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Messaggi di Luglio 2023

In missione fra i più poveri

Post n°3893 pubblicato il 16 Luglio 2023 da namy0000
 

2023, Avvenire 15 luglio

«In missione fra i più poveri del Perù. Prima con mia moglie. Poi da prete»

Padre Armando Zappa, tornato in Italia per celebrare il matrimonio della figlia, racconta la sua vocazione e il rapporto con la famiglia

Prima, in giacca e cravatta, emozionato come ogni padre nel giorno del matrimonio della figlia, l’ha accompagnata all’altare prendendola sottobraccio. Poi è andato in sacrestia, ha vestito i paramenti sacri ed è tornato a celebrare Messa. È una storia particolare quella di padre Armando Zappa, missionario in Perù, che nei giorni scorsi è tornato a Prato per sposare sua figlia Anna.

Padre Armando, oggi, ha 68 anni: trent’anni fa partì insieme alla moglie Marta per l’America Latina – destinazione Bolivia – con l’Operazione Mato Grosso, il movimento fondato dal salesiano padre Ugo de Censi per aiutare i più bisognosi dell’America Latina attraverso campi di lavoro e impegno dei giovani. L’associazione ha molti gruppi attivi in Toscana, e in particolare proprio nel territorio pratese.

Un anno dopo la partenza, la nascita della figlia Anna. La famiglia proseguì la propria vita in missione, fino a che Marta non si ammalò gravemente. Tornata a Prato per curarsi, morì nel 2013 all’età di 58 anni. Armando, rimasto vedovo, continuava a sentire il bisogno di donarsi agli altri. Fu padre Ugo a spiazzarlo con una proposta molto impegnativa: diventare sacerdote e aprire una nuova missione a Chimbote, in Perù, in una baraccopoli poverissima dove vivono gli ultimi fra gli ultimi, in piccole case fatte di stuoie e compensato, l’una attaccata all’altra. La parrocchia ancora non c’era, come non c’era l’acquedotto, né le fogne.

La notizia della nuova partenza e della scelta del sacerdozio fu un colpo per la figlia Anna, all’epoca ventenne, che voleva restare in Italia. A raccontarlo, intervistato dal settimanale Toscana Oggi, è lo stesso padre Armando: «Soffriva e non lo nascondeva, anche se non mi ha mai fatto pesare queste scelte». «Non sei più mio, adesso ti devo dividere con tante altre persone», gli diceva la figlia.

Nel 2016, a 61 anni, è arrivata l’ordinazione sacerdotale a Lima e poi, subito dopo, il viaggio per Chimbote. Col tempo, però, il legame tra padre e figlia non si è spezzato, anzi è divenuto più forte, «capisce che l’amore per lei c’è ed è unico», sottolinea il sacerdote. In sette anni di ministero sacerdotale padre Armando ha costruito sei asili, che ospitano quattrocento bambini, e una scuola corrispondente alle nostre elementari e medie: «Qui i minori passano molte ore al giorno da soli e sono esposti a tutti i pericoli della vita di strada, averli a scuola, dare loro un’educazione o semplicemente un pasto, è un servizio importante», racconta.

Si occupa di due parrocchie per un totale di settantamila abitanti. Il cuore della missione è la casa “Mamma mia”, dove, tra le varie opere, c’è una mensa dei poveri che ogni giorno dà da mangiare gratuitamente a circa settecento persone. Il sacerdote non è solo: la missione è sostenuta economicamente dal lavoro svolto in Italia dai gruppi dell’Operazione Mato Grosso che raccolgono fondi attraverso vari servizi, fra cui il catering per eventi e cerimonie o la gestione di alcuni rifugi di montagna.

A Chimbote poi (come nelle altre missioni dell’associazione sparse tra Perù, Brasile, Bolivia, Ecuador) arrivano a rotazione molti volontari, uomini e donne, spesso giovani, che scelgono di vivere per alcuni mesi un’esperienza missionaria. In questi anni non sono mancate a padre Armando le occasioni per tornare in Italia: ma nessuna così bella e importante come quella per il matrimonio di Anna. «È stato un momento molto emozionante – confida –. Ho avuto modo di portare mia figlia all’altare da papà e poi l’ho sposata da sacerdote. Per me è anche la fine di un percorso».

