Creato da namy0000 il 04/04/2010

Un mondo nuovo

Come creare un mondo nuovo

 

Messaggi di Luglio 2019

Un feroce conflitto

Post n°3093 pubblicato il 29 Luglio 2019 da namy0000
 

Un feroce conflitto di idee sulla dieta e sul controllo del peso.

Le indicazioni che Camacho ricevette dai medici (per dimagrire), da una sfilza di nutrizionisti e dalle sue ricerche online, erano unanimi. E sono note a chiunque abbia provato a mettersi a dieta. “Tutti ti dicono che per dimagrire devi mangiare di meno e muoverti di più. e per questo devi calcolare le calorie”.

Quasi tutte le linee guida ufficiali stabilivano che, in quanto uomo, doveva consumare 2.500 calorie al giorno per mantenere il suo peso. Per snellire la sua corporatura tarchiata Camacho cominciò ad alzarsi ogni giorno prima dell’alba per correre 10 chilometri e a quantificare tutto quello che mangiava.

Riempivo un foglio Excel ogni sera, ogni settimana e ogni mese elencando tutto quello che avevo mangiato. Era diventata un’ossessione”, racconta. “Mi sentivo sempre stanco e affamato, ed ero diventato lunatico e distratto”, dice. “Facevo tutto quello che bisogna fare”, ripete. Rispettò scrupolosamente una dieta a basso contenuto di grassi e calorie per tre anni. Ma non funzionava.

Calcolare l’esatto contenuto calorico degli alimenti è molto più difficile di quanto suggeriscano le cifre riportate con baldanzosa precisione sulle confezioni. Due alimenti con identico valore calorico possono essere digeriti in modi molto diversi. Ogni corpo elabora diversamente le calorie. La seducente semplicità di contare quante calorie entrano e quante escono è pericolosamente illusoria.

Per secoli gli scienziati hanno creduto che fosse la quantità di cibo consumata a contare. Alla fine del Cinquecento, un medico italiano, Santorio Santorio, inventò una “sedia per pesare” che pendeva da una bilancia gigantesca, in cui si sedeva a intervallo regolari per pesare sé stesso, quello che mangiava e beveva e le feci e l’urina prodotte. Malgrado trent’anni trascorsi a ciondolare compulsivamente sulla sedia, Santorio rispose a ben poche delle questioni da lui stesso sollevate sull’effetto che il consumo di alimenti aveva sul suo corpo.

Solo in seguito l’attenzione si spostò sull’energia contenuta nei diversi alimenti. Nel Settecento, l’aristocratico francese Antoine-Laurent Lavoisier capì che per far bruciare una candela occorreva un gas presente nell’aria – che chiamò ossigeno – con cui la fiamma si alimentava rilasciando calore e altri gas. Applicò lo stesso principio al cibo, concludendo che alimenta il corpo come un fuoco che brucia lentamente. Costruì un calorimetro, un congegno abbastanza grande da contenere un porcellino d’india, e misurò il calore generato dall’animale per calcolare quanta energia produceva. Purtroppo la rivoluzione francese – e più precisamente la ghigliottina – troncò le sue riflessioni. Ma aveva avviato un processo. Altri scienziati, in seguito, costruirono “bombe calorimetriche” in cui bruciavano il cibo per misurare il calore – e quindi la potenziale energia – che veniva rilasciato.

La caloria – un termine che deriva dal latino calor, calore – in origine fu usata per misurare l’efficienza delle macchine a vapore: una caloria, o meglio una kilocaloria, è l’energia richiesta per riscaldare di un grado Celsius un chilo d’acqua. Solo negli anni sessanta dell’Ottocento gli scienziati tedeschi cominciarono a impiegarla per calcolare l’energia degli alimenti. … Nel 1887, dopo un viaggio in Germania, Atwater scrisse una serie di articoli molto popolari sulla rivista statunitense Century, suggerendo che “il cibo è per il corpo quello che il combustibile è per il fuoco”. Presentò al pubblico il concetto di ”macronutrienti” – carboidrati, proteine e grassi – così chiamati perché il corpo ne ha un gran bisogno. Oggi molti di noi vogliono controllare il consumo di calorie per dimagrire o per mantenere il proprio peso. Atwater, che era figlio di un pastore metodista, era mosso dall’obiettivo contrario: in un’epoca di diffusa denutrizione, cercava di aiutare i poveri a scoprire gli alimenti migliori di cui nutrirsi.

