restano legate a ciò che conoscono. Le personalità con tratti neurotici, con un locus of control interno e una bassa tolleranza all’ambiguità, sono più resistenti al cambiamento. 

 

Optare per il cambiamento non è una scelta casuale o un capriccio. La maggior parte delle volte, quando parliamo di cambiamenti importanti, ci riferiamo ad azioni necessarie, di cui siamo fortemente convinti e che, soprattutto, richiedono coraggio. A volte ci si può trovare in situazioni particolari in cui non restano alternative, non possiamo fare altro cioè che cambiare pelle, estirpare le vecchie radici e cercare altre strade per poter “essere”, per ricominciare e raggiungere nuovamente quell’equilibrio necessario all’individuo. 

 

Winston Churchill diceva: “migliorare significa cambiare ed essere “perfetti” significa avere il coraggio di cambiare spesso”. 

 

Tuttavia, a questa affermazione dovremmo aggiungere una postilla: i cambiamenti sono importanti, purché non ci facciano perdere di vista i nostri valori intrinseci, la nostra essenza. Qualsiasi variazione che compiamo durante il nostro lungo tragitto, dunque, deve avere come fine ultimo avvicinarci un po’ di più alla persona che vogliamo essere davvero.  

 

Ebbene, riuscirci non è né facile né veloce, ma soprattutto spesso non è piacevole, almeno all’inizio. La maggior parte di noi capisce di dover avviare un cambiamento quando accade qualcosa di decisivo nella propria vita. Perdere il lavoro, trovarsi in un vicolo cieco, terminare una relazione affettiva, ricevere una delusione, subire un fallimento... sono tutte cose che risultano come una sorta di invito diretto a portare a termine ciò che spesso riassumiamo con il detto “cambiare o morire”.

Tuttavia, e questo bisogna averlo ben chiaro, prima di ritrovarsi in queste situazioni, che spingono sull’orlo del precipizio, bisognerebbe sviluppare delle strategie relazionate al cambiamento personale, che consentono di cambiare la propria vita al meglio. Se “cambiare” è sinonimo di progresso e di miglioramento, mettiamo in pratica il cambiamento ogni giorno, in maniera continua, integrativa e intelligente.    

 

In tal modo, riusciremo a reagire molto meglio nei confronti di qualsivoglia avvenimento e ci sentiremo molto più forti e coraggiosi per andare avanti. Vediamo dunque alcune strategie per cambiare la propria vita

 
 
 

Tutto passa...

Post n°1212 pubblicato il 11 Marzo 2022 da scricciolo68lbr

Come curare le nostre ferite emotive?

Tutte le ferite d’amore non risanate al nostro interno, si traducono inevitabilmente nel mondo esterno, sotto forma di competizione, di dominio del più forte sul più debole.

Quando un bambino nasce è un piccolo nucleo di energia in espansione. La sua anima è pura e governa in maniera sapiente la mente e i pensieri. È innocente, radiante ed aperto all’amore. Ciò di cui ha bisogno per svilupparsi in maniera sana è di incontrare anime disposte come la sua, a comunicare e scambiare amore. Un’anima anch’essa pura e radiante come quella del bimbo e queste sono nei primi anni di vita, le anime dei genitori. Se le anime dei genitori sono equilibrate e ben disposte a questo scambio di amore, si genera una relazione sana tra figli e genitori, priva di qualsiasi ferita, che consente così alla piccola anima di crescere ed espandersi, via via che il bimbo diventa adulto. Se le cose, tuttavia, vanno diversamente e la relazione è guastata dall’ego dei genitori, o anche di uno soltanto, la forza depressiva e quella narcisistica inquineranno la relazione generando nell’anima del bimbo ferite emotive. Avremo così un bimbo che crescerà nel desiderio della competizione, del dominio sugli altri, della prevaricazione o al contrario, un bimbo incapace di esprimere il proprio amore, che crescerà scontento e depresso.

