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Messaggi del 31/01/2023

L’AUTO ELETTRICA È UN FLOP GIGANTESCO!

Post n°1462 pubblicato il 31 Gennaio 2023 da scricciolo68lbr
 

L’AUTO ELETTRICA RAPPRESENTA IL “TOTEM” DELLA RELIGIONE DEL #CKIMATEEMERGENCY

MA NESSUNO DICE CHE:

PER UNA BATTERIA OCCORRONO:

14 KG. DI LITIO;

28 KG. DI COBALTO;

59 KG DI NICHEL;

41 KG. DI RAME;

86 KG. DI GRAFITE;

226 KG. DI ACCIAIO, ALLUMINIO, MANGANESE PLASTICA ED ALTRI MATERIALI.

INOKTRE COSTANO TANTISSIMO.

SPIEGATEMI COSA C’E DI ECOLOGICO IN UN’AUTO ELETTRICA. INOLTRE IN MOLTI PAESI, PER NON AGGRAVARE I COSTI ED I CONSUMI ENERGETICI, LA PRIMA COSA CHE BLOCCANO SONO LE AUTO ELETTRICHE, CHE HANNO POCA AUTONOMIA E CONSUMANO TANTISSIMO. ALLORA PERCHÉ VOLETE FARVI ANCORA “IMBROGLIARE” FACENDOVI CREDERE SIA UNA TECNOLOGIA INNOVATIVA E VERDE, QUANDO È TUTTO FALSO? 

 

https://twitter.com/fdragoni/status/1566347218528997376?s=20&t=pof8nOKd3npwTeaTEhQGBw

Le auto elettriche registrano un “calo delle vendite” pari al 29,69%, per un totale di 2.278 unità immatricolate; le vendite delle ibride plug-in segnano una diminuzione del 17,09%, per un totale di 2.683 unità immatricolate nel mese. La quota di mercato delle auto alla spina si ferma al 6,93%. (Dati di settembre 2022).

L’auto elettrica non sembra avere un grande successo con gli automobilisti italiani. Rispetto al resto dell’Europa, l’Italia registra una bassa percentuale di auto elettriche immatricolate. Per fare un esempio, ad agosto, nel nostro Paese, sono state immatricolate 4961unità, a fronte delle 28868 della Germania. L’anno scorso, nello stesso mese in Italia, sono state vendute quasi 6500 automobile elettriche. Un calo quindi del 23,39% (Fonte Ansa).

Vero è che in Italia gli incentivi sono partiti tardi. Lo spiega bene Motus E, la prima associazione in Italia costituita per fare sistema e accelerare il cambiamento verso la mobilità elettrica. Ma è altrettanto vero che molti italiani sono molto scettici a riguardo e restii a guardare all’auto elettrica come all’auto ideale del futuro. 

Perchè gli italiani non comprano l’auto elettrica?

Secondo il report di Motus-E, il principale motivo resta il costo. Il sondaggio effettuato su italiani che hanno acquistato un’auto negli ultimi cinque anni, evidenzia che solo il 3% possiede un auto elettrica. 

Considerando che attualmente il costo delle auto elettriche è mediamente il 30% più alto rispetto a quello delle auto tradizionali, se ne deduce che ad oggi la principale barriera o freno all’acquisto di un’auto elettrica è il suo costo iniziale

Estratto dal Report di Motus-E

Un altro fattore è il chilometraggio.

“Rispetto agli altri Paesi presi in considerazione nell’indagine, la domanda di auto elettriche per l’Italia nei primi anni aumenta in modo più moderato. Questo è principalmente dovuto al fatto che l’Italia ha il più basso chilometraggio annuale e, di conseguenza, inferiori costi di esercizio che rendono, almeno inizialmente, meno conveniente passare da una vettura ad alimentazione tradizionale a una elettrica”.

Perchè le auto elettriche costano care?