 
 
 

Cosa succede ai nostri ragazzi?

2023, Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta FC n. 28 del 9 luglio

Cosa succede ai nostri ragazzi?

Cosa sta succedendo agli adolescenti? Sembrano sempre in crisi, a disagio o a rischio di sviluppare problemi di natura psicologica ed emotiva. Voi psicoterapeuti dell’età evolutiva continuate a parlare di genitori fragili e in effetti a volte io mi sento così di fronte ai miei due figli. Mi sembra che vivano in un mondo con così tante sfide che mi riesce difficile pensarmi capace di guidarli e crescerli in tanta complessità – Alda

Cara Alda, “fragilità” sembra oggi essere la parola che connota il mondo sia dei nostri figli che di noi adulti, genitori ed educatori. Ne parla a lungo M. Lancini nel suo libro Sii te stesso a modo mio (Cortina Ed.), in cui chiede al mondo adulto di guardarsi dentro prima di puntare il dito sulla fragilità di chi è oggi adolescente. In effetti, come scrivi tu, molti adulti oggi sono spaventati di fronte alla complessità che connota la crescita dei propri figli. Ma l’adulto spaventato, ahimè, non è una risorsa per chi cresce. Anzi, è solo un amplificatore di ansia e vulnerabilità. Oggi mi sembra che l’adolescenza sia un tempo che fa da detonatore a tutto quello che non è stato curato e coltivato nelle fasi precedenti della crescita. È da poco uscito un libro toccante di S. Vecchini, I bambini si rompono facilmente (Bompiani), che, attraverso brevi narrazioni di grande impatto emotivo, in cui le parole sono cesellate una per una, ci mostra un’antologia di infanzie spezzate. Lì dentro c’è la fragilità dei nostri figli, ma anche quella di noi genitori, che a volte non abbiamo cura di educare a ciò che conta davvero. È un libro che mi ha profondamente toccato perché fa anche intuire che la crisi generazionale degli adolescenti e il dolore che essi manifestano sono in parte dovuti alla “mancanza di senso” con cui si va incontro alla vita e che riguarda tutti: bambini, adolescenti, adulti. Crescere vuol dire, prima di tutto, nutrire lo spazio interiore dei nostri figli. Bisogna farlo dentro relazioni amorevoli, usando lo sguardo e il dialogo, allenando all’autoriflessività e al pensiero critico. Bisogna anche coltivare una dimensione etica e morale del vivere, invitando, mentre si cresce, a confrontarsi con le categorie del bene e del male, imparando a costruire un’identità che sposta dalla dimensione dell’Io a quella del Noi, pre-requisito fondamentale che salva dalla fragilità narcisistica in cui oggi siamo tutti immersi, noi adulti e i nostri figli.

 

 
 
 

Esempio di papà

Post n°3891 pubblicato il 11 Luglio 2023 da namy0000
 

2023, FC n. 28 del 9 luglio

Caro papà Angelo, ci hai lasciato oltre due mesi fa (99 anni) con la pienezza delle tue parole, dei tuoi pensieri, e del tuo saper fare, con umiltà, leggerezza e precisione. Noi figlie ti ringraziamo per tutto ciò che ci hai insegnato: l’importanza di assumerci le responsabilità, la dedizione allo studio e la perseveranza nel completamento degli impegni presi. Non conoscevi l’ozio, sapevi riparare o ricostruire ogni genere di oggetto, amavi coltivare le piante e fare innesti, hai dedicato tutto il tuo tempo libero alle tue sempre amate api. Sei stato per noi un messaggero, così come il tuo nome “Angelo”. Ci hai dato consigli, spiegazioni e il raccoglimento della preghiera mattutina e serale. Ringraziamo il Signore per averci donato la tua vita e l’affetto ricevuto per un tempo così lungo e profondo – Silvia e Paola A., Roma

 
 
 

L'alfabeto della vita

Post n°3890 pubblicato il 08 Luglio 2023 da namy0000
 

2023, Ermes Ronchi, Avvenire 6 luglio

Nel cuore di Dio l’alfabeto della vita

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza (...).

