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Il mito della Genesi: quinta parte

Post n°217 pubblicato il 07 Marzo 2010 da Terpetrus
Foto di Terpetrus

Riprendendo dal post precedente, parlo dei collegamenti mesopotamici con il mito della Genesi.
Abbiamo già detto che la prima redazione della Genesi risale al V-VI secolo a. C., risalente al ritorno degli Ebrei in Palestina da Babilonia.
Prima la Bibbia non c’era, anche se penso che non si può escludere la possibilità dell’esistenza di testi scritti. La dottrina ebraica si trasmetteva oralmente.
Poi si deve essere formato un contrasto fra la cultura degli Ebrei deportati, che avevano assorbito la cultura di una civiltà senz’altro molto più evoluta e sofisticata, e gli Ebrei che invece erano rimasti in Palestina, sottoposti alle influenze di altre culture limitrofe, come quella dei Fenici, o degli Egiziani.
Dunque quella è l’epoca in cui ha cominciato a formarsi la religione ebraica come la conosciamo, mentre prima, mancando i testi scritti, si possono solo fare delle ipotesi.
La tradizione della settimana deve probabilmente essersi introdotta con il ritorno dei deportati.
Essa è stata inventata dai mesopotamici, e si riferisce a una forma di astrologia, per cui ogni giorno della settimana è sotto il dominio di uno dei sette pianeti del firmamento: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno. Ancora adesso i nomi della settimana, anche in italiano, dimostrano questa provenienza.
Ma cos’altro possono aver portato gli Ebrei da Babilonia e dal suo vasto impero? Forse anche il mito del giardino dell’Eden?
Come ho già detto, anche i Sumeri avevano un giardino dell’Eden nella loro mitologia: un luogo splendido in riva al mare, un’isola verde e ubertosa, ricca di alberi da frutto, dove aveva avuto inizio la Creazione, e che aveva avuto per protagonisti due divinità sumere particolarmente importanti: Ninhursag, Dea della Terra, ed Enki, Dio dell’Abisso di acque sotterranee da cui scaturiscono i fiumi. Ninhursag era stata la Dea che aveva creato gli uomini, evidentemente traendoli dalla sua stessa sostanza: la terra.
Quel luogo si chiamava Dilmun, ma non era un luogo immaginario: aveva una collocazione geografica ben precisa: il Barhein, nel Golfo Persico.
In quel luogo, alle più lontane origini della civiltà dei Sumeri, era sorta una civiltà con essa imparentata. Essa era un luogo di commercio e di scambio, poiché faceva da porto di scambio fra le città-stato sumeriche, e la misteriosa civiltà dell’Indo, che aveva indubbi legami con la prima.
Ora la zona è un deserto, ma in quel tempo remoto, più di cinquemila anni fa, gli abitanti di Dilmun, il vero Eden, avevano avuto contatti commerciali, ancora prima che con le città-stato di Sumer, con la cultura neolitica di Al-Obeid, che l’ha preceduta.
La cultura di Al-Obeid, più primitiva, ci ha lasciato molti reperti, fra cui alcune stranissime statuette di esseri umanoidi con la testa di serpente, o perlomeno di rettile.
Non è dato sapere chi fossero queste divinità “ofidocefale”, ma esse vengono rappresentate come esseri che camminano sulle due gambe, e che si immagina che parlino e che si comportino esattamente come esseri umani, dato anche che una di loro è una donna che tiene in braccio un bambino.
In seguito, pare che Al-Obeid decadde e scomparve a causa di una grande alluvione, forse quella che viene tramandata come il Diluvio. Dalle sue ceneri nacque, sembra, la civiltà di Sumer, con le sue città-stato.
La leggenda riferita da Berosso parla della fondazione di Sumer da parte di un essere umanoide “metà uomo e metà pesce”, anfibio ed ermafrodito, che doveva tornare nell’acqua a ogni tramonto per non morire. Si chiamava Oannes, e pare che debba essere identificato con Enki, Dio della Sapienza. Di fatto, secondo la leggenda Oannes era stato portatore di civiltà presso i Sumeri, ed era legato all'acqua. La somiglianza è evidente.
A Dilmun invece la prosperità proseguì senza interruzioni fino a quando la caduta della civiltà dell’Indo rovinò gli affari dell’isola, e piano piano, anche a causa del cambiamento del clima, essa fu progressivamente abbandonata, man mano che diventava sempre più arida.
