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Un blog creato da Truman_2000 il 22/06/2008

The Truman Show

La mia vita è un "Truman Show", ma al rovescio: vivo in un mondo tutto mio, illudendomi di essere il protagonista della storia!

 
 

VORREI AVERLA DETTA IO

“Ogni stroncatura è

soltanto un atto d'amore

nei confronti del cinema!

- Alessio Guzzano -

 

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In morte di Francesco Cossiga

Post n°175 pubblicato il 26 Agosto 2010 da Truman_2000
 

"Ai funerali saranno presenti numerosi esponenti delle forze dell’ordine. Vestiti da parenti"

http://www.spinoza.it/2010/celere-alla-celere

 
 
 

"Chopin"

Post n°174 pubblicato il 11 Agosto 2010 da Truman_2000
 

Me le ricordo. Sì, anch’io me le ricordo bene tutte le volte che ci siamo visti, e non solo perché sono state soltanto tre.

La prima volta, quando ci siamo conosciuti, mi hai sorpreso: frastornato dalla tua “freschezza” e dalla tua infantile leggerezza, ho pensato che non potevi andare bene per me, perché avresti messo irrimediabilmente in crisi le mie piccole certezze e la mia vita tranquilla.
La seconda volta, mi hai emozionato: ho avuto la sensazione di conoscerti nella tua disarmante semplicità e, se chiudo gli occhi, mi sembra ancora di vederti in quella sera autunnale, mentre te ne torni da sola, verso l'albergo, con la tua cena infilata in un sacchetto. Ti fermi a parlare con me, davanti al cancello, per farmi compagnia, in attesa che i miei amici passino a prendermi e l'unica cosa 'intelligente' che mi viene da pensare, ma che non ho il coraggio di dire - mentre parliamo delle tue amiche che ti aspettano a Milano, dei tuoi impegni futuri di studio e delle mie 'interessanti prospettive per il futuro' - è che preferirei prolungare quei minuti e dividere con te quel panino ormai freddo e immangiabile, se solo potessimo rimanere a parlare ancora così.
La terza volta, mi hai conquistato: ho capito che mi avresti sconvolto la vita, ma che la cosa non mi sarebbe affatto dispiaciuta. E mi hai fatto capire che, nonostante ti piaccia apparire immatura e distratta, avresti potuto prenderti cura di me, molto più di quanto io non avrei potuto prendermi cura di te!

Potrei raccontare mille piccoli particolari di queste 'tre volte', mettere in fila i tanti ricordi che abitano ormai dentro di me e che lì resteranno, qualunque cosa succederà: ne verrebbe fuori un libro di mille pagine. Ma non lo faccio, perché quel libro voglio scriverlo soltanto per me e preferisco sfogliarlo da solo.

 

Vorrei che ti vedessi, come ti vedo io:
intrigante e sensuale come una principessa d’Oriente,
intelligente ed ironica

semplice e complicata
elegante come un gatto

sfuggente come una biscia.

Mi piaci quando dici di voler sfidare il mondo,
confidando soltanto sulle tue forze
(io non ho il tuo coraggio, né la tua incoscienza).
E sei adorabile quando cerchi di nascondere
agli altri ed a te stessa
la paura di apparire fragile.

Vorrei che tutti i tuoi sorrisi li riservassi a me,
perché sei terribilmente bella quando sorridi.
Ma sarei pronto a scommettere
che sei altrettanto bella anche quando piangi!

Una volta, sono riuscito a farti ridere
(sono bravo in questo, almeno in questo!)
e mi è rimasto, indelebile, il ricordo delle tue labbra
dolci e invitanti, leggermente socchiuse,
porte misteriose per sconosciuti universi.
E la luce dei tuoi occhi si è impressa, ardente, nella mia memoria
come il colore del grano.

Mi piacerebbe che di me tu fossi gelosa
come lo sono io, di te

o anche la metà:
saresti irresistibile, se mi rimproverassi
cercando di non ridere

per ciò che non ho fatto.
E se poi, litigando, mi tenessi il muso
fiera e dispettosa come una scimmia

ci basterebbe uno sguardo

per tornare a fare pace.


Vorrei che entrassi nella mia vita banale e prevedibile
e che la sconvolgessi,
allo stesso modo in cui sei entrata nei miei sogni
e hai turbato le mie notti:
la tua follia infantile metterebbe in crisi il mio equilibrio apparente,
come un improvviso colpo di vento
che soffiasse tra i miei fogli ordinati.

Sei il caos e la tempesta,
la mia salvezza e il mio rifugio;
sei un raggio di sole
in una mattina d’inverno,
la primavera che tarda ad arrivare:
tutto quello che voglio e che ho sempre desiderato,
tutto quello che mi manca e che cercavo da tempo.

Vorrei che mi vedessi,
come ti vedo io:
con gli occhi di un bambino
che intuisce, senza capire,
perché tutto debba essere sempre così difficile!

Vorrei che mi vedessi,
come non sono,
ma avrei voluto essere.


No, non mi illudo.
Queste parole non ti faranno innamorare di me.
Continuerò ad essere, per te,
ciò che, purtroppo, sono sempre stato:
un amico, forse, e magari un confidente.
Ma va bene così,
accetto di buon grado ciò che non posso cambiare:
anche così è stato bello il nostro breve viaggio!

 
 
 

"Happy family"

Post n°173 pubblicato il 10 Agosto 2010 da Truman_2000
 

Regia: Gabriele Salvatores
Con: Fabio De Luigi, Diego Abatantuono, Fabrizio Bentivoglio, Margherita Buy, Carla Signoris, Valeria Bilillo - Commedia - Italia (2010)

Otto personaggi in cerca d’autore lo trovano, loro malgrado, nel timido e strampalato Ezio (“cucito su misura” su Fabio De Luigi) che diventa “personaggio”, a sua volta, per dare vita al racconto: un film dedicato a chi ha paura.
Nubendi precoci precocemente si lasciano (non prima, tuttavia, che i consuoceri - diversissimi tra di loro - possano stringere amicizia); e, per un amore che finisce, un altro sboccia (e non ci riferiamo solo a quello tra i due cani…). La vecchia suocera – rincoglionita, ma indistruttibile - si ripropone, di continuo, con i suoi tagliolini gamberetti e funghi, in attesa di cimentarsi con i dolci (capresi?).
Domina la scena uno splendido Diego Abatantuono: senza dubbio, il personaggio più divertente (ci dispiace per Carla Signoris ma, per fortuna, anche qui “ha sposato un deficiente”). Margherita Buy, sempre ansiosa ed ansiogena, si accompagna ad un compassato Bentivoglio, ancora non trapassato. Cameo per una autoironica Sandra Milo. E, sopra ogni cosa, le note di Chopin e la “magia” di Simon & Garfunkel.
Divertente e leggero. Consigliato a tutti, ma soprattutto al mio amico Morkdel (sebbene non mi legga più)!

 
 
 

Le felicità intraviste

Post n°172 pubblicato il 10 Luglio 2010 da Truman_2000
 

L'altro giorno, ero alla stazione della metropolitana: mi sono accorto di lei soltanto quando è arrivato il treno, giusto il tempo di sperare che salissimo sullo stesso scompartimento.
Mi sono avviato verso quattro sediolini vuoti, ostentando nonchalance, ma il cuore ha cominciato a battermi più forte, quando ho visto con la coda dell'occhio che era ancora dietro di me: mi sono seduto nella direzione di marcia e lei, dopo un attimo di esitazione nel quale ha preso in considerazione l'opportunità di occupare uno dei due posti rimasti liberi di fronte a me, mi si è seduta accanto.
Fingendo di guardare qualcosa fuori del finestrino, l'ho contemplata a lungo: minuta, bruna, con i capelli mossi; una lunga ciocca le incorniciava l'orecchio, un'altra le scendeva ribelle sulla fronte. Ho ammirato il taglio degli occhi, le labbra, le dita perfette e ben curate. E, per un attimo, ho dovuto vincere la tentazione di prenderle una mano per baciargliela.
Non so se ha sentito il mio sguardo su di sè, fatto sta che - per tutto il viaggio - è rimasta a fissare il finestrino, salvo quando ha risposto, seccata, al cellulare: "Ti ho detto che sto arrivando, dammi il tempo!".
In quel momento, ho fatto finta di immergermi nel libro che avevo tra le mani ma, pensando a qualcosa di memorabile da dire, non sono riuscito a prestare alcuna attenzione alle parole scritte che mi scorrevano davanti agli occhi. Poi, per attirare la sua attenzione e sentire di nuovo il suono della sua voce, fingendo di non aver mai preso quel treno, le ho chiesto se andasse bene per la fermata alla quale dovevo scendere. Mi ha risposto di sì, quasi sovrappensiero, senza nemmeno girarsi dalla mia parte. E senza distogliere lo sguardo dal finestrino, neppure per un attimo.
E allora ho capito. E ho desistito dall'infastidirla ulteriormente.
Ma, lo confesso, non ho potuto fare a meno di fantasticare su come sarebbe stato, se soltanto mi avesse sorriso, se solo fossi riuscito a coinvolgerla...