«Ti rendo lode, Padre, perché hai rivelato queste cose ai piccoli». Il Vangelo registra uno di quegli slanci improvvisi che accendevano di stupore le parole di Gesù: i piccoli, i bambini, le donne, i poveri lo capiscono subito. In tutta la Bibbia l’economia della piccolezza esce diretta del cuore di Dio e attraversa come uno spartiacque la nostra storia: Dio scommette su coloro sui quali il mondo non scommette.

E Gesù ne è felice. Nonostante il brutto momento: Giovanni il Battista è arrestato, i capi religiosi e politici lo braccano, i villaggi attorno al lago, dopo la prima ondata di entusiasmo, si sono allontanati. Ed ecco che in quell’aria di sconfitta, Gesù, anziché deprimersi, si stupisce, si incanta di Dio: una meraviglia. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro: le sue mani, dove appoggiare la stanchezza e riprendere il fiato del coraggio. Imparate da me... Andare da Gesù è andare a scuola di vita. Quest’uomo senza poteri ma regale, libero come il vento, che nessuno ha mai potuto comprare o asservire e fonte di libere vite, insegna a vivere bene.

Imparate da me che sono mite e umile di cuore...Il maestro è il cuore. Andare tutti a scuola di cuore! Tutti a imparare il cuore di Dio! Dove c’è l’alfabeto della vita. Dio stesso non è un concetto, ma il cuore dolce e forte della vita. Imparate da me, dal mio modo, delicato, senza violenza e senza arroganza. Il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero. Un giogo: che cosa è oltre che un oggetto da museo della civiltà contadina? Oltre il ricordo degli animali da tiro, la loro grande fatica? È una metafora che non sentiamo amica: abbiamo fatto di tutto per scuoterceli di dosso, i gioghi. Gesù però dice: il mio giogo, un giogo che rimane suo, non ce lo butta addosso, con il duro della vita. Il giogo resta il suo, lui continua aggiogato allo stesso legno.

A me dice: «amico d’avventura, siamo in due; non sei solo, inchiodato alla fatica del vivere, del prenderti cura di qualcuno; siamo insieme allo stesso solco, allo stesso aratro». Don Tonino Bello immaginava: «Siamo angeli con un’ala soltanto e possiamo volare solo abbracciati». Gesù è l’altra mia ala, il mio ‘cireneo’, aggiogato ai miei amori, alla mia fatica, ai miei sogni, il vero maestro che non dà ulteriori obblighi, ma ulteriori ali. Prendete il mio giogo, cioè prendete su di voi l’antica novità del vangelo, che è ossigeno, che non ferisce mai ciò che sta al cuore dell’uomo, non proibisce mai ciò che all’uomo dà gioia e vita. E coglierete la legge profonda, la corrente calda che scorre sotto tutte le pagine del libro dell’esistenza, le feconda, le colora. E le fa profumare d’universo.

 
 
 

Se non diventerete come bambini

Post n°3889 pubblicato il 07 Luglio 2023 da namy0000
 

2023, Avvenire 6 luglio

Caivano. Il bimbo al carabiniere: «Ti conosco, hai arrestato mio papà». E poi lo bacia

Che cosa stesse passando, in quei momenti, nel suo piccolo cuore, non lo sapremo mai. Possiamo, però, capirlo da quel che ne è seguito.