Curare le ferite emotive quindi, è fondamentale perché cicatrizzino bene. Crescendo la vita di una persona scontenta, subirà altre ferite che andranno ad accumularsi sempre più. Ad un certo punto dovremo fare i conti con esse, senza timore. Non dobbiamo vergognarcene, ma dobbiamo accettare quello che la vita ha proposto ed andare avanti.

 

 

Quante volte siamo usciti feriti da una certa situazione? Le ferite emotive sono incidenti di percorso da curare: a volte è difficile, il dolore persiste, ci fa soffrire troppo e ci segna per sempre.

Alcune ferite emotive sono più profonde di altre. Alcune guariscono senza lasciare segni, altre lasciano una cicatrice indelebile. Altre ancora, non si chiuderanno mai... almeno è quello che pensiamo.

Forse siamo convinti che la nostra vita sarebbe più bella se non soffrissimo mai, se niente e nessuno ci potesse toccare. Ma tutto questo fa parte del nostro processo di apprendimento, ci trasforma e ci fa crescere.

Tutte le esperienze, positive ma soprattutto quelle che noi chiamiamo negative, solo perché sono andate diversamente da come immaginavamo (quindi negative non sono), ci segnano e alcune lasciano in bocca un gusto amaro. Oggi parliamo di come sanare le nostre ferite emotive in modo costruttivo: a chiuderle ed a trasformarle in un’esperienza di vita come le altre.

 

 

Curate le vostre ferite perché cicatrizzino bene.

 

Le ferite emotive sono peggiori delle ferite fisiche, ma vanno trattate nello stesso modo. I passi da seguire sono simili a quando curiamo un taglio o quando riceviamo un urto.

Il fatto che questo tipo di ferita sia invisibile a volte ci porta ad ignorare il nostro dolore, a voltarci dall’altra parte; rischiamo, così, che la ferita emotiva “si infetti”, non si rimargini bene e che finisca per lasciarci ancora più rimpianti.

 

Ecco quali sono i passi da seguire nel processo di guarigione. Per prima cosa, dobbiamo individuare la ferita, il motivo di questo dolore emotivo. Invece di ignorarlo, guardiamoci dentro e se necessario, parliamone, cerchiamo aiuto. A volte, non riusciamo a capire da soli e abbiamo bisogno di aiuto. Non dobbiamo avere timore di sentirci vulnerabili, non vergogniamocene. Una volta trovata la ferita e compreso il motivo, si prosegue. Quanto è grave la ferita? Una volta individuata la nostra ferita dobbiamo capirne la gravità. A volte fa più male di quello che pensavamo, altre volte è un dolore che creiamo noi stessi nella nostra menteAnalizziamo la ferita per poterla curare nel migliore dei modi, per trovare la medicina più adatta. Non ignoriamola, accettiamola. Poi arriva il momento di curarla. Questa è la fase più dolorosa; avete presente quando versate l’acqua ossigenata o il disinfettante su un taglio? Brucia, vero? Bene, anche le nostre ferite emotive si comportano così, sono dolorose da curare.

È importante andare avanti, a tutti i costi, perché sarà un punto di svolta che ci mette alla prova. A volte la cura consiste nell’aprire gli occhi alla realtà, altre risolvere una situazione dolorosa, tagliar corto o, semplicemente, piangere. Il tempo necessario perché una ferita rimargini dipende dalla sua gravità. Certo, non sarà qualcosa che accade dal giorno alla notte, richiede il suo tempo.

È normale che sia faticoso e che faccia male, ma dobbiamo accettare che la vita va avanti e che ci riserva ancora molto altro. Non lasciamo che il nostro pensiero venga offuscato dalla negatività. Lasciamo cicatrizzare la ferita, guardiamo avanti e sorridiamo alla vita. È un allenamento.

 

“Per tutte le ferite dell’anima, per profonde che siano, il tempo, questo grande consolatore, ha il suo balsamo”.

Cristoph Martin Wieland

 

 

Non vergogniamoci delle nostre ferite: a tutti succede di soffrire, prima o poi. Il vero problema è accettarle, credere che il tempo le guarirà.

