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Messaggi di Febbraio 2019

Leggere

Post n°120 pubblicato il 28 Febbraio 2019 da fasanobi
 
Foto di fasanobi

I MIEI LIBRI. Sono immersa nei libri da piccolissima, mi hanno fatto compagnia nelle ore in cui ero costretta a letto. Ho fatto confusione tra i personaggi di D'Annunzio e quelli della mia vita di ogni giorno. Ho scritto libri, letto libri, recensito libri e creato copertine per i libri. Ho anche perduto un mare di libri annegati nel mio passato. Certamente, però, mi hanno forgiata, tanto di più quelli che ho dovuto abbandonare e, come fantasmi, si riaffacciano di tanto in tanto alla memoria. Amo i miei "interlocutori muti", che non restano mai uguali e parlano, invece, tanto, sempre con parole uguali, sempre con parole mutate dal fatto che sono cambiata io che li rileggo o li ricordo. Non riesco ad immaginare come si possa crescere senza di loro, fisici o in ebook. Conservo il ricordo dell'odore di nuovo che avevano i libri acquistati per la scuola e il ricordo dell'odore dei libri antichi della biblioteca Nazionale di Napoli e delle altre biblioteche che ho visitato per studio, quando google e i suoi derivati ed internet neanche era nell'iperuranio di Platone. Conservo il ricordo dei libri della biblioteca di mio padre, che spaziavano dalla letteratura alla fisica, dalla statistica al "Come giocare e vincere al poker", dagli "uccelli canori", al "I Purosangue da corsa", fino ai romanzi degli autori più conosciuti e su tutti, con il permesso di mio padre, ho messo le mani da piccola, lasciandoci il segno della matita, per poi metterci la mente "da grande", lasciandoci il segno della conoscenza. Libri letti in fretta, saltando le pagine, quando, in tempi lontanissimi, si andava a ballare a casa di amici ed io trovavo qualche libro interessante e lo leggevo, quasi fossi una "Ladra di libri", cercando di portare con me immagini di una storia che non potevo possedere tutta. Piango i libri che ho dovuto abbandonare, però sono restati come rimpianto nella mia mente. Tutti mi hanno fatto crescere e divenire quella che sono e i grandi autori del passato, finendo sulle bancarelle a pochi euro, e, a suo tempo, a pochissime lire, mi hanno fatto da monito dicendomi:-"Chi sei tu per credere che il TUO, di libro, possa avere più fortuna del mio?"- Tuttavia scrivo e studio ancora e ancora posseggo vite che non mi appartengono e ancora percorro strade di città che non ho mai visitato e mi immergo in emozioni che non potrò mai vivere e, forse, mai vorrei avere vissute, ringraziando l'autore del libro che le ha vissute per me, ha sofferto, per me, ha conosciuto fatti, storie, persone, memorie, città, mondi, che io non potrò mai conoscere se non attraverso lui. Leggete, leggete libri, leggete poesie, fatelo. Non è detto siano i miei, però, per favore leggete! Bianca.

 
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SAN GIUSEPPE MOSCATI.

