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Messaggi del 14/03/2022

Cambiare per non morire.

Post n°1213 pubblicato il 14 Marzo 2022 da scricciolo68lbr

Conoscete la storia del detto “quando una porta si chiude, se ne apre un’altra”?

 

Il detto che sicuramente tutti noi conosciamo: “quando una porta si chiude, se ne apre un’altra”, è una citazione di Alexander Graham Bell. Egli terminava spesso la frase con: “ma spesso noi guardiamo così a lungo e con rimpianto alla porta chiusa, da non riuscire a vedere quella che si apre per noi”.

 

Si, credo tutti conoscano l’ottimistico detto: “quando una porta si chiude, se ne apre un’altra” (in Italia anche nella versione “si apre un portone”). Il detto come dicevo, è una citazione di Alexander Bell che, dopo una serie di iniziali fallimenti nella vita privata e lavorativa, ebbe una vita di successo, con il primo brevetto del telefono e una serie di studi sui disturbi del linguaggio.

La sua citazione, però, non si ferma qua, ma riguarda anche la necessità di non perdere le opportunità e di mantenere la mente “aperta” alla novità.

“Quando una porta si chiude, un’altra si apre, ma così spesso noi guardiamo a lungo e con rimpianto alla porta chiusa, da non riuscire a vedere quella che si apre per noi.”

Quello che Bell vuole insegnarci è l’abituare la mente a non temere il cambiamento, perché spesso può rivelarsi un’opportunità per migliorare! 

 

Per alcuni dicevo è un cambiamento, per altri progresso, ci sono anche alcuni che lo chiamano semplicemente adattamento. Alcune persone sviluppano praticamente una fobia del cambiamento mentre altre sono quasi dipendenti dalla novità che esso implica. Le prime così preferiscono un andamento costante delle cose, la regolarità, la prevedibilità delle varianti e le cose diciamo così, all’antica. I dipendenti dalla novità amano appunto la non-ripetitività, la differenza e l’incertezza. In ogni caso, è la vita stessa ad essere cambiamento. Schopenhauer lo disse: “Il cambiamento è l’unica cosa immutabile”. Ecco perché è fondamentale sviluppare un livello di tolleranza al cambiamento che ci permetta di affrontare le trasformazioni senza compromettere in maniera eccessiva è stressante il nostro equilibrio psicologico. Ma che cos’è la resistenza al cambiamento per l’individuo? In psicologia con il concetto di resistenza al cambiamento si fa riferimento a quella categoria di individui che sperimentano un livello di angoscia emotiva causata anche solo da una prospettiva di una trasformazione oppure, nella peggiore delle ipotesi dal cambiamento in atto, quello che sta già avvenendo. Durante All’inizio per la psicologia, la resistenza al cambiamento individuale veniva individuata ed analizzata di conseguenza, come un problema di “motivazione”. Pertanto, era sufficiente per eliminare questa resistenza, convincere un individuo a motivarsi. Adesso sappiamo che quando qualcuno resiste al cambiamento è perché ci sono da affrontare diverse aree problematiche, alcune relative ai tratti della personalità, altre riguardano la storia di vita dell’individuo, infine occorre analizzare la situazione attuale

Dalla prospettiva di ciascun individuo, la resistenza al cambiamento personale è un’occasione incredibile per guardare dentro di noi, è sempre un’opportunità per scoprire qualcosa di più di se stessi. Infatti, nel caso in cui non ci sentiamo motivati al cambiamento, vuol dire che esiste un impedimento, qualcosa che ci trattiene, come ad esempio la paura, e quando la sua entità sarà maggiore, la motivazione non sarà sufficiente a superare la resistenza. Il ciclo della resistenza al cambiamento personale

 

Elisabeth Kübler-Ross è stata una psichiatra svizzera. Viene considerata la fondatrice della psicotanatologia e uno dei più noti esponenti dei death studies. Dopo gli studi in Svizzera, nel 1958 si è trasferì negli USA dove lavorò per molti anni presso l'Ospedale Billings di Chicago. Dalle sue esperienze con i malati terminali ha tratto il libro “La morte e il morire”, pubblicato nel 1969, che ha fatto di lei una vera autorità sull'argomento. Celebre la sua definizione delle cinque fasi di reazione alla prognosi mortale: diniego (denial and isolation), rabbia (anger), negoziazione (bargaining), depressione (depression), accettazione (acceptance). Chiave del suo lavoro è la ricerca del modo corretto di affrontare la sofferenza psichica, oltre che quella fisica.