È vero che il tempo e le distrazioni aiutano a curarle ma solo se, prima di tutto, le abbiamo scoperte, osservate, comprese e chiuse. Non si tratta neanche di chiudere un capitolo della nostra vita per non ritornarci più sopra; la questione è, piuttosto, lasciare che la ferita rimargini, affinché, voltandoci indietro, non faccia più male.

 

Prenderci cura delle nostre ferite ci permetterà di trasformarle in un’occasione per imparare e, soprattutto, di superare la paura che le ha causate.

 
 
 

Il vuoto.

Post n°1211 pubblicato il 10 Marzo 2022 da scricciolo68lbr
 

Certe volte abbiam la pretesa di voler risolvere tutto!

A volte si ha solo il bisogno di qualcuno, che se ne stia in silenzio, a farci compagnia, intanto che la situazione passi.

 
 
 

Sinistra italiana bugiarda... il lupo perde il pelo...

Post n°1210 pubblicato il 10 Marzo 2022 da scricciolo68lbr
 

Porro oggi commenta divertito la prima pagina del quotidiano Libero che mostra le foto di Enrico Letta, Romano Prodi e Matteo Renzi, tutti in compagnia di Vladimur Putin. "Sostanzialmente tutti i presidenti del Consiglio italiani hanno ricevuto e hanno coccolato" il presidente russo, dice Porro che commenta il fondo del direttore Alessandro Sallusti: "Il messaggio è: ragazzi, mettete d'accordo. Se il Putin di ieri era accettabile per tutti era accettabile anche da Salvini. Se il Putin di oggi che è un guerrafondaio e un criminale di guerra è diverso rispetto a quello di ieri, non si capisce perché Salvini è l'unico che rimane incastrato" dal rapporto col presidnete russo. Colpiti e affondati. 

Con la guerra in Ucraina non si fa che attaccare Silvio Berlusconi Matteo Salvini, rei di aver intrattenuto rapporti con Vladimir Putin. Peccato però che la sinistra preferisca nascondere la polvere sotto il tappeto. Infatti i veri affari con il presidente russo, oggi definito "animale" e "abominevole", li abbia conclusi niente di meno di Enrico Letta. A riportare alla mente quanto fatto dal segretario del Partito democratico è Francesco Storace, vicedirettore del Tempo. Il nastro si riavvolge a dieci anni fa: "Era il 26 novembre del 2013 e a Trieste faceva un freddo cane. E Putin si faceva pure attendere. Ma in quella mattinata gelida Enrico Letta non si fece scrupolo di benedire, proprio di fronte al suo interlocutore russo, la bellezza di 28 accordi nel nome dei due paesi". 

Proprio così: ben 28 accordi. E tutti alla presenza delle squadre dei due governi quasi al completo. "Il Business Forum promosso dal Foro di dialogo italo-russo e organizzato dall’Ispi fu la culla, in quel novembre 2013, di numerosi accordi firmati con la benedizione di Putin e Letta - prosegue -. Equamente distribuiti in tre 'cluster', finanza, energia e industria". Un incontro quello tra il dem e lo zar, ad oggi difficile da credere. All'epoca infatti si parlava di un sostegno all’export che, secondo le previsioni di Sace, in Russia poteva crescere del 10,5 per cento nei quattro anni successivi, arrivando dagli 11 miliardi del 2013 ai 16 miliardi del 2017. 

Il fulcro dei colloqui tra i due fu però il dossier sull'energia. Sì, la stessa energia che oggi richia di mettere ko l'Italia. Da qui la riflessione di Storace che, passati dieci anni, si chiede se il segretario del Pd, ne conserva ancora buona memoria: "Le bollette che esplodono oggi, magari sono figlie anche di quel tempo".

 

 
 
 

Russia... Paese da conoscere meglio...

Post n°1209 pubblicato il 09 Marzo 2022 da scricciolo68lbr
 

“Modello Putin” (People, 2021). Intervista a Mattia Bernardo Bagnoli.