Atwater aveva ragione nel ritenere che parte della potenziale energia di un pasto è espulsa con le feci, ma non immaginava che una parte fosse usata anche per digerire il pasto stesso, e che il corpo consuma quantitativi di energia diversi a seconda dell’alimento che digerisce. Atwater trasformò il modo di concepire il cibo. Consigliò ai poveri di non mangiare troppe verdure perché erano abbastanza ricche di energia.

Alla fine degli anni sessanta del Novecento, l’obesità stava diventando un problema diffuso perché la gente era diventata più sedentaria e aveva cominciato a mangiare alimenti lavorati e pieni di zucchero.

Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), tra il 1975 e il 2016 l’obesità è quasi triplicata nel mondo… Questo ha contribuito a un rapido aumento delle malattie cardiovascolari. Anche le percentuali del diabete de tipo2, che è spesso legato allo stile di vita e alla dieta, sono più che raddoppiate dal 1980.

Ma le calorie riportate sulle confezioni di alimenti e nei menù di solito sono sbagliate.

Il conteggio delle calorie si basa sulla quantità di calore prodotta da un alimento quando brucia in un forno. Ma il corpo umano è più complesso di un forno. Quando il cibo è bruciato in un laboratorio rilascia le calorie nel giro di pochi secondi. Nella vita reale, invece, il viaggio dal piatto al gabinetto in media dura quasi un giorno, ma può variare da otto a ottanta ore a seconda dell’individuo.

Oltre alle calorie, i geni, i miliardi di batteri che vivono nell’intestino, la preparazione degli alimenti e il sonno influiscono sul metabolismo.

“Siamo in grado di creare un dna sintetico e di clonare gli animali, ma sappiamo ancora incredibilmente poco sulle cose che ci tengono in vita”.

I problemi nascono quando nel sangue c’è troppo zucchero. Il fegato può immagazzinare una parte dell’eccesso, ma quello che rimane si accumula come grasso.

Dopo tre anni passati a contare le calorie, Camacho cambiò metodo. In palestra conobbe delle persone che usavano un metodo diverso per controllare il peso. Come lui si allenavano regolarmente. Ma invece di limitare le calorie, mangiavano alimenti naturali, quelli che Camacho definisce “roba che viene da una pianta vera, non da un impianto industriale”. (da L’Imbroglio delle calorie, Internazionale n 1310 del 7 giugno 2019).

 
 
 

Emergenza umido

Post n°3092 pubblicato il 28 Luglio 2019 da namy0000
 

2019, Avvenire 27 luglio. Rifiuti a Roma. L'aiuto esterno per gli indifferenziati funziona. Ma è emergenza umido

Dopo l'ordinanza della Regione Lazio qualcosa si muove, ma tutto resta molto complicato. Soffrono anche Campania e Puglia per i ridotti conferimenti a Nord.

Già lo si vede dai cassonetti pieni e dai "ruscelli" di percolato maleodorante, segno della non tenuta. Una situazione provocata dalla riduzione dei conferimenti negli impianti del Nord (soprattutto Veneto e Friuli). Ci sono alcune inchieste in corso che fanno ridurre le quantità accettate.

Molti sindaci di queste regioni stanno indicando ai cittadini di mettere i rifiuti organici in quelli indifferenziati. Che finiscono così nei Tmb e negli Stir, ingolfandoli. Alcuni hanno fatto addirittura ordinanze giustificandosi con l’impossibilità di disporre di impianti di trattamento. Molti di più lo fanno senza dirlo. Sarà il destino di Roma che non ha alcun impianto proprio e ha bocciato anche i due progetti dell’Ama? O ancora una volta saranno i privati a salvarla a caro prezzo? … E intanto la sindaca Raggi continua a dire "mai una discarica".