Usava anche praticare la tecnica dell'uscita fuori da corpo (OBE), che aveva appreso da Robert A. Monroe. Negli anni settanta ha tenuto numerosi seminari e conferenze. La Kübler-Ross suggerì un ciclo emozionale che le persone possono seguire nei casi di lutto, ma che si applica perfettamente a qualsiasi altro tipo di cambiamento nella vita che rifiutiamo di accettare. Il suo "modello a cinque fasi", elaborato nel 1970, permette di capire le dinamiche mentali più comuni della persona cui si è diagnosticata una malattia terminale. Gli psicoterapeuti lo hanno trovato valido anche quando si debba elaborare un lutto affettivo o ideologico.

Essendo questo un modello a fasi e non a stadi, le fasi possono alternarsi e ripresentarsi più volte, con varia intensità e senza un ordine preciso; le emozioni non seguono regole ma, come si manifestano, così svaniscono, magari miste e sovrapposte:

 

1. Fase della scossa. È lo stato di paralisi o blocco emotivo iniziale quando ci esponiamo per la prima volta alla prospettiva del cambiamento. In questo stato di solito non reagiamo, in modo tale che le altre persone possono pensare che abbiamo accettato volentieri la trasformazione, ma in realtà ciò che accade è che il nostro sistema emotivo si è “congelato”. La nostra mente razionale non ha ancora elaborato il cambiamento e ciò che significa. Nella misura in cui lo assumiamo, possiamo sperimentare una crisi d’ansia o altre reazioni fisiche.

2. Fase della negazione. In questa fase neghiamo il cambiamento, questo implica chiudere gli occhi davanti alla realtà e a qualsiasi prova che la trasformazione è necessaria o sta avvenendo. Normalmente continuiamo con le nostre vite, come se nulla fosse accaduto, con la pretesa ingenua che la necessità di cambiare scompaia. Ciò accade perché, afferrandoci alla routine quotidiana, recuperiamo la sensazione di controllo.

3. Fase dell’ira. Quando non possiamo più negare il cambiamento, la cosa più comune è reagire con rabbia, frustrazione e ira. In questa fase emergono tutti i sentimenti repressi durante le fasi precedenti. Sempre in questa fase di solito ci chiediamo anche “perché mi deve accadere proprio questo?”.

4. Fase della negoziazione. È una fase in cui cercheremo di trovare una via d’uscita, anche se di solito è inutile perché in realtà stiamo ancora resistendo al cambiamento. In questa fase non abbiamo ancora accettato il cambiamento, ma cerchiamo di trovare “il modo” di evitarlo.

5. Fase della depressione. A questo punto finalmente accettiamo che il cambiamento sia inevitabile. Ma non lo accettiamo volentieri, e possiamo reagire deprimendoci o irritandoci.

6. Fase della prova. È una fase in cui la resistenza al cambiamento sta finalmente scomparendo perché ci rendiamo conto che dobbiamo reagire. Allora cominciamo a cercare soluzioni realistiche e nuovi modelli di coping che si adattino alla realtà. In questa fase cominciamo a fare dei piccoli esperimenti che ci avvicinano al cambiamento e ci permettono di osservarlo in una nuova prospettiva.

7. Fase dell’accettazione. È l’ultima fase in cui torniamo a trovare l’equilibrio perso con il cambiamento. Qui troviamo e mettiamo in pratica nuovi modelli di comportamento adattativo che ci aiutano a ricostruire la nostra identità nelle nuove circostanze.

 

 

Ritornando nello specifico alla situazione di resistenza al cambiamento che  mantengono l’individuo intrappolato nel passato, siamo  consapevoli che il cambiamento è l’unica costante della vita. Tuttavia, l’individuo per natura tende al miglioramento, vuole cambiare ma nello stesso tempo non discostarsi troppo dalle proprie abitudini, e continuare a fare le stesse cose. Questa dicotomia genera resistenza, spesso a livello inconscio.

Spesso tutto ciò si verifica quando non comprendiamo che è giunto il momento di cambiare. In alcune circostanze infatti potremmo non avere chiaro il quadro della situazione che necessiterebbe un punto di svolta, soprattutto se ci sentiamo relativamente sicuri e confortevoli nella nostra zona di comfort. Se pensiamo che le cose che abbiamo fatto per tanti anni continueranno a funzionare anche in futuro e non ci sono motivi per cambiare, ci opporremo a qualsiasi trasformazione. Il concetto di cambiamento impone al suo interno la presenza dell’incognita: la diffidenza per quello che non si conosce e l’incertezza che ne deriva, sono tra le ragioni principali per opporre resistenza al cambiamento. Come regola generale, abbiamo sempre bisogno di certezze, e ci lanciamo verso l’ignoto solo se crediamo che ciò che ci attende valga la pena, ma quando non siamo sicuri di cosa troveremo, sarà molto difficile per l’individuo rinunciare alla propria posizione, dove ci sentiamo al sicuro e abbiamo tutto relativamente sotto controllo