È mercoledì mattina. In parrocchia si tiene il campetto estivo. I ragazzini vengono volentieri. Si gioca, si canta, si litiga, s’impara. C’è caldo, aria di allegria, e tanta acqua. Ai poveri non è consentito andare in vacanza. Restano a casa, i più fortunati fanno un salto con i genitori o i nonni alla spiaggia libera più vicina e ritornano la sera. Tra le tante attività programmate dagli animatori, c’è anche un incontro con il capitano dei carabinieri Antonio Maria Cavallo, primo comandante della nuova Compagnia istituita l’anno scorso. Con lui, fin dall’inizio, ci siamo trovati in perfetta sintonia. In un quartiere di periferia, definito una delle più grandi piazze di spaccio d’Europa, la sola repressione non basta, deve essere accompagnata da una forte e continua attività educativa.

Per attrarre a sé, il bene deve essere conosciuto, sedurre. «Con quali occhi vedono i carabinieri i ragazzi del Parco Verde in Caivano?». Questa domanda ce la siamo fatta con estrema serietà. Non sono pochi coloro che li sentono nemici. Sbirri, traditori, che fanno male ai loro papà. Vengono, se li portano via, incuranti delle lacrime dei figli. Per i bambini è un trauma il momento in cui bussano alla porta. «Antonio, dobbiamo spezzare questo giogo angoscioso e falso… », gli dico. Il comandante è d’accordo.

La parrocchia diventa il luogo privilegiato per gli incontri. I ragazzi invitano i carabinieri alle loro festicciole, ai campi estivi. 

Mercoledì mattina, dunque. Siamo in chiesa, pronti per l’incontro. «Chiamatemi Antonio», chiede il capitano. Ed è un allegro vociare... Antonio… Antonio... E arrivano le domande più disparate: «Perché hai scelto di fare il carabiniere? Sei fidanzato? A scuola andavi bene? Hai anche la pistola?». «Si, ho la pistola ma non la uso mai. Se qualcuno vuole farvi del male arriviamo noi e li mettiamo in fuga… ». Applausi. Confusione. Festa. “Se non diventerete come bambini …” Il ghiaccio è rotto. I bambini hanno capito.

Accade tutto all’improvviso. Uno dei più piccini, accoccolato ai suoi piedi, gli fa cenno di abbassare la testa. Testimone privilegiato, contemplo la scena. Il capitano si china e il piccolo, con un pudore degno di un adulto galantuomo, gli sussurra all’orecchio: «Io ti conosco. Tu sei venuto a casa e hai portato via il mio papà… ». Taccio. Ci guardiamo esterrefatti. «Come ti chiami?». Nome e cognome. Il comandante capisce, lo accarezza, lo prende in braccio. Adriano – lo chiamerò così – si scioglie. Gli getta le braccia al collo. «Adriano, vuoi dare un bacio ad Antonio?», gli chiedo. Sì. E gli stampa un bacione sulla barba che gli rimarrà impresso per il resto della vita. C’è confusione. Non tutti gli amici hanno capito ciò che sta accadendo; a sua volta, il piccolo ha fatto in modo che la cosa rimanesse tra loro.

Adriano ha capito che Antonio non è nemico del suo babbo, che, anzi, gli vuole bene, che di lui e degli uomini in divisa si può fidare. I ragazzini sono orgogliosi di essere diventati amici del capitano. Possono andare a salutarlo in caserma quando vogliono; possono invitarlo ai loro compleanni.

Questa mattina, Antonio, abbiamo imparato tanto, tu, io, gli animatori, i tuoi uomini. Abbiamo imparato che dobbiamo metterci in ascolto dei più piccoli se davvero vogliamo incidere nella loro educazione. Che solo prendendoli in braccio, proteggendoli, incoraggiandoli, saremo capaci di leggere e interpretare le paure, le speranze, le gioie che passano nei loro cuori. Corriamo in aiuto dei bambini, teniamoli lontani dal male. Tutti, a cominciare dai genitori. Non lasciamoli soli. Che sappiano che c’è tanta gente che davvero gli vuole bene. Che gli uomini in divisa sono loro veri amici, custodi e sentinelle attenti del vivere civile. E, insieme, continuiamo a seminare, a piene mani, la speranza nei loro cuori. Speranza che, come seme benedetto, a suo tempo, porterà i suoi frutti.

 
 
 

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