“Modello Putin” è, come scrive lo stesso autore, Mattia Bagnoli, “un mix fra analisi, diario di bordo e giornalismo” che spiega in modo esaustivo e soprattutto piacevole, cosa significa vivere in Russia e su quali basi poggia il consenso di Vladimir Putin. Questo libro mi ha sinceramente entusiasmato perché da bravo giornalista Bagnoli riesce a restituirci una immagine della Russia non filtrata dai luoghi comuni e dalla disinformazione. Ho voluto fargli delle domande a cui ha generosamente accettato di rispondere.

“La Mosca di Bulgakov sopravvive a fatica” scrive subito all’inizio del suo libro. Nel nostro immaginario collettivo rimane vivo il “Mito di Pietroburgo” mentre molto meno sappiamo di Mosca. Che città è Mosca dal punto di vista culturale e cosa fa un milanese come lei nel tempo libero?

Dunque, Mosca dal punto di vista culturale è una grande capitale, quindi, è molto viva da tanti punti di vista. Ci sono mostre, spettacoli di vario genere, cinema, gallerie. Tuttavia la vita culturale a Mosca a volte nasconde anche dei casi un po’ controversi come la vicenda che ha visto coinvolto Kirill Serebrennikov ex direttore del Gogol center finito al centro di un di un caso giudiziario, che è stato accusato di malversazioni. La cultura è fatta in un certo modo in Russia e a Mosca può ancora dare fastidio. 

Nonostante sia un Paese difficile, lei dice che, con sua stessa sorpresa, ha scoperto di nutrire affetto per questa terra e questo popolo. Qual è una cosa che le piace di più della Russia e del carattere dei russi?

Della Russia la cosa che mi piace di più, vivendoci da giornalista, è il suo difficile accesso. Fare il giornalista a Londra così a come New York o Parigi è una cosa più semplice tutto sommato, invece Mosca, e la Russia ancor di più, resta ancora una terra in qualche modo misteriosa, difficile da raggiungere. C’è questo aspetto della frontiera che mi piace, il Grande Artico è una parte molto interessante del racconto della Russia contemporanea.

Uno dei primi “avvertimenti” che troviamo nel suo libro è: “stabilità – segnatevi questa parola – è essenziale”. Io me la sono segnata e volevo chiederle, secondo lei, il consenso di cui Vladimir Putin gode in Italia non sarà legato anche a questo? Alla stabilità che persegue ostinatamente per il suo Paese (costi quel che costi)?

Ho scritto “Modello Putin” per questa ragione, per cercare di spiegare che cos’è il consenso di Vladimir Putin. Su cosa si basa, quali sono i suoi limiti, rispondere a questa domanda in realtà è parlare di tutto il libro. Attualmente la Russia è un sistema ibrido e la stabilità garantita da Putin è in opposizione al caos degli anni Novanta che paradossalmente è l’unico momento in cui la Russia ha conosciuto una sorta di democrazia. 

Che cosa hanno conosciuto i russi nella loro millenaria storia? Gli zar, quindi il giogo più brutale e il servaggio della gleba. Poi il comunismo, ovviamente non un sistema liberale. La fiammata “elciniana” di “libertà democratica” ha portato il caos più totale perché in quel momento la Russia è crollata totalmente, il Pil si è sbriciolato. 

Il ventennio putiniano è quello della ricostruzione, laddove appunto stabilità significa soprattutto miglioramento della qualità della vita, aumento del reddito disponibile e ricostruzione di una normalità statuale venuta meno negli anni Novanta, quando tutto era una guerra per bande giocata dagli oligarchi. 

E quindi quando Putin dice “non torniamo al caos degli anni Novanta” fa leva su questo. In Occidente non si comprende fino in fondo la drammaticità di quegli anni. È vero però che in virtù della stabilità non si può cristallizzare un paese totalmente. 

