Creato da scricciolo68lbr il 17/02/2007

Pensieri e parole...

Riflessioni, emozioni, musica, idee e sogni di un internauta alle prese con la vita... Porto con me sempre il mio quaderno degli appunti, mi fermo, scrivo, riprendo il cammino... verso la Luce

 

Messaggi del 28/04/2022

IGNORANZA IMPERA.

Post n°1230 pubblicato il 28 Aprile 2022 da scricciolo68lbr

Internazionali d'Italia, Malagò: "Russi esclusi? Non so cosa accadrà". Seguo il CIO.

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Il presidente del Coni, al termine della Giunta Nazionale al Foro Italico, ha parlato degli atleti provenienti dai paesi coinvolti nel conflitto con l'Ucraina.
Al momento gli atleti russi e bielorussi sono iscritti agli Internazionali d'Italia. Noi non abbiamo nulla contro nessuno, evidenziamo soltanto l'invito rivolto dal Cio alle federazioni internazionali di non far partecipare russi e bielorussi. Del resto la Russia non ha rispettato la tregua olimpica durante Pechino 2022: cosa avrebbe dovuto fare il Comitato olimpico internazionale? E vi sembra giusto che si adeguino tutti tranne il sindacato dei tennisti, per quanto sia nel loro diritto?". Lo ha dichiarato il presidente del Coni Giovanni Malagò al termine della Giunta Nazionale al Foro Italico. "Cosa farebbe cambiare la situazione? O cambiano opinione Atp Wta oppure con una presa di posizione del Governo italiano. Il presidente Draghi ha tante cose alle quali pensare: non so cosa succederà, non mi sento di escludere nulla", ha aggiunto Malagò. "Russi esclusi da Parigi 2024? Non posso dire nulla oggi ma la direzione è quella", ha concluso il presidente del Coni.
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E qui sta tutta l’ignoranza degli italici uomini di governo. Basterebbe riprendere in mano qualche vecchio (o nuovo) libro di storia per riscoprire come le Olimpiadi, così come le conosciamo oggi, hanno delle radici molto più antiche e affascinanti: ad inventarle furono i greci, ben 2700 anni fa.
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È complicato trovare una data precisa per l’inizio di questa manifestazione, perché molte sono le leggende legate ad essa. Le prime competizioni di cui si hanno notizie, sono quelle della civiltà minoica (la popolazione dell’Isola di Creta, a sud della Grecia), dove si organizzavano gare di ‘Taurocatapsia’, ovvero volteggiare con un bastone e fare capriole sopra i tori. Anche in un grande poema come l’Iliade si parla di eventi sportivi, nell’opera di Omero* vengono descritte otto gare, tra cui il tiro con l’arco.
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Il 776 a.C. è probabilmente l’anno della prima Olimpiade riconosciuta da tutti i territori dell’Antica Grecia. A differenza di oggi, nelle Olimpiadi antiche non si sfidavano le diverse nazioni del mondo, ma le gare si svolgevano tra atleti provenienti dalle varie città-stato (città indipendenti da qualsiasi stato) della zona, e le più famose erano Atene, Corinto, Sparta e soprattutto quella ospitante: Olimpia. Queste città-stato erano spesso in guerra tra di loro, ma durante il periodo delle Olimpiadi vivevano un momento di pace. Proprio come ai nostri tempi, la manifestazione si svolgeva ogni quattro anni, la prima gara di cui si ha traccia è lo ‘Stadion’, una corsa di circa 200 metri. Piano piano vennero inserite le altre discipline: il ‘Diaulos’ (corsa di 370 metri), il Dolichos (corsa di 4800 metri), la Lotta libera, il Pentathlon (che comprendeva salto in lungo, tiro del giavellotto, lancio del disco, corsa e lotta), il pugilato, la corsa dei carri, la corsa con le armi e il salto in alto.
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I campioni dell’epoca erano famosi proprio come oggi lo sono quelli attuali, ai vincitori veniva spesso costruita una statua nella loro città. Tra questi ricordiamo Corebo di Edile, che fu il primo campione olimpico (vinse lo Stadion del 776 a.C) e Cinisca, atleta donna che trionfò nella corsa dei carri, unico sport a cui le ragazze potevano partecipare. Nel momento di massimo splendore dell’evento, parteciparono anche atleti dei popoli dei Romani, Fenici e Galli. Purtroppo, nel 393 d.C, l’Imperatore Teodosio I interruppe i giochi per un violento terremoto che aveva colpito Olimpia, ma anche perché molti partecipanti falsavano le gare in cambio di denaro. Fu l’ultima volta prima delle Olimpiadi moderne, che ripartirono solo nel 1896.
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Giochi della I Olimpiade si tennero ad Atene, dal 6 al 15 aprile 1896.

