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Si avvicina il 28 giugno, festa dei gay.

Post n°78 pubblicato il 20 Giugno 2009 da Terpetrus
Foto di Terpetrus

Si avvicina la ricorrenza del cosiddetto Gay Pride, il quale celebra ogni anno l’anniversario della famosa Rivolta di Stonewall, avvenuta a New York nel lontano 28 giugno 1969, praticamente meno di un mese prima che l’uomo arrivasse sulla Luna.

Trovo indicativo e simbolico che la nascita del moderno movimento gay e lesbico, divenuto ora movimento “glbt” (Gay-Lesbico-Bisessuale-Transessuale, per indicare tutte le varie minoranze sessuali che rivendicano la parità di diritti civili e umani), sia nato in concomitanza con la realizzazione di un’impresa ritenuta sempre impossibile ma che è sempre stata uno dei sogni prediletti dell’umanità.

I due eventi, avvenuti assieme, e nell’anno successivo all’ormai dimenticato e vilipeso 1968, sembrano quasi essere il simbolo dell’annuncio di un mondo nuovo, un mondo capovolto dove i sogni più pazzeschi possono diventare realtà.

La vicenda è nota, ma anche no. Cioè, credo che lo sia solo per gli omosessuali non giovanissimi, mentre tutte le altre categorie umane penso che non ne sappiano niente, anche se ormai tutti hanno sentito parlare del Gay Pride, senza neanche sapere cosa significa tale termine, e da dove venga.

Comunque, la Rivolta di Stonewall prende nome da un noto locale gay di New York, dove appunto il 28 giugno 1969 ci fu la solita retata della polizia che avevano voglia di pestare e angariare un po’ di maledetti froci, come era costume abituale allora della polizia non solo americana ma di tutto il mondo (e ancora adesso è così in molti altri paesi).

Ma quella volta i maledetti froci non ci stettero a venire maltrattati. Sembrò incredibile a tutti, dato che notoriamente tutti sapevano che le finocchie, quando vengono giustamente pestate dai “veri maschi”, non si ribellano mai, bensì fuggono urlando, abbandonando i tacchi a spillo e le parrucche lungo la strada, e se vengono beccate si gettano a terra chiedendo pietà e piagnucolando.

Quella volta no. Fecero delle barricate e resistettero alla polizia. E quello fu il giorno che segnò l’inizio del movimento omosessuale propriamente detto.

Certo, esistevano già dei gruppi omosessuali il cui scopo era difendere, almeno ufficialmente, i diritti degli omosessuali. Ma tali movimenti non erano particolarmente contestatori, aggressori e trasgressivi, da quel che ho potuto capire.

Prima di quella data, in tutto il mondo, l’omosessualità era qualcosa che nella migliore delle ipotesi era tollerata quando non si faceva tanto vedere, o non osava dire il proprio nome, come per esempio in Italia, dove di fatto di omosessualità non era neanche consentito parlare, anche se ovviamente veniva praticata largamente e impunemente a tutti i livelli sociali.

Sono passati quarant’anni esatti da quella data. Quest’anno quindi l’anniversario dovrebbe avere una particolare importanza, essendo il quarantesimo. Certo, non in Italia, dove manco ci si ricorda che gli omosessuali esistono, se non per contribuire agli spettacoli televisivi.

In quarant’anni se ne è fatta tanta di strada nel mondo. Ci sono non poche nazioni, perlomeno in Occidente, che hanno promulgato leggi a favore del riconoscimento legale delle coppie omosessuali, in vario grado. In Danimarca, in Svezia, in Olanda, in Inghilterra e in Spagna so che esiste una forma di vero e proprio “matrimonio” gay (anche se questo termine non mi piace e non mi è mai piaciuto), in molti altri esiste comunque una qualche forma di riconoscimento delle coppie omosessuali conviventi

In Italia naturalmente no, e sarà così ancora per molti e molti anni, fino a quando probabilmente anche paesi come il Ghana e il Bangladesh avranno leggi sul riconoscimento legale delle coppie gay.

Ma non è tanto e non solo una questione di stati, per fortuna. Perché ciò che conta veramente non è l’atteggiamento degli stati, ma l’atteggiamento dei popoli, della gente.

In fin dei conti, all’omosessuale importa soprattutto come viene trattato dalla gente che lo circonda, che incontra tutti i giorni, e solo secondariamente come viene trattato dallo stato in cui vive.

Ciò che gli importa è come lo tratta la famiglia, gli amici, i conoscenti, i colleghi, e poi anche la stampa e i mass media, e la cultura contemporanea, e magari anche la religione a cui appartiene, se possiede una religione.

Lo Stato italiano non ha compiuto un solo passo in quarant’anni per il riconoscimento dei diritti degli omosessuali, non uno solo. D’altra parte non ha fatto un passo per moltissime  altre questioni, quindi il problema forse non è l’omofobia, quanto piuttosto la sua colossale inettitudine, che fa sì che l’Italia sia uno degli ultimi paesi al mondo per il modo in cui affronta tanti problemi.