Anche le insicurezze di fondo e il timore del fallimento rappresentano altrettanti fattori di resistenza al cambiamento, che poche persone sono solite ammettere. Quando crediamo di non avere le necessarie competenze, le abilità o le forze necessarie per affrontare la trasformazione, non lo riconosciamo, ma reagiamo resistendogli. L’attaccamento alle abitudini può rappresentare un ulteriore ostacolo al superamento della resistenza al cambiamento Se abbiamo fatto le cose sempre in un certo modo, per molto è molto tempo, sarà molto difficile poter cambiare questi modelli. Non si tratta solo di abitudini di comportamento, ma anche modi di relazionarsi e di pensare. Il cambiamento richiede la necessità di abbandonare la strada vecchia e prenderne una nuova, ma il nostro cervello di solito tende sempre ad applicare la legge del minimo sforzo

 

 

Esistono poi altri casi, alcuni al limite, in cui l’individuo esercita una forte resistenza al cambiamento: ad esempio, quando percepiamo che il cambiamento è imposto da qualcuno e noi non abbiamo a disposizione alcuna voce in capitolo o diritto di voto, la prima reazione, com’è naturale che sia, è il rifiuto. La maggior parte delle persone non ama i cambiamenti imposti, quindi se non vengono consultate, la volontà di cambiare sarà minima. In molti altri casi la resistenza al cambiamento è dovuta al fatto che il livello di tolleranza al cambiamento è stato superato (sfinimento psicologico); la persona è stata sottoposta ad un così alto livello di trasformazione che ha sviluppato un rifiuto alle stesse a causa dell’esaurimento e della saturazione. In altri casi il cambiamento rappresenta un punto di rottura con alcune delle nostre credenze, convinzioni oppure opinioni, il che genera una dissonanza cognitiva che non siamo disposti ad assumere.

Ogni cambiamento richiede sempre la mobilitazione di determinate risorse, quindi se non siamo provvisti di sufficiente motivazione, oppure se questa non è una motivazione intrinseca, resisteremo a tale trasformazione. In molti casi la resistenza al cambiamento è causata dal fatto che il cambiamento arriva in un momento particolare della vita: potrebbe essere che la persona stia attraversando una situazione difficile o che abbia altri progetti e non sia disposta ad affrontare ulteriori cambiamenti.

 

Ci sono personalità più disponibili e predisposti al cambiamento mentre altre restano legate a ciò che conoscono. Le personalità con tratti neurotici, con un locus of control interno e una bassa tolleranza all’ambiguità, sono più resistenti al cambiamento. 

 

Optare per il cambiamento non è una scelta casuale o un capriccio. La maggior parte delle volte, quando parliamo di cambiamenti importanti, ci riferiamo ad azioni necessarie, di cui siamo fortemente convinti e che, soprattutto, richiedono coraggio. A volte ci si può trovare in situazioni particolari in cui non restano alternative, non possiamo fare altro cioè che cambiare pelle, estirpare le vecchie radici e cercare altre strade per poter “essere”, per ricominciare e raggiungere nuovamente quell’equilibrio necessario all’individuo. 

 

Winston Churchill diceva: “migliorare significa cambiare ed essere “perfetti” significa avere il coraggio di cambiare spesso”. 

 

Tuttavia, a questa affermazione dovremmo aggiungere una postilla: i cambiamenti sono importanti, purché non ci facciano perdere di vista i nostri valori intrinseci, la nostra essenza. Qualsiasi variazione che compiamo durante il nostro lungo tragitto, dunque, deve avere come fine ultimo avvicinarci un po’ di più alla persona che vogliamo essere davvero.  

 

Ebbene, riuscirci non è né facile né veloce, ma soprattutto spesso non è piacevole, almeno all’inizio. La maggior parte di noi capisce di dover avviare un cambiamento quando accade qualcosa di decisivo nella propria vita. Perdere il lavoro, trovarsi in un vicolo cieco, terminare una relazione affettiva, ricevere una delusione, subire un fallimento... sono tutte cose che risultano come una sorta di invito diretto a portare a termine ciò che spesso riassumiamo con il detto “cambiare o morire”.

Tuttavia, e questo bisogna averlo ben chiaro, prima di ritrovarsi in queste situazioni, che spingono sull’orlo del precipizio, bisognerebbe sviluppare delle strategie relazionate al cambiamento personale, che consentono di cambiare la propria vita al meglio. Se “cambiare” è sinonimo di progresso e di miglioramento, mettiamo in pratica il cambiamento ogni giorno, in maniera continua, integrativa e intelligente.    

 

In tal modo, riusciremo a reagire molto meglio nei confronti di qualsivoglia avvenimento e ci sentiremo molto più forti e coraggiosi per andare avanti. Vediamo dunque alcune strategie per cambiare la propria vita

 
 
 

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                                  i
 
 

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