Scrivo ancora dal mare.
Una volta, forse un paio d’anni fa, invitai a casa mia a pranzo un amico. Lui si guardò intorno e commentò subito: “La tua è una casa terapeutica”.
Aveva forse colto l’essenza di “casa” che avevo cercato di trasmettere alle 4 mura che ho trasformato in nido. Un posto dove sia bello sedersi di sera, accendere le luci, raggomitolarsi sul divano e guardare fuori il mondo. Se poi piove e tira vento ancor meglio, ci si sente ancora più protetti.
La mia casa a Milano è ancora così, un rifugio dove tornare, un posto dove è bello stare, quasi un’amica.
Ma questa mattina guardando gli alberi che si vedono dalla finestra della casetta del mare, dove sono smobilitata da ormai un paio di settimane mi sono resa conto che anche qui c’è un’atmosfera decisamente terapeutica.
Sono arrivata stanca – fisicamente e spiritualmente – e ora mi sembra di rinascere.
Mi sento quasi il personaggio di uno di quei romanzi rilassanti che si leggono d’estate. Tutto è tranquillo, si chiacchiera, si ride, ci si rilassa, si guarda il cielo e si cercano disegni buffi nelle nuvole.
Forse sarà anche merito delle persone di qui che vivono la vita in maniera più tranquilla e meno di furia rispetto a Milano.
Sto reimparando a chiedere il caffé alto e non lungo, e mi sta perfno tornando l’accento simil-toscano che avevo da bimba (poi alle medie hanno inziato a prendermi ingiro non solo i compgani di calsse ma perfino i professori... così me lo sono fatta passare... che volete farci? L’adolescenza! Se non si è grulli in quegli anni quando si recupera?!). E’ proprio un ritorno a casa, intesa non come le 4 mura, ma come la casa del cuore. Bello.
Sto anche cercando di lavorare (e naturalmente suono tutti i giorni!), ma si vive proprio in un altro modo.
Ho fatto nuove amicizie.
Primo tra tutti Oliver. Che è un cavallo. Con grandi occhioni neri dolcissimi e teribilmente coccolone. Ormai mi conosce e quando mi vede viene a farsi fare i grattini.... se non abbiamo la nostra razione di coccole non se ne parla proprio di farsi una cavalcata. Come sono arrivata a fare grattini a Oliver? Be’... non che io abbia mai fatto equitazione ma mi piace fare passeggiate informali a cavallo.
Quest’anno ho scoperto un agriturismo gestito da madre e figlia. Scappate da Milano, sono qui con i cavalli. E hanno un approccio poco istituzionale. Ti insegnano a capire il cavallo e a stare bene insieme più che insegnare la tecnica. Così non imparerò mai a fare figure complicate e a saltare (neanche vorrei), ma io e Oliver ce la intendiamo alla grande, io gli faccio i grattini, e lui mi porta in giro. A volte ho quasi l’impressione che mi sorrida con aria complice...
Poi visto il tempo che è stato spesso inclemente c’è anche stato spazio per attività diverse dll’andare in giro in barca, nuotare, esplorare la costa.
Così capita di scoprire Pipino. Pipino è... be’... chiamarlo ristorante forse è esagerato. Un posto quasi sulla spiaggia, una costruzione strana, mezza in lamiera e mezza in legno, dove si mangia. Ti portano il menu’ scritto a mano su una lavagna semovibile, i clienti si tagliano il pane da soli, ci sono tre televisioni accese su tre canali rigorosamente diversi. E’ un posto splendido, dove non solo si mangia divinamente spendendo nulla, ma si incontrano belle persone. Ad esempio io e il babbo abbiamo fatto amicizia con un camionista fiorentino la cui mamma ha una fattoria piena di cani (lui adorava Harvey ovviamente), e con una famigliola mamma, babbo e figlio con amico. Una famiglia come quelle che sembrano non esserci più. Consolante. Scalda in cuore. E poi è bello andare a pranzo o a cena e chiacchierare cin tutti i vicini di tavolo come se si fosse amici da 10 anni per poi bersi caffé (corretto grappa per chi se la sente) tutti assieme. Viva viva Pipino – in questo caso non tanto il Breve quanto il Grande!!!!
E poi le more! Ce ne sono tantissime in questo periodo. Così con 2 amici abbiamo deciso di andare nelle stradine poco battute e raccoglierne il più possibile per poi tarsformarle in cose buone (marmellate, liquore di more...).
Credo di essermi guadagnata una medagli al valore. Per raccogliere queste more mi sono inoltrata da sola in luoghi isolati, spinosi, cespugliosi e soprattutto pieni di insetti di ogni tipo, tra cui ragni enormi (ma DAVVERO enormi). Non ne avevo mai visti così se non nei documentari. A striscie gialle e nere. Veramente inquietanti. E io ho il terrore dei ragni! Mi ero anche “conciata” in maniera adeguata.... pantaloni lunghi, scarpe da tennis sdrucite, maglietta “distruggimi” e (udite udite) codini e bandana. Ho utilizzato un vecchio fazzoletto (forse regalato con le patatine) rosso e arancione con disegni neri di mucche che sembravano ricavati da qualche grotta paleolitica. Ma almeno ero sicura di non trovarmi strane cose in testa. Dovevo anche avere un aspetto di molto strano, ma che importa? Mi sono divertita, mi sono sentita estremamente coraggiosa (per aver fronteggiato i ragni senza indietreggiare – quasi – mai), e ho raccolto tantissime more. Ora hanno inziato il loro percorso per diventare liquore alle more. I miei amici invece si sono incaricati di strasformare le loro in marmellata. Vi farò sapere gli esiti.... (che comunque promettono di essere interessanti!).
B.