Post n°119 pubblicato il 24 Febbraio 2019 da fasanobi
 
Foto di fasanobi

LA SOTTILE LINEA BIANCA SAN GIUSEPPE MOSCATI. (La parte dedicata allo studio grafologico si potrà trovare nel mio testo in elaborazione: “La grafia dell’amore e dell’odio ed altri metodi di comprensione dell’essere umano) Parlare di San Giuseppe Moscati mi emoziona perché ho una propensione personale nei suoi confronti che non nasce adesso ma è profondamente radicata nel passato. Basti dire che ho portato con me per anni un pezzettino del suo camice come reliquia e me ne sono privata soltanto per darla ad una persona che amo molto al momento che mi aveva bisogno per guarire da una grave malattia. A Napoli lo si ricorda come se non fosse morto tanti anni fa, ossia il 12 aprile del 1927; forse è restato vivo in qualche modo, anche soltanto attraverso la presenza della sua statua, la cui mano è consumata dalle strette di quanti gli vanno a parlare nella chiesa del Gesù a Napoli e vanno a pregare nel posto in cui è stato sepolto. Penso che non soltanto i napoletani abbiamo l'abitudine di salutarlo e nei casi particolari, che non mancano mai nella vita, di chiedere il suo aiuto come medico per la protezione di qualcuno che è ammalato o di se stessi, potendo visitare anche la sua camera con l'inginocchiatoio, lo studio ed una bacheca con gli arnesi e gli accessori da medico. Difatti la sorella del professore Nina Moscati, nata nel 1878 è morta nel 1931, a pochi anche dal fratello, dopo essergli stata sempre vicina in vita, aiutandolo nell’esercizio della sua carità, dopo la morte di lui ha donato alla chiesa del Gesù Nuovo il vestiario, il mobilio, e le suppellettili. Venne poi seppellita accanto al fratello nel 2009 ed a lei, l’8 marzo 2018 è stata dedicata una strada, difatti vico I Quercia presso Cisterna dell’Olio è attualmente, via Nina Moscati. Il medico Giuseppe Moscati era nato il 25 luglio 1880 a Benevento, settimo tra i nove figli del magistrato Francesco Moscati e di Rosa De Luca, dei marchesi di Roseto e venne battezzato il 31 luglio 1880. Un anno dopo la famiglia Moscati si trasferiva ad Ancona e poi a Napoli, Purtroppo quando Giuseppe aveva circa 12, anni il fratello Alberto, nel 1892, durante una parata militare a Torino, cadde da cavallo, riportando un trauma cranico, che gli causò anche una sindrome da epilessia. Il 12 giugno 1904 si spense a Benevento, dove si era ritirato presso l'ospedale "Fatebenefratelli" e Giuseppe lo assistette fino alla fine. Questo non impedì a Giuseppe Moscati di laurearsi a pieni voti con una tesi sull'urogenesi epatica, il 4 agosto 1903. Dopo poco tentò il concorso per assistente ordinario e per coadiutore straordinario agli Ospedali Riuniti degli Incurabili, superando entrambe le prove. Rimarrà nel nosocomio per cinque anni. La sua biografia ricorda che in quel periodo si alzasse presto tutte le mattine allo scopo di recarsi a visitare gratuitamente gli ammalati indigenti dei quartieri spagnoli di Napoli, prima di prendere servizio in ospedale per il lavoro e poi, nel pomeriggio, visitava gli ammalati nel suo studio privato in via Cisterna dell'Olio al numero 10, laddove una targa lo ricorda. Tutto ciò che compiva era fatto con fermezza e determinazione nella piena convinzione di essere nel giusto e nel 1911 il dottor Moscati risultò vincitore al concorso di Coadiutore Ordinario negli Ospedali Riuniti, che non si bandiva dal 1880 e al quale parteciparono medici venuti da ogni parte d’Italia. Nel ricordo del professor Cardarelli, facente parte della commissione esaminatrice, restò come una figura eccezionale e a ragione di ciò lo scelse come proprio medico curante. Occorre rimarcare, per far comprendere quale personalità coerente forte e dinamica possedesse il medico, evidenziata dalla sua grafia, che, prima di questo concorso, il dottor Moscati, prevedendo che ci sarebbero stati imbrogli e favoritismi, scrisse al Prof. Calabrese, ordinario di Clinica Medica: " ... Non posso tollerare la copia degli altri, già troppo protetti, e già lieti di prenotazione ai posti stessi, che sono stati a loro fatti intravedere da amicizie e compromessi pregiudiziali. [...] Io non agisco per superbia, ma per un innato senso di giustizia. Guai a toccarmi su questo punto!... " Dobbiamo evidenziare che Giuseppe Moscati era una personalità poliedrica, non soltanto nell'esercizio della sua professione, ma in quanto "scienziato" e ne fanno fede ben 32 pubblicazioni in campo medico dall'Ureogenesi epatica del 1903 alle Vie linfatiche dall'intestino ai polmoni del 1923. A questa sua fortissima abilità e attività di medico, fa da contrappeso, ovverosia la spiega, la sua capacità di dimenticare se stesso per gli ammalati. In un suo scritto datato 5 giugno 1922 possiamo leggere: - "Mio Gesù amore! Il vostro amore mi rende sublime, il vostro amore mi santifica, mi volge non verso una sola creatura, ma a tutte le creature". Parliamo di un uomo che in quanto medico, certamente aveva riconosciuto in se stesso le caratteristiche di una malattia che lo avrebbe portato alla morte in giovane età e quindi probabilmente se l'aspettava. Ciò non toglie che fosse anche un uomo perfettamente normale e anche questo appare dalla sua grafia, che dimostra come avesse un ottimo rapporto sia con il lato superiore della vita che con quello terreno. La sua integrità sia sotto il profilo di medico sia sotto quello di uomo gli fece scrivere: “Tutti i giovani dovrebbero comprendere che nella pratica della continenza è il modo migliore per tenersi lontani dalla massima malattia trasmissibile. Mantenendo il loro spirito e il loro cuore lontano dalla turpitudine, in un esercizio di rinuncia e di sacrificio, dovrebbero giurare di concedere la loro maturità e sanità sessuale solamente all'essere unicamente amato.” Abbiamo detto che come medico si aspettava di morire e difatti quando il 12 aprile 1927, un martedì prima di Pasqua, mentre compiva le sue visite pomeridiane agli ammalati, si rese conto di star male, preferì ritirarsi in silenzio nella sua stanza e la sorella raccontò come si fosse steso sul letto, avesse incrociato le braccia sul petto attendendo serenamente la fine che non tardò a giungere. A soli 46 anni, stroncato in piena attività, lascia un Napoli privata della sua operosità così indispensabile per quanti non avessero la possibilità di farsi curare per cui, al momento che la notizia del suo decesso venne annunciata, si propagò di bocca in bocca con le parole: " È morto il medico santo ". Il Prof. Giuseppe Moscati è stato beatificato da S. S. Paolo VI nel corso dell'Anno Santo, il 16 novembre 1975.