Quando il treno è arrivato alla mia stazione - mai così veloce! - mi sono alzato in silenzio e, senza dire una parola, sono sceso dallo scompartimento, come se nulla fosse. L'ho rivista dalla banchina, per l'ultima volta, attraverso il finestrino del corridoio: il suo sguardo, assorto, era ancora rivolto dall'altra parte. Dopodichè, ho cercato di rientrare di nuovo nella mia vita.

 

"Io dedico questa canzone
ad ogni donna pensata come amore
in un attimo di libertà
a quella conosciuta appena
non c'era tempo e valeva la pena
di perderci un secolo in più.

A quella quasi da immaginare
tanto di fretta l'hai vista passare
dal balcone a un segreto più in là
e ti piace ricordarne il sorriso
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
in un vuoto di felicità.


Alla compagna di viaggio
i suoi occhi il più bel paesaggio
fan sembrare più corto il cammino
e magari sei l'unico a capirla
e la fai scendere senza seguirla
senza averle sfiorato la mano.


A quelle che sono già prese
e che vivendo delle ore deluse

con un uomo ormai troppo cambiato
ti hanno lasciato, inutile pazzia,
vedere il fondo della malinconia
di un avvenire disperato.

Immagini care per qualche istante
sarete presto una folla distante
scavalcate da un ricordo più vicino
per poco che la felicità ritorni
è molto raro che ci si ricordi
degli episodi del cammino.

Ma se la vita smette di aiutarti
è più difficile dimenticarti
di quelle felicità intraviste
dei baci che non si è osato dare
delle occasioni lasciate ad aspettare
degli occhi mai più rivisti.


Allora nei momenti di solitudine
quando il rimpianto diventa abitudine,
una maniera di viversi insieme,
si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti a trattenere".


Domanda: ma capita solo a me di percepire, così nettamente e senza alcun valido motivo, che delle perfette estranee - incontrate per caso e destinate a non essere mai più riviste - possano essere quella persona che mi piacerebbe finalmente incontrare?

 
 
 

"Il segreto dei suoi occhi"

Post n°171 pubblicato il 10 Luglio 2010 da Truman_2000
 

Regia: Juan José Campanella
Con: Ricardo Darín, Soledad Villamil, Javier Godino, Pablo Rago, Guillermo Francella

Drammatico (Argentina/Spagna) - 2009

A venticinque anni di distanza, Benjamìn Espòsito (Ricardo Darìn), poliziotto ormai in pensione, ripensa all’omicidio della bella Liliana Coloto, barbaramente stuprata dal suo assassino, cercando di scriverne un romanzo. Le indagini lo portarono presto (forse, anche troppo…) all’individuazione del colpevole: dopo una frettolosa (e inspiegabile) archiviazione del caso, arrivò la condanna; ma non la pena: delitto senza castigo, con quel che ne consegue.

E’ un film sull’amore e sul dolore, sul tempo e sulla prigione: il tempo che il vedovo trascorre alla stazione, aspettando di imbattersi nell’assassino, e quello che il poliziotto cerca di “recuperare” alla fine della sua carriera; la prigione in cui la persona offesa viene reclusa per sempre, e quella in cui il colpevole soggiorna troppo poco, per colpa di uno Stato che non sa rendere giustizia: “lei aveva detto ergastolo…”. E, su tutto, l’idea che l’amore sia uno ed uno soltanto, come la vita, che – da sola – basta appena ad espiare il male commesso.

Bella la fotografia, buoni i dialoghi e la sceneggiatura (anche se, a volte, c’è qualcosa che stona: l’assassino beccato in uno stadio gremito e la rincorsa melodrammatica del treno…). Il finale è assolutamente perfetto, nella sua tragicità. Quali personaggi restano nella memoria, mentre scorrono i titoli di coda? A costo di andare controcorrente: Morales e Sandoval battono il poliziotto e la “giudicessa” 4 a zero! Da vedere.

 
 
 

"Shutter island"

Post n°170 pubblicato il 10 Maggio 2010 da Truman_2000
 

Regia di Martin Scorsese

Con Leonardo Di Caprio, Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Max von Sydow

thriller - USA (2010)

Lo avevamo lasciato bamboccione che giocava a fare l'adulto sulla “revolutionary road”, sposato ad una donna sull'orlo di una crisi di nervi, che - novella Medea - invece di uccidergli i figli, finiva per morire di aborto; lo ritroviamo, adesso, detective dell’FBI sulla “road to madness”, con un lutto familiare ancora da elaborare, alle prese con un’indagine che lo porterà sull’isola del titolo, in un manicomio criminale, dal quale sembra essersi inspiegabilmente volatilizzata una pericolosa paziente. E, come sempre succede in questo genere di pellicole, i fantasmi del presente fanno riemergere quelli del passato; stavolta, vengono scomodati nientemeno che l’olocausto e gli orrori nazisti, inutile appesantimento di una trama che si compiace della sua complessità: esagerazione nell’esagerazione, i dialoghi in tedesco del protagonista con una specie di dottor Mengele!

Leonardo Di Caprio è bravo (ci prova…), ma non sembra affatto credibile: nonostante lo abbiano imbruttito e fatto ingrassare, continua a dimostrare la metà dei suoi anni (sindrome di Dorian Gray?). La messinscena è ben allestita, ma sa tanto di déjà vu: sarebbe stato un bel film, se non avessimo già visto “A beautiful mind” (le allucinazioni ed i complotti provengono direttamente da lì: del resto, anche qui, il primo tempo è di una noia mortale); il colloquio con il criminale semi psicologo sembra ispirato al “silenzio degli innocenti” (ma Hannibal Lecter aveva tutto un altro fascino…) e c’è qualcosa anche di “Shining” e di “Memento”.

Finale a sorpresa (sorpresa? A mezz’ora dall’epilogo, ti chiedi solo per quale delle due possibili alternative abbia optato il regista e già il fatto che ti poni la domanda, significa che non c’è nulla di sorprendente), ma tutt’altro che “aperto”: il pazzo si finge scemo per porre fine alla storia. Sinceramente, gliene siamo grati!

 
 
 

"Giudice, finalmente!"

Post n°169 pubblicato il 24 Aprile 2010 da Truman_2000
 

(e speriamo che adesso non aboliscano la magistratura...)

Come disse qualcuno, "Dove eravamo rimasti?"

Sono rimasto lontano da questi lidi, ormai, da un tempo infinito e vi assicuro che mi siete mancati (se non altro, perchè gli ultimi mesi, e le ultime settimane in particolare, sono stati davvero terribili: qualche problemino di salute, lo stress per l'esame che si avvicinava - e che ho dovuto rinviare anche troppo - e, infine, un vero e proprio black-out mentale che mi ha mandato nel panico a pochissimi giorni dall'orale mi hanno fatto temere - per davvero - di non farcela ).

Cosa posso dire? E' finita, ed è finita bene. Per fortuna. Già, perchè ce n'è voluta parecchia ma, alla fine, ringraziando il cielo, non mi è mancata: qualche giorno fa, ho finalmente sostenuto gli orali del mio concorso e sono diventato un magistrato (anche se sono ancora in attesa di nomina e, ovviamente, del primo stipendio! ).

***

Sono passati sette anni da quando è iniziata questa mia "avventura" - era il 2003, quando decisi che ci avrei provato - e, nel corso di tutto questo tempo, ho avuto la fortuna di conoscere persone straordinarie che mi hanno regalato emozioni e ricordi che, lo dico senza alcuna retorica, resteranno per sempre dentro di me.

Beh, con la fine di questa esperienza concorsuale, sento che si è chiusa una fase della mia vita: da ora, si volta pagina (ed era anche ora che ciò avvenisse, perchè occorreva andare avanti ed uscire dal limbo nel quale ero finito...): ormai, non ho più scuse, posso e devo dedicarmi anche al "resto" della mia vita.

Ringrazio con sincero affetto tutti quelli che, in questo periodo, mi sono stati vicini (anche da lontano, con i loro pensieri e le loro preghiere) e che hanno gioito per me e con me, come se si fosse trattato per davvero di un loro successo personale: a tutti va il mio più sincero ed affettuoso "grazie", di cuore!

Infine, un ringraziamento particolare va ad Annamaria ed Antonella, che hanno vissuto con me ogni singola fase di questo percorso, partecipando con pathos a tutto quello che è successo: la prima, in particolare, sopportandomi e supportandomi nei momenti più bui, ha fatto ciò che io - per errore, ma in buona fede - non ho saputo fare per lei (e ti chiedo ancora scusa, per questo!); la seconda - che, ormai, non si libererà più di me! - ha saputo infondermi coraggio e riempirmi di consigli preziosi, avvolgendomi con il suo affetto discreto e materno.

