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Guerra Medio Oriente, interviste

2023, FC n. 45 del 5 novembre

Intervista a Roy Chen, scrittore, 43 anni, la famiglia paterna arrivò in Palestina nel 1492 in seguito all’espulsione degli Ebrei dalla Spagna, la famiglia materna arrivò dal Marocco, alla fine degli anni 1940.

Guerra Medio Oriente. La soluzione? Forse dare il potere alle donne

«Sabato 7 ottobre doveva essere per me un giorno di festa: ero impegnato con le rappresentazioni di uno spettacolo per bambini, scritto da me e stavo preparando lo spettacolo Chi come me. Invece mi sono svegliato in un altro mondo, un mondo di guerra, di morti, feriti e rapiti. Ho scoperto che un cugino di una mia amica ha visto i suoi genitori assassinati davanti ai suoi occhi e si è nascosto in un armadio per 14 ore. Ho scoperto che due zii della ragazza di mio figlio sono stati assassinati e una zia è stata rapita. Ho scoperto che la nonna di un attore che conosco, una donna di più di ottant’anni, è stata rapita. Tutti sono civili innocenti. Per una settimana sono rimasto paralizzato. Ciò che mi ha fatto rialzare è stata l’indignazioneper il modo in cui la guerra veniva raccontata nei media mondiali».

«Con molte bugie. Per tutta la vita ho lottato per la pace. Credevo che i palestinesi meritassero il proprio Paese. E anche oggi ci credo. Ma non bisogna fare confusione: l’attacco del 7 ottobre 2023 non deriva da un desiderio di pace, è un puro atto terroristico sadico. Le persone che uccidono ragazzi che ballano, poi fotografano i corpi e caricano le immagini su Facebook non vogliono la pace. Chi rapisce un bambino di due anni non ha cuore. Chiunque violenta una donna e poi la carica su una jeep diretta a Gaza non combatte per i diritti umani». (…) «Il Governo israeliano guidato da Bibi Netanyahu è un Governo pericoloso, sia per i palestinesi che per gli israeliani. Nell’ultimo anno  ho protestato contro il nostro Governo e continuerò a protestare finché non sarà sostituito. Ma spero davvero di vedere anche il popolo palestinese protestare contro Hamas, l’organizzazione terroristica che ha preso il sopravvento». (…)

«I politici di tutto il mondo sono concentrati su una cosa: sé stessi. E a volte il prezzo che si paga è troppo alto, come adesso».

«Riporto una citazione dal mio romanzo Anime: “In guerra vince solo chi vive, chi muore perde sempre, non importa da quale parte”».

Perché in tanti decenni non si è ancora trovata una convivenza pacifica fra israeliani e palestinesi? Dove stanno le colpe?

«A volte mi sembra che se le donne fossero al potere tutto funzionerebbe. Non mi fido più degli uomini con il loro Ego maledetto. Sono nato e cresciuto a Tel Aviv, una delle città più belle, progressiste, liberali e aperte del mondo. Ho paura di perderla. Ho paura degli estremismi. Temo i terroristi che operano sotto un falso mantello ideologico. Ho paura che perderemo la speranza».

«Nelle prime due settimane di guerra non capivo come fosse possibile scrivere o leggere. Pensavo che non avrei mai più riso, ma non potevo nemmeno piangere. Non posso ancora. È troppo difficile per ora. Tutti cercano di aiutare, ognuno a modo suo, io ad esempio mi concentro sui bambini e sui ragazzi. Leggo storie, faccio Zoom, il mio teatro propone spettacoli online gratuitamente. Vengo intervistato per articoli come questo, così che tutti sappiano che ci sono ancora più di 200 civili innocenti a Gaza, persone come me e te. Se tra loro ci fosse tua figlia o tuo nonno, staresti in silenzio?».

 

2023, FC n. 45 del 5 novembre

Intervista ad Asma’ al-Atawna, 45 anni, scrittrice, nata a Gaza da una famiglia beduina. All’età di 9 anni si è trasferita con i genitori negli Emirati Arabi. È poi tornata a Gaza per gli studi universitari. Nel 2001 è fuggita in Europa. Da allora non è più tornata nella sua terra natale. Vive in Francia, a Tolosa. Ha raccontato la sua storia in un libro, scritto in arabo, tradotto in tedesco (Keine luft zum Atmen), ovvero “Senza aria da respirare”.