Ma in quel luogo c’era un importante santuario di Enki, ancora e sempre lui, considerato là il Dio principale.
Era davvero lui il serpente dell’Eden? Sembra di sì, dato che pare che fece molto arrabbiare la Dea della Terra, creatrice degli uomini, nel giardino di Dilmun, commettendo una grave trasgressione, per essere poi condannato a subire grandi sofferenze. Pare anche che avesse rapporti incestuosi con le figlie. Si noti che il serpente è anche un simbolo fallico, e il suo culto è associato a culti di fecondità, culti sessuali.
Culti che sicuramente non potevano piacere agli Ebrei. Se poi consideriamo che la religione sumerica prevedeva la presenza di sacerdotesse-prostitute, cioè della prostituzione sacra, allora si capisce ancora meglio perché gli Ebrei dovevano provare non molta simpatia per Enki, ed identificarlo con il serpente “ingannatore”.
Purtroppo non ho particolari della leggenda più dettagliati, né della civiltà di Dilmun.
Ma a questo punto viene da chiedersi: non è forse vero che a questo punto il serpente dell’Eden, anziché essere un nemico dell’uomo, assomiglia molto al povero Prometeo, l’unico Titano buono, che per amore degli uomini gli regalò il fuoco, dando inizio alla civiltà, e per questo fu punito da Zeus, il Dio Supremo?
Dovremmo forse leggere il libro della Genesi non dico in senso completamente rovesciato, ma senz’altro obliquo, o ambiguo?
È possibile inoltre che gli autori ebraici che redassero per la prima volta la Genesi, avessero voluto, come dire, mettere in guardia, o presentare negativamente, un culto che sentivano come rivale, e che avevano conosciuto bene durante il loro lungo soggiorno a Babilonia?
Un Dio della saggezza e della conoscenza che aveva per simbolo il serpente, un Dio astuto e seduttore, che esercitava un notevole carisma sulle folle? Il culto di Enki o Ea, beninteso. O di Oannes, che forse era la stessa cosa.
Perlomeno, penso che non lo si possa escludere.
Dunque, abbiamo visto nel precedente post, che il significato del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male è la spiegazione del semplice fatto che gli uomini sono gli unici esseri sulla Terra simili agli Dei, per il fatto di poter distinguere il bene dal male, il buono dal cattivo.
Sono in grado di fare cioè delle scelte e di essere responsabili.
Le Chiese Cristiane hanno cercato di dare spiegazioni arrampicate sugli specchi, per giustificare Dio e per non far pensare la cosa più immediata e semplice: che l’uomo e la donna, mangiando del frutto, non hanno perso qualcosa, bensì l’hanno guadagnato.
Una delle spiegazioni che ho trovato, era che in realtà la “conoscenza del bene e del male” andava intesa nel senso di “decidere da soli cosa è bene e cosa è male, senza preoccuparsi dei comandamenti di Dio”.
La scacciata dall’Eden, poi, sarebbe stata una metafora per indicare la perdita delle facoltà spirituali di cui erano portatori, e che rendevano i progenitori “senza peccato”.
Ma così non è, perché in nessun punto della Genesi si dice che Adamo ed Eva erano diventati “peccatori”, bensì si dice che “gli si aprirono gli occhi” e che “erano simili a Dio”. L’esatto opposto della perdita di una facoltà.
Ciò che hanno perso, l’hanno perso solo perché poi Dio li ha maledetti per sempre, lui, la donna e il serpente. Hanno perso una cuccia confortevole, non l’anima. Anzi, si può dire che in un certo senso, secondo il senso di “anima” del tempo, essi l’hanno finalmente trovata mentre Dio non voleva questo.
E non ha dato a nessuno di loro tre una possibilità di redenzione, né a loro, né ai loro discendenti. Non c’è nessuna promessa di una salvezza messianica, nessuna speranza di una vita ultraterrena. C’è solo una vita di fatica e dolori che si conclude nel nulla della morte, e tutto perché l’uomo e la donna non hanno voluto rimanere nella loro condizione di servi.
Dio li ha scacciati non perché erano “peccatori”, ma perché non gli servivano più, anzi, erano diventati una minaccia, perché l’uomo era diventato “uno di loro”, per la conoscenza del bene e del male.