***

Un'ultima considerazione. A me è andata bene: sono riuscito a realizzare questo sogno, che è il sogno di molti "compagni di viaggio" (dalle mie parti si dice "aggio pigliat' o' post!" ), ma non per questo mi sento migliore o peggiore di altri. Senza falsa modestia, sono ben consapevole che, a parità di impegno e di preparazione, le cose potevano andare diversamente.
Anche adesso che è tutto finito e che è finito bene, quindi, non riesco a non rivolgere un pensiero affettuoso a quanti - sebbene più preparati e motivati di me - non ce l'hanno fatta (o, quanto meno, non ce l'hanno ancora fatta).
Ai primi, vorrei ricordare che la toga da magistrato è soltanto uno dei tanti modi per realizzare i propri sogni; a quanti sono ancora "in cammino", invece, non avendo particolari consigli da dare, mi sento di dire soltanto una cosa: provateci, non mollate, se è questo che volete; ma tenete ben presente che la fortuna - in questo concorso, come in ogni cosa della vita, del resto - gioca, purtroppo, un ruolo importante.
Ecco, quindi (e concludo): auguro a voi di avere la stessa fortuna che ho avuto io, se non di più!

 

TRUMAN,

che non vede l'ora di tornare a fare ciò per cui ha davvero creato questo blog: scrivere la sua prossima recensione cinematografica!

 
 
 

"Il riccio"

Post n°168 pubblicato il 24 Gennaio 2010 da Truman_2000
 

Regia di Moma Achache
Con: Josiane Balasko, Garance Le Guillermic, Togo Igawa, Wladimir Yordanoff
Commedia - Francia (2009)

Supponente il libro, supponente il film (visto ieri). Di entrambi, parafrasando quello che Pirandello scriveva ne la tragedia di un personaggio, mi sentirei di dire: "Peccato! C'era tanta materia in essi, da trarne fuori un capolavoro! Se le autrici non li avessero così indegnamente misconosciuti e trascurati...".
In entrambi, i tre protagonisti - specie la bambina: intelligentissima, occhialuta, spocchiosa - sono tagliati con l'accetta (alla maniera di Virzì). Nel film, aggravante non da poco, scompaiono tutti i personaggi "minori" che popolavano l'elegante e signorile condominio parigino del libro, contribuendo a rendere quest'ultimo un po' meno piatto e noioso.
Il finale è un'affrettata eutanasia (colpa del libro). Trama inconsistente: non va da nessuna parte. Sconsiglio entrambi.

 
 
 

"Aridatece er lodo Alfano!"

Post n°167 pubblicato il 14 Novembre 2009 da Truman_2000
 

Ho fatto un sogno: Berlusconi andava da Fini e, insieme, trovavano un accordo: "il processo breve", vale a dire l'estinzione ope legis di tutti i processi - anche di quelli in corso - che non si concludevano entro un certo termine. Le reazioni delle opposizioni, giustamente, non si facevano attendere: "è una porcheria!" - gridava Casini che, casualmente, si era incontrato con Berlusconi proprio qualche giorno prima. Dopo aver sparato a zero sulla proposta, però, il leader dell'UDC aggiungeva le paroline magiche: "A questo punto, era meglio il lodo Alfano, approvato con legge costituzionale!"
Di rimando, i falchi del pdl si facevano concilianti: "Sì, ma occorre una larga maggioranza". Ovviamente, perchè, senza i 2/3 dei voti, il lodo Alfano-Casini avrebbe dovuto essere sottoposto a referendum confermativo, prima di poter entrare in vigore: in pratica, non prima di 2 anni.
Invece, con una convergenza dell'UDC, del partito di Rutelli e di taluni settori del PD (anche Franco Marini, mi sembra, si diceva favorevole ad un lodo Alfano approvato con legge costituzionale), le due letture alla Camera ed al Senato potevano avvenire a distanza di 3-4 mesi le une dalle altre e la sospensione dei processi del premier poteva ottenersi prima della prossima primavera, con il plauso del Quirinale e la soddisfazione delle opposizioni che potevano dire di aver sgomberato il campo dal rischio di falcidiare - con il processo breve - migliaia e migliaia di processi.
Del resto, scriveva Liana Milella sul Corriere, era già successo che per bloccare i suoi, Berlusconi minacciasse di sospendere obbligatoriamente - in ossequio all'art. 3 Cost. - i processi di tutti. "Coazione a ripetere", osservava Franco Cordero.

Poi mi sono svegliato: meno male, era solo un brutto sogno!

 
 
 

Addio ad Alda Merini

Post n°166 pubblicato il 01 Novembre 2009 da Truman_2000
 
Tag: poesie

La Terra Santa

Ho conosciuto Gerico,
ho avuto anch'io la mia Palestina,
le mura del manicomio
erano le mura di Gerico
e una pozza di acqua infettata
ci ha battezzati tutti.
Lì dentro eravamo ebrei
e i Farisei erano in alto
e c'era anche il Messia
confuso dentro la folla:
un pazzo che urlava al Cielo
tutto il suo amore in Dio.

Noi tutti, branco di asceti
eravamo come gli uccelli
e ogni tanto una rete
oscura ci imprigionava
ma andavamo verso le messe,
le messe di nostro Signore
e Cristo il Salvatore.

Fummo lavati e sepolti,
odoravamo di incenso.
E, dopo, quando amavamo,
ci facevano gli elettrochoc
perchè, dicevano, un pazzo
non può amare nessuno.

Ma un giorno da dentro l'avello
anch'io mi sono ridestata
e anch'io come Gesù
ho avuto la mia resurrezione,
ma non sono salita ai cieli
sono discesa all'inferno
da dove riguardo stupita
le mura di Gerico antica.

Alda Merini,
da " La Terra Santa" 1983

 

 
 
 

"Caduto dalle scale"

Post n°165 pubblicato il 31 Ottobre 2009 da Truman_2000
 

Il calvario di Stefano
di ADRIANO SOFRI

Prima di tutto riguardiamo le fotografie di Stefano Cucchi. Quelle di un giovane magro, un geometra, che ha avuto a che fare con la droga e sa che gli potrà succedere ancora, e intanto vive, sorride, lavora, abbraccia sua madre, scherza con sua sorella. I giornali in genere hanno preferito pubblicare queste. E quelle di un morto, scheletrito, tumefatto, infranto, il viso che eclissa quello del grido di Munch e delle mummie che lo ispirarono, il corpo di una settimana di Passione dell'ottobre 2009. La famiglia di Stefano ha deciso di diffondere quelle fotografie.

Nessuno è tenuto a guardarle. Ma nessuno è autorizzato a parlare di questa morte, senza guardarle.
Per una volta, sembra che tutti (quasi) ne provino orrore e sdegno, e vogliano la verità e la punizione. È consolante che sia così. Ma è difficile rassegnarsi alle frasi generiche, anche le più belle e sentite. C'è un andamento provato delle cose, e le parole devono almeno partire da lì. Certo, le parole possono osare l'inosabile. Possono, l'hanno fatto perfino questa volta, dire e ripetere che Stefano Cucchi "è caduto dalle scale".

Non è nemmeno una provocazione, sapete: è una battuta proverbiale. Se incontrate uno gonfio di botte in galera, lo salutate così: "Sei caduto dalle scale". Hanno un gran senso dell'humour, in galera. Lo si può anche mettere per iscritto e firmare. Sembra che anche Stefano l'abbia messo a verbale presso il medico del carcere: "Sono caduto dalle scale". È un modo per evitare di cadere di nuovo dalle scale. Il meritorio dossier Morire in carcere curato da "Ristretti orizzonti" certifica che le morti per "cause da accertare" sono più numerose di quelle per "malattia".

Tuttavia bisogna guardarsi dall'assegnare senz'altro il calvario di Stefano al capitolo carcerario. Per due ragioni, già documentate a sufficienza. La prima: che fra la persona integra arrestata col suo piccolo gruzzolo di sostanze proibite e la persona cui vengono certificate nell'ambulatorio del tribunale "lesioni ecchimodiche in regione palpebrale inferiore bilateralmente", e che lamenta "lesioni alla regione sacrale e agli arti inferiori" (i medici del carcere le preciseranno come "ecchimosi sacrale coccigea, tumefazione del volto bilaterale orbitaria, algia della deambulazione", e quelli dell'ospedale come "frattura del corpo vertebrale L3 dell'emisoma sinistra e frattura della vertebra coccigea") fra quelle due condizioni c'è stata solo una notte trascorsa in una caserma di carabinieri.