«Non faccio niente», ma a quel punto i privati proprietari dei terreni nelle aree bianche presenteranno progetti alla Regione che dirà: «Rientrano in zona idonea, nel piano regionale è prevista una discarica di servizio, quindi il progetto è conforme, dunque si rilascia l’autorizzazione». Raggi andrà coi comitati a protestare, avendo però perduto un’occasione gigantesca, perché la discarica andava fatta fare ad Ama, quindi pubblica, risparmiando un sacco di soldi. Invece dovranno pagare tantissimo i privati. Dopo essere stata per decenni monopolizzata dal privato Cerroni, la Capitale finirebbe nuovamente in mano a un oligopolio… Ad Ama non resterà nulla, solo la raccolta. Braccia e carrette. Niente più.

Guerra ecologica. 

Difficoltà per lo smaltimento di milioni di ecoballe. E a settembre chiude il termovalorizzatore di Acerra Tra le cause anche la «concorrenza» del Campidoglio che paga di più le ditte del Nord

«Dotto’ per favore scriva quello che ha visto, ci aiuti». Quasi implora l’autista del grande autocompattatore di Asia, l’azienda comunale dei rifiuti di Napoli. Col suo mezzo è da cinque ore in fila per scaricare allo Stir di Caivano. Prima di lui 69 camion, dietro altri 20. In tutto 90 mezzi provenienti dai comuni della provincia. E altrettanti li abbiamo contati davanti a quello di Giugliano. Sono le 17, il termometro segna 37 gradi e dai camion cola il percolato che rende appiccicosa la strada. E c’è una puzza fortissima che si sente a chilometri di distanza… «Non arrivano i camion per portare via la parte umida perché non sanno dove portarla. Così l’impianto è pieno e noi non possiamo scaricare», spiega ancora l’autista. Altri si avvicinano. Ci dicono che l’attesa media è di un giorno, ma i camion delle ditte private devono aspettarne anche 2 o 3. Così bisogna dare il cambio agli autisti o pagare gli straordinari. C’è chi si organizza, con un tavolino, qualche sedia, borse frigo e un mazzo di carte.

Scene che abbiamo già visto più di dieci anni fa ai tempi dell’ultima (si fa per dire...) emergenza rifiuti in Campania. … «Siamo tornati ad allora. Quelli che prendevano i nostri rifiuti ora non lo fanno più. Speriamo nelle navi. Speriamo che trovino un accordo. Dateci una mano»…

 
 
 

Ecorazzismo

Post n°3091 pubblicato il 27 Luglio 2019 da namy0000
 

Rischio di «ecorazzismo» nelle scelte. Ambiente inquinato. Pagano i più poveri

Le scelte su inquinamento o rifiuti generano una discriminazione sociale. Contro il rischio dell’«ecorazzismo» decisioni più partecipate e condivise

Si dice che l’Est di Londra, la zona più povera della capitale britannica, sia stata condannata ai mali che tutt’oggi l’affliggono, primi fra tutti criminalità, disoccupazione e dispersione scolastica, dalla rivoluzione industriale e dai 'Westerlies', i venti che spirano sulla città da occidente verso oriente. È per proteggere i ricchi dal fumo delle fabbriche a carbone trasportato nell’aria lungo questa precisa traiettoria che, tra il 1817 e il 1881, le abitazioni destinate alla classe operaia sono state concentrate proprio a Est, laddove i veleni spinti dal vento avrebbero potuto cadere al suolo senza mettere a rischio la salute dei borghesi.

Dopo essere stato a lungo un semplice aneddoto, il nesso tra povertà e inquinamento che ha caratterizzato la storia di Londra ha acquisito evidenza scientifica solo tre anni fa quando Stephan Heblich e Yanos Zylberberg, ricercatori dell’Università di Bristol impegnati in un progetto realizzato in collaborazione con l’ateneo di St’Andrews, hanno dimostrato, dati alla mano, che quella sproporzionata esposizione all’inquinamento, vecchia quasi 150 anni, ha generato un’ingiustizia sociale mai colmata, nonostante le massicce opere di riqualificazione urbana. I numeri spiegano che a Est, per esempio, i crimini legati a droga e violenza è sempre stato più alto del 20% rispetto a quello registrato in altri quartieri.