Io credo che la classe dirigente odierna ormai ha esaurito la sua funzione storica e si sta “spaccando le poltrone” in maniera totalmente innaturale per certi versi e quindi forza la Russia a sprecare tutte le sue energie e si scontra con le esigenze di cambiamento di una larga fetta della popolazione. 

Putin si identifica con il Paese, tutto in lui, compresa la prossemica, rimanda alla Russia in modo inequivocabile. Cosa c’è in lui di troppo vecchio che non piace alle nuove generazioni e di abbastanza nuovo da non piacere ai vecchi? 

I “Puteens”, come sono stati definiti in un bellissimo reportage dell’Economist fatto da due miei amici i ventenni, hanno conosciuto nella loro vita unicamente lo “zar”. E allora i giovani vogliono un cambiamento qualunque esso sia, non è detto che questo si traduca in un affronto totale nei confronti di Putin. Però la stanchezza c’è, i social sono entrati in maniera dirompente nelle nostre vite e quindi tutti questi ragazzi o giovani uomini e donne, vedono come vivono nel resto del mondo. 

Tutto questo nella popolazione più anziana non c’è perché è ancora culturalmente di fatto sovietica, e quindi ti rispondo automaticamente con la seconda parte, l’aspetto più conservativo della politica di Putin è visto di buon occhio dalla popolazione più anziana che con Putin ha stretto un patto molto chiaro che si traduce in “noi votiamo per te e tu non tocchi i nostri benefici sociali “, benefici (la pensione anticipata per esempio) che saranno anche irrisori ma sono graditi ad alcune classi di popolazione. 

Putin è a favore dell’immigrazione non controllata, ma cosa pensa di questo l’opinione pubblica? Chi sono gli immigrati “che rubano il lavoro” ai russi? 

L’immigrazione in Russia fondamentalmente viene dalle repubbliche centroasiatiche, in particolare Tagikistan, Uzbekistan, il Kazakistan no perché ormai un “Paese ricco”. Questi paesi formano la sacca, la spina dorsale, da cui arrivano coloro che fanno i lavori umili in Russia. Non servendo più i visti per la mobilità all’interno dei paesi dell’ex Unione Sovietica, è più facile che le persone si spostino da una parte all’altra. Probabilmente però, c’è bisogno di qualche correttivo, come chiedeva Navalny, che venendo da posizioni nazionaliste, era più duro sull’immigrazione. 

Il Presidente Obama nel 2012 (dopo la morte dell’avvocato Serghei Magnitsky nel 2009) con il Magnitsky Act volle varare un regime sanzionatorio efficace su specifici individui e quindi volto a non coinvolgere i paesi di appartenenza. Secondo lei possiamo aspettarci un Navalny Act dall’Unione Europea?

No assolutamente no. Intanto l’Unione Europea ha appena approvato quello che potremmo chiamare il Magnitsky Act europeo. Navalny aveva stilato una lista di oligarchi vicino alla cupola putiniana che secondo lui andavano sanzionati, però nel momento in cui ha stilato questa lista, in qualche modo l’ha resa di impossibile attuazione, perché quella lista è diventata un problema dal punto di vista politico. Per il resto ci sono le sanzioni individuali, ne sono già state approvate diverse in relazione alla crisi ucraina del 2014, poi ne sono venute altre per altri motivi, ad esempio, quelle nei confronti di Prigozhin, lo chef di Putin.

Io però ho i miei dubbi sulla utilità delle sanzioni.

Nel 2018 ha incontrato Eduard Limonov. Il Limonov uomo di azione di Carrère corrisponde all’uomo che ha incontrato lei nell’appartamento del centro di Mosca? 

Sì e no. Ovviamente ho incontrato un Limonov a fine carriera a fine vita purtroppo, due anni dopo il nostro incontro è morto. Era un uomo che per me aveva il grande pregio di aver conosciuto l’Occidente nel suo doppio aspetto cioè nella forma americana e nella forma europea. Le sue indicazioni, le sue riflessioni sulla Russia le ho trovate molto preziose per poter interpretare tante cose che sono accadute e che stanno accadendo ancora oggi in Russia. Diceva che Putin gli aveva rubato tutto il programma tranne la parte socialista e in qualche modo secondo me poteva anche avere ragione. 