Il ministro della Difesa - un avvocato penalista - pur declinando ogni competenza nel caso, ha creduto ieri di dichiarare: "Di una cosa sono certo: del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri in questa occasione". Non so come abbia fatto. So che qualcuno vorrà ammonirmi: "Ci risiamo". Infatti: ci risiamo. I medici e la polizia penitenziaria che dichiarano che Stefano "è arrivato in carcere così" hanno dalla loro una sequenza temporale interamente vidimata.

Questa era la prima ragione. La seconda è che nell'agonia di Stefano - di questo si è trattato, questo sono stati i suoi ultimi sette giorni - sono intervenute tante di quelle autorità costituite da far rabbrividire. Carabinieri, dall'arresto fino al trasporto al processo e alla consegna al carcere. Magistrati, uno dell'accusa e uno giudicante, che in un processo per direttissima per un reato irrisorio e con un giovane imputato così palesemente malmesso da suggerire la visita medica nei locali stessi del tribunale, rinviano l'udienza al 13 novembre e lo rimandano in carcere ammanettato.

Agenti di polizia penitenziaria, che piantonano così rigorosamente il pericoloso detenuto nell'(orrendo) reparto carcerario dell'ospedale intitolato a quel gran detenuto che fu Sandro Pertini, al punto di impedire ai famigliari del giovane di chiederne una qualche notizia ai medici, facendo intendere che occorra un'autorizzazione del magistrato: espediente indecente, perché per parlare col personale sanitario non occorre l'autorizzazione di nessuno. (Sono stato moribondo e piantonato in un ospedale, e nessuno si sognò di dire ai miei che non potevano interpellare i medici: e vale per chiunque). Espediente, oltretutto, che costringe a chiedersi quale movente lo ispirasse.

Una sovrintendente e, a suo dire, un medico di turno, che, anche ammesso che non abbiano saputo delle visite ripetute e trepidanti dei famigliari, hanno dichiarato di non aver notato i segni delle lesioni sul volto di Stefano, "in quanto si teneva costantemente il lenzuolo sulla faccia"! Frase che insegue l'altra sulla caduta dalle scale: un detenuto malconcio al punto di essere tradotto in ospedale non viene visto da chi lo sorveglia e da chi lo cura perché si tiene il lenzuolo sulla faccia.

Non hanno visto "il volto devastato, quasi completamente tumefatto, l'occhio destro rientrato a fondo nell'orbita, l'arcata sopraccigliare sinistra gonfia in modo abnorme, la mascella destra con un solco verticale, a segnalare una frattura, la dentatura rovinata"... Non era un lenzuolo: era l'anticipazione di un sudario. Questo non ha impedito a un medico di turno di stilare un certificato in cui si legge che Stefano è morto "di presunta morte naturale".

Infine, c'è l'autopsia eseguita sul cadavere straziato, nel corso della quale si proibisce al consulente di parte di eseguire delle foto. (Quelle che guardiamo oggi, chi ne ha la forza, sono state prese per la famiglia dal personale delle pompe funebri). È stata, la settimana di agonia di Stefano, una breve marcia attraverso le istituzioni. Questo sono infatti, al dunque, le istituzioni: persone che per conto di tutti si trovano a turno ad avere in balia dei loro simili: persone delle forze dell'ordine, giudici, medici, e anche politici e giornalisti...

Tutti (quasi) chiedono giustizia e verità. Bene. Un pubblico ministero ha già imputato di omicidio preterintenzionale degli ignoti, ieri. I colpevoli non sono certo noti, e non lo saranno fino a prova provata: ma gli imputati sono noti. Quanto al preterintenzionale, è un segno di garantismo notevole, venendo da una magistratura che quando l'aria tira imputa di omicidio volontario lo sciagurato che abbia travolto qualcuno con l'automobile.

La Repubblica, 31 ottobre 2009

***

Come ho letto su Il Foglio dell'altro giorno: "Se un ragazzo entra in carcere con le sue gambe e ne esce morto dopo sei giorni, lo Stato deve spiegare". E la spiegazione deve essere convincente.

Potrei aggiungere che ogni imputato, anche quello accusato dei peggiori delitti, è innocente fino a sentenza definitiva. Potrei dire che l'uso della violenza da parte delle forze dell'ordine o, comunque, nelle strutture carcerarie, anche quando è rivolta contro un condannato in via definitiva, delegittima il sistema giudiziario.

L'unica cosa che mi sento di dire è che a me è stato insegnato che il corpo del detenuto è "sacro" e sono fiero dell'insegnamento che ho ricevuto.

Per il resto, sottoscrivo parola per parola l'articolo di Adriano Sofri (anche con riferimento alla inopportunità delle parole del ministro La Russa che - e mi dispiace - da avvocato penalista qual è, non avrebbe dovuto fare il difensore di ufficio di nessuno...) ed auspico che, alla fine di questa orribile storia, "cadano" parecchie teste: quello che è avvenuto, e che avviene troppo spesso, non è degno di un paese che voglia dirsi civile!

 
 
 

Primarie, sì... primarie, no... se famo du' spaghi?

Post n°164 pubblicato il 25 Ottobre 2009 da Truman_2000
 

Versione per gli amanti della sintesi: voterò Marino, senza entusiasmo.

Versione per tutti gli altri. Per ragioni diverse, non credo che Franceschini o Bersani possano dare a questo partito la sterzata di cui ha bisogno. Franceschini è una scelta di continuità con questi due anni, nel bene e nel male. Due anni in cui il progetto del Pd a vocazione maggioritaria – che poi vuol dire preferire la creazione di nuovo consenso all’aggregazione di quello già esistente ma sparpagliato – è stato conservato, ma messo in pratica nel più scellerato, superficiale e improvvisato dei modi. Un po’ di qua e un po’ di là, un po’ responsabili uomini di stato e un po’ a gridare alla deriva putiniana, un po’ garantisti e un po’ giustizialisti, un po’ liberali e un po’ statalisti, un po’ con Ichino e un po’ con l’Onda, eccetera eccetera. Se oggi così tanta gente è allergica al progetto del Pd, alle primarie e alla vocazione maggioritaria, molto dipende dalla strategia approssimativa e dilettantesca con la quale questa è stata percorsa in questi due anni. Dovesse vincere Franceschini, poi, ripartirebbe la stessa campagna di logoramento che ha fatto fuori Veltroni: risalterebbero fuori Red (che fine ha fatto, nel frattempo?), le fondazioni, i distinguo sui giornali, eccetera. Non sarebbe colpa di Franceschini, ma non credo che lui, così come il suo predecessore, sia in grado di normalizzare questo dissenso interno impedendo le conseguenze devastanti che ha avuto durante la segreteria Veltroni.

Bersani, dall’altra parte, sarebbe un ottimo segretario di un altro partito. Lui è uno che sa cos’è la politica ed è di certo il più affidabile dei tre. Non è un caso, infatti, che sia stato l’unico candidato dal quale non abbiamo mai sentito pericolose e interessate lisciate di pelo a quella frangia populista – Di Pietro, la-questione-morale, la-casta – che rappresenta allo stesso tempo la causa e la conseguenza di molti problemi del Partito Democratico. Non mi convincono granché l’idea di partito e l’idea di paese che ha in mente. Lui dice, in soldoni, che sono le uniche con cui abbiamo vinto – unire l’opposizione, alleanze larghissime, eccetera – ma io penso che nel 2006 abbiamo vinto nonostante quelle e non grazie a quelle: abbiamo vinto nonostante un candidato premier bollito, una coalizione ecumenica fatta prima del programma e un partito “perno centrale” della coalizione che ha preso botte dalla sua destra e dalla sua sinistra, in un eterno dibattito sul suo essere schiavo di Dini o della sinistra radicale.

Sia Bersani che Franceschini rappresentano, in modi diversi e in qualche modo anche per ragioni diverse, una classe dirigente che porta sulle proprie spalle – tra tanti indiscutibili meriti, primo fra tutti l’aver fatto il Pd – le responsabilità del posto in cui ci troviamo. Entrambi, in modo diverso, sono destinati a mettere in scena una semplice riedizione del passato. Sia l’uno che l’altro hanno le carte in regola per fare cose migliori di quelle che abbiamo visto in questi tragici due anni, ma non ci basta un segretario che vada un po’ meglio del precedente. Non ci basta per vincere le regionali, per convincere i quattro milioni di elettori che hanno lasciato il Pd dal 2008 a oggi e un paio di quelli che votano centrodestra a fidarsi di noi. Non ci basta a rilanciare e decontaminare l’immagine di un partito malsopportato dai suoi stessi elettori. Ci vuole una sterzata.