Povertà che si aggiunge a povertà. Declinazione locale, verrebbe da dire, del cosiddetto 'apartheid climatico' globale. Il caso londinese, ovviamente, non è l’unico. Città, nazioni e continenti sono stati per secoli flagellati da politiche industriali e sociali intenzionalmente discriminatorie nei confronti delle fasce più deboli della popolazione ma è soltanto alla fine degli anni 70 che si è cominciato a parlare, dichiaratamente, di (in)giustizia ambientale. Inquadrato, genericamente, nella convenzione di Stoccolma del 1976 sullo sviluppo sostenibile, il concetto ha acquisito spessore giuridico e statistico grazie allo statunitense Robert Bullard, il padre del movimento che combatte l’'ecorazzismo' in tutto il mondo.

Era il 1979 quando Bullard, oggi docente alla Texas Southern University, dimostrò, nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria sullo smaltimento di rifiuti tossici, che l’82% dei siti scelti nella città di Houston come discariche era localizzato nei quartieri afro-americani. Ed è grazie a quella battaglia, combattuta in punta di diritto con l’appoggio della moglie avvocato, che Bullard è riuscito per la prima volta nella storia a far rientrare la 'discriminazione ambientale' nell’ambito degli illeciti perseguibili dalla legge.

Non occorre scomodare i luminari del diritto per riconoscere quando ingiusta, contro l’uomo e contro il Creato, sia per esempio l’esposizione ai pesticidi di chi lavora nelle piantagioni di cotone di India e Uzbekistan o, guardando in casa nostra, il lento ma costante avvelenamento da rifiuti tossici della cosiddetta 'Terra dei fuochi', tra Napoli e Caserta. In entrambi i casi, così come in tanti altri, si tratta di abusi dalle conseguenze mortali. Gli effetti delle scelte di gruppi ristretti di potere, pubblico o privato, ispirate al principio del 'non nel mio giardino' si misurano in termini di esposizione a cancro, diabete, Alzheimer, obesità infantile e infiammazioni croniche.

Ma non solo. Quello che la statistica sta pian piano mettendo a fuoco è che, in Italia come in Europa e nel resto del mondo, la discriminazione ambientale rischia di cristallizzare la povertà, condannando milioni di cittadini a sentenze di rassegnata miseria sociale e culturale. «L’argomento è ancora poco studiato – spiega Joanna Barnes, ricercatrice dell’Università West of England – ma di sicuro possiamo dire che l’esposizione all’inquinamento è un moltiplicatore di povertà». I codici di avviamento postale sono oggi uno dei più efficaci indicatori di salute e benessere di una comunità, rivelatori di politiche (buone o cattive) stratificate nel tempo. Per usare l’espressione di Laura De Vito, ricercatrice di origini salentine dell’Università del West of England, l’esposizione all’inquinamento è infatti frutto di una 'sistematica discriminazione' su base sociale, etnica e razziale, per questo molto difficile (ma non impossibile) da scardinare. «Persino un intervento pensato in buonafede per ridurre l’inquinamento in maniera radicale – spiega – corre il rischio di creare ulteriore ingiustizia sociale. Impedire, per esempio, la circolazione delle auto più inquinanti è un provvedimento che mette in difficoltà quanti non possono permettersi di cambiare la vecchia auto a diesel, né tantomeno di comprarne una elettrica».

Come uscirne? «L’ingiustizia ambientale – spiega la ricercatrice – riflette uno squilibrio sociale e politico, locale e governativo, agevolato dal fatto che riguarda persone che hanno meno accesso ai processi decisionali». Puntare sul coinvolgimento della popolazione più esposta ai rischi dell’inquinamento, ma meno rappresentata a livello politico, locale e governativo, potrebbe essere una delle soluzioni. La consapevolezza gradualmente maturata negli anni, sulla scia dei casi più gravi di discriminazione ambientale, come lo è stato in Italia quello dell’Ilva di Taranto, ha già portato a delle migliorie in questa direzione. La Convenzione di Aahrus, per esempio, stabilisce dei livelli minimi di partecipazione pubblica e informazione ambientale per ogni nuovo progetto. È, in sostanza, l’estensione del principio legale del 'right to know' (diritto a sapere) al 'right to have a say' (diritto ad avere voce in capitolo).