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I Giochi Olimpici moderni nacquero alla fine dell’Ottocento per iniziativa del barone francese Pierre de Coubertin, sull’onda del rinnovato interesse per l’età classica portato dalle straordinarie scoperte archeologiche di quei decenni. Il suo progetto fu presentato a un congresso alla Sorbona, nel giugno del 1984, al termine del quale fu fondato il CIO e fu deciso che la prima sede delle Olimpiadi moderne sarebbe stata Atene. 

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Nonostante le difficoltà nell’organizzazione (anche all’epoca la Grecia era in crisi economica), alle 15.30 del 6 aprile 1986 allo stadio Panathinaiko di Atene il re Giorgio I dichiarò aperte le prime Olimpiadi moderne: 14 le nazioni in gara - Australia, Austria, Bulgaria, Cile, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Italia, Stati Uniti, Svezia, Svizzera e Ungheria - benché con enormi differenze tra una delegazione e l’altra (dai 169 atleti greci all’unico atleta presentato da Australia, Svezia, Cile, Bulgaria e Italia), 9 gli sport in programma (atletica, ciclismo, ginnastica, lotta, nuoto, tennis, tiro, scherma e sollevamento pesi) e nessun partecipante di sesso femminile, in ottemperanza alla tradizione antica e soprattutto alla visione vittoriana del ruolo della donna. 

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Il primo campione olimpico fu James Connolly, che vinse nel salto triplo, gara di apertura dei Giochi: gli americani vinsero ben 11 medaglie d’oro contro le 10 della Grecia, ma l’atleta più premiato fu il tedesco Carl Schuhmann, che vinse tre ori nella ginnastica e uno nella lotta. La gara più memorabile, in ogni caso, fu vinta da un greco: Spiridon Louis, pastore e portatore d’acqua, che trionfò nella maratona, la gara che prendeva il nome dalla leggendaria impresa di Fidippide. Curiosità: si parla di medaglie d’oro, argento e bronzo solo per chiarezza, visto che nella prima edizione dei Giochi moderni i vincitori venivano premiati con una corona di ulivo e una medaglia di argento, i secondi classificati con una medaglia di rame e un ramo d’alloro, mentre addirittura non era previsto alcun premio per i terzi.

 

 
 
 

Analisi spietata della pericolosità della NATO.

Post n°1229 pubblicato il 28 Aprile 2022 da scricciolo68lbr

 

LA NATO È LA DIRETTA RESPONSABILE DI TUTTI I CONFLITTI SCOPPIATI SUL PIANETA TERRA NEGLI ULTIMI TRENT’ANNI.

La guerra civile siriana (in araboالحرب الأهلية السورية‎, al-Ḥarb al-ahliyya al-sūriyya), detta anche rivoluzione siriana (in araboالثورة السورية‎, al-thawra al-sūriyya) o crisi siriana, ha avuto inizio nel 2011 in Siria vedendo contrapposti una coalizione eterogenea di milizie armate definite ribelli dalla stampa occidentale e le forze governative supportanti il governo di Bashar al-Assad.