Il Signore Dio doveva scacciare Adamo ed Eva dall’Eden, altrimenti avrebbero continuato a mangiare dell’albero della vita, e oltre che intelligenti come “Loro”, sarebbero diventati anche immortali come “Loro”. Loro chi?
Ritorna la questione del plurale: si è detto che il plurale “Elohim” nella Bibbia è molto vago, e si riferisce a un plurale di indefinibilità. Credo che si intenda qualcosa che corrisponda in certo modo all’italiano ai termini astratti e generici, cioè in questo caso significherebbe “la Divinità” anziché “gli Dei”, un termine ambiguo che in italiano può essere usato per riferirsi sia al singolare che al plurale. “la Divinità” può essere inteso sia come “Dio” o anche come “gli Dei”.
Certo, questo può valere quando il plurale è riferito in terza persona…. Ma quando è riferito in prima persona, e indica chiaramente un gruppo di persone?
Il Signore Dio l’ha detto chiaramente “ora l’uomo è come uno di noi per la conoscenza del bene e del male, che non stenda la mano sull’albero della vita e viva per sempre”.
Innanzitutto, attesta che il serpente aveva detto la verità, e lui aveva mentito, e poi fa capire che non c’è solo lui, ma che ci sono altri come lui.
Nel Medio Oriente esistono diversi miti di uomini che rischiano di diventare simili agli Dei, carpendo poteri e conoscenze, e perciò vengono puniti.
Gli Dei sumerici e mesopotamici sono gelosi del loro potere, tengono per sé il segreto della vita, e non lo vogliono condividere con gli uomini, i quali sono destinati a scendere poi nel regno dei morti, il quale viene generalmente dipinto a tinte fosche. Gli Ebrei condividevano all’inizio la stessa concezione dell’aldilà.
Quando Dio maledice l’uomo e la donna, dice alla donna che “moltiplicherà le sue gravidanze e partorirà figli con dolore”, ma dalle sue parole sembra che prima non fosse neanche previsto che dovesse avere figli. Infatti, solo dopo aver mangiato del frutto proibito, suo marito la chiama Eva, perché diventerà la madre dei viventi.
Non c’è dunque neanche l’assicurazione che Adamo ed Eva avrebbero avuto dei figli, nell’Eden, perché quando Dio crea la donna, non dice ai due: “crescete e moltiplicatevi”, come invece ha detto nel primo capitolo.
Qui invece la riproduzione sembra una maledizione, dovuta anche al fatto che l’uomo e la donna non possono più mangiare del frutto della vita come facevano prima, e quindi dovendo invecchiare e morire, devono procurarsi numerosi eredi.
Questo per far capire di nuovo quante contraddizioni, quante ambiguità ha il testo della Genesi.
Eppure di una cosa possiamo essere certi: che quello che vi è narrato non ha nulla a che fare con la teologia cristiana, e il voler giustificare i dogmi delle Chiese cristiane con l’interpretazione della Genesi, è un’operazione indebita e improponibile, in quanto la Genesi c’entra con il Dio cristiano tanto quanto il Budda c’entra con gli Dei dell’Olimpo.
La dottrina del “peccato originale” dimostra l’utilizzo improprio della Genesi da parte del Cristianesimo, e il fondamento stesso della teologia del Cristo, così come viene interpretata dalle Chiese tradizionali.
Tale dottrina è stata introdotta da San Paolo, il vero iniziatore della dottrina cristiana, quello che più ha influenzato, fra i vari apostoli, la formazione della dottrina cristiana.
San Paolo diceva che, come il peccato era entrato nel mondo per colpa di un solo uomo, cioè Adamo (le donne non le considerava per niente, manco si ricorda che è stata Eva la prima a mangiare il frutto proibito), così la redenzione dal peccato era avvenuta per causa di un solo uomo, Cristo.
Ma la teologia ebraica non ha mai detto che esiste qualcosa che si chiama “peccato originale”, e nemmeno i musulmani, perché entrambe le religioni, che non considerano Cristo il Figlio di Dio, dicono che, anche se il mangiare del frutto proibito fu un peccato, non per questo i loro figli e discendenti erano segnati da tale peccato, nascendo anch’essi “senza peccato” come erano nati Adamo ed Eva.
In pratica, ognuno ha i suoi peccati, e ne subisce le conseguenze, ma nessuno ha i peccati dei progenitori, né ne deve seguire le conseguenze.