 
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uomini in cambio di carbone

Post n°118 pubblicato il 20 Febbraio 2019 da fasanobi
 
Foto di fasanobi

LA SOTTILE LINEA BIANCA UOMINI IN CAMBIO DI CARBONE. Il nostro paese a partire dal 23 giugno 1946 , scambiò con Bruxelles uomini in cambio di combustibile . Fu infatti firmato a Roma, in quella data, un protocollo per il trasferimento di 50.000 lavoratori italiani nelle miniere belghe, il cosiddetto accordo “uomo-carbone”, siglato dal primo ministro De Gasperi e dal suo omologo Van Acker. Fa da contrappasso a questo ricordo la teoria “immigrati in cambio di flessibilità, che circola almeno dall’aprile 2016, quando ne parlò l’allora presidente del Comitato di controllo Schengen ossia la deputata di Forza Italia Laura Ravetto. Il presunto accordo tra governo Renzi ed Unione Europea sarebbe stato ufficializzato durante l’estate e l’autunno del 2014, mentre veniva negoziato il lancio dell’operazione Triton, ossia la missione europea per la protezione delle frontiere marittime italiane guidata dall’agenzia Frontex. Ma torniamo ai minatori: Tra il 1946 e il 1957 gli italiani espatriati verso quella terra, che si riteneva essere un paradiso (almeno come appare l’Italia agli attuali immigrati), sono stati 223.972, rispetto ai 51.674 rimpatri. Si trattava di un afflusso senza antecedenti simili, che il Belgio (otto milioni e mezzo di abitanti nel 1950) non era assolutamente preparato a ricevere. Difatti le famiglie italiane, quando arrivarono, finirono nelle baracche, ossia nelle costruzioni di lamiera che durante la Seconda Guerra Mondiale erano state utilizzate prima come lager dai nazisti e poi come campo di prigionia per gli stessi tedeschi. Il contratto prevedeva per i minatori un periodo minimo di un anno di lavoro (pena l'arresto in caso di rescissione da parte loro). Per 8 anni, per molti di loro fino al giorno della tragedia di Marcinelle, gli italiani lavorarono giorno e notte in cunicoli alti appena 50 centimetri a più di 1000 metri dentro le viscere della terra, spesso vittime di esplosioni di grisù e di malattie gravi come la silicosi. Lasciavano le campagne, l’aria aperta e l’Italia (del sud), perché avevano bisogno di soldi, e durante la prima discesa “al fondo”, certamente si dicevano: “Se risalgo in superficie, laggiù non ci torno più”. In tanti sono morti di silicosi, che rende il respiro corto e uccide. In molti sono sopravvissuti, ammalati o “quasi sani”. Alcuni sono ritornati in patria, altri divenuti “Belgioti”. Trovarono un lavoro che una parte dei belgi non volevano più fare perché volevano “abbandonare una fatica quanto mai ingrata ed abbrutente, nociva, mal retribuita e pericolosa”. Tanto c’erano gli italiani a prendere il loro posto, che furono spediti dal primo ministro De Gasperi a procurare carbone, ad uccidersi di lavoro, in nome della necessità. La storia di tanti si concluse nella miniera di Marcinelle, diventata famosa a motivo dell’incidente che, l’8 agosto 1956, causò la morte di 262 minatori, tra cui 136 italiani. Gli ultimi corpi furono ritrovati il 22 marzo del 1957, mentre si dava inizio all'inchiesta su chi avesse la colpa della tragedia. Come supponibile, la Commissione belga (nella quale furono chiamati anche alcuni ingegneri minerari italiani), discolpò la società delle miniere del Bois du Cazier (il vero nome delle Marcinelle), in un percorso zeppo di mancanze e vizi di forma. l’unico condannato fu, nel 1961, Adolphe Cilicis, un ingegnere che dirigeva i lavori della miniera, mentre già nel 1959 i dirigenti della miniera erano stati assolti dalle accuse di inadempienza. Dopo l’incidente, il sito minerario riprese a lavorare circa un anno più tardi, prima di cessare del tutto le attività nel 1967. I superstiti dell’incidente furono soltanto 13. Le vittime non ebbero né giustizia né risarcimento in quell'estate di 60 anni fa, al tempo in cui gli italiani, cercando una nuova terra che li accogliesse, non morivano annegando in mare, ma sotto terra, immersi nei cunicoli, ad estrarre carbone. BiEffe Foto da: http://reportage.corriere.it/esteri/2016/la-memoria-dei-minatori-italiani-in-belgio/