Pochi anni fa, era il 2019, al culmine della crisi turco-siriana (cioè nel momento dell’invasione dei soldati di Erdogan nel Rojava, col beneplacito occidentale), durante una seguita trasmissione televisiva, un noto politologo ebbe a dire: “La Nato va sciolta in quanto organizzazione obsoleta e inadeguata al presente”. A parlare non era un uomo dell’estrema sinistra ma il prof. Ernesto Galli della Loggia, editorialista del maggior quotidiano della borghesia italiana. Con quell’affermazione, contemporaneamente, l’editorialista diceva una bugia e una verità. C’è del vero a dire che per i cantori della globalizzazione liberista la Nato è strumento da “guerra fredda”, vetusto rispetto alla mobilità di capitali e alla fluidità delle alleanze geopolitiche del presente, ma poi, se si analizza la storia degli ultimi 30 anni almeno, la Nato non solo si è ampliata ma è stata protagonista attiva e criminale di quasi tutti i conflitti esplosi nel pianeta. E proprio in questi giorni, quando oramai i venti di guerra in Ucraina si sono tramutati in conflitto vero e proprio, che potrebbe portare verso scenari estremamente disastrosi, è utile ricostruire il filo di quanto accaduto negli ultimi decenni. Ovviamente con un’avvertenza forse pleonastica: rifiutando ogni logica “campista”, non si vuole con questa ricostruzione affermare che le potenze occidentali alleate nell’Organizzazione si siano scontrate o abbiano aggredito il governo faro del socialismo mondiale. Piuttosto – e questo è innegabile – la politica “guerrafondaia” della Nato ha posto in condizioni di emergenza umanitaria e di dissoluzione statuale, centinaia di milioni di persone.