E veniamo a Marino. Credo che la sua mozione sia di gran lunga la più moderna e adeguata, relativamente a questi tempi e a un partito che va rifondato. Migliore l’idea di partito, migliore l’idea di paese. Migliore sul piano della concretezza e migliore su quello dell’idealismo, migliore sul piano delle proposte e migliore su quello dei comportamenti. Migliore la squadra, soprattutto: in tutta Italia nelle file della mozione Marino hanno lavorato e si sono fatti le ossa decine e decine di ragazzi in gamba, persone che fino a ieri vivevano ai margini di questo partito – se non addirittura fuori – e hanno trovato spazio per lavorare, imparare e prepararsi. Credo che la candidatura Marino sia decisamente migliore di quella di Bersani e di quella di Franceschini.

Migliore naturalmente non vuol dire perfetta. E considerata la qualità e i limiti delle proposte di Bersani e Franceschini, penso che una candidatura terza avrebbe potuto fare un po’ di più, raccogliere più consenso e giocarsela meglio. La candidatura di Marino ha avuto alcuni limiti, frutto per lo più della scarsa dimestichezza di Marino con questo genere di impegni e della grande difficoltà di trasformare un personaggio-bandiera in un un credibile leader di partito. Col passare dei giorni Marino è cresciuto molto come politico, imparando i fondamentali e acquisendo un po’ di mestiere. Credo però che non sia riuscito a convincere fino in fondo gli elettori di essere qualcosa di più che un semplice personaggio-bandiera. Di essere Barack Obama e non Jesse Jackson. Non è manco detto che questo limite fosse superabile, ma a volte ho avuto la sensazione che lui non ci abbia provato, che fosse troppo forte il riflesso e la tentazione del rifugiarsi nel recinto dentro il quale si muove con maggiore dimestichezza. Ma non è questa la ragione fondamentale per la quale domani lo voterò senza entusiasmo.

Non mi è piaciuto l’accento demagogico col quale ha condotto le ultime settimane della sua campagna, tutte imperniate sul dimostrare quanto fossero indecenti Bersani e Franceschini e non quanto fosse migliore lui: non si possono infilare le parole «capibastone» e «inciucio» in ogni frase. Non mi piaciuto il corteggiamento a Di Pietro e al giustizialismo, così come non mi è piaciuta la retorica della questione morale (tanto meno nella sua disastrosa prima uscita, sullo stupratore romano).

Non mi è piaciuto il fatto che abbia deciso di puntare più sulla rete polverosa e tutt’altro che innovativa di Bettini e Meta piuttosto che su quella fresca, futuribile e in gamba che si era riunita al Lingotto. Mi è dispiaciuto perché ha tarpato le ali alla candidatura, preferendo un gruppo politico alla ricerca di posizionamento a uno in cerca di svolte e vittorie. E mi è dispiaciuto anche perché non è servito: a Roma, il “regno” di Bettini e Meta, la mozione Marino è andata peggio che a Milano, “regno” di Scalfarotto e Civati.

La battaglia politica per il cambiamento che un gruppo sempre più largo di persone ha condotto in questi mesi non è cominciata con la mozione Marino e non si concluderà con la mozione Marino. Ma nella mozione Marino ha trovato spazi, ha detto le proprie cose, ha organizzato le proprie iniziative, ha raccolto consensi, si è allargata ed è cresciuta. Per questo voterò Marino: perché ogni voto in più per la sua candidatura è un voto in più per costruire – non ora, ma presto – un partito degno dell’obiettivo di cambiare questo paese. Un voto per un futuro che con Marino ha fatto molti passi, e molti altri ne farà da domani in poi.

P.S.: Non spenderò una parola per convincere a venire a votare chi crede che si debba votare alle primarie per fare un dispetto a Berlusconi. Anzi, vorrei fare loro un appello accorato: restate a casa. La logica con cui verreste a votare ha fatto solo danni su danni, ha giustificato ogni mediocrità sull’altare del «non è il momento» ed è uno dei tanti fattori per cui ci troviamo dove ci troviamo. Non è il tempo delle prove di forza o delle spallate, questo. È tempo di scegliere un segretario. Le due cose non vanno bene insi
eme.

Francesco Costa, 24 ottobre 2009 

***

Sono d'accordo con Francesco Costa, ecco perchè - vincendo la mia indomita pigrizia - oggi pomeriggio, sono andato al seggio più vicino e ho votato per Ignazio Marino!

L'ho deciso un attimo prima di uscire di casa; se qualcuno me lo avesse chiesto stamattina, gli avrei risposto come il mitico Paolone del film 7 chili in 7 giorni: "Io non mi presto a questo genere di stronzate". Poi, però, ho cambiato idea. Non sono un elettore del PD, ma penso che un PD guidato da Marino - con tutti i limiti di cui sopra - possa essere una valida alternativa, alle prossime elezioni politiche.

Forse non servirà a niente, e ho buttato mezz'ora (e due eurozzi ); probabilmente, vincerà Bersani (che ha più esperienza politica di Marino, ma è anche più "invischiato" in certi giochi di potere...); sono certo che stasera, il premier - come ha scritto qualcuno - "si presenterà tutto bello spalmato di cerone, farà un sorriso, e dirà che ci sono stati brogli. che la mamma di bersani è stata vista votare 10 volte, che i suoi sondaggi dicono che lui è il più figo presidente della galassia e tutti lo amano". Dico di più: forse, non sarebbe cambiato nulla, anche se avesse vinto Marino.

Ma il punto è un altro. E il punto è che io, forse, non "ci tengo" al PD (tant'è che non mi hanno dato nemmeno la molletta verde  che, da qualche parte, avevo letto che distribuivano a tutti coloro che si recavano al seggio per votare), ma "ci credo"!

Non a questo PD, ma nella democrazia. E ho voluto dare il mio contributo, fare qualcosa per dire in quale direzione bisognerebbe andare, secondo me, per cambiare davvero questo paese!

 
 
 

"Basta che funzioni"

Post n°163 pubblicato il 11 Ottobre 2009 da Truman_2000
 

Regia di Woody Allen
Con: Larry David, Evan Rachel Wood, Patricia Clarkson

Commedia - Usa (2009)

"La miracolosa aria di Manhattan resuscita Woody Allen, cinemato- graficamente deceduto (a sua insaputa) da circa 10 anni. Dopo un tour europeo che ha prodotto film mediocri e bolse citazioni culturali, azzecca di nuovo la commedia esistenziale (finta) cinica che diverte. Parlando di se stesso, ovviamente, ma senza comparire in prima persona. Il suo alter ego è il bravo Larry David, attempato ex prof di fisica, sedicente quasi premio Nobel, che arringa gli amici e direttamente il pubblico sfoggiando pessimismo cosmico, benedetto ateismo, misantropia asessuata, impanicata ipocondria ("Non ho detto che non ho l’ulcera, ho detto che non me l’hanno trovata"). Odia frutta, verdura, la colonscopia e i ragazzini a cui (ehm) insegna a giocare a scacchi. Zoppica dopo un tentativo di suicidio dalla finestra e porta inguardabili shorts sopra il ginocchio. Gli capita in casa la 'sempliciotta' Evan Rachel Wood e lui la sposa e la plasma, pur con didattico disprezzo. Poi sua madre. Poi suo padre. Eccellenti personaggi bigotti presto alla spassosa deriva liberal (...)" - Alessio Guzzano

Inizia in sordina, ma poi - con l'ingresso in scena di Melody, prima, e della madre, poi - diventa davvero travolgente: il meglio di "Forrest Gump", "Jules & Jim" e "Brokeback mountain", tutto insieme!

Bentornato, Woody!

 
 
 

Stupro d'autore!

Post n°162 pubblicato il 04 Ottobre 2009 da Truman_2000
 

No, il Lodo Polanski no. Per favore. D'accordo, come regista è un genio. Ma è un adulto responsabile delle sue azioni; non può evitare una condanna per aver commesso un reato contro la persona perché a suo tempo ha diretto «Chinatown». O «Il pianista», o «Rosemary's Baby», o «Luna di fiele» (va bene, quando il film uscì c'era chi lo voleva in galera per Luna di fiele, ma è un'altra storia). La mobilitazione dei suoi amici, del mondo del cinema, del ministro degli Esteri francese, dell'Ump, il partito altrimenti moderato di Nicolas Sarkozy, pare degna di miglior causa. Giusto in Francia, i moderati lettori (spesso elettori di Sarko) del Figaro ieri votavano online; e a stragrande maggioranza erano favorevoli a far giudicare il loro concittadino negli Stati Uniti. Intanto, sempre online, i lettori liberal del New York Times scrivevano cose durissime. Meravigliandosi per il «lassismo delle élites europee», che in America è un tormentone conservatore, in genere.