 
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Lettera aperta a Matteo Salvini.

Post n°117 pubblicato il 12 Febbraio 2019 da fasanobi
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Lettera aperta a Matteo Salvini. Lega, vicepresidente del Consiglio e ministro dell'interno del Governo Conte. Gentilissimo, non le darò del tu, in quanto non ci conosciamo, neanche del voi, tanto voluto dal fascismo da costringere ad usarlo anche con Giacomo Leopardi, quando si trasmise un suo testo alla radio. Per cui le darò del “lei”. Sa bene che l’attuale “lega” lo è dal 21 dicembre 2017, dopo che è stata eliminata la parola "Nord" e il Sole delle Alpi (il sole meridionale è ben più caldo) dal proprio simbolo. Da buon politico intelligente (qual è), ha compreso che, pur essendo “partito come partito” dalla Lega Nord per l'Indipendenza della Padania, nato nel 1989 dai sei movimenti autonomisti regionali attivi nell'Italia settentrional ( Lega Lombarda, Liga Veneta, Piemont Autonomista, Union Ligure, Lega Emiliano-Romagnola ed Alleanza Toscana), se voleva che il partito rappresentasse l’Italia intera, doveva fare sì che non fosse più un partito “separatista ed autonomista”. Di conseguenza occorreva che NOI DEL SUD, dimenticassimo le frasi dette da lei per implementare i voti del nord: -“ 2009. Festa di Pontida. Lei intonava il coro: “Senti che puzza scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”- Agosto 2012. Lei su Facebook:“Una sciura siciliana grida e dice “vogliamo l’indipendenza, stiamo stanchi degli attacchi del Nord”. Evvaiiiiiiii””- 2014. Riguardo ad una possibile riforma della Scuola, Lei dichiarava: “Bloccare l’esodo degli insegnanti precari meridionali al Nord”.(n.D.a. neanche se noi del sud stessimo morendo dal desiderio di lasciarlo e non lo facessimo soltanto per necessità).”- Mi fermerò con (sua) :-“ Carrozze metro solo per milanesi”.- Le risparmio le perle di saggezza dette dai “suoi” in passato. Però vorrei ricordarle che “i suoi”, oggi lo sono ancora di più e sarebbe il caso di ricordare loro un po’ di cose, per evitare che, venuti nel NOSTRO meridione, con l’ausilio di persone che, accogliendole, non glielo facciano notare (il che è più vergognoso e blasfemo di quanto si possa immaginare), si comportino come se il cervello, la cultura, l’intelligenza e una genetica perfetta, fossero patrimonio di chi è nato DOPO ROMA. Non le conviene. Glielo dico in quanto alla lunga potrebbe anche nuocerle. Il primo voto in meno sarebbe IL MIO. Dunque: cosa ha fatto per noi l’esaltato Garibaldi con il suo “ubbidisco”? Ci ha ceduto al Piemonte. Cos’era “il piemonte” prima dell’unità d’Italia? Non glielo voglio neanche dire: se lo vada a studiare LEI. Cosa fa parte del patrimonio genetico dei “sudisti?” Innanzi tutto sarebbe utile ricordare anche a chi è più “razzista” di quanto possiamo immaginare sia LEI, che L'Europa è stata colonizzata dagli esseri umani moderni (provenienti dall'Africa). Insomma: siamo tutti AFRICANI. Tuttavia, prima di andare oltre (potrei rimandarla al mio testo storico/sociologico Polvere di Storia, però sembrerei “di parte”), quindi, visto che Il governo italiano è formato da Lega e Movimento 5 Stelle, mi limiterò a ricordarle (http://www.beppegrillo.it/terroni-intervista-a-pino-aprile/), l’intervista pubblicata sul Blog di Beppe Grillo a Pino Aprile per il suo libro “Terroni” (stralcio):-“Blog: “Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud diventassero meridionali, cosa è stato fatto in questi 150 anni? Pino Aprile: “Di tutto, sono state usate le armi, la politica, l’economia per creare un dislivello tra due parti del paese che non esisteva al momento dell’Unità e questo pur sostenuto nel corso di un secolo e mezzo da fior di studiosi, non è mai stato preso in considerazione.”