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È con la dissoluzione dell’Urss e del Patto di Varsavia che per la Nato si sono aperti nuovi e per certi versi imprevedibili scenari. Già nel 1991, con la Prima guerra del Golfo, anche se solo indirettamente, di fatto la Nato ha giocato un ruolo attivo insieme alle forze statunitensi. Dopo l’invasione irachena del Kuwait nell’agosto 1990, il Comando Supremo delle Forze Alleate in Europa (Shape), struttura di comando della Nato, aveva implementato misure precauzionali per garantire la sicurezza dei membri mediterranei dell’alleanza e “prevenire il diffondersi di tensioni e conflitti”. Misure che includevano una maggiore copertura dell’area da parte di velivoli di “allarme rapido” e il dispiegamento di forze navali. Il tutto allo scopo di far fronte, preventivamente, a qualsiasi minaccia alla navigazione nel Mediterraneo, alla fornitura di un supporto logistico e di difesa aerea alla Turchia (Stato membro), al dispiegamento di forze aeree, sempre in Turchia, dal gennaio 1991. Solo una funzione di supporto? Cambia lo scenario e nel 1992 in Bosnia. Prima il supporto alle “missioni di pace Onu”, poi il controllo affinché venissero rispettate le sanzioni, infine un’escalation che portò ad attacchi aerei a vasto raggio senza neanche richiedere il parere dell’Onu. Dopo il massacro di Srebrenica (luglio 1995) e l’attentato del 28 agosto al mercato di Sarajevo, i bombardamenti Nato contro obiettivi serbo-bosniaci, di cui spesso hanno pagato le conseguenze soprattutto i civili, si sono succeduti in maniera incessante. In meno di un mese, con l’operazione Deliberate Force, sono stati effettuati 338 attacchi verso obiettivi individuali. Con gli accordi di novembre di Dayton si è fissata la presenza di 60 mila militari effettivi in Bosnia, parte della “Forza di attuazione”, poi denominata “Forza di stabilizzazione” rimasta presente nella regione fino al 2004. Ma già nel 1999 si apriva un nuovo fronte che ci riguardava molto da vicino. L’operazione di dissoluzione della Jugoslavia che, al di là dei giudizi storici, ha rappresentato per decenni un esempio di convivenza fra popoli diversi, era già iniziata con la dichiarazione di indipendenza della Fuori la Nato dalla storia da www.transform-italia.it - 26 Gennaio 2022 - p. 2 di 3 Slovenia e della Croazia. Il disastro in Bosnia e in Serbia, il terrore della pulizia etnica portato avanti da Milosevic, ma non solo, portò nel 1999 la maggioranza albanese del Kosovo a chiedere l’indipendenza da quanto restava della Federazione jugoslava. Tentativi per un accordo di pace impossibile, veto di Russia e Cina nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, per autorizzare intervento congiunto, permisero alla Nato di intervenire militarmente senza alcuna autorizzazione. Gli aerei Nato, partiti anche dalle basi italiane, portarono alla distruzione di gran parte delle infrastrutture civili e produttive, oltre che sanitarie, in Kosovo come in Serbia (si ricordi il bombardamento di Belgrado durante il governo D’Alema), centinaia di migliaia, soprattutto serbi e rom, furono costretti alla fuga, molti in Europa e sono indimenticabili le scene degli immensi cortei dolenti, fra la neve, di chi cercava salvezza dopo aver ricevuto una missione umanitaria e di pace. Nessuno sconto per i governanti serbi che hanno determinato il tentativo osceno di pulizia etnica, né tantomeno per criminali come Mladic, ma è stata questa la pace della Nato. Ancor oggi il Kosovo è una sorta di protettorato in cui chi non è di origine albanese subisce soprusi, in cui la guerra non è dimenticata e in cui la povertà continua a trionfare. Negli anni successivi si sono utilizzati diversi espedienti per permettere l’utilizzo dell’Alleanza Nord Atlantica, indipendentemente dai trattati internazionali. L’art. 5 del trattato ad esempio, è stato utilizzato, dopo gli attacchi dell’11 settembre, per permettere che in Afghanistan venissero dispiegate truppe della cosiddetta Isaf, a guida Nato. Lo statuto della Nato ha permesso di inviare poi addestratori militari in Iraq, intervento nel contrasto alla pirateria, l’applicazione di una “no fly zone” durante l’attacco alla Libia nel 2011. Attraverso un altro articolo, il 4, si è potuta invocare la consultazione fra i membri dell’Alleanza durante particolari crisi: guerra in Iraq, guerra civile siriana, annessione della Crimea alla Federazione Russa. Quest’ultimo caso ha rafforzato il ruolo aggressivo