«Il problema – sottolinea – è che la Convenzione stabilisce però solo dei livelli minimi di partecipazione, poi spetta a chi attua la legislazione andare oltre, e purtroppo spesso, nella pratica, il modo in cui sono portate avanti le consultazioni non permette alle comunità più svantaggiate e isolate, che incontrano limiti strutturali, di avere una vera influenza ». «La soluzione – conclude – è tornare al concetto base di sviluppo sostenibile, considerare i problemi in maniera integrata a livello ambientale, sociale, economico e, aggiungerei, politico. Importante inoltre è non agire solo di fronte alle emergenze ma affrontare le cronicità attuali in maniera programmatica ». (Avvenire, 26 luglio 2019)

 
 
 

Sommersi da un mare di spazzatura

Post n°3090 pubblicato il 24 Luglio 2019 da namy0000
 

Viaggio in un’Italia sempre più soffocata da immondizia d’ogni genere

135.000.000 di tonnellate di rifiuti speciali prodotti ogni anno in Italia (il 65% riciclato)

30.000.000 di tonnellate di rifiuti urbani all’anno (il 47% riciclato)

È un’emergenza che purtroppo sta diventando una malattia cronica. L’Italia è invasa da rifiuti. I cassonetti traboccano, l’aria si fa irrespirabile. Un problema al tempo stesso estetico, etico, politico, economico e sanitario. Nel nostro Paese ogni anno viene riciclata solo la metà o poco più dei rifiuti speciali e urbani prodotti. Spesso le cronache ci dicono dove finisce il resto: così, per esempio, il recente incendio a Settimo Milanese di un deposito colmo di immondizia. Siamo stati dunque in Lombardia e poi giù, a Roma e a Palermo per vedere cosa sta accadendo. Soluzioni? Ne abbiamo parlato con il ministro dell’Ambiente, con il generale dei Carabinieri, con l’economista Andrea G., docente alla Bocconi.

L’anno scorso ci eravamo occupati del cosiddetto “triangolo della diossina”, una zona in provincia di Pavia compresa tra i comuni di Corteolona, Mortara e Parona in cui si erano verificati una serie di incendi in discariche di rifiuti, autorizzate e non, che avevano allarmato la popolazione. In particolare, ci eravamo focalizzati sul caso di Corteolona, in cui il rogo in un capannone abbandonato aveva sprigionato una quantità di diossina superiore di 40 volte i limiti consentiti. Pochi mesi dopo la nostra inchiesta, il Gip di Milano, a seguito delle indagini dei Carabinieri forestali di Milano e Pavia, ha disposto la custodia cautelare in carcere nei confronti di sei persone. Una di loro, V.D., in un Sms inviato la sera dell’incendio scriveva: ‹‹Ho ritirato la torta poco fa… ho fatto mettere la frutta sopra tutti i lati e ho abbondato al centro con il liquore››. La “torta” erano tonnellate di olio esausto, divani, pneumatici, macerie da attività edili, plastica e altri materiali che non dovevano trovarsi lì.

Il caso di Corteolona è emblematico di quanto accade in Lombardia, la prima regione in Italia per numero di infrazioni nel ciclo illegale dei rifiuti: 399, secondo un rapporto dell’Università Statale di Milano, che hanno portato a 451 denunce, 21 arresti e 268 sequestri. Mentre, stando ai dati raccolti dall’Arpa, si è passati dagli 11 incendi del 2015 ai 22 del 2018. Quest’anno si è già arrivati a 9, l’ultimo dei quali a Settimo Milanese nella notte tra l’8 e il 9 luglio.

Cosa è successo? Fino a qualche anno fa la Cina accoglieva gli scarti di plastica e gomma che arrivavano dall’industriosa Lombardia, come dal resto d’Europa. Il blocco ha causato la saturazione dei 2.700 impianti autorizzati sparsi sul territorio regionale, oltre a far impennare i costi di smaltimento. Nello stesso tempo, la crisi economica, con la chiusura delle aziende, ha lasciato in eredità una moltitudine di capannoni vuoti. Imprenditori senza scrupoli e delinquenti, spesso legati alla criminalità organizzata, non ci hanno messo molto a fare due più due, com’è avvenuto a Corteolona.