Che reazioni ci sono state nell’opinione pubblica dopo le esternazioni del presidente Biden? 

L’opinione pubblica sa quello che ovviamente i media vogliono far sapere. Questo è vero dappertutto. E’ arrivata questa esternazione che io stesso ho difficoltà a valutare, forse sono troppi anni che vivo in Russia ma l’ho vissuta un pò come un errore, quasi una battuta, perché poi bisogna essere consequenziali e allora se Putin è un assassino… che cosa si fa ora? Da un certo punto di vista io credo che si sia perso il galateo istituzionale che i russi invece in genere mantengono. Una volta provocato, Putin ha fatto “specchio-riflesso” con quelle sue affermazioni smontando subito il galateo istituzionale di cui sopra. 

Lei si è purtroppo ammalato di Covid ad oggi però è già vaccinato con lo Sputnik V. A conti fatti dal suo racconto mi sembra sia andata meglio a lei che a tanti italiani. Qual è la cosa che l’ha sorpresa positivamente.

Il capitolo del coronavirus è molto complicato. Sì io mi sono ammalato nella prima ondata, a marzo 2020. Racconto nel libro quello che è accaduto e come sono stato curato, come il sistema si è mosso, che cosa è stato fatto. Non siamo mai stati lasciati soli. La mia esperienza è però da ricondurre a Mosca, ma ci sono province lontanissime dove la situazione è sicuramente più difficile. La buona riuscita, la buona tenuta della pandemia da parte della Russia nasconde il lato oscuro del calcolo dei morti. I russi comunque hanno avuto fin da subito un atteggiamento completamente diverso da quello europeo o da quello americano nei confronti del virus, meno impaurito, un atteggiamento molto più spavaldo anche incosciente per certi versi, le autorità russe hanno tenuto aperte le attività, qui non ci sono i ristori, bisogna lavorare.

Modello Putin. Viaggio in un Paese che faremmo bene a conoscere

di Mattia B. Bagnoli

Editore: People 

Pagine della versione a stampa: 448 p. € 18,00

L’autore

Dopo la laurea in Lettere e Storia all’Università di Bologna si trasferisce a Londra dove frequenta il master in Giornalismo Internazionale presso la City University e dove lavora come corrispondente per l’agenzia ansa e collabora con altre testate tra cui La Stampa e D – la Repubblica. Dopo una breve parentesi al servizio politico ansa a Roma, dal 2015 è capo della redazione ANSA di Mosca. Scrive abitualmente di Russia per pagina99, D – la Repubblica, HuffPost.

 
 
 

Adoperarsi per la pace, non per fornire armi all’Ucraina...

Post n°1208 pubblicato il 09 Marzo 2022 da scricciolo68lbr

Un documento del 1991 ha dimostrato come Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Germania (appena riunificata) si impegnarono a non estendere mai l'Alleanza Atlantica oltre il fiume Elba, quindi nemmeno in Polonia. Invece... Quindi esiste un preciso impegno preso dalla Nato con l'allora presidente dell'Unione Sovietica, Mikhail Gorbachov a non estendersi ai Paesi che precedentemente erano al di là di quella che impropriamente tutti chiamavano “cortina di ferro”. L'estensione della Nato a Est è stato un percorso molto lungo nel tempo, un concorso di colpa nei confronti dell'attuale guerra. Poi soverchiato dalla grave responsabilità di chi la guerra l'ha scatenata".

 
 
 

Occorre impegno per la pace, non fornire le armi.

Post n°1207 pubblicato il 09 Marzo 2022 da scricciolo68lbr

La realtà storica ci insegna che portare la NATO sino alle porte di Mosca, contro gli accordi di Minsk., è un errore dell’Occidente atlantista e della NATO. Cosa si aspettavano che Putin sventolasse bandiera bianca? Putin chiede che l’Ucraina resti neutrale rispetto alla NATO e all’UE. Mentre l’UE chiede l’annessione dell’Ucraina. Chi è il pazzo e lo scellerato dunque?