Le batterie delle auto elettriche sono composte da minerali. E qui si apre un mondo di interessi che riguardano non solo il mercato in generale, ma che portano i costruttori ad ingaggiare una vera e propria corsa all’oro.

Come sempre, dobbiamo fare i conti con la Cina che, con la Russia e il Brasile, detiene la più alta percentuale di giacimenti di terre rare. Per bypassare il monopolio cinese, l’industria estrattattiva di questi minerali indispensabili per la costruzione di batterie, si sta sviluppando ovunque nel mondo, poichè le terre rare sono presenti su tutto il pianeta. 

Il principale obiettivo delle case costruttrici è quello di possedere e mantenere il controllo dei minerali, rendendosi progressivamente indipendenti dai fornitori. Per questo si sono attivate già da tempo in investimenti che comprendono l’attività di estrazione e costruzione di impianti per celle proprio vicino agli stabilimenti di assemblaggio dei veicoli. Ne è un esempio la General Motors che ha investito in Hell’s Kitchen Lithium Power, un progetto di estrazione del litio nell’Imperial Valley, California. Sarebbe la prima casa automobilistica ad avere un approvvigionamento proprio del litio, a differenza di altre Case che hanno invece puntato su investimenti in società minerarie. Il caso GM dimostra quanto sia importante ridurre i costi di produzione attraverso il controllo diretto delle attività estrattive. 

Ma cosa sono le terre rare e quali conseguenze comporta la loro estrazione?

Cosa c’è dietro a una batteria?

Il cuore delle electric cars è la batteria. Come per ogni dispositivo tecnologico è costituita da componenti che a loro volta necessitano di particolari minerali detti terre rare

Le terre rare sono 17 minerali fondamentali per realizzare la tecnologia attuale, dai cellulari ai computer, passando per i televisori di ultima generazione. Non solo: le terre rare sono fondamentali anche per la realizzazione di turbine eoliche, pannelli fotovoltaici e, naturalmente, auto elettriche.

Hanno grandi proprietà magnetiche e conduttive e per questa ragione permettono di realizzare dispositivi sempre più piccoli e maneggevoli. 

Nello specifico sono: cerio (Ce), disprosio (Dy), erbio (Er), europio (Eu), gadolinio (Gd), olmio (Ho), lantanio (La), lutezio (Lu), neodimio ( Nd), praseodimio (Pr), promezio (Pm), samario (Sm), scandio (Sc), terbio (Tb), tulio (Tm), itterbio (Yb) e ittrio (Y).

Se il loro più grande pregio è quello di permettere la realizzazione di tecnologia sempre più smart, la loro estrazione diventa il loro più grande difetto. Le conseguenze dell’attività estrattiva di questi minerali, infatti genera un impatto ambientale devastante.

I danni all’ambiente

Se le auto elettriche, che diventeranno obbligatorie entro il 2030, sono tanto decantate per il loro basso impatto ambientale in fatto di emissioni di gas dannosi, non si può dire altrimenti per la realizzazione delle batterie di cui sono composte.

La loro estrazione e il conseguente raffinamento per trasformarle in materiale di consumo per la costruzione dei componenti tecnologici, prevede una serie di passaggi di lavorazione con acidi e filtri che generano scarti industriali tossici e nocivi. Una tonnellata di metalli di terre rare produce 2000 tonnellate di rifiuti tossici (fonte IREN). Di vitale importanza sarà quindi la ricerca e l’educazione al riciclaggio delle apparecchiature elettroniche. 

Inoltre, l’attività estrattiva produce di fatto il degrado dell’ambiente, l’inquinamento delle acque e del suolo. Senza contare i danni alla flora, alla fauna e alle persone.

Pensate ad un giacimento minerario, per esempio in Congo. Consideriamo già solo l’insediamento umano e cioè la quantità di persone che stazionano stabilmente nell’area. Le abitazioni, i rifiuti prodotti dalle attività quotidiane di vita e la presenza di veicoli e macchinari. Solo considerando ciò, abbiamo già un quadro di come quell’ambiente subisca un’alterazione dell’ecosistema.

