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Messaggi del 29/05/2024

Abuso dellìIntelligenza Artificiale

2024, Avvenire 28 maggio

Don Ciotti replicato dall'Ia (Intelligenza Artificiale), Europol e Onu lanciano l'allarme deepfake

Li chiamano “deepfakes”, cioè bufale hi-tech confezionate con lo zampino dell’Intelligenza artificiale

Video, foto e audio falsi, che però sembrano talmente veri da provocare danni alla reputazione, convincere le vittime designate a sborsare denaro, addirittura provocare terremoti politici. L’ultimo a farne le spese è stato don Luigi Ciotti, fondatore di Libera che fa della credibilità la sua bandiera. Il sacerdote è stato digitalmente infangato nei giorni scorsi: alcuni truffatori hanno manipolato le immagini del suo intervento a Tor Vergata del 24 marzo, in occasione della Giornata contro le mafie, per ricavarne un odioso spot su una (presunta) miracolosa cura anti artrite. “I medici non ci dicono la verità – recitava il don Ciotti contraffatto – ecco come ci si può curare anche da casa”. Il prete antimafia ha scoperto tutto e denunciato l’accaduto alla magistratura, che ora indaga per trovare i responsabili. Ma don Ciotti è solo l’ultimo di una serie di personaggi illustri "copiati" dall'Intelligenza artificiale. Prima di lui, in tempi recenti, era capitato a Fabio Fazio e a Piero Ferrari, vicepresidente del Cavallino. All’estero sono finiti nel mirino Scarlett Johansson, Tom Hanks e perfino Mark Zuckerberg (infilato in un fasullo dibattito politico).

Con l’evoluzione della tecnologia legata all’IA i deepfakes sono diventati sempre più sofisticati e, dunque, credibili. Una minaccia che purtroppo sta facendo avverare i peggiori timori di Europol e Unicri (l’agenzia anticrimine Onu), che già 4 anni fa elaborarono uno studio sui rischi derivanti dall’uso malevolo dell’Intelligenza artificiale.

Nel report un intero capitolo era appunto dedicato ai deepfakes. Nel 2020 il pericolo si traduceva soprattutto nella realizzazione di video pornografici falsi: su 15 mila filmati fake, il 96% era di contenuto vietato ai minori. La tecnica è nota: il viso di una celebrity applicato a un corpo nudo per suscitare la morbosità degli utenti. Ma se 4 anni fa il fenomeno era limitato, con l’evoluzione rapidissima degli strumenti i rischi si sono notevolmente innalzati, al punto che nei casi più complessi è difficile distinguere il vero dal falso. Certo, ci vogliono conoscenze e risorse adeguate, e i piccoli truffatori non ne hanno a sufficienza. Per questo motivo vengono quasi sempre smascherati. Ma l’Europol metteva in guardia sugli sviluppi futuri, soprattutto riguardo a campagne mediatiche e social concepite per screditare gli avversari politici. Un altro potenziale utilizzo ostile prevede la diffusione di immagini artefatte a fini di estorsione: la vittima sa che si tratta di un fake, ma non può dimostrarlo e perciò paga per evitare scandali.

Le insidie vengono anche dall’uso della voce contraffatta: Europol e Unicri hanno documentato vari casi. In uno, il dirigente di un’azienda era stato convinto a stanziare una somma di denaro credendo di parlare con il suo amministratore delegato. Addirittura, fu la stessa Europol ad andarci di mezzo: una banda di truffatori aveva usato la voce dell’ex direttore esecutivo per estorcere 10 mila euro. L’inganno era emerso quando la vittima aveva chiamato la stessa organizzazione per chiedere indietro la somma.

Il deepfake è una pratica sempre più diffusa in Africa, dove rischia di provocare effetti catastrofici e destabilizzanti. Nel 2018, un finto video raccontava che il presidente del Gabon era in fin di vita o addirittura morto: circostanza che portò i militari a tentare un colpo di Stato.

Massima attenzione anche sui passaporti: ci sono software che permettono di modificare una foto tessera in modo da far assomigliare il viso di una persona anche a quello di un’altra. Il fine è chiaro: permettere di usare un documento altrui eludendo i controlli.