Ma tant'è: e in tanti non capiscono perché ci dovrebbe essere una certezza del diritto per i normali e poi una certezza del diritto-Vip, meno certa. Specie se il Vip — 32 anni fa ma non è in prescrizione, con qualche probabile irregolarità processuale ma lui nel frattempo era scappato — ha drogato, fatto ubriacare e sodomizzato una tredicenne. Prenderne atto non è da forcaioli, forse. Lo ha spiegato il ministro della Giustizia svizzero, Eveline Widmer-Schlumpfsuch: «Non avevamo altra scelta. La biografia di una persona non deve definire un trattamento di favore davanti alla legge». Certo, Polanski aveva da anni una casa in Svizzera e nessuno lo aveva disturbato. Certo, il suo arresto è un'eccellente diversione mediatica per il pubblico americano in un momento di crisi economica affrontata con fatica e di riforma sanitaria che non decolla; e c'è chi si chiede «ma il governo federale non aveva niente di meglio da fare che incastrare un settantaseienne?». È possibile. Ma Polanski non è stato rintracciato per aver scordato di pagare un po' di multe, tenuto droghe per uso personale o costruito un gazebo abusivo nella sua villa di Los Angeles. Aveva stordito una quasi bambina e le aveva fatto di tutto.

È, e resta, un reato grave. E non, come si leggeva ieri su Libération, «une affaire de moeurs vieille de 30 ans». I moeurs, i costumi, sono liberi nell'occidente civile da decenni e si spera lo restino. Tra adulti consenzienti, magari. Il portavoce dell'Ump obietta — e il principio non è insensato — che «l'assenza di prescrizione nel diritto americano rende gli Stati Uniti una democrazia particolare». Però è una democrazia dove Polanski aveva scelto di vivere. E i tempi di prescrizione dovrebbero dipendere dal delitto commesso. E forse lo stupro di una tredicenne non dovrebbe andare mai in prescrizione. È un danno gravissimo al diritto di essere tredicenni, soprattutto. Insomma, non «tout le monde est derrière Polanski», non tutti sono con lui. Ma non spieghiamolo ai registi, agli attori e ai ministri francesi; spieghiamolo alle ragazzine (per favore).

Maria Laura Rodotà
Corriere della Sera, 29 settembre 2009

***

Sono perfettamente d'accordo con Maria Laura Rodotà: sentivo l'altra sera, al TG2, Lina Wertmuller e un'altra donna dello spettacolo (o, per lo meno, presumo che lo fosse, perchè, in realtà, non l'ho riconosciuta e non ne hanno indicato il nome), dire che Polanski è un genio del cinema e perciò non può essere arrestato.

Ma stiamo scherzando? E' proprio questo il genere di cose che mi irrita di più: leggere che "il mondo del cinema fa quadrato" intorno ad uno di loro. Ma, dico, chi sostiene una cosa del genere, non si rende conto di quanto sia diseducativa?

Col rischio di apparire Travaglio, se le ragioni della difesa sono queste, io dico: "In galera!"
Certo, se il reato fosse stato commesso in Italia, la pena ormai potrebbe essersi prescritta e quindi non essere più applicabile per decorso del tempo, ex art. 172 c.p. (uso il condizionale perchè, a dire il vero, non ho ben capito quando è passata in giudicato la condanna), ma ciò non toglie che in USA per questo genere di reati non esiste prescrizione e che, quando vai in un paese, accetti le leggi di quel luogo.

Quello che sorprende di più di tutta questa faccenda, ad ogni modo, è che in trent'anni il governo degli USA - a quanto pare - non si sia attivato in alcun modo per ottenere l'estradizione di Polanski; e stiamo parlando di un latitante che si è dato alla fuga, ma non certo alla macchia, e che anzi, invece di restarsene in Francia (come Battisti: il terrorista che poi se n'è scappato in Brasile, non certo la buon'anima di Lucio) se n'è andato tranquillamente in giro per il mondo per tutto questo tempo.

Infine, se mi è consentito, infierisco con il proverbiale "calcio del ciuccio" : ma quale genio del cinema!?! Non ho visto tutti i suoi film, ma andiamo: nulla di che! Personalmente, non avevo la minima idea che fosse stato condannato per una cosa del genere; adesso capisco la trama de "Il pianista": un artista che, grazie alla sua arte, si salva dalla prigionia nazista.

Se non è delirio di onnipotenza questo!

 
 
 

"Una notte da leoni"

Post n°161 pubblicato il 15 Agosto 2009 da Truman_2000
 

Regia di Todd Phillips
Con Bradley Cooper, Zach Galifianakis, Ed Helms, Justin Bartha, Heather Graham
Commedia - Usa (2009)

Per l’addio al celibato di Doug (Justin Bartha), partono in quattro, a bordo della mercedes d’epoca del futuro suocero, in direzione Las Vegas: lo sposino, due amici di vecchia data (Ed Helms e Bradley Cooper) ed il fratello barbuto e panzone della sposa (Zach Galifianakis, splendidamente fuori di testa). Tutto comincia con un brindisi sul tetto dell’hotel, con le luci della città che fanno da coreografia; al risveglio, la mattina dopo, Doug è sparito nel nulla, la suite dell’albergo è semi distrutta, un neonato piange in un armadio e nel bagno c’è niente meno che… una tigre!

Inutile dire che nessuno ricorda niente: tentano di ricostruire la notte trascorsa, scoprendo, poco alla volta, di aver detto e fatto “cose che voi umani…”.

Un dente mancante ed una fidanzata al telefono a cui nascondere la verità, materassi gettati dalla finestra e un ostaggio da riscattare, Mike Tyson e la mafia cinese, una macchina della polizia rubata ed una mercedes da preservare, preservativi usati e borselli scambiati, un matrimonio da annullare ed uno ancora da celebrare. Si ride (poco, ma di gusto) e, su tutto, la scena in cui Alan fa il verso a Dustin Hoffman: da sola, vale il prezzo del biglietto!

 
 
 

Vacanza-studio!

Post n°160 pubblicato il 14 Luglio 2009 da Truman_2000
 

Forse, non tutti sanno che venerdi scorso - 10 luglio - il Ministero della Giustizia ha pubblicato i risultati delle correzioni degli esami scritti del concorso di magistratura che si sono tenuti a Milano, nello scorso mese di novembre. Ebbene, stavolta, sono stato promosso!

Giusto per dare due numeri:

- agli scritti, ci siamo presentati in più di 5.000;

- i candidati che hanno consegnato tutte e tre le prove sono stati 3.193;

- i posti messi a concorso erano 500;

- i candidati che hanno superato gli scritti ed ora devono fare gli orali sono 309.

Ovviamente, sono al settimo cielo!

Come ebbe a dire in ben altre circostanze un uomo a cui mi è capitato di pensare spesso, entrando in un'aula di Giustizia, "Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche, una me la consentirete": grazie!

Grazie a chi ha atteso questi risultati con me, con la stessa tensione che ho vissuto io. E mi riferisco a quelli con cui ho parlato nell'ultima, lunghissima, settimana che si è conclusa con la pubblicazione dei risultati, ma anche a chi non mi ha chiamato, per paura di trasmettermi la sua ansia, ma ha pensato a me e, per me, ne sono sicuro, ha tenuto le dita incrociate.

Ringrazio tutti quelli che, dopo la pubblicazione dei risultati, mi hanno fatto avere una testimonianza della loro sincera amicizia e del loro caloroso affetto. Ma, se me lo consentite, un "grazie" particolare va a chi mi ha comunicato ufficiosamente la bella notizia (e a chi avrebbe dovuto comunicarmela, se fosse stata brutta): "Adesso la finirai di parlare male della magistratura: complimenti, ti sei rovinato l'estate!" – la telefonata è iniziata più o meno così.
Per un attimo, non ho capito cosa mi stesse dicendo, ma la ringrazio lo stesso, perchè mi ha detto che, attendendo i miei risultati, ha perso 10 anni anni di vita: e sono sicuro che è stato così, perchè è una persona splendida, che - non so perchè - mi vuole bene (si vede che non mi conosce!).
Non ringrazio, invece, quel grandissimo stronzo che, fingendosi un funzionario di Via Arenula, mi ha telefonato con l'anonimo - prima che potessi controllare sul sito del Ministero - per trarmi in inganno e dirmi che c'era stato un errore e che gli scritti non li avevo passati: io, che pure non soffro di cuore, stavo per avere un infarto (Toni, ti prenderò a calci nel sedere per tutta Torino!).

Ciò detto, lo confesso: da venerdi, sono "confuso e felice". Ancora non mi sembra vero, non credevo che potesse davvero succedere: era la mia ultima possibilità e, dopo la seconda bocciatura - che mi ha gettato nello sconforto più totale (non solo e non tanto per la bocciatura in sè, ma per l'inidoneità in amministrativo, che non mi aspettavo affatto e che mi ha fatto capire che, purtroppo, non sempre le commissioni esaminatrici valutano gli elaborati come i candidati che li scrivono - avevo deciso di gettare la spugna e di non andarci neanche, a Milano!