Perché allora le Chiese Cristiane, solo loro, sono così tenacemente legate a questa dottrina?
Perché se la abbandonassero, sarebbero costrette ad abbandonare anche l’idea della redenzione universale del Cristo.
Cristo diventerebbe un profeta come gli altri, anche se più importante. Il suo sacrificio non sarebbe servito a redimere i peccati del mondo, cioè dei figli di Adamo ed Eva, e tutta la teologia cristiana dovrebbe essere riveduta.
Per questo le Chiese, in particolar modo la Chiesa Cattolica, tenacemente legata alla sua storia dottrinale, non potrebbe mai accettare di leggere la Genesi semplicemente come un mito antico che non ha niente da dire, dal punto di vista religioso, ai cristiani di oggi.
E probabilmente anche a nessun altro.
Il Dio della Genesi, o forse gli Dei, dato che più di una volta abbiamo la sensazione di trovarci a un gruppo di persone, e non a una sola, non ha niente a che vedere con le concezioni di Dio del nostro tempo.
È un Dio egoista e geloso, che non appena si rende conto di non poter utilizzare il proprio servo, lo scaccia dal giardino, nel mondo brullo e ostile di fuori, a cavarsela da solo.
E tutto appare così misterioso, così ambiguo e irrisolto….
Per impedire che Adamo e la sua stirpe rientrino in qualche modo nel suo preziosissimo giardino, Dio pone dei Cherubini a guardia dell’accesso al giardino, “ad oriente”.
Era forse a loro che si rivolgeva quando diceva: “ecco, ora l’uomo è diventato come uno di noi, dobbiamo impedirgli di diventare anche immortale”?
Cosa sono i Cherubini? Secondo la tradizione, essi paiono essere gli Angeli più potenti, più vicini a Dio. Quelli che stanno accanto al suo trono.
Il loro aspetto è spaventoso: hanno quattro ali e quattro volti: uno di uomo, uno di aquila, uno di toro e uno di leone.
Sul loro modello sono stati rappresentati i Quattro Viventi che governano il mondo, e che stanno subito sotto Dio nella gerarchia celeste, o almeno così sembra nelle pagine dell’Apocalisse. Essi sono appunto un leone, un toro, un’aquila e un uomo.
Sul significato di tali immagini ci sono diverse teorie.
E cosa è la “spada infuocata” che loro usano per impedire a chiunque di entrare e ottenere il segreto dell’immortalità?
Comunque, della loro nascita, della loro origine non si dice nulla nella Genesi.
La storia di Lucifero e della sua battaglia nei cieli è nata molto tempo dopo, da tradizioni probabilmente diverse, probabilmente legate anche alla religione zoroastriana.
Lucifero poi è un nome di origine latina.
Gli Angeli dunque restano un’incognita. Forse potrebbero essere stati originariamente gli Elohim compagni di Jahweh, ma immagino che molti respingerebbero questa tesi.
Mi accorgo che anche qui ho tirato in lungo, e non sono stato capace di finire tutto il discorso.
Diciamo però che il “grosso” l’ho elaborato a sufficienza.
Per concludere quindi posso dire che la Genesi va vista appunto non come un testo che possa essere ancora attuale e valido, e nemmeno come una serie di assurde favole, quanto piuttosto come il prodotto di una mitologia antica che ancora non era riuscita a raggiungere una idea di Dio sufficientemente coerente (non che oggi ci siamo riusciti, beninteso).
E che la Genesi va letta in modo molto diverso da come siamo abituati a leggerla, e che vi possiamo trovare particolari misteriosi e ambigui, ma questo non ci dà il diritto di immaginare dietro le parole qualsiasi strampalata dottrina, trovando collegamenti che non esistono con cose assolutamente estranee ad essa.
Ho fatto notare come effettivamente la figura del serpente sia molto misteriosa, e va vista attraverso una comparazione di miti molto vasta. Ma come vedete, sono stato molto cauto. Non mi sono lasciato andare ad audaci ed estrapolate teorie alla Sitchin, per intenderci. Anche se devo dire che Sitchin mi ha suggerito molti spunti, che però ho preso appunto con molta cautela.
Deve rimanere fermo lo studio delle epoche remote a cui tali testi appartengono, uno studio scientifico.
Chi ha orecchie da intendere, intenda.

 
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