- E, sempre dallo stesso articolo/intervista: -“ Il libro “Terroni” di Pino Aprile dovrebbe diventare un testo di scuola. Da 150 anni ci raccontano la barzelletta del Sud liberato dai Savoia per portarvi la libertà, la giustizia, il progresso. “Terroni” descrive con una puntigliosa documentazione e ricerca delle fonti un’altra realtà. Quella di un Paese occupato, spogliato delle sue attività produttive, con centinaia di migliaia di morti tra la popolazione civile. Un Paese “senza più padri“, costretti, per sopravvivere, a milioni all’emigrazione (prima quasi sconosciuta) dopo l’arrivo dei Savoia che, per prima cosa, ne depredarono le ricchezze a partire dalla Cassa del regno delle Due Sicilie. “Terroni” racconta le distruzioni di interi paesi, le deportazioni, la nascita delle mafie alleate con i nuovi padroni. L’Italia unita è stata fatta (anche) con il sangue degli italiani.”- Perlomeno dei “5 stelle” dobbiamo apprezzare il fatto che grillini erano e tali sono restati. Noi del Sud siamo figli delle colonizzazioni greche e bizantine e se qualcosa mancava ai nostri ricchissimi cromosomi c’è stata data con la violenza da quanti, sul nostro (troppo), fertile territorio, hanno messo le zampe più volte. Per il resto, ci siamo meritati dei “RE”, che invece di difendere i nostri territori, sono fuggiti altrove e “VOI DEL NORD”, un uomo troppo intelligente chiamato CAVOUR il quale, anche a mezzo di donne come “la Contessa di Castiglione”(cui avrebbe detto “usate tutti i mezzi che vi pare, ma riuscite” e quindi sedusse Napoleone III, portandolo così a rinforzare la causa dell’indipendenza italiana), riuscì a fare la piemontesizzazione, che venne chiamata “Unità d’Italia.” Poi, come italiani, ci siamo meritati un primo RE che si diceva essere il figlio di un macellaio, sostituito al vero principino morto in un incendio, nella sua culla di Palazzo Pitti a Firenze. E Garibaldi, che aveva promesso le terre ai meridionali, però si ritirò in buon ordine, dopo essersi assicurato che le sue truppe fossero arruolate nell’esercito regolare. DOMANDA: Che cosa poteva nascere dall’unione di una “Marchesa di alto bordo”, di un “figlio di nessuno divenuto re”, di un “folle visionario con la camicia rossa” e di un “secondogenito senza un soldo e in cerca di gloria”(tale era Camillo Benso, conte di cavour)? L’Italia che abbiamo. Oggi la governate voi. Chiedete ai vostri giannizzeri di andarsi a studiare i “veri” libri di storia. Chiedete loro di comprendere come, attraverso la Cassa del Mezzogiorno, lo 0,5% del Pil veniva impiegato per strade, scuole, fognature, spacciando tali opere per “interventi straordinari”, laddove, come suggerisce Pino Aprile nel suo libro: - “Dov’è la cosa straordinaria del fare le strade, le fogne, le scuole?”- Si considerava “straordinario” costruire un Paese con fondi pubblici, tuttavia:- “Al nord con quali soldi hanno fatto le strade, le scuole, le fogne?.- Intanto, ancora oggi, un suo Ministro, il ministro Bussetti viene ad offendere gli insegnanti del Sud. Illustrissimo Vice Ministro, l’unica cosa che mi demoralizza davvero è il fatto che, con una sottomissione di comodo (ma per quanto ancora?) veramente vergognosa, c’erano ad Afragola e Caivano (Napoli), gente del posto ad accogliere, plaudire ed osannare (annuire alle sue parole), quel SUO Ministro del… Governo, mentre, una volta di più (e proprio di troppo), offendeva chi gli paga lo stipendio. Bianca Fasano.