 
 
 

Bimbi sereni, adulti maturi.

Post n°1206 pubblicato il 09 Marzo 2022 da scricciolo68lbr

Molti adulti ritengono che per far crescere sereni i bambini basti semplicemente avere con loro un rapporto naturale e spontaneo. Solo quando le difficoltà relazionali giungono a provocare vere e proprie turbe del comportamento infantile, si rivolgono agli esperti, ma spesso i più piccoli sono stati ormai minacciati in quanto hanno di più prezioso: il senso di sicurezza, la fiducia in sé e la purezza del cuore. In uno dei suoi libri, “Come allevare un bambino felice e farne un adulto maturo”, la psicoanalista Françoise Dolto, attenta studiosa dell’universo infantile, invita a porsi subito in un atteggiamento di ascolto e di apertura nei confronti dei bambini. Per educare un fanciullo senza “ammaestrarlo”, rendendolo con il passare degli anni un adulto sereno e maturo, capace di affrontare la vita. 

 

Ogni genitore si preoccupa della felicità dei propri bambini, stando sempre attento a non far mancare loro nulla. Mamme premurose, padri comunicativi, sempre vigili e prudenti, pronti a sostenere il proprio figlio in tutto e per tutto. Ai bambini si sa, basta poco per essere felici, di certo a loro non serve il “l’ultimo giocattolo uscito da poco” se poi non ricevono rispetto, affetto dai propri genitori. I bambini felici si riconoscono, basta guardare l’espressione del loro viso, basta guardarli negli occhi. Ebbene si, se vogliamo che un figlio sia felice, dobbiamo essere amorevoli con lui, sin da piccoli, che naturalmente non significa accontentare ogni suo capriccio.

I bambini sono felici, e si sentono amati, quando trascorriamo insieme a loro il nostro tempo e non quando non facciamo mancare loro nulla dal punto di vista materiale. Niente supera un pomeriggio passato a giocare, correre, guardare un cartone animato oppure un film insieme ai nostri figli. Molti genitori pensano invece a lavorare sodo, tanto, guadagnare molti soldi per offrire loro tutto quello che chiedono. Già ma l’amore e l’affetto, non sono beni materiali acquistabili, sono gesti, attenzioni, carezze, tempo speso con loro e che possa essere da loro assorbito, in maniera che possano essere nutriti di quello stesso sentimento del quale saranno capaci di donare a loro volta, quando avranno raggiunto l’età matura. Il nostro bambino si sentirà amato, se lo ascolterete attentamente quando ha da raccontare qualcosa o quando si iperbola nelle sue domande sulla vita e quanto lo circonda.. Quando inizia a piangere per quello che, secondo voi, è una sciocchezza non esordiamo con frasi del tipo: “Sei troppo grande per piangere per una cosa simile!”, cerchiamo di capire invece cosa lo faccia stare così male. Le parole d’ordine, quindi, sono “amore” e “comprensione“. In questo modo il nostro bimbo si sentirà capito e gli trasmetterete tutto il nostro affetto.

I bambini sono più felici se passano molto tempo a giocare. I bambini di oggi sono molto impegnati tra scuola ed attività extra e/o sportive come danza, musica, teatro, sport e spesso non hanno molto tempo da dedicare al gioco. Per un bambino passare un pomeriggio all’aria aperta con i propri amici, magari giocando a pallone o a rincorrersi, è fondamentale. In questo modo imparerà a stare con gli altri, a socializzare ed a stare in gruppo, trascorrendo dei momenti felici che sono indispensabile per il suo benessere, fisico e psichico, oltre che comportamentale. La mancanza di questi momenti fondamentali può portarlo ad essere un adulto ansioso, depresso ed ad avere problemi nel controllarsi e nel mantenere alta l’attenzione. Aumentare l’opportunità di creare momenti di gioco lo aiuterà ad essere un bambino felice e, un domani, anche un adulto felice. I bambini più felici del mondo sono quelli ai quali non è stato imposto, per partito preso, di aspirare a diventare un calciatore,  oppure una ballerina.

