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Il mio mestiere

Post n°3721 pubblicato il 23 Marzo 2022 da namy0000
 

IL MIO MESTIERE? UCCIDERE GLI UFFICIALI

«Faccio il cecchino perché ho voluto mettere a disposizione del mio Paese quello che so fare meglio: mirare e sparare». E oggi i suoi bersagli sono i soldati russi che hanno invaso l’Ucraina dal Nord. Maksym, 31 anni, nome di battaglia “L’italiano”, è uno sniper inquadrato nelle squadre speciali dell’esercito regolare ucraino. Uno di quelli che sta in prima linea, o dietro quelle nemiche.

“Italiano” perché ha trascorso parte della sua giovinezza nel nostro Paese, al seguito della madre. Poi, nel 2015, è tornato in patria per arruolarsi nei reparti paramilitari del Pravyj Sektor. Il “Settore Destro”, le milizie ultra nazionaliste di estrema destra che andavano a contrastare i secessionisti del Donbass. Per combattere i russi, adesso, ha salutato la moglie e la figlia di due anni e mezzo.

Ci raggiunge al telefono di sera, smessa la mimetica, da una cucina di una modesta abitazione, diventata ricovero di fortuna per quella notte. Domani sarà altrove, lui e la sua squadra. «Se la popolazione non ci aiutasse saremmo già spacciati», spiega. «E invece tutti ci danno una mano: l’anziana signora che viveva qui da sola ci ha lasciato la casa riscaldata e le vettovaglie in dispensa. E noi l’abbiamo acconpagnata a 80 chilometri più all’interno, in un posto più sicuro». Se può esserci ancora un posto sicuro in questo Paese. Siamo in una città nella regione di Sumy, nel nord dell’Ucraina, a poche decine di chilometri dal confine con la Russia. Il centro abitato è stato messo a ferro e fuoco nelle settimane precedenti dai russi. «I morti tra i civili sono oltre 400, vittime di attacchi aerei notturni iniziati una settimana fa. Abbiamo estratto i cadaveri dalle macerie anche noi. Qui c’è solo devastazione, eppure non esistono obiettivi militari», dice. «Nei boschi circostanti fino a ieri si cacciavano solo i cinghiali e gli unici rumori erano gli spari dei cacciatori. Ora le prede sono altre e l’artiglieria rimbomba fortissima».

La resistenza della popolazione, ci spiega il tiratore scelto dell’esercito ucraino, si è tradotta fin da subito in azioni di sabotaggio: «I mezzi corazzati russi spesso si sono persi nel nulla, perché gli abitanti della zona hanno tolto tutte le insegne stradali. Poi la neve ha iniziato a sciogliersi e i carri armati si sono impantanati. Altri restano a secco di gasolio, come ieri, quando ne abbiamo catturati un paio e l’equipaggio è fuggito abbandonando il mezzo sulla strada». Pausa. Finisce di pulire il suo Zbroyar, un fucile di precisione che colpisce un bersaglio (una persona ndr) a un chilometro di distanza. Il tempo di accendersi una sigaretta e prosegue: «Il mio lavoro? Eliminare gli ufficiali nemici. Poi anche raccogliere informazioni sullo spostamento delle colonne militari, e magari dare le coordinate per correggere il tiro dell’artiglieria».

Gli chiedo quanti russi ha ucciso. Silenzio. «Preferisco non rispondere. È il mio lavoro, punto. Se io non metto a segno il tiro, il nemico ammazza me (come nella Storia di Piero, canzone di Fabrizio De Andrè ndr) e metto a rischio la vita dei miei compagni. Per porre fine alla battaglia basta un colpo preciso contro chi guida la squadra nemica perché gli altri scappino terrorizzati».

È la logica primordiale e basica della guerra e lui sa metterla in pratica al meglio, cresciuto com’è a pane e fucili, con i galloni in giro per casa: nonno ufficiale dell’esercito sovietico, zii da parte del padre ufficiali dell’esercito ucraino. Il padre nel 2014 si era arruolato come autista nei reparti speciali.

Lavora in coppia il sergente cecchino: lui spara e il compagno osserva al cannocchiale. L’uso dei visori termici gli ha causato un danno all’occhio destro, così ha imparato a tirare anche mirando con il sinistro. «Quasi ogni giorno mi dico: oggi magari sarà l’ultimo», ammette. Ma come si vince la paura di morire, Maksym? «La paura non si vince. La si utilizza come forza per sopravvivere, altrimenti iniziano a tremarti le mani ed è finita». Solo pochi giorni fa la fortuna gli ha fatto credito ancora una volta: una bomba sparata da un mortaio Hurricane gli è caduta a pochi passi, infilandosi nel fango senza esplodere. «Non sarebbe rimasto nulla di me», commenta secco, prima di farsi una sonora risata.

Torna serissimo, però, quando gli chiedo di Putin e dei russi: «Aveva programmato l’invasione da tempo. Ma i suoi soldati non pensavano di trovarsi davanti a un esercito pronto ad affrontarli. E non si aspettavano nemmeno che la gente imbracciasse i fucili e si mettesse a fabbricare molotov con le bottiglie di vodka. Pensavano di essere accolti con baci e abbracci». Ora deve chiudere. Alle tre del mattino suona la sveglia e alle quattro ricomincia il “lavoro”. Sull’esito della guerra non ha nessun dubbio: «l’abbiamo già vinta». Sulla data della fine, invece, l’ultimo azzardo: «Quando uscirà il giornale, magari, sarà già conclusa». (FC n. 12 del 20 marzo 2022)

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