Quel perfetto insieme naturale di auto regolamentazione delle risorse terrestri chiamato equilibrio ambientale, completamente alterato.

Ora immaginate questo scenario distribuito un pò ovunque nel mondo, compreso il mondo occidentale. Perchè tale sarà la necessità creata dalla domanda. 

“Entro il 2035 la domanda globale di Terre rare raggiungerà quasi 450.000 tonnellate all’anno, rispetto alle circa 200.000 tonnellate all’anno conteggiate nel 2021: controllarne l’estrazione e modularne la richiesta sarà basilare per il futuro di tutte le economie green”(fonte IREN).

L’auto elettrica, è davvero la soluzione più green?

Tucker Carlson, giornalista di Fox News, ha ripreso un’interessante intervista di Roger McGrath, professore all’ History departmentd ella California State University, concessa alla rivista The Chronicle Magazine. 

 

 
 
 

OMICIDIO DI ENRICO MATTEI

Post n°1461 pubblicato il 31 Gennaio 2023 da scricciolo68lbr
 

La Procura di Pavia, riaprì l’inchiesta a metà degli anni ‘90. il sostituto procuratore di Pavia Vincenzo Calia ha dimostrato che l’esplosione che abbatté il bimotore Morane-Saulnier su cui viaggiavano il presidente dell’ENI, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale fu causata da una bomba collocata nel carrello d’atterraggio del velivolo. Le prove contenute nelle 208 pagine del fascicolo dimostrano anche che l’inchiesta del 1962, presieduta dal generale dell’Aeronautica Ercole Savi, conclusasi dichiarando l’impossibilità di “accertare la causa” del disastro, fu in realtà un mostruoso insabbiamento.

Enrico Mattei fu assassinato, il suo caso insabbiato, e i testimoni messi a tacere. Ma una cosa è certa: l’aereo su cui viaggiava il presidente dell’ENI e che cadde la sera del 27 ottobre 1962 a Bascapé, alle porte di Milano, fu sabotato.

Era un uomo che dava molto fastidio. La strategia di Mattei era volta a spezzare il monopolio delle “sette sorelle”, non soltanto per il tornaconto del nostro ente petrolifero, ma anche per stabilire rapporti nuovi tra i paesi industrializzati e i fornitori di materie prime.
Una strategia semplicemente inaccettabile per le grandi compagnie petrolifere che si spartiscono le ricchezze del mondo.

Dall’inchiesta della Procura di Pavia, riaperta a metà degli anni ‘90, risulta inoltre evidente che l’insabbiamento di quel crimine fu diretto dai vertici dei servizi. Per il sostituto procuratore di Pavia Vincenzo Calia il fondatore dell’ENI fu “inequivocabilmente” vittima di un attentato. Vincenzo Calia giunge vicino alla soluzione del caso e formula l’ipotesi dell’attentato, ma non può provarla. Scrive Calia: “L’esecuzione dell’attentato venne pianificata quando fu certo che Enrico Mattei non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell’ente petrolifero di Stato”. Calia ha dimostrato che l’esplosione che abbatté il bimotore Morane-Saulnier su cui viaggiavano il presidente dell’ENI, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista americano William McHale fu causata da una bomba collocata nel carrello d’atterraggio del velivolo. Le prove contenute nelle 208 pagine del fascicolo dimostrano anche che l’inchiesta del 1962, presieduta dal generale dell’Aeronautica Ercole Savi, conclusasi dichiarando l’impossibilità di “accertare la causa” del disastro, fu in realtà un mostruoso insabbiamento.