La mia gente a Gaza chiede di essere libera

La sua voce squillante si incrina quando la memoria torna alla sua vita di un tempo a Gaza. «È dura, non posso evitare di commuovermi». «In Francia le manifestazioni filopalestinesi sono state vietate». «Sono nata da una famiglia beduina trasferitasi nella Striscia nel 1948. Negli anni 1980, con l’exploit del petrolio, negli Emirati Arabi c’era grande bisogno di lavoratori e mio padre decise di partire. Mia sorella minore undici anni fa è fuggita dalla Striscia con i suoi figli e si trova in Egitto, in una situazione di irregolarità: lei e i figli non esistono per lo Stato. Ma non possono neppure tornare a Gaza. I miei nonni materni vivono ancora nella Striscia, ma non ho loro notizie da molti giorni a causa del blocco della corrente elettrica. Non so se siano morti, se la loro casa sia stata distrutta. Ho lasciato Gaza nel 2001. Ho provato a tornarci da turista quando ho ottenuto la cittadinanza francese. Ma i soldati israeliani mi hanno bloccato perché sul mio passaporto c’era comunque scritto che io sono nata a Gaza. È assurdo che io non sia libera di andare a trovare la mia famiglia nel mio e loro Paese, la terra in cui sono nata».

A quel tempo è fuggita per sottrarsi a una cultura fortemente patriarcale. Nel suo libro racconta in particolare cosa significa essere bambina e donna a Gaza.

«La vita a Gaza è difficile per tutti, ma per le donne è ancora peggiore. Nei paesi arabi, se tu sei una ragazza ubbidiente, che non solleva problemi e non fa domande, va tutto bene. Ma se tu cerchi di essere te stessa e di trovare la tua strada, sei soggetta a critiche, giudizi, a discriminazione ed emarginazione da parte della famiglia e della società».

Cosa prova oggi quando pensa alla sua terra?

«Penso prima di tutto ai miei nonni: stanno rivivendo lo stesso trauma vissuto nel 1948, quando vennero mandati via dal loro villaggio nel deserto del Negev e arrivarono a piedi a Gaza. E dopo aver costruito la loro casa, adesso viene comandato loro di andarsene anche da lì. Sono rifugiati più volte. E allora penso che per noi palestinesi non ci sarà mai un posto dove vivere sicuri e in pace. È come se tu non fossi padrone della tua vita e delle tue scelte. Oggi qui in Francia sento parlare dei palestinesi uccisi come se nemmeno fossero persone. È come se avessero perso la loro dignità di esseri umani. Sento identificare tutti i palestinesi con Hamas. Ma non è affatto così: a Gaza vivono tanti cristiani, che sono sempre andati d’accordo con i musulmani, senza alcuna divisione, e che oggi sono vittime anche loro dei bombardamenti; vivono persone di differenti posizioni politiche; c’è tantissima gente che non è dalla parte di Hamas. Noi siamo semplicemente palestinesi, esseri umani. Da sedici anni Gaza vive sotto un blocco: i palestinesi non sono liberi di muoversi, viaggiare, non sono liberi di decidere quanta acqua, cibo, elettricità avere a disposizione e usare. Tutto è controllato da Israele. Ci rendiamo conto che ad ogni bambino che nasce a Gaza deve essere assegnato un numero da parte di Israele altrimenti è come se non esistesse? E se, dopo tanti anni, i palestinesi decidono di resistere e di riprendersi ciò che è loro, vengono tacciati di essere tutti terroristi e dalla parte di Hamas. Ma qui non si tratta di Hamas, si tratta dell’occupazione. Penso che, per arrivare a una soluzione, la comunità internazionale prima di tutto dovrebbe imporre delle sanzioni a Israele».

Lei se n’è andata da Gaza nel 2001. Hamas ha preso il potere nella Striscia nel 2007. Si è fatta un’opinione su questa organizzazione?

«Se io vivessi a Gaza, mai voterei per Hamas, così come non voterei per alcun partito politico-religioso. Tantissime persone a Gaza non hanno alcuna relazione con Hamas. Ma quando, nel 1996, Arafat con l’Autorità nazionale palestinese (Anp) arrivò a governare i Territori palestinesi (come conseguenza degli Accordi di Oslo), noi rifugiati di Gaza, che vivevamo in condizioni di estrema povertà, abbiamo visto tanta corruzione politica e ingiustizia. Non ci siamo sentiti affatto rappresentati dall’Anp. Hamas al contrario distribuiva cibo alla gente, costruiva spazi di gioco per i bambini. Ovviamente lo faceva per scopi politici. Ma la gente, che si sentiva oppressa, frustrata dalla gestione dell’Anp, a quel punto scelse Hamas».

Ha tre figli nati in Francia. Parla con loro della guerra?

«Io ho cercato sempre di proteggerli. Ma mio figlio più grande, che ha 17 anni, un giorno mi ha chiesto: “Mi puoi dire cosa sta accadendo? Dimmi il tuo punto di vista”. Allora ho deciso di rispondere mostrandogli dei video della Ong Medici senza frontiere per fornirgli un punto di vista più oggettivo della situazione, attraverso l’impegno degli operatori umanitari che lavorano per aiutare la gente di Gaza» .

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