Se ci sono andato, è stato soltanto perchè una cara amica mi ha costretto, quasi con la forza, comprandomi il biglietto aereo e ospitandomi a casa sua in quella terribile settimana: ora, quella stessa, cara amica - anche lei alla terza consegna - non ha il coraggio di controllare i suoi risultati. Non vuole sapere se le porte della magistratura, per lei, si sono definitivamente chiuse, o meno (aspetto che sia disponibile la lista degli ammessi, sperando che anche lei ce l'abbia fatta, per chiamarla e darle la bella notizia!)
Quando ho raccontato questa cosa a mio padre, giustamente, ha commentato: "Un concorso non può ridurre così una persona!" Ha ragione, non è giusto; ma io la capisco, la mia amica: è una notizia che - nel bene o nel male - ti cambia la vita, specie poi se ti arriva dopo sei anni di sacrifici e rinunce e, soprattutto, dopo due bocciature!

Purtroppo, in questo concorso - e lo dico soprattutto a quanti non ce l'hanno fatta e si sentono amareggiati - un ruolo importantissimo lo gioca anche il "fattore c": ci vuole fortuna, non nascondiamocelo!
Meriti di passare e non passi, e viceversa: esce la traccia che conosci o l'unico argomento che non ti è mai voluto entrare in testa; vieni corretto all'inizio o alla fine; prima o dopo il genio che ha scritto elaborati perfetti; i tuoi temi vengono corretti da Tizio, piuttosto che da Caio, etc.

Lo so. So che cosa si prova a essere bocciati: mi è successo due volte. So che cosa si prova ad essere sinceramente felice per gli amici che ce l'hanno fatta - come se fossi passato tu! - e, allo stesso tempo, triste ed incazzato per la tua sconfitta. Già, perchè è una sconfitta: tu non ce l'hai fatta; per te, la partita finisce lì e dovrai ricominciare tutto da capo, senza alcuna certezza che la volta successiva andrà meglio.
Vale anche per me: a parità di temi, poteva andare bene o male. Questa volta mi è andata bene: non era scritto da nessuna parte. Ringrazio per i complimenti che ho ricevuto ("te lo meritavi", "io lo sapevo!", "se non lo passavi tu..."), quindi, ma continuo a pensare che l'esito avrebbe potuto essere diverso e, oggi, non avrei avuto niente da festeggiare.

In questo momento di gioia, perciò, mi perdonerete se il pensiero va a quanti non ce l'hanno fatta: coraggio, ragazzi, non vi abbattete!

Non lo dico tanto per dirlo, ma perchè ci sono passato anch'io e ho avuto la fortuna di avere accanto persone che mi hanno incoraggiato ad insistere. Ecco, auguro a tutti, di cuore, la stessa fortuna che ho avuto io, sia per quanto riguarda il sostegno di parenti e amici, sia per quanto riguarda le prossime correzioni: in bocca al lupo!

Infine, non posso nascondere di essere contento per tutti quelli che hanno superato questi scritti ed, in particolare, per una persona che lo meritava tantissimo, anche più di me: se non ce l'avesse fatta anche lei, la mia gioia non sarebbe stata completa (anche perchè, senza la sua organizzazione ed i suoi incoraggiamenti, avrei grosse difficoltà ad andare avanti e a superare anche quest'ultimo tratto, in salita, che ci resta da fare!)

I mesi che mi aspettano saranno duri (al mio blog, quindi, penso che difficilmente riuscirò ad avvicinarmi fino a Natale! ) e dire che mi sento "spaesato" non dà perfettamente l'idea dell'ansia che provo in questo momento al pensiero di dover studiare tute quelle materie per gli orali. Se mi guardo intorno, non vedo più molti dei "compagni di viaggio" con i quali mi sono imbarcato in questa avventura: amici forumisti della "vecchia guardia" o amici extra-forum conosciuti ai tanti corsi di preparazione che ho seguito negli ultimi anni.

Alcuni, adesso, sono già magistrati e, a settembre, prenderanno servizio nella loro prima sede; altri si stanno per godere le meritate vacanze, in attesa di cominciare finalmente il loro tirocinio. Agli uni e agli altri, ovviamente, chiedo aiuto e consigli (lo dico soprattutto a chi, affettuosamente, si è già offerto di farlo, ma anche agli altri): vi prego, non mi abbandonate!

Ma ci sono anche tanti altri "compagni di viaggio" - e sono tanti, e sono troppi - che hanno definitivamente abbandonato o momentaneamente accantonato il "sogno" della magistratura, per rivolgersi ad altro. A loro, vorrei dire una cosa: sento la responsabilità della fortuna che ho avuto. So che adesso lo devo fare anche per loro. Sono sicuro che non mi faranno mancare, ancora una volta, il loro affetto ed il loro sostegno.

Grazie a tutti, di cuore!

 
 
 

"Harry, ti presento Sally!"

Post n°159 pubblicato il 01 Luglio 2009 da Truman_2000
 

Sono single da non ricordo nemmeno più quanto tempo (in realtà lo ricordo benissimo, ma si dice sempre così, perchè - oltre a suonare meglio - è sicuramente più dignitoso! ) e, quel che è peggio, molti dei miei amici e parenti - per non dire tutti - sono accoppiati.
Non contenti di questo, capita spesso che quando il discorso cade su questo argomento, i suddetti amici e parenti mi dicano qualcosa del tipo: "Dai, te la trovo io la fidanzata!"

Peccato che, finora, l'unico "sensale" che sia riuscito a combinare qualcosa - visto che gli altri parlano, parlano, ma il più delle volte non fanno seguire i fatti alle parole - sia proprio il sottoscritto, e sempre a beneficio di terzi, ovviamente!

Il motivo, secondo me, è che molti - nonostante le buone intenzioni - non lo sanno fare!

Il mio avvocato civilista, ad esempio, ha cercato di "piazzarmi" con una sua pupilla che, credo, non disdegnerebbe affatto l'idea di accasarsi con il sottoscritto (o con qualunque altro essere umano di sesso maschile o che, per lo meno, tale sembri agli occhi di un soggetto fortemente miope e senza occhiali! ); ma a me, francamente, la ragazza in questione - che non è neanche brutta, ma è irrimediabilmente oca - non dice proprio nulla e, per quanto viva ormai con disagio la mia condizione di single perennemente in cerca dell'anima gemella, continuo a credere che una scelta di ripiego non sarebbe giusta nè per me, nè per la stessa ragazza (che, infatti, non ho alcuna voglia di prendere in giro con vane promesse e/o illusioni, ancorchè ciò potrebbe farmi conseguire evidenti vantaggi di natura fisica! ).

Ora, dico io, il mio avvocato civilista che pure dice di avere un'ottima capacità di introspezione, non lo riesce a capire che una ragazza petulante e totalmente priva di intelligenza non mi dica nulla?

Una cara amica, una volta, fu così gentile da organizzare una serata in pizzeria con alcuni amici, al solo scopo di farmi conoscere una ragazza (si trattava di un appuntamento combinato, del quale fui informato solo quando non potevo più defilarmi: per inciso, la maggior parte degli invitati a quella cena - tutti accoppiati, neanche a dirlo! - era al corrente della cosa; l'unica che, a quanto mi fu detto, non era stata informata era proprio la prescelta: voi ci credete? ).

Morale della favola: io ero imbarazzatissimo e, contrariamente al mio solito, non riuscivo a spiccicare una parola, consapevole del fatto che ogni cosa che dicevo avrebbe destato l'attenzione e la curiosità di tutti i commensali ; lei, invece, fingendo noncuranza, guardava in ogni direzione, fuorchè verso di me.
Da quel poco che riuscii a capire, ad ogni modo, l'unica cosa che avevamo in comune, io e la fanciulla, era il fatto di abitare vicini: entrambi nella provincia napoletana! Dico, ma si può "selezionare" i candidati in modo così pedestre!  E, poi, se devi organizzare un appuntamento combinato, non ti viene in mente che una tavolata di 30 persone non è proprio l'ideale?

Toglietemi una curiosità: ma esperienze catastrofiche di questo tipo capitano solo a me?

 
 
 

Se telefonando

Post n°158 pubblicato il 30 Giugno 2009 da Truman_2000
 

Oggi pomeriggio, mi ero "leggermente" appisolato, come talvolta mi capita, quando all'improvviso ha squillato il telefono o, meglio, nel dormiveglia, ho avuto la sensazione di avvertire - sia pure in lontananza - un rumore familiare che ha cominciato a farsi strada, fino a diventare sgarbatamente insistente, in uno degli anfratti più nascosti del mio cervello: insomma, ad essere sinceri, non so dire a quale squillo sono riuscito finalmente a rispondere, perchè l'ho fatto con un gesto automatico e senza averne piena consapevolezza. Mentre parlavo, ad ogni modo, cercando di dissimulare il mio stato di coma  (di solito, quando rispondo con la voce impastata dal sonno e mi chiedono se, per caso, stavo dormendo, per non far sentire in colpa il mio interlocutore, sono solito mentire spudoratamente: "No, figurati! Se n'è scesa un po' la voce, perchè è da un po' che non parlavo!" ) e di richiamare in servizio un minimo di lucidità mentale che mi consentisse di seguire più o meno per grandi linee il senso della conversazione o, per lo meno, quel poco che bastasse a non costringermi a confessare penosamente la verità, mi sforzavo - allo stesso momento e in una lotta, disperata, contro il tempo - di capire chi fossi, dove fossi e, soprattutto, se fosse mattina o sera!