della Nato. La popolazione della Crimea, in maggior parte russofona, ha chiesto tale annessione. L’organizzazione atlantica, per tutta risposta, ha reagito creando una nuova forza “Punta di diamante”, composta allora da 5.000 soldati, situati nelle basi dei Paesi Baltici, in Polonia, Romania e Bulgaria. E sempre per dare l’idea del proprio approccio, l’Alleanza, nel vertice tenutosi a Cardiff, nel 2014, si è impegnata a spendere l’equivalente di almeno il 2% del prodotto interno lordo per la “difesa” almeno fino al 2024. All’inizio c’è stata refrattarietà a sottostare a tale richiesta, dei 30 Stati membri solo 3 hanno immediatamente risposto positivamente, Nel 2020 si è arrivati a 11. Se si eccettuano gli Usa, negli ultimi 6 anni c’è stata una crescita delle spese militari negli altri Stati membri che ha portato ad una media dell’1,73% del Pil. 29 Stati membri non statunitensi hanno registrato sei anni consecutivi di crescita della spesa per la difesa, portando la loro spesa media all’1,73% del Pil. E mentre ripartiva la corsa agli armamenti la Nato ometteva di condannare le repressioni attuate dalla Turchia nelle zone abitate dalle popolazioni kurde e di altre minoranze, non solo in Turchia ma anche in Siria, ometteva di prender parola in merito all’intervento, sempre turco, nel conflitto in Libia, nella mancata risoluzione di quanto accaduto già negli anni 70 a Cipro. La stessa Nato che partecipa a missioni per “esportare la democrazia” si rifiuta strenuamente anche di discutere il Nuclear Weapon Ban Treaty, l’accordo vincolante per i negoziati che portino all’eliminazione totale delle armi nucleari, promosso dalle Nazioni Unite e firmato da oltre 120 Paesi. Dopo la dissoluzione dell’Urss, la Nato si è espansa soprattutto comprendendo anche i Paesi dell’ex Patto di Varsavia e l’allargamento ad Est è sempre stato una delle questioni che ha più creato Fuori la Nato dalla storia da www.transform-italia.it - 26 Gennaio 2022 - p. 3 di 3 tensioni ai confini europei. Il prossimo Paese che dovrebbe entrare a farne parte è la Bosnia Erzegovina ma nel contempo, l’Alleanza ha realizzato numerosi accordi di partenariato, anche individuali, con singoli Stati, per accrescere la propria sfera di influenza. Ed è in questo quadro che va inquadrata la crisi in Ucraina. Il tema non è solo geopolitico e va guardato con gli strumenti del presente, non del passato. In Ucraina il cuore del problema non è “soltanto” un’area del Paese – peraltro governato dall’estrema destra – che, a maggioranza di lingua russa, rivendica una propria indipendenza e in cui si tenta di attuare una pulizia etnica, il Donbass. L’Ucraina, un tempo “granaio dell’Urss” è oggi fondamentale, dal punto di vista strategico, per il passaggio del gasdotto e del petrolio verso l’UE. Il tentativo che l’atlantismo, a cui richiamano anche le forze sedicenti riformiste in Italia, è quello di spostare non solo i confini della Nato ma quelli dell’Unione e questo non può che produrre tensione. C’è solo da augurarsi che l’Alleanza Nord Atlantica (ma che ormai riguarda anche Paesi che si affacciano su ben altri mari), dopo le scelte a dir poco scellerate, attuate, da ultima quella in Afghanistan, non voglia cercare una sua rivincita ad Est, con tutto quello che ne può derivare. Da ultimo poi, al di là di una posizione etica antimilitarista e contraria alle risoluzioni delle dispute mediante i conflitti, c’è il tema dei costi. L’Italia, che non è il maggior contribuente dell’Alleanza, ha versato alla Nato direttamente quasi 165 milioni di euro, rispetto ai 150 del 2019. Ma all’Alleanza si contribuisce anche potenziando il proprio arsenale militare che, in base al trattato, deve essere considerato a disposizione dei contraenti. Sempre nel 2021, il bilancio delle spese militari italiane complessive ha superato i 25 miliardi di euro, 4 mld in più rispetto al 2019 e questo nonostante la pandemia che sta falciando l’intera società. Miliardi che evidentemente si trovano per continuare a svolgere un ruolo imperialista che, ce ne scusi Galli della Loggia, evidentemente è ben lontano dall’essere superato. A maggior ragione oggi, mentre la destra nazionalista scopre una vocazione europea lanciando slogan del tipo “Fuori la Nato dall’Europa” e mentre si assiste anche ad un ulteriore potenziamento delle basi militari in buona parte del continente, lo slogan da recuperare a sinistra, in un’ottica realmente antimperialista è, forse, “fuori la Nato dalla storia”. 