Sapete che l’Italia è al 153° posto per la giustizia e i tribunali? E gli stati del nostro pianeta quanti sono? Duecento al massimo? Beh…. Significa che tre quarti degli stati terrestri sono messi meglio dell’Italia per quanto riguarda i processi e i tribunali! Molti paesi del cosiddetto Terzo Mondo (termine che dovrebbe cadere in disuso, lo ammetto, ma rende ancora bene l’idea) stanno meglio di noi.

Ma se lo stato italiano non ha compiuto un solo passo, lo ha compiuto invece la gente, dato che mi ricordo bene la differenza fra oggi e un tempo, quando ero un ragazzino.

Quando ero ragazzo, il sistema più frequente per insultare e prendere in giro i coetanei, era dirgli “cula”, cioè “culattone” nel più basso dialetto veneto.

Ora, non dico che nessuno dica più “cula”, ma senz’altro c’è molta meno gente che lo dice, anche fra i giovani.

Di omosessualità si può parlare. Non sempre, ma si può. Ci sono ancora persone che scappano, persone che hanno paura a sentirne parlare. Come, per esempio, il collega che è scappato via sentendomi fare una battuta, per paura che mi mettessi a parlare dei fattacci miei in pubblico, proprio qualche giorno fa.

Anzi, a volte mi rendo conto che gli eterosessuali vogliono parlare di omosessualità più di quanto voglio io, perché in effetti io non vorrei parlarne tanto, ma sono i miei colleghi per esempio che mi fanno domande in proposito.

Non pochi arrivano a una forma di morbosa curiosità, che fa capire che in realtà, anche se non lo ammettono forse neanche con se stessi, sono interessati all’esperienza, e vorrebbero provarla, anche se magari sono spaventati dall’idea che gli potrebbe piacere.

In fin dei conti, sono quasi tutti sposati o fidanzati o conviventi.

Se uno invece è single, si può star sicuri che non verrà mai a chiedermi qualcosa. Probabilmente sa già tutto.

La gente è cambiata, e se non fosse così, io probabilmente non potrei tenere questo blog e metterci sopra anche le foto che ci metto, senza doverne pagare le conseguenze.

Forse a tanti gli fa ancora schifo l’idea di due uomini che si baciano, o che sono a letto insieme a fare l’amore (non altrettanto “schifosa” è l’idea, per molti, di due donne che si baciano e che vanno a letto insieme! Anzi!), però alcuni almeno provano ad accettare l’idea, e forse un giorno anche in televisione, fra altri quarant’anni (sì, lo so, sembra ottimistico!) anche la televisione italiana non si scandalizzerà tanto all’idea di mostrare due uomini che si baciano in fascia protetta, oppure mostrare Leonardo o Michelangelo negli sceneggiati per quello che erano: due froci, storicamente accertati!

Ma adesso che arriva questo benedetto Gay Pride al quarantesimo anniversario, a me cosa resta, cosa importa?

Beh, mi accorgo che non me frega un granché.

In fin dei conti, a me è importata sempre e solo una sola cosa: che mi lascino vivere! Stop!

I gay non hanno fatto di pìù per me di quanto abbiano fatto gli eterosessuali. A suo tempo, ho cercato di fare io qualcosa per gli altri omosessuali, ma mi sono accorto che non ne avevo i mezzi.

Devo dire che il movimento gay in Italia, in particolar modo l’Arci Gay, non mi ha mai convinto, e anzi per certi aspetti mi domando se non sia assolutamente inutile, se non addirittura dannoso per i gay, per esempio quando quasi tutti i locali gay, essendo convenzionati Arci, ti costringono a entrare solo dopo averti fornito una tessera che sembra più una schedatura a pagamento, che l’acquisizione di un diritto.

Anche il termine “gay pride” non mi è mai piaciuto. Significa “Orgoglio Omosessuale”, ma io non mi sono mai sentito orgoglioso di esserlo. Certo, all’inizio mi vergognavo, e poi invece, quando ho scoperto di essere felice di esserlo, non mi sono vergognato più.

Ma io non ho mai accettato che qualcuno potesse essere “orgoglioso” di essere omosessuale, dato che non avrebbe senso neanche essere orgogliosi di essere eterosessuali.

È un modo di essere e di vivere, tutto qua. Bisogna essere orgogliosi di quello che si fa, non di quello che si è.

Bisogna essere orgogliosi di come si conduce e si governa la propria vita, non di come essa è.

Quindi più che di “orgoglio omosessuale” bisogna parlare di “dignità omosessuale”, per ricordare che gli omosessuali hanno la loro dignità esattamente come tutte le altre persone. Punto.

Chiamiamolo quindi “Gay Dignity” e non più “Gay Pride”.

Il mondo cresce e va avanti, è ora che anche noi omosessuali andiamo avanti. Ok?

 

 
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