Il sistema è molto semplice. Titolari di ditte autorizzate si fanno pagare per smaltire rifiuti che in realtà, con la complicità di aziende di trasporto compiacenti, finiscono in cave o in capannoni abbandonati, individuati da intermediari i quali a loro volta pagano ai loro proprietari un affitto purché restino in silenzio. In questo modo, ci guadagnano tutti. E quando la discarica abusiva diventa troppo piena o c’è il sospetto di qualche indagine, un bel falò e si ricomincia da qualche altra parte.

Nel caso di Corteolona, sono stati calcolati ingiusti incassi per più di un milione di euro. Le conseguenze di questo business, ha dichiarato il colonnello dei Carabinieri ‹‹sono un duplice inquinamento: quello ambientale e quello dei tessuti economici, perché diventa sempre più difficile per gli imprenditori onesti lavorare se c’è chi offre i loro servizi a prezzi totalmente fuori mercato››. ‹‹Alcune Regioni non sono in grado di creare un ciclo completo di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e industriali. Resta la disparità tra Nord e Sud. La criminalità organizzata lavora con l’appoggio di intermediari “puliti”››. ‹‹Ogni Regione avrebbe dovuto creare un ciclo completo di gestione dei rifiuti solidi urbani e dei rifiuti industriali, in modo da essere autosufficiente. Ma non tutte ci sono riuscite. Così oggi il Piemonte, la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, parte della Toscana e parte delle Marche hanno piani di raccolta, stoccaggio e smaltimento definitivo dei rifiuti tramite gli inceneritori o i termovalorizzatori. Altre Regioni sono rimaste indietro››. ‹‹In Lombardia contiamo 13 impianti, il Piemonte ne ha 2, il Veneto 3, l’Emilia Romagna 8. Il Lazio ne avrebbe 2, ma uno funziona a scartamento ridotto… In Puglia ci sono 2 impianti di vecchia generazione, 2 mal funzionanti in Calabria e nemmeno uno in Sicilia. Questa situazione provoca il trasferimento di rifiuti solidi urbani dal Sud al Nord››… Da ottobre a oggi nel Nord Italia abbiamo sequestrato 70 capannoni pieni di rifiuti che provenivano prevalentemente dal Sud… Nelle terre di tradizionale presenza mafiosa e nelle zone del Nord Italia, dove si sono bene inseriti elementi della criminalità organizzata, c’è certamente una forte presenza mafiosa negli appalti per la raccolta dei rifiuti. A volte l’impresa mafiosa utilizza il sistema delle gare di appalto per riciclare denaro sporco, ma più spesso la grande criminalità oggi funziona da collante fra un determinato tipo di imprenditoria, alcune ditte di trattamento e trasporto e un certo tipo di pubblica amministrazione… I grandi traffici internazionali di rifiuti industriali verso l’Africa o alcuni Paesi dell’Est, spesso considerati le pattumiere del mondo, la criminalità organizzata non è capace di gestirli da sola. Servono conoscenze tecniche e giuridiche non indifferenti, intermediari, colletti bianchi, relazioni internazionali di grande respiro. Servono comportamenti virtuosi e ognuno dovrebbe fare la propria parte. Raccomanderei di fare attenzione ai cosiddetti “svuotatutto” quei servizi che svuotano le cantine, magari per 200 euro. Se il prezzo è troppo basso, con ogni probabilità quelle persone porteranno il materiale in campagna senza attivare un ciclo corretto di smaltimento››.

Dopo i giorni dell’ira e della puzza, Roma a poco a poco ricomincia a respirare. Si svuotano i cassonetti in strada e i bidoni stracolmi di immondizia all’interno dei portoni, in qualche zona della città sono pure stati avvistati in azione i camion per la pulizia e la disinfestazione delle strade. ‹‹Si lavora ventre a terra e in operoso silenzio››, assicura il ministro dell’Ambiente, dopo aver fatto incontrare al ministero la sindaca di Roma, il presidente della Regione Lazio e il prefetto. ‹‹Un incontro fondamentale››, ha spiegato il ministro, ‹‹che ha un senso politico e tecnico e ci ha aiutato a trovare alcune soluzioni nell’immediato e assumere impegni nel lungo termine affinché tali criticità non si ripetano››… Non sempre i comportamenti dei cittadini sono virtuosi. E pensare che in alcune grandi città come Vienna, ci sono cassonetti diversi in cui gettare il vetro bianco e quello colorato… Ci sono poi ristoranti, pub e pizzerie che, alla chiusura dei locali, lasciano in strada i sacchi di immondizia. Alle prime luci dell’alba i primi ad arrivare, in anticipo sui camion della raccolta dei rifiuti, sono i gabbiani, ormai padroni incontrastati di Roma, che con i loro becchi squarciano i sacchi neri in cerca di cibo, spargendo l’immondizia sulle strade e i marciapiedi…