 
 
 

Enrico Mattei è stato assassinato?

Post n°1228 pubblicato il 28 Aprile 2022 da scricciolo68lbr
 

Storia dell’italiano più odiato dagli americani!

Nascita: 29 aprile 1906, Acqualagna
Morte: 27 ottobre 1962, Bascape'

Quanto più grande è il delitto, tanto più ovvio è il movente, scriveva Sir Arthur Conan Doyle.

Dunque, alla domanda: Perché è stato ucciso Enrico Mattei?
Si risponde: Enrico Mattei è stato ucciso per impedire all’Italia di diventare una potenza internazionale.
Ecco, tutto in una frase. 
Verità storica: Enrico Mattei è stato ammazzato. I dubbi se si fosse trattato di un incidente o attentato sono stati fugati dall’inchiesta condotta dal magistrato Vincenzo Calia dal 1994 al 2003, che ha dimostrato che l’aereo di Enrico Mattei è stato sabotato. Grazie al lavoro di Calia, il sospetto è divenuto verità. Non più ipotesi, immaginazione complottista, gusto per l’intrigo, ma fatto storico oggettivo. Se prima della conclusione dell’inchiesta si poteva ancora dibattere se fosse stato piazzato un ordigno o meno, e se il Morane-Saulnier MS-760 Paris I-SNAP fosse precipitato per un’avaria o per un errore del pilota, ora non si può più. Chi ancora scrive o parla di “tragica fatalità” o di “misterioso incidente” lo fa per ignoranza o malafede. L’instancabile e metodico lavoro di depistaggio e occultamento prove successivo a Bascapè, dà ancora i suoi frutti cattivi a distanza di sessant’anni.
Ipotesi: se sappiamo con certezza che Enrico Mattei è stato vittima di un delitto premeditato, d’altro canto non abbiamo le prove schiaccianti per indicare i colpevoli del complotto. Le indagini e i testi sull’argomento suggeriscono vari nomi, di cui alcuni ritornano in quasi tutte le fonti. Personalmente, in questa mia ricostruzione ibrida tra Storia e narrativa, ne ho individuati alcuni, americani e italiani. La mafia agì solo sullo sfondo, a supporto logistico, perché l’operazione si realizzò in Sicilia, loro dominio. Per certe cose si doveva chiedere il permesso. Non si ha la certezza di questi ed altri nomi, sono solo sospetti, ipotesi di colpevolezza.
Idea di fantasia: qua entra in gioco il romanzo. Se sappiamo per certo che Mattei è stato assassinato e possiamo suppore le identità dei mandanti, non abbiamo la più pallida idea di chi sia stato l’esecutore del piano, colui che con professionalità e abilità ha piazzato l’ordigno di esplosivo al plastico tra i componenti del bireattore presidenziale. Ci sono alcune fonti che parlano di tre uomini senza nome, di cui uno in divisa da carabiniere, che si aggiravano nell’hangar dell’aeroporto di Fontanarossa dove era costudito il jet Morane-Saulnier dell’ENI. Si dice anche della presenza a Catania quel 27 ottobre del boss della mafia italoamericana Carlos Marcello. O anche di un sicario della mala francese assoldato per l’occasione. Ma sono solo voci che non si possono verificare e allora mi sono immaginato il misterioso Joe, killer italiano ex-spia infedele del regime fascista passato dalla parte degli americani per convenienza. Joe, l’assassino materiale del delitto Mattei, alias Oreste Lucciani, alias Umberto Malinberi, è pura invenzione in uno sfondo di ipotesi e verità storiche.
A Londra e Washington si discuteva molto del troppo ambizioso Mattei, del suo progetto visto come un ostacolo allo strapotere delle grandi compagnie petrolifere, le cosiddette Sette Sorelle i cui interessi esteri spesso convergevano con quegli degli Stati Uniti e di Gran Bretagna. Convergenza ovvia, visto che si parla di petrolio, il bene energetico, strategico e vitale, alla base della geopolitica mondiale dalla seconda guerra mondiale in poi. In rete si trova un’eloquente raccolta di documenti del Foreign Office. Sono dispacci britannici riguardanti Enrico Mattei dal 1957 al 1961, raccolti e tradotti dal saggista e esperto di archivi anglosassoni Mario José Cereghino. Quando L’ENI si affacciò all’estero con la sua politica aggressiva che minò il tradizionale e “sacro” principio del fifty-fifty tra paesi possessori di giacimenti petroliferi e le grandi compagnie anglo-americane, gli inglesi ne furono naturalmente irritati. Tra le tante indiscrezioni nei messaggi tra l’ambasciata britannica a Roma e i funzionari d’alto grado del Foreign Office di Londra, riporto a titolo d’esempio: «Mattei punta in alto. A nostro parere, è un manager tosto e un uomo potente nonché pericoloso».

 
 
 

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