Finora davanti alla sbarra è finito soltanto un contadino di Bascapé, Mario Ronchi, accusato di “favoreggiamento personale aggravato”. Secondo l’accusa vide l’aereo di Mattei esplodere in volo, rilasciò alcune interviste in questo senso a diversi organi di stampa e alla Rai e poi… si rimangiò tutto. Chi ha sabotato l’aereo? Chi sono i mandanti? Il pubblico ministero Calia non riesce ad accertarlo, ma è probabile che vi siano responsabilità di uomini inseriti nell’Eni e negli organi di sicurezza dello Stato. E ancora depistaggi, manipolazioni, soppressioni di prove e di documenti, pressioni che impediscono l’accertamento della verità.
Il 27 luglio 1993 dal “pentito” di mafia Gaetano Iannì giungono dichiarazioni importanti.

Secondo Iannì per l’eliminazione di Mattei ci fu un accordo tra non meglio identificati “americani” e Cosa nostra siciliana. A mettere una bomba sull’aereo di Mattei fuono alcuni uomini della famiglia mafiosa capeggiata da Giuseppe Di Cristina. Anche Tommaso Buscetta rivela che la mafia americana chiese a Cosa nostra il favore di eliminare Enrico Mattei “nell’interesse sostanziale delle maggiori compagnie petrolifere americane”. In Italia, poi, Mattei era un finanziatore della politica, nemico dei circoli economici e politici legati ai grandi interessi.
La certezza è che il presidente dell’ENI Enrico Mattei, il più potente manager di stato italiano viene uccisola sera del 27 ottobre 1962 insieme al pilota Irnerio Bertuzzi e al giornalista americano William Mc Hale. Parallelamente all’inchiesta amministrativa condotta dall’Aeronautica Militare, la Procura di Pavia apre un’inchiesta per i reati di omicidio pluriaggravato e disastro aviatorio. L’inchiesta militare si chiude rapidamente, nel marzo 1963, senza avere sostanzialmente accertato la causa dell’incidente; Pavia chiude le indagini penali il 7 febbraio 1966, accogliendo le richieste della procura e pronunciando sentenza “di non luogo a procedere perché i fatti non sussistono”. A ridare fiato alla vicenda sul finire degli anni Settanta sono un libro e un film. Il libro, scritto da Fulvio Bellini e Alessandro Previdi, è intitolato “L’assassinio di Enrico Mattei”. Il film è “Il caso Mattei” di Francesco Rosi.

Contemporaneamente Italo Mattei, fratello di Enrico, chiede che venga istituita una commissione parlamentare di inchiesta. Sono troppi i dubbi sull’incidente e inoltre la scomparsa di Mattei ha fatto comodo a troppe persone, in Italia e all’estero, dal momento che i suoi rapporti con i paesi del terzo mondo produttori di petrolio avevano urtato il cartello petrolifero delle sette sorelle. La riapertura delle indagini viene chiesta anche da una campagna stampa del settimanale “Le ore della settimana” e da una serie di interrogazioni parlamentari. L’interesse attorno alla misteriosa fine del “re del petrolio italiano” riceve nuovo impulso dalle indagini sulla scomparsa del giornalista dell’ “Ora” di Palermo Mauro De Mauro, il 16 settembre 1970. Una delle piste seguita dall’inchiesta sulla fine di De Mauro ipotizza infatti che il giornalista palermitano sia stato sequestrato e ucciso per aver scoperto qualcosa di molto importante circa la morte del presidente dell’E.N.I.: De Mauro aveva infatti ricevuto dal regista Rosi l’incarico di collaborare alla preparazione della sceneggiatura del film “Il caso Mattei”, ricostruendo gli ultimi due giorni di vita trascorsi dal presidente dell’E.N.I. in Sicilia.