Se la divisione dei rifiuti non è corretta, il meccanismo s’inceppa. Occorre un grande lavoro sul piano della cultura e della formazione… Oggi tutti abbiamo negli occhi le immagini drammatiche di Roma, ma ci sono anche città che, con investimenti a lungo termine, hanno saputo vincere… soprattutto si puntò sulla comunicazione, proponendo una campagna ironicamente ispirata al Risorgimento: con lo slogan “Cinque giornate per liberarsi dai rifiuti” si fece un lavoro capillare, rivolto ad ampi gruppi di cittadini tra cui, per esempio, i portieri degli immobili, fondamentali per una efficace differenziata nel tempo, l’impegno ha dato i suoi frutti. (FC n. 29 del 21 luglio 2019).

 
 
 

Il suo sorriso

Post n°3089 pubblicato il 23 Luglio 2019 da namy0000
 

Modica piange Anna Maria È morta all'improvviso per un aneurisma. Ai funerali per salutarla c'era tutta la città. Anna Maria L., 18 anni, animatrice dell'oratorio, era amata da tutti per la gioia e la generosità.

«Una cosa è certa: il suo sorriso rimarrà impresso per sempre nei nostri cuori». È la sola frase che, tra le lacrime ed il dolore, sono riusciti a pronunciare i tantissimi amici di Anna Maria, la 18enne di Modica morta sabato per un aneurisma. La giovane si trovava a casa con la famiglia e si apprestava a festeggiare il diploma appena conseguito con il massimo dei voti: improvvisamente si è accasciata e per lei non c’è stato nulla da fare. Una ragazza di una dolcezza infinita.

L’intera comunità modicana è sotto choc, affranta per la scomparsa di una ragazza amata da tutti per il suo cuore grande e la voglia di vivere trasmessa agli altri cui si dedicava. La giovane infatti era un’animatrice della struttura religiosa di via Don Bosco e del grest di Mgs Sicilia, dove con il suo altruismo era diventata un punto di riferimento per tantissimi giovani della città. Tutti erano alla ricerca di una parola di Anna Maria, della sua gioia e della sua solarità. L’altruismo personificato.

Anche gli insegnanti ne hanno voluto evidenziare la bontà: brillante, sempre disponibile con tutti e con un’allegria coinvolgente anche a scuola, si stava preparando per intraprendere la Facoltà di Scienze dell’educazione dell’Università di Palermo. Oggi pomeriggio tutte le attività commerciali si sono fermate per mostrare il dolore dell’intera città, nel giorno in cui le è stato dato l’ultimo saluto nel grande cortile del suo oratorio, alla presenza di centinaia di giovani e di tantissima gente che ha voluto partecipare al dolore dei familiari e dell’intera famiglia salesiana. «La porteremo sempre nei nostri cuori, con lo stesso amore e affetto che lei ci ha dato».

Don Antonio Aprile, il diacono che da anni presta il suo servizio pastorale nella parrocchia di Maria Ausiliatrice, si è detto «costernato, non riesco nemmeno a rendermi conto di come possa essere successo. Anna Maria era una ragazza dolcissima, attenta, partecipe, rispettosa di tutti, anche dei più piccoli e degli anziani: prezioso il suo contributo in parrocchia e in oratorio». Rosetta è incredula: «Una ragazza splendida, con un cuore semplice e buono, pronta a donarsi sempre».

Anna Maria proprio domani mattina, martedì, avrebbe dovuto affrontare gli esami di guida per conseguire la patente. (Avvenire, 22 luglio 2019)

 
 
 

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