I bambini più felici sono quelli liberi di scegliere, sperimentare, provare e trovare ciò che più è interessante per loro. Ad un bambino non deve per forza piacere lo sport, potrebbe benissimo essere un aspirante ballerino di hip hop. Allo stesso modo una bambina non per forza deve voler giocare con le bambole, se vuole giocare con le macchine telecomandate, lasciateglielo fare. I nostri figli saranno dei bambini più felici se asseconderemo i loro interessi, incoraggiandoli a coltivare i propri hobbies ed a trovarne sempre di nuovi.

I bambini più felici sono quelli che lasciamo liberi di sbagliare, per poi permettere che si alzino da soli, mentre noi li sorvegliamo da lontano, senza darlo a vedere. Ciò non significa naturalmente rimanere del tutto indifferenti, occorre invece cercare di affiancarli e di aiutarli senza però mai sostituirsi a loro. Insegnare loro a rialzarsi dopo un mancato successo, li renderà degli adulti migliori, consapevoli del fatto che i fallimenti esistono e servono anche ad imparare che si può fare sempre meglio e poi, che non bisogna arrendersi.

I bambini sono più felici quando alla sera la mamma, o il papà, si mette accanto al letto e comincia a raccontare loro una favola. Il bambino anzitutto è felice di poter passare un po’ di tempo insieme ai genitori, prima di andare a dormire. Senza contare che la lettura crea un legame ancora più forte con il genitore, aiuta il bambino a sviluppare un’ottima proprietà di linguaggio ed a comprendere meglio l’opinione degli altri. Leggere stimola la fantasia e consente loro di vivere, insieme a mamma e papà, delle avventure uniche.

I bambini più felici del mondo sono quei bambini che passano molto tempo con i propri genitori: gite al mare, giornate in montagna, uscite al luna park, allo zoo oppure al parco acquatico. L’importante è che facciate queste esperienze insieme a loro. Facciamo in modo che i nostri bimbi trascorrano un’infanzia felice, così che un giorno la ricorderanno con un sorriso. Creare il ricordo di momenti spensierati, li aiuterà ad essere un giorno degli adulti più sereni. Un bambino felice è un bambino circondato da genitori sereni. Un bambino è felice se vede i suoi genitori che si divertono insieme, che amano passare del tempo separatamente per poi ritrovarsi a raccontare la propria giornata. I genitori rappresentano in fondo degli esempi, gli adulti più vicini a loro dai quali apprendere costantemente. Un bambino è felice se vede che i propri genitori si amano, si rispettano ogni giorno, come se fosse il primo. Anche nei momenti di scambio di opinioni magari in maniera coesa,  a sempre nel rispetto reciproco. I propri figli sono come delle spugne ed assorbono tutto, emozioni positive e negative. Spetta a ciascun genitore essere il migliore esempio per il proprio bambino, che così crescerà serenamente.

I bambini più felici del mondo sono quei bambini che hanno imparato che provare emozioni negative è una cosa che succede a tutti, che esse fanno parte dell’essere “umano”. La rabbia e la tristezza sono emozioni che, così come l’allegria e la spensieratezza, servono a sfogare il mondo interiore, per poi ripartire di nuovo. I bambini felici sono quelli a cui è stato detto che provare rabbia o tristezza va bene, e che nella vita tutto si supera con l’aiuto reciproco delle persone che ami.

 
 
 

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tante volte rimangono
fanno male anche se dette per rabbia
si ricordano
In qualche modo restano.
Le parole, quante volte rimangono
le parole feriscono
le parole ti cambiano
le parole confortano.
Le parole fanno danni invisibili
sono note che aiutano
e che la notte confortano.
                                  i
 
 

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