Tutti pericoli molto concreti, dalle conseguenze inquietanti e forse ancora non del tutto inimmaginabili. Non a caso l’Unione Europea ha appena approvato una legge per regolare l’uso dell’Intelligenza artificiale e prevenirne gli abusi. Basterà?

 
 
 

Le battaglie di Gabriella

Post n°4019 pubblicato il 29 Maggio 2024 da namy0000
 

2023, novembre

Le battaglie di Gabriella S. per i diritti dei detenuti

Per 24 mesi ha ascoltato – prima con incredulità, poi con sconcerto, infine con indignazione – le denunce dei detenuti del carcere romano di Rebibbia. Le parlavano di latte allungato con l’acqua, di fondi di caffè utilizzati più volte, di frutta e verdura marce, di scatole di provviste scadute. Poi ha scritto un dossier di 170 pagine e l’ha consegnato alla procura della Repubblica. Nell’incontro con i magistrati, ha portato con sé una confezione di salsicce, acquistate a caro prezzo, come sopravvitto, da un detenuto: per il 90 per cento erano composte di grasso, tinto con un colorante rosa per somigliare alla carne.

Romana, 62 anni, Gabriella S. è stata per sei anni la garante dei diritti delle persone private della libertà nella capitale. L’aveva nominata, nel giugno 2017, la giunta della sindaca Cinquestelle Virginia Raggi, scegliendola tra ventotto candidati. Se da un anno la magistratura romana indaga sul vitto servito nelle carceri, il merito è suo. E si deve a lei se lo sconcertante prezzo d’appalto (2,39€ per fornire colazione, pranzo, cena a ogni detenuto) è stato aumentato a 3,90€.

Al carcere, Gabriella S. si dedica da anni. Delle sue due lauree – in lettere e in scienza dell’educazione – una la concluse scrivendo una tesi su “il carcere come regolatore della società”.

Atleta con una lunga storia di competizioni e di vittorie, maratoneta che ha cinto la fascia azzurra nelle Universiadi di Zagabria, prima donna alla guida di una federazione sportiva, ha anche organizzato la prima corsa in un carcere nel 1994, a Rebibbia. Racconta: «Lavoravo per l’Uisp (Unione italiana sport per tutti), che ogni anno teneva una gara, il Vivicittà. Mi scrisse da Rebibbia un ragazzo che anni prima correva con me aui campi dell’Acqua Acetosa: entrato nelle Brigate Rosse, per qualche anno era fuggito all’estero e nel 1983 si era costituito. Non aveva mai smesso di allenarsi, mi disse, neppure in cella, e mi chiese di organizzare Vivicittà a Rebibbia. Questo è matto, pensai. Ma andai a parlare col direttore del penitenziario, che a sorpresa accettò. Così lo sport fece ingresso ufficialmente nelle carceri italiane».

Ma «il carcere vero», Gabriella l’ha incontrato («respirato», dice) da garante: «Per 6 anni non c’è stato giorno che non entrassi nell’una o nell’altra struttura, compresi il minorile e il Cpr, il Centro di permanenza per i rimpatri. Ho ascoltato centinaia di detenuti, raccolto centinaia di reclami. I più diffusi? La salute. E subito dopo, il vitto».

Quando la notizia dell’inchiesta aperta dopo le denunce di Stramaccioni è diventata pubblica, una mattina lei è entrata in carcere e i detenuti l’hanno salutata con un applauso. «Dottore’ – le ha urlato qualcuno – oggi, per la prima volta, abbiamo bevuto un latte che sapeva di latte».

Il 13 gennaio 2023, alle 7 del mattino, quaranta agenti della Guardia di Finanza hanno bussato al portone principale di Rebibbia e sono andati dritti nelle cucine. Due mesi dopo, a marzo, il mandato di Gabriella è scaduto; il Comune di Roma non glielo ha rinnovato.

Lei si è subito lanciata in una nuova avventura: entrata nel direttivo della Fondazione Perugia-Assisi sta organizzando un percorso della pace, 1000 chilometri di corsa, da Comiso ad Assisi, «contro l’assuefazione alla guerra».

 
 
 

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