 
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E SE UN GIORNO LA VITA TI METTE ALLA PROVA.

Post n°116 pubblicato il 09 Febbraio 2019 da fasanobi
 
Foto di fasanobi

LA SOTTILE LINEA BIANCA.

E SE UN GIORNO LA VITA TI METTE ALLA PROVA.

"Manuel Bortuzzo resterà paralizzato": dopo gli spari all'Axa i medici lasciano poche speranze, non camminerà più.“ La mira e il bersaglio erano sbagliate e quel proiettile sparato colpisce un giovane atleta che si ritrova nel posto sbagliato al momento sbagliato. E’ facile per noi commuoverci. Però sarà lui a doverci convivere, con tutte le situazioni che il dramma implica. Come si fa se un giorno la vita ti mette alla prova, mentre tu non avevi nessuna ragione per meritarlo o aspettartelo? Ho seguito molte storie di questo tipo e trovato illuminante : http://invisibili.corriere.it/ Una idea forte, laddove compare la lettera di Antonio Giuseppe Malafarina, dedicata a Manuel: - “(…)La vita non è bella. La vita è una dimensione che conosciamo strada facendo. Se capiti sulla corsia sbagliata hai un bel cercare la bellezza. Garantisco io che delle doti della bellezza faccio una ragione di vita e della vita una ragione di pensiero. Faccio il giornalista. Seguo la disabilità nei più svariati campi da quando, il 13 settembre 1988, sono diventato tetraplegico.(…)”- Forte l’idea di penetrare, senza avere la sfortuna di viverlo, un universo in cui tu non sei più quello di un minuto prima. Anche quando ti organizzi per affrontare la parola “tumore”, non sei più quello di un minuto prima. Non lo sei persino quando, “da sano”, ti resta nell’orecchio una canzone allegra, cantata da una ragazzina di quindici anni, ammalata di leucemia, assieme alla mamma (bardata di bendina azzura, schermatura per gli abiti e le scarpe), ad una giovane che si prova coraggiosamente ad uscire viva da un tumore e da te, che filmi tutti, coperta di bendina azzurra, copri capelli, camice azzurro, copri scarpe e terrore. Non ti lascia più quel motivo. Il coraggio non è quello di vivere ogni giorno, l’abnegazione non è quella di dedicarsi ad “essere presente” accanto a chi ami, specialmente se ne ha bisogno, la noia non dovrebbe essere nemmeno nominata, anzi, esclusa dal vocabolario come parola insensata, che offende la vita. Chi ha noia potrebbe dedicarsi ad aiutare gli altri, se non sa aiutare se stesso. La noia si frantumerebbe in gocce di comprensione per chi non ha quello che tu ritieni sia scontato e persino noioso: la speranza di una vita lunga, senza sofferenze, senza disabilità fisiche (o mentali), senza la sottile paura che un male vinto possa ripresentarsi. Dunque: Manuel. Non camminerà più. Forse tornerà in piscina perché gli potrà essere utile, di certo non si presenterà alle olimpiadi. Vorrei stringerlo a me, tuttavia sarebbe inutile. Resta l’augurio che, con l’aiuto dei suoi familiari, riesca a costruirsi un sogno dove delle gambe “possa farne a meno”. Che sia capace di diventare un altro se stesso. Questo l’augurio. L’augurio che faccio a tutti quelli che non conoscono “il giorno della prova” è che non debbano conoscerlo mai. Ma anche che si rendano conto di quanto sono fortunati. BiEffe

 
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