L’indagine sulla scomparsa di De Mauro si conclude in un nulla di fatto, nonostante la richiesta di ulteriori investigazioni formulata dal GIP di Palermo ancora nel 1991. Il procedimento viene archiviato il 18 agosto 1992: De Mauro non poteva aver scoperto nulla di particolare intorno alla morte di Enrico Mattei, dal momento che la magistratura di Pavia aveva ritenuto del tutto accidentale la natura del disastro di Bascapè. Il 20 settembre 1994 il gip di Pavia autorizza la riapertura delle indagini nei confronti di ignoti. La riapertura era stata chiesta dalla procura pavese che, per competenza, aveva ricevuto dalla procura di Caltanisetta l’estratto delle dichiarazioni rese da un pentito di mafia. Il 5 novembre 1997 il pubblico ministero di Pavia Vincenzo Calia giunge a questa conclusione: “l’aereo, a bordo del quale viaggiavano Enrico Mattei, William Mc Hale e Inrneio Bertuzzi, venne dolosamente abbattuto nel cielo di Bascapè la sera del 27 ottobre 1962. Il mezzo utilizzato fu una limitata carica esplosiva, probabilmente innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei loro alloggiamenti”. Di più non si riesce a scoprire e le domande rimangono. Enrico Mattei stava per spezzare la morsa costruita attorno a lui dal cartello petrolifero che escluse l’ENI dal mercato petrolifero internazionale, negandogli concessioni nei paesi produttori alla pari con le altre compagnie petrolifere. Mattei allora dichiarò guerra al sistema neocoloniale delle concessioni, offrendo ai paesi produttori un accordo rivoluzionario, il 75% dei profitti contro il 50% finora offerto dalle compagnie, e la qualificazione della forza lavoro locale. Il cartello reagì furiosamente, giungendo a rovesciare governi, come quello libico, che avevano accettato l’offerta e aperto all’ENI prospettive di grandi forniture. Nel 1962, quando si andava prospettando la soluzione della questione algerina, Mattei era riuscito ad aggirare il blocco.

Sostenendo il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), Mattei aveva ipotecato un trattamento preferenziale verso l’ENI dal futuro governo. Si pensava allora che l’Algeria possedesse, al confine con la Libia , le più vaste riserve di petrolio inesplorate del mondo. Parallelamente a Mattei si mosse De Gaulle, che decise di riconoscere l’indipendenza algerina. Come contropartita, la compagnia petrolifera francese ottenne gli stessi privilegi dell’ENI. L’ingresso trionfale dell’ENI sul mercato petrolifero era quindi quasi assicurato.
Non solo, l’Executive Intelligence Review, attraverso una ricostruzione minuziosa del caso Mattei, afferma che il presidente dell’Eni, alla fine, era riuscito ad aprire un dialogo con la Casa Bianca , nonostante la stampa internazionale avesse dipinto Mattei come un pericoloso sovversivo anti-americano. Mattei, per l’Eir, era riuscito a far capire alla nuova amministrazione Kennedy che tutto ciò che desiderava era essere trattato alla pari, che egli non ce l’aveva con l’America ma con i metodi coloniali applicati dalle “sette sorelle” del petrolio. L’amministrazione Kennedy accettò il dialogo e fece pressioni su una compagnia petrolifera, la Exxon , per concedere all’Eni dei diritti di sfruttamento. L’accordo sarebbe stato celebrato con la visita di Mattei a Washington, dove avrebbe incontrato il Presidente Usa e ottenuto il conferimento di una laurea honoris causa da parte di una prestigiosa università statunitense.

Alla vigilia di quel viaggio, il 27 ottobre 1962, Mattei fu assassinato. Un anno dopo, fu ucciso Kennedy. In un rapporto confidenziale del Foreign Office del 19 luglio 1962, si leggeva che “il Matteismo” era “potenzialmente molto pericoloso per tutte le compagnie petrolifere che operano nell’ambito della libera concorrenza (…). Non è un’esagerazione asserire che il successo della politica ‘Matteista’ rappresenta la distruzione del sistema libero petrolifero in tutto il mondo”. E quindi Mattei andava eliminato, in un modo o nell’altro.

Tratto da Rinascita www.rinascita.info

[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=6-CCTtoSE2U[/youtube] [youtube]http://www.youtube.com/watch?v=64tBhi5P6-k[/youtube]

 



 
 
 

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