Fortuna che non sono ancora così diffusi i videotelefoni!

 
 
 

Berlusconi dream

Post n°157 pubblicato il 29 Giugno 2009 da Truman_2000
 

 
 
 

Michael Jackson, "l'Obama del pop"?

Post n°156 pubblicato il 27 Giugno 2009 da Truman_2000
 

Michael Jackson's face was Klimt as drawn by a plastic surgeon
by Gilbert Adair

I'll come clean at once. I liked Michael Jackson. More precisely, I liked the specific feature of Michael Jackson that all but monopolised the tabloid attention paid to him throughout his career, most of it disobliging in the extreme: his face. I especially liked it when it was still in its sultry prime and had already become a mythic object.

It was a face within quotation marks, a face that was both itself and the prodigiously stylised representation of itself. Beauty is only skin deep, but Jackson's face, as it then was, offered manifest proof that it could be even shallower than that. Except that, for the majority of beholders, beauty wasn't the word for it: it was more or less universally regarded as a monstrosity.

Jackson's face fascinated me. It was the face of an adolescent masturbator, dishevelled, drained and ashy-white; of a silent film star, its unnerving ghoulishness presenting itself less as the negation than, in the photographic sense of the word, the negative of its original blackness. A made-to-measure face, it was its own caricature, its own Aubrey Beardsley pen-and-ink portrait.

It was a face that reminded me of Nijinsky; of the eccentric socialite the Marchesa Casati, she of the anorexic torso, lipstick-slashed lips and jet-black eyelashes; of Alla Nazimova, Rudolph Valentino's mistress, in her grotesque silent screen adaptation of Wilde's Salome; of Valentino himself; of the tragic, elegant Beast played by Jean Marais in La Belle et la Bête; of Barbette, the transvestite acrobat celebrated by that film's director, Jean Cocteau; of virtually any of Fellini's characters; of one of those androgynous ephebes who haunt the unreadable and now unread contes cruels of Jean Lorrain and James Branch Cabell; of Dorian Gray, not as painted by Wilde's fictitious portraitist, Basil Hallward, but as photographed by, let's say, Cecil Beaton; of, finally, the Mona Lisa, not at all as painted by Leonardo but rather as rhapsodised by Walter Pater in a celebrated purple passage. ("She is older than the rocks among which she sits … like the vampire, she has been dead many times, and learned the secrets of the grave … and all this has been to her but as the sound of lyres and flutes, and lives only in the delicacy with which it has moulded the changing lineaments, and tinged the eyelids and the hands.") It was, to put it whimsically, the face, livid and divine, of an angel with jet lag.

Its power, moreover, as an object of contemplation was intensified by its apparent disconnection from its owner's body. The only thing one knew of Jackson's body was the flamboyantly Ruritanian outfits that camouflaged it. It was almost as though there were nothing to know under those gaudy uniforms: his nakedness was literally unthinkable, unconjurable, unconjecturable. What was the tincture of his body skin? Had he had a "body job" to match the nose job, pigment job, etc? These were meaningless questions.

Was it, though, what anyone would call a beautiful face? I'd like to propose a paradoxical axiom: beauty has no need of beauty. When Picasso, to take the obvious example, painted a beautiful woman, he rendered her unbecoming, even downright ugly, so that the painting itself would be beautiful.

In the relatively recent past of western art history – in, specifically, the commissioned portraiture of the 18th and 19th centuries – an era when beauty was routinely piled upon beauty, the smooth, suave loveliness of the painter's style functioned as the correlate of his model's physical beauty. By contrast, in almost all 20th-century representational art of importance, a dialectical tension existed between the respective, ostensibly incompatible, beauties of subject and style. The most distinctively personal work of the majority of modern portraitists was achieved only by the ruthless deprettification of their models, often to the point of unrecognisability.


What was extraordinary about Michael Jackson is that he contrived to perform the same operation – deprettifying the self in order to enhance, aesthetically, the public representation of that same self – on his own face. He didn't need a canvas – his own face was the canvas. That he became his own self-portrait (literally) isn't in itself exceptional; it is, after all, the entire point and purpose of plastic surgery. The difference in his case was that the result bore absolutely no resemblance to one of those fawning society portraits that are themselves the artistic equivalents of plastic surgery. If his face could be compared to anything in art, it would be to the warped and wonderful stylisations of Klimt, Schiele, Van Dongen, Beckmann, even Grosz.

A lot of its fascination, of course, derived from its strange colour. Leaving aside his own belief-beggaring protestations that the bleaching of his skin was the consequence of some dermatological disorder, it was perfectly clear that the primary motive behind his wilful self-transformation, from cute frizzy-haired black adolescent to his subsequent whiteness, was of a racist nature.

Such descriptive qualifiers as "black" and "white", though, are notoriously reductive. Nobody's skin is either literally black or white. White people are, if you want to be pedantic about it, mostly pink, while black people come in a generous spectrum of fleshy browns. But Jackson, who as an infant was conventionally "black", became not merely "white" but as white as a sheet of paper. It was as though it wasn't enough for him to become "white" in the conventional sense of the word; as though nothing less would satisfy him than to be incontrovertibly white, the diametric, almost binary, antithesis of black.

Nor was his whiteness just a question of skin tone. Think of his eyes and nose. Then think of the very word "eye", as it's printed on this page in lower-case letters. If ever there existed a word that was an ideogrammatic, visually onomatopoeic mise en abyme, then that word is "eye". What does it resemble if not a pair of heavy-lidded eyes, forming a minute isosceles triangle with the dainty skewwhiff nose of the "y", a nose uncannily like Jackson's own? Again, I say (and despite the fact that it gave rise to as much mockery as Cyrano's tumescent schnozzle), I thought it as pretty a nose as a putto's in a Tiepolo altarpiece.

As it was, however, conspicuously not an African-American nose, it seemed to offer further evidence that Jackson's ambition was to transcend all the rudimentary racial categories of "black" and "white". His goal was patently to be not just white but whiter-than-white, not just Wasp but Wasper-than-Wasp. It was as though what he always craved was to embody a single-member species of hyper-whiteness, hyper-Waspness, hyper-Aryanism, one that would be as "superior" to the white race as, in the codified racist hierarchy, the white race itself is claimed to be to the black.

 

The Guardian, 26 giugno 2009

***

"Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,

muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà".

E' il momento del tributo e delle lacrime. Le parole si sprecano, come si usa fare quando ad andarsene è un personaggio che - nel bene e nel male - ha fatto molto parlare di sè. E Michael Jackson un "personaggio" lo è stato: lo dico anch'io, che pure non l'ho mai considerato uno dei miei idoli. Era soprattutto - credo - un bravissimo ballerino ma, più di ogni altra cosa, ha avuto - insieme a pochi altri (come Madonna, ad esempio) - la capacità di fare della sua vita un'opera d'arte, sfruttando i suoi pochi o tanti "talenti".

Ma è anche il momento della retorica e delle esagerazioni: si sprecano le definizioni e le leggende; su tutte, anche la favola del ragazzo di colore che raggiunge il successo planetario, riscattando così tanti uomini neri, oppressi e ingiustamente discriminati: "l'Obama del pop" - ha titolato il Guardian.

In realtà, contrariamente a quanto si sente dire da alcuni, Michael Jackson non soltanto non è mai stato, ma non hai mai neanche voluto essere un'icona della "musica nera": al contrario di Luis Armstrong ed Ella Fitzgerald, lui non ha mai esibito con orgoglio l' "abbronzatura" della sua pelle, nè i suoi lineamenti che - alla nascita - erano quelli tipici degli afroamericani; al contrario, nel corso degli anni, come è noto, si è addirittura sottoposto a decine e decine di interventi di chirurgia plastica per "sbiancare" il colore della sua pelle ("whiter than white" - scrive Gilbert Adair) ed alterare la conformazione del suo naso e delle sue labbra, fino a diventare una sorta di "caricatura mostruosa" di se stesso.

Bisognerebbe ricordarselo, prima di lanciarsi in paragoni quanto meno bizzarri: Martin Luther King, Nelson Mandela e, adesso, il presidente Obama sono - se ci è consentito dirlo, citando una battuta di Nanni Moretti - "un po' tutta un'altra cosa!"

 
 
 
 

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